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Autore: GoldenMoon    05/11/2014    0 recensioni
Mi chiamo Dorothy.
Lei è la persona più importante della mia vita. L'unica che mi è sempre stata accanto, che non mi ha mai abbandonato.
Fino ad oggi, quando è arrivata quella telefonata e metà del mio cuore ha smesso di battere. La metà migliore.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Dorothy. 
Lei è la persona più importante della mia vita. L'unica che mi è sempre stata accanto, che non mi ha mai abbandonato. 
Fino ad oggi, quando è arrivata quella telefonata. In poche parole, da quel momento metà del mio cuore ha smesso di battere. La metà migliore.

Avete presente le relazioni tra sorelle che si vedono nei film? Non mi riferisco a quelle dove le due si rubano i vestiti, gli amici e c'è sempre qualche ragazzo di mezzo. Io dico quelle in cui loro sono migliori amiche, si aiutano nel momento del bisogno, capiscono al volo quando l'altra ha un problema e risolvono le liti entro dieci minuti. 
Ecco, noi siamo così, inseparabili, fuori di testa, ci prendiamo in giro a vicenda ma ci vogliamo un bene dell'anima. Tutto l'affetto di cui abbiamo bisogno, lo riceviamo senza accorgercene e dandone altro a nostra volta. Lei è così adorabilmente matta, testarda e...beh, come si può descrivere un'artista? Dal modo in cui dipinge, direbbe un critico d'arte. Ed è così, i colori, i segni della matita sulla carta bianca, il modo in cui sorride quando finisce un lavoro: felice, è la parola giusta. Felice e libera. 
È molto più grande di me, di quasi dieci anni, quindi sarebbe una bugia dire che siamo sempre andate d'accordo. 
Ovviamente.
Avete presente quando si dice che non ti rendi conto di quello che hai, finché non lo perdi? Ecco, a me è successo. Quando è andata a vivere a un'ora di strada da me, ho realizzato che sarei passata dal vederla ogni giorno nella stanza accanto alla mia al vederla si e no due volte al mese. Ero piccola, ma mi fece comunque male.
Passato qualche anno, ero abituata a sentirla al telefono, a parlarle di più via Facebook e Skype rispetto a quando la vedevo di persona. E mi andava bene. Mi dicevo che lei era comunque sempre li per me, come io per lei.
Ma una mattina mi svegliai decisamente male. Chi di voi crede ai presagi e alle superstizioni forse capirà come mi sentivo. Non che ci credessi, sia chiaro, ma non è mai piacevole uscire di casa alle sette del mattino, di venerdì 17, con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. 
A scuola avevo il cellulare in silenzioso, quindi non mi accorsi praticamente di nulla, fino alla terza ora, quando lo presi dalla tasca della giacca: 10 chiamate perse da: Mamma.
Incidente, la prima parola che mi venne in mente.
Non mi chiamava mai a meno che non fosse grave, il che era capitato una volta sola, quando era uscita di strada con la macchina a causa del ghiaccio. 
La richiamai subito -Pronto- rispose. Non era calma come al solito, qualcosa non andava, me lo sentivo. -Mamma che è successo? Ho visto ora le chiamate!- -tesoro, stai bene? Ero preoccupata..- -sto bene, sono a scuola! Ma...- i singhiozzi che sentii provenire dal cellulare mi bloccarono. -Mamma?- domandai, incerta. 
-C'è stato un incidente stradale. Tua sorella è... In ospedale.- non chiesi come stava, era sottinteso. 
Non mi accorsi che stavo piangendo, così come non mi accorsi delle mie amiche che mi chiedevano cosa era successo. 
Non sentii le urla della professoressa che mi diceva di tornare in classe, e fu solo quando mi ritrovai sul marciapiede, fuori dal cortile della scuola, che realizzai. 
E nonostante le gambe mi tremassero, cominciai a correre. 

Quando arrivai alla stazione, ero senza fiato e senza la capacità di formare dei pensieri coerenti. Volevo solo andare da lei, ma di certo non potevo andarci a piedi e non potevo nemmeno prendere il treno, perché non avevo soldi.
-Dannazione!- mi accasciai su una panchina di metallo, era fredda e mi ricordò che era ottobre, e che io indossavo solo un maglioncino leggero. Mi strinsi le braccia al petto, senza sapere cosa fare. Avevo ancora il telefono in mano, che ricominciò a vibrare.  Risposi al terzo squillo senza guardare il nome sullo schermo -...si?- -Ma dove sei?? Sono impazziti tutti qui! Sei corsa fuori più veloce della luce, ho provato a seguirti ma mi hanno bloccato! Perché sei scappata, cavolo!- -Emma...sto bene. Io sto bene, tranquilla. Sono in stazione- -Ma sei matta? Mi hai fatto prendere un colpo! Cosa è successo?- -io...- non ce la feci, non potevo dirlo. Perché ammetterlo significava renderlo reale, più reale di quanto riuscissi a percepire in quel momento. Così chiusi la chiamata, mormorando un "scusa" in risposta.
Chiamai mio padre, gli dissi di venire a prendermi e che volevo andare da lei, subito. All'inizio non rispose. Credo che fosse sconvolto quanto me, anzi probabilmente stava cercando di trattenersi per non farmi crollare del tutto. In quel momento gli fui grata di essere mio padre.
Arrivò dopo un quarto d'ora e non disse niente per tutto il viaggio. Dopo un'ora, però, mi disse proprio quello che non volevo sentire -è grave...molto grave. Potrebbe riprendersi, prima o poi, ma ci vorrà del tempo. - mi guardò di sfuggita -voglio solo che tu sia preparata. So che sei forte, ma lei vorrebbe che tu lo sapessi. Stai bene?- io annuii e basta. Guardavo fisso davanti a me, pensando a quanto fosse ingiusta la vita. Perché le persone a cui teniamo ci lasciano e noi non possiamo fare nulla per loro. "Ma lei è ancora qui" mi dissi "è qui e non se ne andrà. Andrà così." 
E quando arrivammo in ospedale e ci dissero cosa era successo, però, dovetti resistere all'impulso di scappare di nuovo, perché volevo solo stare vicino.

In pratica una macchia nell'altra corsia aveva sbandato, e per evitarla lei era andata a sbattere contro un'altra macchina. 
Era andata così. L'auto non era andata a fuoco, come nei film. Semplicemente, lei era svenuta subito dopo l'impatto. E non si era più ripresa. Non so dire quante ore sono rimasta li, a piangere o a stringerle la mano. A pregarla di tornare indietro, di non lasciarmi perché avevo davvero bisogno di lei. E non era un esagerazione, come succede di solito quando qualcuno sta male.
Io avevo davvero bisogno di lei. Mi mancava tutti i giorni, quando la vedevo e poi ci separavamo di nuovo la nostalgia mi prendeva come una morsa senza controllo. Non so se ha senso, ma so che era così.
Odiavo quell'ospedale. Odiavo le auto e le persone che se ne vanno in giro ubriache marce. Odiavo il fatto di dovermene stare li impotente, senza poter fare nulla. Potevo solo pregare un dio in cui non credevo, perché non si portasse via mia sorella, perché era davvero una bella persona, con tutti i difetti che poteva avere, amava sinceramente le persone che le erano vicine. E avrei volentieri preso il suo posto, se avessi potuto. 
Lo so che molta gente dice che farebbe di tutto per le persone che ama. E per me vale lo stesso. Avrei fatto qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per lei. Sarei andata in capo al mondo, se avessi avuto la certezza che poi lei sarebbe stata bene. Lo avrei fatto, ma non le sarebbe servito. E così mi sono limitata a stare vicino, quando lei probabilmente nemmeno se ne accorgeva. 
Le volevo un bene immenso e le auguravo tutta la felicità possibile. Avrei voluto solo il meglio per lei, ma purtroppo la vita non serve per realizzare desideri.

*Spazio autrice* 
Eccomi con la seconda storia, più triste dell'altra, è vero. Ci sono molto affezionata, anche perchè in parte è una storia vera.  Come al solito accetto critiche e suggerimenti, quindi se vi va lasciate una recensione ^^ voglio anche ringraziare chi ha letto/recensito Maybe, altra storia che trovate sulla mia pagina :) un bacio, a presto!
  
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