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Autore: Archangel Reliel    21/10/2008    2 recensioni
Sangue blu...sangue maledetto...
Ho avuto il coraggio di guidare con forza le redini della mia vita, e cosa ne ho ottenuto?
Polvere, sangue e niente più...
Genere: Drammatico, Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Londra, Giugno 1497



«Bastardo! Ti scortico vivo se ti prendo!».
Un bambino dai capelli biondo pallido vestito di miseri cenci e scalzo, correva reggendo tra le mani annerite dalla sporcizia un tozzo di pane. Rubato.
L’enorme panettiere, visibilmente infuriato, lo inseguiva rovesciando casse e sacchi nell’affollato mercato di Brick Lane nell’East End, la zona popolare della città.
Il bimbo correva come un fulmine e in breve si mise in salvo, infilandosi in un vicolo stretto e buio. Procedeva con lentezza addossato ad una delle pareti, e dopo qualche minuto giunse alla sua meta: un piccolo scantinato con i gradini di legno marci e cadenti, e, sotto, il nero.
«Uruha… Sono tornato…», bisbigliò dolcemente mentre con attenzione saltava quel simulacro di scale.
Una figuretta minuta emerse dall’ombra: grandi occhi scuri pieni di paura, un corpo rinsecchito su cui posavano degli stracci, e dei capelli biondo miele straordinari.
«Sono riuscito a rimediare un bel pezzo di pane –disse il biondino slavato con un sorriso sdentato –oggi mangeremo bene!».
Con molta premura prese la figuretta per mano e la condusse verso un’accozzaglia di paglia e stracci: un piccolo giaciglio che bastava a tutti e due.
In silenzio mangiarono abbracciati così da ridurre il freddo umido di quella cavità. Nonostante fosse giugno sottoterra non c’era posto per il calore del sole.
«Sai, stavo pensando –disse il biondino parlando a bocca piena –che sarebbe bello andare a fare una passeggiata oggi, no?».
La figuretta non rispose, limitandosi a masticare guardando il vuoto.
Il biondino finì la sua parte e ritornò all’attacco: «Dai, Uruha, fuori c’è di nuovo il sole! Il Tamigi profuma ancora di pioggia, e non delle porcherie che ci sono cadute dentro. Poi… Poi c’è il mercato! Ci sono i venditori di fiori, le coppie che passeggiano… Dai vieni fuori con me!».
Uruha lo guardò con occhi spenti, e scosse debolmente la testa.
Il bambino pestò i piedi:«E’ da quando ti conosco che non esci da questo buco, e sono passati due maledetti mesi! Non guarirai mai se rimani quà a marcire!».

Niente, Uruha non rispondeva. Non aveva mai risposto al suo compagno. In verità, non aveva mai proferito parola da quando si erano incontrati, una sera di aprile sulle rive del Tamigi.
Uruha era accasciato contro un albero, umido di sangue e di sostanze viscide, con niente addosso se non i propri capelli lunghi e segni violacei.
Il bambino biondo l’aveva trovato per caso mentre cercava un nascondiglio, e subito l’aveva portato nel suo “rifugio”.
Uruha era stato pulito con l’acqua piovana, rivestito, nutrito con il pane che in realtà spettava al suo salvatore, e poi messo a dormire.
Il salvatore ne aveva appreso il nome perché la figuretta gliel’aveva scritto su un pezzettino di carta il mattino dopo, ma neanche una parola era stata pronunciata.
Da allora Uruha era entrato sotto l’ala protettiva del biondino e non se ne separava mai, se non quando il bambino era costretto ad uscire per procacciarsi il cibo.
Uruha si rifiutava di uscire: le prime volte si dimenava come un ossesso quando il bambino provava a portarlo fuori, e mai aveva rimesso piede fuori dal cunicolo dopo quella notte…

«E va bene, ho capito –sbottò il bambino –oggi ce ne stiamo di nuovo qui, contento?».
Uruha non rispose, si limitò a fissare il pavimento.
Il bambino scosse la testa tristemente. Si dispiaceva di non riuscire a far sorridere Uruha, e dall’altezza dei suoi otto anni non vedeva via d’uscita.
Calò la sera, e i due bambini stavano per mangiare delle mele rubate nel pomeriggio grazie al biondino. Il loro pasto però fu interrotto dall’irruzione di un uomo enorme: il panettiere derubato.
«Eccoti qua, sporco ladruncolo –prese il biondino per i capelli –Ora vediamo come ti faccio passare la voglia di rubare!».
Il bambino si dimenava tentando di colpire l’uomo ma quello lo teneva a distanza, ridendo di lui.
Uruha era impietrito dalla paura, non sapeva cosa fare. Quando però l’energumeno sguainò un coltello, si fece coraggio e scappò fuori in cerca d’aiuto.
Corse, corse, corse, versando lacrime e invocando aiuti senza suono. La gente si scostava quando quegli occhi imploravano soccorso e il piccolo cedeva sempre più alla disperazione.
«Ehi, ragazzina dove corri?».
Uruha si voltò e incontrò due occhi neri come la pece.
Spaventato, indietreggiò ma quegli occhi parlarono ancora.
«Hai bisogno d’aiuto?», gli occhi si abbassarono e due mani cinsero le spalle di Uruha.
Fu un attimo: si scosse dalla stretta, prese la mano dello sconosciuto e corse a tutta velocità verso la tana.
All’imboccatura del vicolo gli strilli del biondino, oltre ad una risata sguaiata, attirarono l’attenzione dei due. Fu messa a tacere da un potente calcio dello sconosciuto. L’omone si girò infuriato, lasciando cadere a terra il biondino.
«Bastardo schifoso! Cerchi grane?».
La risposta fu un altro calcio, diretto alla mano che impugnava il coltello.
Mentre i due si fronteggiavano, Uruha era accanto al suo amico che si teneva il volto con le mani, sporche ormai di sangue caldo.
Rimasero entrambi abbracciati ad assistere alla scena: lo sconosciuto aveva un mantello cencioso che lo copriva da capo a piedi ma che non gli ostacolava per nulla i movimenti. Con grazia, sferrò calci e pugni all’assalitore che, nonostante la mole, si trovava ormai alla mercé del nemico.
Con la faccia spaccata, e le dita di entrambe le mani fratturate, abbandonò il campo, sputando sangue ai piedi del misterioso sconosciuto.
«Tsk, che schifo d’uomo!».
Si accucciò accanto ai bambini, esaminando le condizioni del biondino. Il piccolo aveva il naso completamente sfregiato da tagli e il viso inondato di lacrime mischiate a sangue.
Lo straniero straccio in più brandelli di stoffa il mantello, lo immerse in una pozzanghera abbastanza pulita e pulì il viso del bambino. Fatto ciò, gli fascio il naso con l’ultimo lembo rimasto.
«Per ora dovrebbe andare… Domani ti porto da un medico».
Un’occhiata torva lo ringraziò di quelle premure.
«Cosa c’è adesso?».
«Non posso fidarmi di una persona che ha il volto coperto», gli tirò da dosso il mantello, liberando una testa dai capelli neri tagliati a spazzola e un volto dalla pelle candida come la luna.
Uruha rimase a bocca aperta, così come il compagno.
«Sei contento? Ora mi hai visto».
«Ma…ma…ma tu sei un bambino come me!», urlò indignato il ferito.
«Per niente, io ho dieci anni, so combattere e sono decisamente più bello di te. E, soprattutto, io non sono un bambino!», concluse il discorso con un’occhiata raggelante.
Il ferito stava per rispondere ma una risatina limpida lo bloccò. Una risata argentina, che ti scaldava il cuore.
Uruha stavo ridendo! Dopo due mesi finalmente si ascoltava la sua risata!
Dopo qualche istante il biondino disse:«Non devi essere poi così male se sei riuscito a far ridere Uruha –allungò una mano verso il moro –Il mio nome è Reita, e ti ringrazio».
Il moro strinse la mano e con un sorriso triste disse:«Aoi».

«Ma che bel nome che hai –disse Reita tutto entusiasta –ti si addice!».
La schiettezza di quel bambino con il naso fasciato fece di nuovo sorridere Aoi. Una cosa davvero rara, visto che non era abituato a farlo…
«Senti ragazzino, smettila di esaltarti –gli disse aspro –Piuttosto, conosci un posto dove si può dormire?».
«Ma certo –gli fece cenno di seguirlo –puoi dormire qui a casa nostra!».
Reita prese per mano Uruha e fecero strada al loro ospite.
«Attento ai gradini: fanno davvero pena, e se non sei agile come me corri il rischio di cadere…», non finì la frase che rovinò sull’ultimo scalino.
Aoi scosse la testa rassegnato. “Perfetto, non solo parla a raffica e ti stordisce di chiacchiere, è anche un imbranato.”
Reita andò a sistemare il giaciglio di fortuna mentre Uruha accendeva dei mozziconi di candela trovati chissà dove. Aoi si liberò del mantello adagiandolo con cura sul pavimento e sistemandoci su un sacco di stoffa malandato.
«Ecco qua! So che non è un vero letto ma è comodo!».
Aoi lo ringraziò con un cenno ma poi notò che c’era un solo posto per dormire…
«Scusa, e voi due dove dormite?».
«A terra, che domande! Il minimo che possiamo fare per ringraziarti è cederti il letto, vero Uruha?».
L’interpellato annuì con un sorriso.
Nel frattempo, Reita aveva preso dal giaciglio delle tuniche rattoppate alla peggio e ne passò una ad Uruha, mentre l’altra la tenne per sé.
«Amico, scusa se non te ne do una ma vorrei togliermi questi vestiti imbrattati di sangue». Aoi scosse la testa a mo di “non fa nulla” e, vedendo Uruha che stava per spogliarsi, si voltò altrove.
«Ehi, perché ti sei girato di scatto?».
«E me lo domandi zoticone? C’è una signorina che si sta cambiando, è quantomeno segno di civiltà evitare di fissarla come un baccalà».
«Ma quale signorina scusa?», Reita lo guardava con tanto d’occhi.
«Uruha, chi se no?». Non pensava che quel ragazzino fosse tonto fino a quel punto.
Reita scoppiò a ridere con le lacrime agli occhi. Uruha, intanto, aveva finito di cambiarsi e si era diretto verso un angolo della stanza, pronto per dormire. Aoi era lì che fissava la scena senza parole.
Reita si riprese e, ancora con residui di risate, disse:«Guarda che anche se ha un bel faccino Uruha è maschio!».
«Dai scemo, smettila di prendermi in giro, che io non mi sto divertendo!».
«Guarda che è la verità », si avvicinò ad Uruha e gli chiese di alzarsi la tunica e, con un sorriso furbo, eseguì l’ordine dell’amico.
«Visto? Che ti avevo detto?».
«Santi Numi!», Aoi ancora non poteva credere che sotto quella cascata di capelli biondi si nascondesse un maschio.
«Tranquillo, non sei l’unico che lo prende per una femminuccia –Reita alzò le spalle –Avrà anche un viso delicato e gli occhi grandi, però è proprio un maschio come me e te».
«Bhe, visto che qua siamo tutti dello stesso sesso, potremmo anche dividere il giaciglio…Avevo pensato di cederlo alla signorina, ma visto che ora non è più necessario…».
«Dai amico, non fa nulla, è un’offerta che ti faccio con il cuore».
Aoi l’interruppe:«Suppongo che finora abbiate dormito in due lì su…credo che anche tre ci si possa stare benissimo».

Era ormai notte fonda: Reita e Uruha dormivano abbracciati come due angioletti, mentre Aoi, dopo averli osservati per un po’, gli diede le spalle.
In che situazione bizzarra si era cacciato! Quel giorno gli aveva riservato una sorpresa dopo l’altra, e nonostante i suoi sforzi non era riuscito a far ciò che aveva organizzato.
Quei due bambini l’avevano conquistato: nelle prime ore della loro conoscenza gli avevano fatto pena in quei vestiti logori che portavano con tanto orgoglio, come se non ci fosse nulla di sbagliato.
Aveva deciso che all’alba se ne sarebbe andato, non prima di avergli lasciato del cibo in ringraziamento ma una vocina nel suo cuore l’aveva pregato di rimanere.
Non sapeva perché ma aveva deciso di ascoltarla…






Vai con i ringraziamenti ^-^ che dire? bhe, innanzi tutto, apprezzo moltissimo il supporto della femili, di shuuicha91 e Balalaika che mi hanno commentato la storia in maniera positiva, così da spingermi a continuare.
Sono contenta che la descrizione di Aoi vi sia piaciuta. E' il personaggio adatto per il ruolo che gli ho affibiato, e che pian piano spero di farvi apprezzare.
Continuate ancora a seguirmi se vi va ^-^
  
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