Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: PerlaNera93    05/11/2014    0 recensioni
E ci sono solo io qui adesso. Sarò qui. Da sempre e per sempre.
Tanti i modi di definirmi, ma sempre un oggetto unico.
Un regalo di Natale importante.
Un oggetto “simpatico”.
[...] Che siano tristi, arrabbiati, felici o innamorati, io continuo a riflettere le loro emozioni.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Come uno specchio
Una vecchia casa, in un antico quartiere. Una villa magnifica, dopotutto, non dovrei poi lamentarmi.
Forse la cosa che non mi piace è la solitudine: un posto desolato, senza suoni.
Un tempo questa era la casa più bella di tutte. O forse, anche se impolverata e abbandonata, lo è ancora. Chi può saperlo! Magari potrebbe di nuovo esserlo, se solo tornassero ad abitarci.
Da qualche anno sono qui, sotto un lenzuolo che ormai probabilmente non è neanche più bianco. E aspetto che qualcuno arrivi e mi riporti “in vita”, o per lo meno ad osservare la vita.
Quando tutto è cominciato era così diverso qui: luminoso, elegante e pieno di vita. Ogni cosa era al suo posto, me compreso. Almeno avevo un funzione in questa bella villa. E mi piaceva seguire passo dopo passo le vicende di una famiglia, che ormai era diventata la mia.
Forse dovrei raccontarle alcune vicende, così narrerei della mia storia, legata a quella della famiglia che abitava qui.
Tutto ciò che ricordo prima di arrivare qui è come se facesse parte di una vita che non mi appartiene.
La prima cosa che ricordo è quindi questa: la voce di una bambina che canta.
Già, la voce di Kya, che cantava la sua filastrocca preferita. Fu quello a rendermi un oggetto “vivo”.
Ricordo ancora molto bene quel momento. Ero ancora coperto da un telo ruvido, dentro una scatola che quella sera sarebbe stata aperta. Allora non lo sapevo, ma mi trovavo sotto un enorme albero di Natale e dopo qualche ora la piccolina che avevo sentito cantare qual mattino, avrebbe aperto con le sue minuscole manine la prigione di carta che avevo attorno.
Kya era una bambina meravigliosa. Aveva appena tre anni quando la vidi (cioè lei mi vide) la prima volta. Aveva dei capelli ondulati castani, ma un castano molto chiaro. Le piaceva tenere i capelli sciolti perché non voleva “strangolare i capelli”, come diceva sempre. Gli occhioni color muschio, poi, le illuminavano il viso.
Adorava  i suoi genitori, in particolare il padre, perché sua madre era una donna un po’ fredda e distaccata.
Ma adorava anche ballare, giocare, ridere e amava la musica, soprattutto suonare il piano e cantare. E fu tutto questo a farmela amare da subito. Il momento in cui suo padre le disse di scartare il suo regalo di Natale, fu uno dei miei momenti più belli: mi sentii quasi accarezzare dalle sue manine piccole e quando finì di strappare la carta, sentii delle urla di felicità. E Kya, nel suo bel vestitino rosso con il fiocco amaranto, saltò in braccio a suo padre, abbracciandolo molto forte.
Da quel giorno mi sistemarono nell’ingresso principale, sotto la grande scalinata. Ricordo che era gigantesca, elegante e si divideva in due rami che conducevano al piano superiore della villa, il tutto incorniciato da una scura ringhiera di ferro, sottile e fine. Sopra di me c’era anche un enorme lampadario di cristallo. La casa era stupenda, tutto ciò che potevo vedere io era di un bianco molto intenso e scintillante, colore che contrastava con il mio così scuro e spento. Il parquet di legno era sempre tirato a lucido e sembrava brillare di luce, che in realtà rifletteva soltanto.
Mi piaceva quella posizione perché si poteva vedere o sentire qualsiasi cosa. E così mi sentivo uno degli oggetti più amati della casa.
Ricordo una sera, fredda, con i caminetti accesi. Kya non riusciva a prendere sonno e così scese a piccoli passi gli scalini, fino a raggiungere Rose, la sua giovanissima bambinaia, cui era molto legata.
Per essere all’inizio degli anni Trenta del Novecento, I signori Miller erano molto gentili e buoni con la servitù: permettevano che si sedessero con loro e usassero gli oggetti della casa, a patto che si assicurassero che tutto alla sera fosse al suo posto. Per questo dovevano fidarsi ed  essere certi che i membri della loro servitù fossero delle ottime persone. La bambinaia, donna molto giovane, figlia di una loro amica non nobile, era molto legata alla piccola Kya e si occupava anche della sua istruzione.
Rose, quando vide arrivare la piccolina, si mise seduta su una poltrona dello studio che stava sistemando, la prese in braccio e le chiese che cosa non la facesse dormire.
“Ho fatto un brutto sogno, Rose. Dal cielo cadevano pezzi di ghiaccio e pietre brutte che stavano distruggendo tutta la nostra casa, tutto il nostro paese e anche tutto il mondo!”
“Oh, ma non temere Milady. Dal cielo arrivano solo cose belle”
“E come fai a saperlo tu?”
“Non lo so, infatti. Ma so che il tuo nome è Kya e lo sai cosa vuol dire?”
“Uhm, no!”
“Significa “diamante nel cielo” e tu sei una cosa bella. I tuoi genitori quando sei nata, videro una stella molto luminosa in cielo e decisero di darti un nome bello come quella stellina. Non può esserci qualcosa di brutto nel cielo, sei arrivata da lì anche tu” le disse. Poi andò a prendere un oggetto.
Le porse un bel carillon: c’era una bambolina danzante su uno sfondo azzurrissimo e pieno di stelline. Quell’oggetto magico, disse Rose alla piccola, suonava una dolce melodia e avrebbe scacciato tutti i brutti sogni.
La bimba, felicissima prese il carillon, le sorrise e l’abbracciò, dandole la buona notte.
Ecco, un lato fantastico di Kya era che credeva a quello che le persone le dicevano. Senza dubitare nemmeno un secondo delle loro parole.
Lei era diversa, diversa dagli altri umani.
Tutti vogliono essere diversi, ma la maggior parte delle persone usa questa scusa e si comporta poi come tutti gli altri. Si passa dall’essere tutti uguali in un modo, all’essere tutti uguali in un altro modo. Non cambia nulla. Solo che le persone non se ne accorgono e sono davvero convinti di questa originalità inesistente.
Ma per lei no. Lei lo era davvero.
 
Io non sapevo che un bambino potesse essere ancora più piccolo di quando avevo visto il visino di Kya illuminato dalle fioche luci dell’albero, poco tempo prima. Invece un paio di anni dopo il mio arrivo, nacque Leyla. Quel piccolo fagotto era molto buffo! Aveva la faccia tonda, i capelli castano scuro e gli occhi azzurrissimi che parevano di ghiaccio.
Kya era molto felice di avere una sorellina e cominciò a prendere lezioni di pianoforte, per imparare a suonare già qualche ninna nanna.
In pochi anni diventò bravissima e ogni volta che ne aveva voglia, si sedeva sullo sgabellino di pelle scura e cominciava a suonare melodie fantastiche. La sorella si divertiva ad ascoltarla, ma non imparò mai a suonare. Era una ragazzina cui piaceva più disegnare e così si dedicò alle arti figurative.
Leyla era molto legata alla sorella maggiore e la adorava, teneva molto di più a lei che ai genitori.
Effettivamente non poteva essere biasimata per questo: la piccola di casa non aveva avuto molti rapporti con i genitori, al contrario di Kya. Infatti la madre delle ragazze, circa un anno dopo la nascita di Leyla, ebbe una crisi, data dal suo comportamento distaccato e impazzì dopo poco tempo. Così il padre la volle portare in un manicomio. Ma non volle lasciarla sola e, come ogni uomo che ama davvero la sua donna, passò molto tempo a tenerle compagnia nella gelida stanza, trascurando così un po’ le figlie.
Le dolci e piccole bimbe divennero delle giovani donnine.
Kya trovò presto, nel fiore dei suoi diciassette anni, un giovanotto che cominciò a corteggiarla.
Essendo lei molto romantica, elegante e dolce, aveva sempre desiderato un ragazzo dai modi raffinati e che l’avrebbe amata molto.
Questo era il ritratto esatto di David: dolce, pieno di gioia, che amava dimostrare il suo immenso amore per Kya, ma senza farle regali assurdi e costosi. Era semplicemente adatto e perfetto per la fanciulla.
La sua cosiddetta “anima gemella”.
Così per un anno intero si frequentarono e poi si fidanzarono ufficialmente.
Qualche settimana dopo la bella notizia, la madre delle due ragazze morì nel letto dell’ospedale psichiatrico. Questo fu un colpo durissimo sia per Kya che per suo padre.
Entrambi piansero per giorni, ma il signor Miller non si riprese mai da questa improvvisa morte: per qualche tempo divenne anche impassibile ed indifferente a tutto ciò che gli capitava intorno.
Leyla invece, era sì addolorata per la perdita, ma non riusciva a capire il dolore del resto della famiglia, perché non era attaccata alla madre nello stesso modo.
Alcuni mesi dopo la scomparsa della signora, Kya e David, per spezzare l’aria malinconica che ancora aleggiava nella casa, vollero andare ad una festa in maschera che davano in paese.
È il ricordo che ho, quello di quella notte di festa, che definisce meglio il verbo “amare”.
Essendo un oggetto inanimato, sembrerebbe, non so esattamente cosa siano i sentimenti. In realtà probabilmente neanche gli esseri umani, così ricchi di emozioni sanno molto a riguardo dell’Amore. Ma quello che successe quella sera, sembrò toccare anche il mio animo.
Era una sera d’estate.
Perché è sempre “una sera d’estate”, quando accadono di queste cose. L’estate è bella, calda, le persone hanno più voglia di uscire, partecipare alla vita del mondo, stare insieme agli altri.
Kya era nella sua stanza, si stava preparando per la serata. E si era da poco ripresa dalla morte della madre.
“Kya, è arrivato il suo cavaliere” urlò dal fondo della scalinata Rose, che aveva accompagnato David nel candido ingresso, dov’ero sempre anche io.  La ragazza rispose “Arrivo” infilandosi l’ultima scarpetta.
Nel prendere le ultime cose, in particolare la bellissima maschera che si stava dimenticando sul letto, Kya passò velocemente davanti allo specchio, per poi fermarsi un attimo a guardarsi.
Guardò il suo riflesso e chiuse gli occhi, immaginando che sua madre fosse lì accanto, piangendo lacrime di gioia nel vedere come era bella. Lacrime che non avrebbe mai versato. Lacrime che era lei invece a piangere.
Fece un sospiro profondo, si asciugò le lacrime e uscì dalla sua camera.
E così, vestita da principessa, scese la scale. Gradino dopo gradino, era sempre più felice, perché al fondo già vedeva il suo bel principe in smoking.
Era fiera del suo vestito per il ballo in maschera, si sentiva bellissima e non vedeva l’ora di sentire cosa avrebbe detto il suo cavaliere.
Arrivata al fondo, lui fece un inchino, le prese la mano e le disse parole che lei non si sarebbe mai aspettata:
“Wow! Sei...tu”
“Ehm...se era una domanda, sì che sono io, ovviamente. Non mi riconosci neanche eh? Visto come sono bella stasera? Come una principessa!”
“Appunto. Certo che ti riconosco. Sei…TU. La vera Te, così come ti vedo io tutti i giorni: una splendida e meravigliosa principessa”.
Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, stavolta lacrime di gioia, e istintivamente lo abbracciò.
“Se è una domanda? Ma dove le prendi queste frasi!” disse poi lui ridendo. Lei sorrise e si presero di nuovo per mano, uscendo dall’ingresso principale.
Leyla, proprio come me, vide la scena. Io nella loro stessa sala. Lei dall’altro della scala, seduta sulla moquette, spiando tra una barra di ferro e l’altra della ringhiera. Entrambi però pensammo che quello doveva essere il vero amore, quello che si trova una volta sola, che non ti devi far scappare e che ti accompagnerà tutta la vita.
Proprio come accadde poi a Kya.
La fanciulla, Rose e il signor Miller videro salire Kya e il suo David sulla carrozza che li avrebbe portati al loro ballo. Sorrisero tutti, compreso il padre delle ragazze, che visto l’immenso amore dei due giovani, ricominciò a sperare e fu felicissimo per la figlia.
Dopo la morte della moglie era il primo momento in cui sorrise. E fu anche l’ultimo della sua vita.
Quella sera infatti andarono tutti a dormire contenti. Ma il mattino dopo, nella bella villetta americana, calò nuovamente la tristezza.
Il signor Miller si alzò abbastanza presto e uscì a prendere il giornale in giardino.
La quattordicenne Leyla uscì di soppiatto dalla sua stanzetta per scendere a rubare qualche biscotto, prima che il resto della casa si svegliasse.
Entrò in cucina, prese due biscotti dal contenitore di ceramica e mentre stava per risalire la scalinata, vide da una delle grandi finestre, in un angolo non coperto dalle enormi tende, il padre sul vialetto di casa. Stava parlando con un signore, un vicino forse, perché lei era sicura di averlo già visto. Aveva un aspetto familiare infatti.
Ma mentre la ragazzina rifletteva su chi potesse essere, vide il padre accasciarsi proprio mentre l’altro uomo parlava con lui. Così spalancò gli occhi, chiamò a voce alta il nome di Rose e, con solo la camicia da notte, uscì chiamando il padre. In quel momento io vidi solo una fragile ragazzina che correva, agitando la sua lunga treccia e una svolazzante sottoveste, verso il padre caduto a terra.
Non potevo realizzare quello che stava succedendo.
Rose, anche lei con la vestaglia e un grande scialle, raggiunse la piccola di casa. Con l’aiuto dell’uomo che aveva assistito alla scena, portò dentro casa il signor Miller mentre la figlia li seguiva.
Sistemarono il padrone di casa sul divano del suo studio e Leyla gli rimase accanto.
“Posso parlarle un attimo, signorina?” disse il signore a Rose. La bambinaia, ormai da alcuni anni promossa a governante, uscì dallo studio, chiuse le porte e si accomodò su uno dei divanetti dell’ingresso, facendo segno anche all’uomo di sedersi.
“Mi dica, come è successo che si sentisse male? Ha avuto un improvviso attacco di cuore forse?”
“Ehm…signorina, non si ricorda di me?”
“Uhm…no. Forse dovrei?”
L’uomo si tolse il cappello a cilindro e fece qualche minuto di silenzio, mentre Rose cercava di ricordare.
Era un viso già visto, ma non tanto familiare, forse visto solo una o due volte.
Quando poi ricominciò a parlare mi avvolse una tristezza infinita, mai sentita prima.
Intanto nello studio, il signor Miller si era ripreso e stava raccontando alla figlia la stessa cosa che stava sentendo Rose dallo sconosciuto.
L’uomo era il cocchiere della carrozza di Kya e David. Era andato il prima possibile ad avvisare il signor Miller dell’incidente che aveva avuto sua figlia la notte precedente.
Poco prima di salire sulla carrozza per tornare dalla festa, una luce aveva invaso la strada e una delle poche automobili presenti nel piccolo paese, stava per investire la ragazza. Così David si era buttato addosso a lei avvolgendola nelle sue braccia e spingendola a lato della strada.
Purtroppo per loro stavano tutti rientrando da quella festa ed era pieno di carrozze nell’isolato.
“In pratica i due giovanotti sono finiti vicino ad un cavallo che, a causa della luce dell’automobile, era impazzito e… in quell’abbraccio pieno d’amore, sono morti calpestati. I loro visi sorridevano l’un l’altro, perché sapevano che sarebbero morti insieme, abbracciati per proteggersi in qualche bizzarra maniera. Cosa che purtroppo non è avvenuta. Sono desolato di aver dato la notizia così, ma era giusto che lo sapeste subito” concluse l’uomo.
Rose pianse dalla prima all’ultima parola che uscì dalle labbra del cocchiere e rimase come pietrificata per alcuni minuti. Si riprese solo quando vide sfrecciare fuori dallo studio Leyla, in lacrime e disperata.
La ragazza corse in camera della sorella, aprì la porta come per avere conferma che non fosse lì, ancora appisolata tra le sue soffici coperte.
Quando effettivamente vide che non c’era, si tuffò sul letto e cominciò a piangere a dirotto.
Il signor Miller uscì dallo studio un paio di minuti dopo. Il volto pietrificato e biancastro. Ringraziò comunque l’uomo e lo accompagnò alla porta.
Rose, continuando a lasciare andare il triste pianto, preparò la colazione per  Leyla e il padrone. Mentre lui, seduto e con lo sguardo fisso davanti a sé, cominciò a mangiare qualcosa, la governante prese un vassoio e raggiunse la fanciulla nella camera di Kya.
“Con permesso, signorina” disse prima di entrare. Leyla non rispose, continuando a piangere. Così la giovane donna entrò e posò il vassoio sul tavolino. Guardò ogni oggetto della stanza e con tristezza si diresse verso il carillon, messo su una mensola, in bella vista. Quando lo prese in mano, si ricordò quando lo aveva dato alla piccola Kya. Le scappò un sorriso malinconico e “Il cielo si riprende sempre in qualche modo i doni che ci manda. Ora sarà davvero un diamante nel cielo. E sarà una luce in meno sulla Terra” disse a voce alta, ricominciando a piangere.
In quel momento Leyla si alzò e si sedette sul letto: “Non è giusto! Non è giusto per niente!” disse con gli occhi gonfi e rossi.
“Ah, lo so, piccola. Ma dobbiamo andare avanti. Di nuovo. La vita ci riserva tante e tante ancora di queste brutte sorprese: dobbiamo fargli vedere che noi, comunque vada, continuiamo a combattere” rispose Rose, sedendosi accanto a lei, asciugandosi le lacrime e abbracciando Leyla.
Anche io soffrii molto per quella perdita: ero stato un regalo donato a lei e cosa c’è di più triste che perdere la persona a cui si appartiene?
Da quel momento nessuno più mi toccò, per molto tempo.
Solo Rose si occupava di me: quando mi puliva accuratamente, piangeva sempre.
Le ricordavo la sua amata Kya, la musicista che rallegrava la casa con le sue melodie e canzoncine allegre. Ma lei era una donna molto forte, ogni caduta era per lei una rinascita. Non poteva permettersi di abbattersi, doveva supportare quel che rimaneva della famiglia Miller.
Leyla rimase davvero molto ferita da questa precoce perdita e iniziò ad essere arrabbiata con il mondo intero.
Per un’adolescente con una famiglia sfasciata dalla morte e dalla tristezza, non era facile. Per niente.
Il signor Miller aveva ormai abbandonato ogni brandello di speranza e si stava lasciando quasi morire.
Si creò quasi una situazione di assoluta solitudine per Leyla.
Spesso si ripeteva la “triste scena della cena”, come la chiamava Leyla sfogandosi con Rose, quando il padre fissava con lo sguardo assente, in silenzio, il nulla.
Qualche anno più tardi la situazione non era migliorata, anzi.
Una volta la giovane si sedette a tavola con il padre, il lungo tavolo vuoto e silenzioso le fece realizzare e percepire che era sola. Suo padre era ormai malato, probabilmente per il tempo passato al chiuso ad accudire sua moglie e per quello che ora passava al cimitero davanti alla sua tomba e a quella dell’amata figlia.
Tante volte Leyla avrebbe voluto urlargli in faccia che anche lei era sua figlia, che aveva bisogno di un padre, ma non sarebbe servito a molto, secondo lei. E probabilmente suo padre sarebbe morto a breve, non voleva sentirsi in colpa per averlo ferito in quel momento fragile.
Così lasciò passare i cinque anni che portarono il padre alla morte.
Quando si sedette al tavolo a mangiare, la sera del funerale, realizzò di essere davvero quasi del tutto sola, di avere solo Rose, la donna che le aveva fatto da madre. E pianse.
Per qualche tempo Leyla, decise di coprire tutti i mobili con dei teli bianchi. Tutto ciò che vedeva le ricordava i suoi defunti parenti. Così Rose, con molto rammarico prese questi teli e coprì anche me.
 
Quello che accadde nei seguenti tre anni mi fu quindi precluso, perché era come vivere in un limbo.
Non vedevo niente, non sentivo niente. So solo che la casa era sempre poco luminosa.
Ma un bel giorno, Rose cominciò a togliere i teli, spolverare e rianimare gli oggetti della villa.
Quello che percepii come motivo di tanto trambusto fu un matrimonio.
All’inizio non capii, ma subito realizzai che Leyla si stava per sposare.
Era stata in viaggio alcuni giorni in Europa, insieme alla sua governante Rose. Là aveva incontrato un giovane, Oliver. Era un bel ragazzo, molto intelligente e buono. Non era romantico quanto David, ma riusciva ad amare tutti gli strani e complicati comportamenti di Leyla. E questo bastava.
“Se una persona ama il lato peggiore di te, probabilmente è quella giusta” sentii dire una volta.
E così iniziarono i preparativi per questo matrimonio. Un matrimonio d’amore che era venuto a mancare già una volta, che si stava rimandando da troppo tempo e che avrebbe spezzato la scia di funerali che si erano tenuti nella villa.
Il giorno del matrimonio arrivò e la sposa si stava preparando nella sua camera.
Indossò l’abito da sposa e mentre si ritoccava il trucco, Leyla si guardò allo specchio come qualche anno prima aveva fatto sua sorella. Anche lei si immaginò la sua famiglia, accompagnarla all’altare ed essere felice per quello che aveva realizzato. Fece scivolare un paio di lacrime legate ai ricordi, ma poi le asciugò con il dorso della mano e prese una piccola teiera di porcellana che aveva ricevuto sua sorella poco prima di morire. Lei la teneva sul mobiletto della camera perché in qualche modo le ricordava gli ultimi momenti felici di Kya. La osservò e senza pensarci la gettò con rabbia contro il muro: adesso avrebbe creato una nuova famiglia, non voleva attaccarsi a vecchi ricordi.
In quel momento realizzai che è vero che ci sono momenti che ti cambiano per sempre.
E che ciò che vorremmo di più, è tutto il contrario di ciò che accade nella realtà. Come adesso le due Miller: Kya era una giovanissima salma, piena di speranze andate in fumo; Leyla una ragazza viva, senza aspettative sin dalla nascita.
Una l’opposto dell’altra, che avrebbero voluto una il destino dell’altra.
Ma il giorno delle nozze, quando Leyla salì all’altare accompagnata da Rose, l’unico brandello di famiglia rimastole, capì una cosa: ognuno di noi viene al mondo per uno scopo, tutto ciò che accade tra qual momento e il compimento della missione, evidentemente è qualcosa di inevitabile.
Ma non ne era del tutto convinta. E questo, credo, la affondò, pezzo dopo pezzo.
 
I due sposini si amavano tanto, ma il loro matrimonio non fu il giorno che preferii della vita di Leyla.
Infatti un paio di anni dopo nacque Soraya.
La nuova piccola di casa era piena di vita, amante della musica e dell’arte. Sembrava essere il ricordo esatto di Kya. Quell’ironia del Destino di ricreare la gioia all’interno di una famiglia in rovina: una bambina, quale modo migliore?
In un primo momento Leyla fu infatti molto felice di dare vita ad una nuova famiglia. Si comportò come una buona madre per i primi quattro anni della figlia. Ma ben presto, proprio per la somiglianza della figlia con la sorella, un giorno impazzì. Forse come era già successo a sua madre.
La piccola girovagava sempre per casa strimpellando i tasti del piano e appoggiando le sue manine sporche su di me, che dovevo poi essere ripulito da Rose. Un giorno, quando ormai Soraya aveva cinque anni, Leyla sentì suonare della musica e scese dalla sua camera. Vide la bambina suonare e le si avvicinò: “Continua a suonare, sei così brava” disse alla figlia. Soraya si fermò, anche perché non era ancora capace di suonare bene, schiacciava solo i piccoli tasti semplicemente a caso.
“Perché ti sei fermata? Oh, Kya, è così tanto tempo che non suoni più! Ti prego, fallo ancora!” disse Leyla scuotendo per le braccia la piccola.
Soraya si spaventò, si allontanò dalla madre e chiamò Rose, perché suo padre era fuori per lavoro.
“Perché te ne sei andata?” cominciò a gridare disperata Leyla alla figlia, che scoppiò a piangere.
Solo quando arrivò Rose che le disse di calmarsi, Leyla si rese conto di ciò che aveva fatto. Sconvolta tornò in camera sua.
Quando Oliver tornò a casa, Rose raccontò tutto e lui pensò che aveva bisogno solo di un po’ di riposo.
Ma ben presto si accorse che la moglie dava segni evidenti di pazzia. Leyla infatti cominciò a vedere i fantasmi della sua famiglia per tutta la casa, era furiosa perché l’avevano abbandonata, urlava spesso contro il nulla la sua rabbia e ciò spaventava la piccola Soraya.
Così Oliver, dopo circa un anno, si arrese e la portò in un ospedale psichiatrico, assicurandosi che stesse bene. Poi, tornato alla villa, non volle rimanere nella casa della moglie, così fece i bagagli e andò via con Soraya, la sola piccola luce.
Rose fu costretta nuovamente a coprire tutti i mobili con i teli bianchi. Fece anche lei i bagagli e tornò a casa sua, dove non tornava più da ormai tanto tempo.
E così rimasi nuovamente da solo.
Sono ancora da solo. Saranno passati una ventina di anni circa. E nessuno è ancora tornato.
 
Sento un rumore.
Una chiave nella serratura.
Da fuori si sente la vocina di una bimba, avrà circa tre anni.
Kya?
No. Soraya?
No, sarà cresciuta!
E chi sarà allora? Rose con una nuova famiglia da accudire?
“Eccoci qui. Qui è dove la mamma è nata”
“Possiamo togliere i teli, mamma? Mi piace questo posto”
“Già. Piaceva anche a me” dice la donna sospirando.
Le due cominciano ad aprire le imposte, le finestre. E subito entra la luce. Poi cominciano a togliere i lenzuoli logorati dal tempo.
Appena sento sollevare il telo, mi riapro alla vita e vedo il volto di una bambina che mi scruta.
È Soraya!
“Ambra, tesoro, mi raccomando non rompere nulla” dice la donna dallo studio.
No, non è lei allora. Però è uguale. Non sarà mica…
“Come si suona questo?” dice la piccola guardando di traverso il piano.
“Me lo ricordo! Io da piccola lo suonavo. È un pianoforte, bisogna schiacciare i tasti bianchi e neri. E poi si crea una melodia, una bella musica”.
È lei. La giovane donna è Soraya.
La piccola è Ambra dunque, la figlia sicuramente.
Una strana musichetta moderna riecheggia nelle stanze:
“Pronto? Com’è la situazione lì, Robert?”
Soraya parla attraverso una scatola strana. E sembra esserci un uomo di nome Robert dentro.
Che stranezza è questa? Una persona dentro una scatola?
“Quello con cui parla è il mio papà, lo sai, Pianoforte?” sento dire alla bambina.
Ora sta parlando con il pianoforte? Ma sul serio? Anche questo è strano!
“Tesoro, non si parla agli oggetti, mica ti capiscono!”
“Lo so mammina, ma questi oggetti sembrano simpatici. Il Pianoforte, lo Specchio, il Divano e i piccoli e morbidi Sgabellini.”
Grazie, piccola sconosciuta! Se potessi parlare, glielo direi!
“Va bene, ma lasciali stare adesso. Dobbiamo andare. Papà ci aspetta”
“Ma voglio restare”
“Torniamo più tardi qui piccola. E poi porteremo tutte le nostre cose, lo sai”
“Quindi verremo a vivere qui?”
“Già. Ma adesso dobbiamo andare”
“Dove?” le sento dire mentre si avvicinano alla porta.
“Al funerale di una persona importante per la tua defunta nonna”
“E chi era?”
“Oh, era una signorina che lavorava qui, si chiamava Rose e…”
Le ultime parole che sento. Adesso anche Rose ha raggiunto tutti gli altri nel suo amato cielo.
Io e Rose. A pensarci bene è l’unica persona che si è da sempre presa cura di me.
Io e Rose. Gli unici a rimanere dopo ogni lutto, ogni sventura, ogni caduta senza rinascita.
Io e Rose. E adesso è andata via anche lei, non siamo più in due.
Ma io non posso morire, quindi resterò.
E ci sono solo io qui adesso. Sarò qui. Da sempre e per sempre.
Tanti i modi di definirmi, ma sempre un oggetto unico.
Un regalo di Natale importante.
Un oggetto “simpatico”.
Un pianoforte.
Un pianoforte che sembra quasi un semplice pezzo d’arredamento.  Ma ogni volta che suonano i miei tasti, lo fanno con sentimento, bello o brutto che sia, non con indifferenza. Che siano tristi, arrabbiati, felici o innamorati, io continuo a riflettere le loro emozioni. Così, proprio come uno specchio.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: PerlaNera93