Attraversarono
a passo spedito il lungo corridoio e
arrivarono davanti alla porta chiusa dell’infermeria interna
al penitenziario
con il fiatone.
Non appena Susanne aveva chiamato per dire loro della rissa, la Kruger
aveva
premuto sul pedale dell’accelerazione e i poliziotti erano
arrivati al carcere
in meno di dieci minuti.
Ma adesso che si trovavano davanti a quella porta, nessuno dei due
sembrava
voler decidersi a muovere il primo passo.
Semir non faceva altro che lasciar vagare lo sguardo a terra per paura
di
incontrare quello indagatore del commissario.
Lui non si ricordava chi fosse Ben. Non
si ricordava chi fosse.
Doveva metterselo in testa.
Doveva crederci.
Anche se Ben fosse stato in fin di vita... lui avrebbe dovuto fingere
di non
ricordare.
Finalmente Kim decise di abbassare quella maniglia, pesante come non
mai, ed
entrò con circospezione seguita dall’ispettore.
Furono accolti da una guardia e da un intenso odore di disinfettante.
L’uomo, che era stato avvisato dalle altre guardie
all’ingresso, li fece
passare senza problemi e presto la Kruger e il suo sottoposto si
ritrovarono in
un corridoio con varie porte chiuse tutte sullo stesso lato, simile a
quello di
un piccolo ospedale secondario.
L’infermiera che li accompagnava indicò una
porticina semichiusa ma spiegò loro
che il paziente era sotto sedativo e che poteva essere visto solamente
da una
persona e per pochi minuti.
Non vi fu bisogno di parole.
Semir entrò chiudendosi la porta alle spalle mentre il
commissario, sospirando,
si appoggiò al muro e attese.
La
stanza era semibuia, illuminata solo dalla poca
luce che filtrava dai vetri delle finestre.
Era essenziale ma sembrava pulita.
Semir individuò tre letti a circa un metro e mezzo di
distanza l’uno dall’altro
ma capì immediatamente quale fosse quello del collega.
Era nell’angolo e giaceva immobile, come morto.
Semir si avvicinò e si sedette vicino al letto scrutando
quel viso che
conosceva così bene e che a causa sua era così
mal ridotto.
La palpebra dell’occhio destro tendeva al violaceo e sulla
fronte c’erano due
tagli ancora freschi.
La gamba, che usciva in parte dal sottile lenzuolo, era fasciata con
cura:
l’infermiera aveva spiegato che Ben era rimasto coinvolto in
una banale rissa
tra detenuti molto più grossi e robusti di lui, scoppiata
alla mensa del
carcere senza una reale motivazione. Era stato colpito da un oggetto
tagliente all’altezza
del femore, ma la ferita per fortuna si era rivelata piuttosto
superficiale.
Il detenuto si era però agitato molto e aveva cominciato a
chiedere
insistentemente di Semir, in preda al panico più totale, per
questo avevano
dovuto sedarlo e adesso l’ex poliziotto dormiva profondamente.
«Scusami.» mormorò Semir senza riuscire
a trattenere le lacrime «Scusa Ben, è
tutta colpa mia. Ma come fai ancora a chiedere di me? Come fai? Io ti
ho
mandato qui dentro, è colpa mia se sei ridotto
così! Ti sono venuto a trovare
solo una volta in tre mesi di carcere, non sono stato in grado di dire
la
verità nemmeno a te... e tu ancora chiedi di me? Non me lo
merito...».
Il poliziotto fece una pausa accorgendosi di parlare da solo.
Ma non gli importava.
Se il vuoto era l’unico con cui era in grado di confidarsi,
avrebbe parlato al
vuoto.
O ad un amico addormentato che non poteva sentirlo.
«Ti giuro che non volevo finisse così. Io ho
provato a smettere di fingere, ma
ho sbagliato anche in questo e adesso quel porco ha preso Aida... tu
sei qui e
Aida chissà dove, devo trattare Andrea come
un’estranea, non posso fidarmi di
nessuno... non so come fare, Ben, non ce la faccio più. Ti
prego aiutami tu...
svegliati...».
Per un attimo gli sembrò di notare
un’impercettibile movimento della mano del
più giovane ma si costrinse a pensare che fosse stata solo
una sua impressione.
Immerso com’era nei suoi pensieri, sussultò al
rumore della porta che si apriva
piano alle sue spalle.
Ne fece capolino la stessa infermiera di prima, che fece cenno
gentilmente a
Semir di uscire dalla stanza.
Il turco si alzò, rimboccò dolcemente il lenzuolo
a Ben e si asciugò gli occhi
prima di uscire dalla stanza, sperando che la Kruger non si accorgesse
di
nulla.
«Gerkhan,
tutto bene?» domandò invece il commissario
quando, poco dopo, i due stavano per risalire in macchina diretti al
laboratorio della scientifica, da cui Hartmut aveva appena chiamato.
Semir annuì chiudendo la portiera e cominciando fin da
subito a guardare fuori
dal finestrino.
«Si ricorda qualcosa?».
«No.».
«Adesso andiamo alla scientifica, il tecnico è
riuscito ad analizzare la terra
sotto le scarpe di Hoffman in tempo record.»
comunicò Kim accendendo il motore
«Sembra che ci siano novità.».
L’ispettore non rispose e la donna partì senza
attendere oltre.
Varcando
per la seconda volta la soglia del
laboratorio, Semir si sentì particolarmente stupido a
salutare Hartmut con un
formale “buongiorno” e si chiese a cosa servisse in
fondo quella messa in
scena.
In fondo a quel punto Hoffman doveva essere già convinto
della sua amnesia. O
forse non lo era mai stato e lui semplicemente si stava illudendo che
fosse
così.
«Cosa abbiamo?» domandò la Kruger
precedendolo e avvicinandosi al bancone su
cui il ragazzo dai capelli rossi stava lavorando.
«Fortuna!» esclamò il tecnico con un
sorriso.
L’ispettore non seppe nemmeno se esserne felice oppure no.
«Il terriccio che aveva sotto le scarpe il nostro caro Micione è piuttosto
particolare come composizione. Ha un alto
contenuto di sali di...».
«Hartmut, per favore, in sintesi.» lo interruppe il
commissario con tono che
non ammetteva repliche.
«In pratica, qui a Colonia lo possiamo trovare in due posti
in quantità considerevole:
nell’area industriale a Ovest dell’A32 o in un
cantiere attualmente con lavori
in corso sulla A72. Ma considerando che Hoffman deve nascondere una
bambina,
sicuramente per lui sarebbe più sicura l’area
industriale. Ci sono parecchi
capannoni, ma si possono controllare senza perdere troppo tempo secondo
me.».
«Perfetto.» fece Kim lanciando
un’occhiata all’orologio e stupendosi di quanto
il tempo passasse in fretta «Cominciamo subito.».
«Commissario... è tardi, si sta facendo buio, non
avrebbe più senso cominciare
domani mattina?» obiettò lo scienziato storcendo
le labbra.
«C’è una bambina in pericolo. E noi la
troveremo a costo di setacciare quei
capannoni uno per uno e di impiegarci tutta la notte.».
Un’ora
dopo, la Kruger uscì dall’ennesimo capannone che
aveva setacciato seguita da Semir e respirò a pieni polmoni
l’aria fresca della
sera.
Erano ormai le ventuno passate e loro non avevano ancora trovato nulla.
Mancavano solo tre capannoni da controllare, dopodiché anche
l’ennesima
speranza di trovare Aida si sarebbe dissolta come polvere.
Il commissario guardò il suo sottoposto con preoccupazione.
Non sapeva se fosse
per la luce giallognola delle torce nel buio, ma le sembrava
pallidissimo.
Per la prima volta il pensiero che la storia dell’amnesia
fosse tutta una
finzione le passò nella mente, ma la donna lo
scacciò scuotendo il capo.
Quindi si diresse a passo deciso verso il capannone successivo, ma si
fermò
quando sentì squillare il cellulare nella tasca della giacca.
«Kruger.» rispose sperando in una buona notizia.
«Come? Ho capito, arriviamo subito. No, stiamo arrivando,
chiamate la
scientifica e dite loro di sbrigarsi.».
«Gerkhan.» disse quindi mettendo via il telefono
«I colleghi hanno trovato il
capannone, è l’ultimo, quello a quattrocento metri
da qui. Aida non c’è ma è
stata probabilmente tenuta lì, la scientifica sta arrivando,
venga.».
Entrambi salirono in macchina nonostante la brevissima distanza e si
diressero velocemente
e con il cuore in gola verso il capannone indicato.
Poi, una grande macchia di sangue scuro ancora fresco sul pavimento.
Semir, dal canto suo, provava a stare tranquillo, cercando di non
tradirsi, ma
il pensiero che quel sangue potesse essere di Aida non gli permetteva
nemmeno
di ragionare.
«Sì, direi che le analisi, trattandosi di un caso
urgente, potranno essere
pronte già domani mattina.» cominciò il
giovane tecnico raccogliendo in una
provetta un po’ di sangue misto al terriccio del capannone.
Quindi raccolse un oggetto da terra con i guanti di lattice e lo
inserì
all’interno di una busta di plastica.
«Questo invece è un oggetto piuttosto particolare,
che come vedete ho appena
raccolto vicino alla macchia di sangue.» spiegò
come se si trovasse ad una
classe di liceali e non al padre di una bambina scomparsa.
Semir, la Kruger e Jenny erano in piedi intorno a lui e ascoltavano
attenti.
«È la versione moderna di un utensile che
utilizzavano gli antichi per
torturare i propri nemici catturati in battaglia, quando dovevano
ottenere da
loro informazioni sulle tecniche di guerra dell’esercito
avversario oppure
semplicemente quando...».
«Mi scusi.» lo interruppe il commissario
esattamente come avrebbe fatto con
Hartmut «Giunga al punto per favore, non abbiamo tutta la
notte.».
«Certo. Era una tecnica molto dolorosa e consisteva, in
pratica, nell’incidere
con questo strumento una parte del corpo, la gamba normalmente,
provocando al
torturato un dolore ineguagliabile e una copiosa perdita di
sangue.».
Il giovane fece una pausa e Semir si sentì quasi soffocare.
Sua figlia poteva
essere stata incisa con quel coso?
«Un adulto» continuò il tecnico con aria
grave «Può resistere quasi sicuramente
a questo genere di tortura, ma una bambina di nove o dieci anni... ecco
ispettore, io sinceramente dubito che una bambina possa sopravvivere a
una cosa
del genere. Anzi, direi che è praticamente
impossibile.».
Semir sentì un senso di nausea che lo invadeva e lo sguardo
gli cadde per l’ennesima
volta sullo strumento insanguinato tra le mani del tecnico e poi sul
sangue che
macchiava il terreno.
«Vede la punta dell’utensile? È sporca
probabilmente dello stesso sangue che
macchia il terriccio e con un esame un po’ più
approfondito potremo risalire
alla persona su cui esso è stato utilizzato.».
Il giovane continuava a parlare ma Semir non lo ascoltava
più. Aveva caldo, gli
girava la testa, e gli sembrò che l’odore di quel
sangue gli invadesse le
narici.
«Infatti probabilmente dalle analisi risulteranno piccoli
residui di pelle
attaccati allo strumento, dai quali potremmo estrarre il dna e...
ispettore, mi
sta seguendo?».
«Gerkhan? Gerkhan, si sente bene?».
Anche i richiami della Kruger ormai erano lontani.
Semir sentì le voci accavallarsi una sull’altra e
perse l’equilibrio.
Si appoggiò alla parete mentre qualcun altro lo chiamava
ancora per nome.
Poi non sentì più nulla.
Grande tatto il nuovo tecnico! La situazione continua a precipitare...
Un bacione grande e grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi silenziosamente e in particolare a voi, miei splendidi recensori!
Sophie :D