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Autore: Franfiction6277    04/11/2014    2 recensioni
Fanfiction Alternate Universe con protagonisti i 30 Seconds to Mars in un ospedale psichiatrico e una bizzarra paziente che cambia nome ogni giorno.
“C’è qualcosa di inquietante in quella ragazza, è come se fosse il guscio vuoto di una persona”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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SLAM.
La porta dell'ufficio di mio fratello si chiuse con un rumore fortissimo.
No, era la mia schiena che sbatteva violentemente contro di essa.
"Cosa credi di fare, fratello?" chiese Jared, le sue mani che strattonavano rudemente il colletto della mia divisa.
I suoi occhi mi fissavano glaciali, ma allo stesso tempo bruciavano, bruciavano di rabbia.
"Lasciami andare, fratellino" risposi con calma, tergiversando.
Lui obbedì quasi immediatamente e andò a sedersi alla scrivania, strattonando con violenza i documenti che teneva lì sopra, un vero e proprio casino.
Era sempre stato disordinato, come se gli oggetti che lo circondavano fossero un riflesso del casino che c'era dentro la sua testa.
"Tu credi che sia tutto un maledetto gioco, non è vero? Che lei possa diventare la tua bambolina personale e che poi possa liberartene quando vuoi, come un giocattolino vecchio con cui non piace più giocare" sibilò Jared.
Strinsi i pugni contro i fianchi così forte che pensai le ossa avrebbero perforato la mia pelle.
Perché doveva sempre umiliarmi in questo modo, accennando alla mia poca serietà in fatto di relazioni con le donne?
Christine non era un giocattolo, non volevo che si rivolgesse a lei in questi termini.
In un lampo di lucidità però pensai che d'altronde era così che trattavo le donne, io le usavo e loro usavano me, uno scambio mutuo e soddisfacente per entrambe le posizioni.
Ma avevo mai rimandato qualcuna di loro a casa in lacrime?
Mi tornò in mente Angela, che voleva una relazione che io in passato non potevo offrirle: ero succube della droga, lei era la mia sola amante e pensai che le sarei stato fedele finché avessi avuto vita.
Non pensavo ci potesse essere una vita soddisfacente senza essere sballato a causa della droga e dall'alcol, e in effetti in certi momenti mi mancava sballarmi fino a svenire: almeno non pensavo a niente, alla mia adolescenza incasinata, alla mia vita di merda.
Ma ero sempre andato avanti, in qualche modo, la musica era la sola cosa che avesse un senso nella mia vita, e anche la mia famiglia.
Jared mi aveva aiutato a scacciare i miei demoni, ma più di una notte ero rimasto solo, rannicchiato sul mio letto, sudando freddo senza che potessi fare nulla finché, un giorno dopo l'altro, quel dannato desiderio di autodistruzione si era semplicemente dileguato, ma in un angolo della mia mente sapevo che era ancora lì in silenzio, in attesa che facessi un passo falso.
Come se stesse leggendo nella mia mente, lo sguardò di Jared si ammorbì leggermente, come se in quel momento fosse stato lui il fratello maggiore.
L'avevo protetto per tutta la vita, picchiavo i bambini che volevano fargli del male, gli stavo sempre dietro, e alla fine era lui quello che mi aveva salvato.
Feci un lungo sospiro, chiudendo gli occhi per rilassarmi.
"Non ho nessuna intenzione di trattare Christine come un giocattolo, so che è molto malata" dissi con calma, guardando Jared dritto negli occhi.
"Sai che non si chiama veramente Christine, vero?" replicò mio fratello.
"Certo che lo so, ma è così che l'ho conosciuta" risposi, alzando gli occhi al cielo.
Non sapevo il suo vero nome, Jared non me l'aveva mai detto e penso che avrebbe continuato a non farlo.
Christine sembrava non ricordarlo, aveva delle amnesie spaventose per quanto riguardava il suo passato, l'avevo letto nella pagina del diario di Jared che custodiva tutte le sedute che aveva fatto con lei da quando era arrivata al Mental Health Hospital, due anni prima.
Jared fece un sorrisetto beffardo, dimenticandosi per un momento che era arrabbiato con me perché in breve secondo lui volevo scoparmi Christine e poi dimenticarla per sempre.
Pensai ai suoi capelli neri corvini, alla sua pelle pallida, ai suoi occhi scuri e al modo in cui i gilet maschili che ostinava a mettersi aderivano alle sue forme e sentii improvvisamente una reazione in quel momento sgradita alle parti basse.
"Senti, io devo andare. Devo accompagnare i pazienti a lezione" dissi alla svelta, prima che Jared potesse vedere che cosa mi stava succedendo.
Senza aspettare nemmeno una sua risposta, uscii dal suo studio e feci un respiro profondo, cercando di calmarmi.
"Ehi, com'è andata?" chiese improvvisamente una voce preoccupata.
Sobbalzai, riconoscendo immediatamente la voce. Merda.
Non alzai lo sguardo verso Christine, non potevo permettermelo in quel momento.
"Tutto bene" risposi sbrigativo, praticamente correndo via da lei e andando nella stanza degli infermieri, dove c'era una doccia.
Avevo bisogno di una doccia fredda, subito.
Sapevo di averla offesa, avevo sentito il suo respiro fermarsi con un sussulto al tono della mia voce, ma non potevo farle capire che ero attratto da lei.
Mi misi una divisa pulita nonostante me la fossi cambiata poche ore prima, preparandomi ad accompagnare i pazienti a lezione con la professoressa Morris.
Stare in un ospedale psichiatrico -  o manicomio, come lo chiamava Christine - non impediva ai pazienti di andare a scuola come le persone normali ma non potevano frequentare scuole normali perché erano un pericolo per la società, per cui c'erano delle classi in cui si frequentavano lezioni di inglese, storia europea, geografia, matematica, fisica e chimica.
Rabbrividii pensando ai miei trascorsi scolastici, ma a volte mi divertivo a seguire le lezioni al Mental Health Hospital per via delle domande assurde che facevano i pazienti/studenti.
Presi l'elenco degli studenti e andai verso il salotto in cui erano riuniti tutti i pazienti e chiamai per nome e cognome tutti coloro che dovevano andare a lezione.
"Layla O'Connell" chiamai a un certo punto.... chi diavolo era? Non l'avevo mai sentita nominare.
Sollevai lo sguardo dal foglio e alzai gli occhi al cielo, vedendo la mano alzata di Christine.
Mi venne da ridere, pensando alla sua incredibile immaginazione in fatto di nomi.
La mia bocca si distorse in una smorfia che doveva essere di rimprovero ma i suoi occhi si illuminarono divertiti, e capii che non l'avevo fregata.
Venne al mio fianco e guardai il gilet grigio che indossava, con una camicia bianca sotto che... dannazione, distolsi nervosamente lo sguardo e mi concentrati sul resto dell'appello.
I pazienti mi seguivano come cagnolini in silenzio perché avevano paura dell'uomo tatuato tutto braccia, così mi aveva detto un giorno Christine.
Lei ovviamente camminava al mio fianco, come sempre, dove doveva essere.
Prima che potessi allarmarmi per quel pensiero, una voce flebile interruppe i miei pensieri.
"Infermiere Leto, siamo in ritardo" sussurrò Jonathan, un paziente di 17 anni con la mania della puntualità.
Me lo diceva ogni giorno, praticamente.
Con la coda dell'occhio notai il sorriso divertito di Christine e io scossi la testa.
"Tranquillo, Jonathan, dirò alla professoressa Morris di protrarre la lezione di..." mi interruppi, guardando l'orologio.
"...un minuto e 27 secondi" continuai, mentre arrivavamo alla classe.
"Grazie" rispose Jonathan, con uno sguardo sollevato.
Christine fece una risatina, entrando in classe per ultima.
Io la seguii, ammirando per un attimo la curva del suo sedere avvolta nei jeans stretti.
"Ciao, Shannon" disse una voce sensuale.
Alzai lo sguardo a fatica e incrociai due occhi verdi che mi fissavano con un invito esplicito a fare cose decisamente sporche.
"Ciao, Jennifer" risposi ricambiando il sorriso, più che cortesia che per altro.
Il vecchio Shannon se la sarebbe scopata nel ripostiglio delle scope dopo la lezione.
"Troietta" sentii mormorare Christine, e per poco non scoppiai a ridere.
Andò a sedersi al suo posto all'ultimo banco e io mi appoggiai al muro dietro di lei, come sempre: dovevo stare lì nel caso qualche paziente avesse una crisi, ma non era mai successo.
"Oggi parliamo di Shakespeare" annunciò la professoressa Morris, e notai che quel giorno indossava un vestito abbastanza succinto, decisamente inadatto a un ospedale psichiatrico.
"Oh dannazione, adesso il vestito si buca e le esce il culo fuori" ridacchiò Christine, ma avvertii una nota di nervosismo nella sua voce.
"Ti piacerebbe come spettacolo?" mi chiese piano, facendo dondolare la sedia per sporgersi verso me con aria cospiratoria.
"Non quanto mi piacerebbe se lo facessi tu" le risposi, beffardo.
L'avevo detto davvero? Merda.
Quasi si capovolse con la sedia, ma la sostenni e la riportai a terra.
"Non dondolarti, è pericoloso" le dissi con tono quasi paterno, decisamente opposto al tono che avevo usato prima.
"Tu sei un pervertito, ti scoperesti anche un palo" ringhiò Christine, e alzai gli occhi al cielo di fronte a quello sbalzo di umore.
A volte si arrabbiava con me senza motivo, o così almeno credevo. Pensava che la stessi prendendo in giro?
"Layla, cosa ho appena detto?" chiese la professoressa Morris, con un tono freddo: sapeva che non stava ascoltando la lezione.
"E che ne so? Mica stavo ascoltando" sibilò Christine, inviperita.
"Siamo nei casini" pensai, vedendo la professoressa che praticamente sputava fuoco come un drago inferocito.
"Jennifer, tranquilla, me ne occupo io" le dissi con un sorriso smagliante, sperando di ammaliarla.
Lei rispose al sorriso e capii che non si sarebbe ricordata di questo piccolo incidente.
Presi Christine per i fianchi e la portai fuori quasi di peso, era leggera come una piuma.
"Cosa diavolo ti salta in mente? Non sono una bambina" esclamò: fortunatamente non c'era nessuno nei paraggi.
"Dimmi perché sei arrabbiata" dissi con calma, cercando di farla ragionare.
"Perché, dannazione, mi stai trattando di merda da quando sei uscito dall'ufficio di tuo fratello" sibilò, pestando un piede a terra per la rabbia.
Lo trovavo divertente, ma non glielo dissi.
"Ti sto trattando come sempre" risposi, senza guardarla.
Sentii delle dita fredde avvolgermi il viso e fui costretto a incrociare il suo sguardo.
"Dimmi che mi odi e non ti scoccerò più" disse, e capii che pensava che la odiassi, che non volessi più essere suo amico.
"Non ti odio affatto" risposi, togliendo delicatamente le sue mani dal mio viso prima che qualcuno ci vedesse.
Il suo sguardo si illuminò di sollievo e mi sentii malissimo per averla trattata così, lei meritava di meglio.
Ciò che non mi aspettavo fu quello che accadde dopo.
Avvolse le braccia attorno al mio collo e capii ciò che voleva fare, ma non la fermai: non volevo, non potevo.
Le sue labbra toccarono le mie e in quel momento capii che ero irrimediabilmente fottuto.
Approfondii il bacio e lei gemette, ma questa volta di piacere.
La sentii tremare tra le mie braccia, mentre ci baciavamo come se fossimo due adolescenti inesperti.
Dovetti costringermi a staccarmi dalle sue labbra e la guardai mentre le sue guance erano imporporate e i suoi occhi languidi.
Non l'avevo mai vista così... era come se stesse provando dei veri sentimenti, e fossi stato io a risvegliarla da un sonno profondo.
Ma non ero un dannatissimo principe azzurro e lei non era la Bella Addormentata.
Ero un infermiere e lei era una delle pazienti più malate del Mental Health Hospital, ed eravamo destinati a distruggerci a vicenda.

 
Note dell'autrice:
Salve a tutti! Mi scuso ancora una volta perché posto un capitolo una volta ogni mille anni, ma purtroppo l'ispirazione va e viene. Alla prossima!
- Fran
   
 
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