Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Writer96    04/11/2014    4 recensioni
"[...]Avevo solo bisogno di raccontare a qualcuno di quanto io abbia potuto amare e di quanto ora io non riesca a farlo più: chissà che non sia anche una lettera di speranza, un tentativo di esorcizzare i miei mali, vedendoli scritti, di ridimensionarli, di vederli come solo l’esagerato delirio di un’adolescente qualunque. Se riuscissi, rileggendo le mie parole, ad andare ora, a muovermi, a spronarmi, a sentire di nuovo la mancanza di quelle belle parole in fila sulla lingua da dedicare a qualcuno e non da associare al fantasma di un ricordo, ecco, allora riuscirei a farmi un grande regalo. Chissà cos’hai pensato di me, mio destinatario invisibile, amico, per qualche attimo confidente, Padre Confessore, fratello o sorella, anche.[...]"
Una lettera aperta sull'amore, sulla tristezza e sulla speranza.
Chissà che penserete di me.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  Confessioni di un’ex innamorata
 

 
Non so né a chi né perché io stia scrivendo questa lettera. Forse a me stessa, forse a tutti coloro che hanno deciso di spendere qualche minuto del loro tempo a leggermi, non so.


La verità è che stavolta il personaggio sono io. Niente storie come barriere, una lettera sincera ed aperta, una confessione, un dialogo con me stessa. Volete prendere un personaggio, lo trovate necessario? Prendete una diciottenne che ama scrivere e che è un’ex innamorata.
Devo ammettere che quell’ex non mi è mai pesato tanto quanto adesso e se ho deciso di scrivere è proprio per questo. Voglio farti una domanda, mio immaginario destinatario: tu hai mai amato?
Non intendo quella sensazione di camminare tre metri sopra il cielo, quella felicità sottile e costante, bada bene: io intendo quel tormentato logorio interiore che ti prende insieme alle paure, quando credi di non farcela, di non essere abbastanza, quando sopraggiunge il terrore di perdere quella persona e resti ad occhi aperti nel letto tutta la notte, ripetendoti che non c’è nulla da temere, pur sapendo che invece una qualche ragione per quel tuo stato d’animo c’è eccome.

Ho smesso di vedere l’amore come un idillio. Sarà che quando passi, sfinita, da una delusione all’altra la felicità smette di interessarti. E’ facile fingerti felice, in realtà basta poco: dici “sono sereno, sono senza preoccupazioni” e ti convinci che sia quella la felicità. Se ti è mai capitato di farlo, ti prego, smetti subito. Quella non è felicità e non è neppure amore. Ora non voglio venire a fare l’acida pessimista della situazione, sono la prima di quell’esercito di romantici che non ha perso la poesia della sorpresa, del messaggio alle due di notte che dice “Ti penso”, del sospiro lanciato passando davanti ad un luogo evocativo.

Ma Amore, come lo vedo io, è un’altra cosa. Amore è diverso. E ne parla una che non ne capisce niente, molto probabilmente, ma Amore è una forza. Di nuovo, non prendere male le mie parole, mio immaginario destinatario: non ti parlo di follia amorosa, di passione travolgente, perché queste finiscono, si spengono e ti lasciano vuoto. Io ti parlo di una forza che ti agita dentro e ti sconvolge, che ti apre gli occhi al mondo e ti fa cambiare punto di vista. Amare è cambiare: in maniera sottile, poco alla volta, quasi impercettibilmente, certo, ma è cambiare. Ecco allora, rispondimi di sì alla domanda “Tu hai mai amato?” se per caso ti è sembrato di sentire quel lento cambiamento infiltrarsi tra le tue ossa e sconvolgerti l’esistenza senza fartene accorgere.


Mi dirai “Che presunzione, ragazza, a parlare d’amore a diciotto anni”. Ma questo è l’amore che ho vissuto io, quello che ho sentito io, quello che mi ha lasciato un po’ di cicatrici e altrettanti ricordi. E poi mi serve per guarire, capito, scrivere questa roba qui, gettare su una pagina i miei pensieri. Perché non la trovo più quella capacità di amare, sai, mio destinatario invisibile? L’ho persa qualche tempo fa. Ad un osservatore più superficiale verrebbe da dire che l’ho persa dopo la botta più grossa, quella che ha chiuso un capitolo della mia vita che forse nel mio intimo speravo di non dover chiudere mai, ma non è lì che l’ho persa. L’ho persa quando la persona sulla quale avevo fatto completo affidamento, quella di cui mi fidavo più ciecamente un giorno ha deciso che non gli bastavo più ed ha iniziato ad ignorarmi e a torturarmi nello stesso modo in cui ero stata torturata in precedenza, ma con più cattiveria, perché una volta finito il gioco è andato via, punto e basta. E io sono rimasta lì, incapace di ritrovarmi ancora. Incapace, a dire il vero, di trovare una spiegazione.

Ad oggi non so ancora dirti che cosa sia scattato in quella persona. E non sto pensando a quelle cazzate (perdonami il linguaggio, ma io sono un po’ così, a volte mi serve sottolineare un assurdo concetto) del tipo “Non era la persona giusta per me”; “Non mi meritava”; “Aveva molti lati negativi”.
Quelle sono bugie che l’uomo ha imparato a raccontare a se stesso pur di schermarsi dal dolore. Forse una persona giusta non esiste, né ora né mai, forse sono tutti la persona giusta ma al momento sbagliato, non lo so, non mi è mai interessata questa cosa, l’unico concetto che sento –in parte- di aver capito è che un amore non può mai essere sbagliato. Può fare male e può lasciare cicatrici, ma qualcosa lo lascia sempre. Ecco a cosa mi riferisco, allora, quando dico che da quel giorno non mi sono ritrovata più: mi sono ritrovata cancellata, era sparito il filo che mi univa a quella persona, e io non sapevo né come né quando né perché. Ero sparita e non mi meritavo neanche un po’ di compianto e il tutto senza spiegazioni o senza colpe.
Ecco, quando accade qualcosa così tu inevitabilmente rimani bloccato ad un punto morto. E puoi provare ad andare avanti, eh, puoi tirare il tuo carretto e spingere e stringere i denti e trascinarti sulle ginocchia, ma non cambia niente: quando vieni cancellato una volta, non torni più. Che poi il resto è stato solo una conseguenza e io sono andata cancellandomi sempre di più, tra esperienze che mi distruggevano ed altre che mi toglievano il tempo. Ma non mi è capitato più di non dormire e passare la notte in bianco, di stringermi le unghie sulla pelle pur di non pensare, di sorridere davanti ad un luogo vuoto. Sembra assurdo, ma le cose mi sono iniziate a scivolare addosso con più facilità e se da un lato ero contenta, poi è andata a finire che mi sembrava di aver perso la sensibilità.

Io non me lo ricordo più come sia amare qualcuno ad un punto tale da chiudere gli occhi ed immaginarsi un futuro insieme, da essere irrazionale fino a stare male. E questa cosa mi ha svuotata ancora di più. A volte mi sento solo un qualcuno che vaga e che viene toccato solo a metà dalle cose, un essere troppo razionale, troppo giusto nei miei pensieri, troppo logico per potermi innamorare di nuovo. Credimi, destinatario immaginario che forse mi legge ancora, non c’è nulla di più terribile di questo: ritrovarsi incapaci di amare di nuovo in quel modo lì.

Che poi le parole per descrivere quel sentimento non mi mancano mica, ce l’ho ancora tutte sulla punta della lingua, una dopo l’altra, già pronte, già messe in fila. Come vorrei che questa fosse una di quelle confessioni in cui descrivi una di quelle scene di amore profondo, dove ci sono solo occhi, solo silenzi indecenti, mani che stanno facendo l’amore solo a sfiorarsi. Vorrei parlare dei sospiri fugaci e dei sorrisi che ti illuminano il volto e delle espressioni deluse, così tristi perché corrispondono ad un’immensa felicità delusa. Vorrei raccontarti di quando, una volta, mi sono addormentata fra le braccia che amavo ed ho pensato che il mio posto era lì, e non c’era nient’altro, solo quello, solo un silenzio immenso racchiuso nel respiro leggero che mi sfiorava la nuca.

Ma non è più questo. Non c’è più niente. E non mi prendere per una che è ancora innamorata di una figura del suo passato. Io quelle persone che ho amato non le amo più e nemmeno vorrei farlo. Ma ci sono giorni in cui incontro uno di loro e mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se fossi stata scelta, se avessi potuto imparare ad amare in mille modi nuovi, in mille modi così dolci e sottili che a descriverli fa quasi paura. Mi sento giudicata da loro quando li vedo, mi sento sotto il peso dei loro sguardi che mi dicono “Ma come, ma non sei andata avanti più? E tutto quell’amore che dicevi di avere, tutto quell’amore, allora, dov’è?”
E io forse potrei rispondere “Non c’è più. Sparito. Puff. Come te dalla mia vita, a volerla fare melodrammatica, come tutte le cose che passano, a volerla fare realista.”

Sai, destinatario mio –coraggioso, sei, se sei arrivato fin qui- a volte mi prende lo sconforto nel pensare ai miei Grandi Amori finiti male. Ho sempre sognato quelle storie da film, quel sogno del Primo Grande Amore che resta irrealizzato, una costante domanda nella mente di chi vi aveva partecipato, che si risolve in un sospiro e in un “Quanto era bello, quanto lo amavo. Abbiamo preso strade diverse, ma a modo mio l’amerò sempre”, e invece ecco che tutto ciò mi è stato negato, tutto ciò è stato portato via nell’esatto momento in cui mi hanno cancellata, tutto questo pezzo di futuro se n’è andato con il passato.

Ma io non sono triste. Non prendermi come una persona depressa, non lo sono, per carità, ho avuto la fortuna più grande che possa capitare ad una persona e ringrazierò sempre per questo, per questi miei amori sfortunati e per queste cicatrici. Non guardo al mio passato come a qualcosa di brutto, né come a qualcosa che mi manca terribilmente, ma come a qualcosa che mi rimarrà sempre come un vecchio giocattolo rotto, che non puoi buttare, ma nemmeno riparare. Io non sono triste e questa mia confessione è quasi una giustificazione, perché se non mi ricordo quasi più come sia stare bene con qualcuno così tanto da volerlo urlare al mondo come faccio a raccontarlo, come faccio ad esprimerlo? Io procedo e vivo la mia vita con la stessa energia di sempre, mi giostro tra impegni, disastri, amici, belle occasioni, e non mi rinnego, non cerco vie di fuga o scappatoie.

Caro destinatario, siamo quasi giunti alla fine e forse ti starai ancora chiedendo il perché della mia lettera. Avevo solo bisogno di raccontare a qualcuno di quanto io abbia potuto amare e di quanto ora io non riesca a farlo più: chissà che non sia anche una lettera di speranza, un tentativo di esorcizzare i miei mali, vedendoli scritti, di ridimensionarli, di vederli come solo l’esagerato delirio di un’adolescente qualunque. Se riuscissi, rileggendo le mie parole, ad andare ora, a muovermi, a spronarmi, a sentire di nuovo la mancanza di quelle belle parole in fila sulla lingua da dedicare a qualcuno e non da associare al fantasma di un ricordo, ecco, allora riuscirei a farmi un grande regalo. Chissà cos’hai pensato di me, mio destinatario invisibile, amico, per qualche attimo confidente, Padre Confessore, fratello o sorella, anche. Chissà se ti sei rivisto in me, chissà se sono riuscita a trasmetterti ciò che sentivo o che sento (e qui, ecco, qui ti auguro che tu ti ritrovi nelle parole del  mio passato, nelle mie scene di felicità e di sottile calore e tormento interiore). Se ti senti come me ora sappi che non sei solo e non lo sarai mai: ho trovato questo personaggio per te, mi sono reinventata e messa a nudo. Non mi tradire, mio destinatario, ti prego, e facciamoci questa promessa: impariamo ad amare, fosse anche per la prima volta o per la centesima, non ci interessa.

Siamo qui e viviamo una vita che nessuno forse ricorderà tra cent’anni: regaliamoci la piccola eternità che c’è in un secondo d’amore.

Con tutta la mia sincerità.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Writer96