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Autore: Soul of Paper    05/11/2014    6 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’autrice: lo so, lo so, questo non è un ritardo mostruoso, è molto peggio, ma è anche il capitolo più lungo che abbia mai scritto e anche probabilmente il più difficile che abbia mai scritto. Certe scene sono state peggio di un parto, tra scriverle e fare in modo che si incastrassero tra loro. Spero che il capitolo taglia XXXXXXXXXXXXXXXXXXL possa compensare l’attesa. Nella mia mente dovrebbe essere come i fuochi di ferragosto: partire più lento e chiudere col botto ;). Vi lascio alla lettura e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.

 
 
Capitolo 41: “Odi et amo”



 
“Mi può spiegare cosa succede? Dove mi sta portando?”
 
“Un attimo di pazienza e le spiegherò tutto, stia tranquilla. E poi le ricordo che sono un vicequestore di polizia, non un delinquente e inoltre, se mai dovessi immaginare di commettere un crimine nei suoi riguardi, mi creda, professoressa Baudino, che il rapimento sarebbe proprio l’ultimo in fondo alla lista, dato che poi mi toccherebbe pure sopportarla,” ribatte con sarcasmo, lanciandole un'occhiata di sbieco che però lei riesce solo a intuire, data la presenza degli occhiali da sole a specchio.
 
“E questo dovrebbe rassicurarmi, dottor De Matteis?” gli domanda con altrettanto sarcasmo, per poi aggiungere con un sopracciglio alzato, “e poi… che fine ha fatto Camilla?”
 
“Mi sta dicendo che vuole che la chiami per nome?” le chiede sorpreso, voltandosi di nuovo verso di lei.
 
“No, le sto dicendo che mi chiedo il motivo di tutta questa sceneggiata: l’abbigliamento, l’auto, gli occhiali da sole, venirmi a prendere sotto casa salutandomi come se fossimo grandi amici… cos’è tutto questo mistero?”
 
“Pensavo che i misteri le piacessero, professoressa, anzi che fossero il suo hobby preferito…”
 
“Dipende, dottor De Matteis, alcuni misteri mi inquietano o mi danno sui nervi e basta,” replica tagliente, fulminandolo con un’altra occhiata, “e la avverto che sta mettendo a dura prova la mia pazienza!”
 
“Lei mette a dura prova la mia pazienza da quando la conosco professoressa, quindi lo consideri come un ricambiare il favore da parte mia,” ribatte con un sorrisetto che le fa venire voglia di prenderlo a schiaffi.
 
“Beh, la cosa è assolutamente reciproca, dottor De Matteis. E comunque meno male che saremmo stati civili, no?”
 
“Ho detto che se ci sforziamo possiamo essere civili. Prima persona plurale, professoressa.”
 
“Benissimo, peccato che sia stato lei ad avere iniziato con le battute e le frecciatine, quindi sia civile prima di tutto lei con me e io lo sarò con lei. E sinceramente credo me lo debba, considerato che è stato lei a trascinarmi fuori da casa senza il minimo preavviso per solo sa il cielo quale motivo!” intima con un’occhiata ancora più dura delle precedenti.
 
“D’accordo, mi sforzerò di contare fino a dieci e tenere a freno la lingua e lei cerchi di fare lo stesso. Anche perché comunque siamo arrivati,” annuncia, parcheggiando nel primo posto disponibile.
 
“Arrivati dove?” domanda, guardando fuori dal finestrino e vedendo solo una serie di tetti di villette, tutte circondate da alte mura e imponenti cancelli. Tutte d’epoca, con più di un secolo alle spalle, alcune ben tenute, altre in decadenza, tutte che parlano di un’antica nobiltà o della vecchia alta borghesia romana.
 
“Venga, forza,” la sollecita, scendendo dalla macchina e, quando lei non accenna a muoversi, aprendole la portiera e ripetendo con decisione, “forza, mi segua: meno stiamo in strada e meglio è.”
 
“Dottor De Matteis, la avverto che mi sta inquietando,” risponde Camilla, lanciandogli un ultimo sguardo dubbioso, prima di decidersi a scendere, “si può sapere dove siamo arrivati? Qui non c’è nientEEEE.”
 
Non può fare a meno di urlare e di fare una smorfia di dolore quando lui, spazientito, le prende il polso, intenzionato a condurla via di lì e in fretta.
 
“Le ho fatto male?” domanda sorpreso, mollando la presa come se si fosse scottato, “mi scusi, non era mia intenzione… ho stretto troppo forte?”
 
“No, no, non è colpa sua,” lo rassicura, stupita dal tono che sembra davvero preoccupato e dispiaciuto, spostando il bracciale etnico di cuoio e perline che le copriva non solo il polso, ma anche il segno livido lasciato dalle dita del padre di Ilenia.
 
“Me ne ero dimenticato… mi dispiace…”  proclama con un tono di voce così basso che è quasi un sussurro, evidentemente in imbarazzo.
 
“Non importa… anzi, se non fosse stato per lei i segni sarebbero ben peggiori…” ammette Camilla con un sospiro, lasciando trasparire la confusione che prova, non solo per il comportamento di De Matteis in quella circostanza, ma anche per quest’improvvisata a dir poco bizzarra e surreale, “però adesso mi può spiegare che succede?”
 
“Tra un attimo… Venga con me e le chiarirò ogni cosa,” le chiede con tono neutro ma che, alle orecchie di Camilla, suona come incredibilmente gentile, rispetto ai modi bruschi a cui lui l’ha abituata.
 
Solleva una mano, la tiene un attimo in aria, come incerto sul da farsi e poi gliela posa sulla spalla destra, sempre in quel modo lento ed esitante, come se lei fosse una belva feroce pronta ad attaccarlo alla gola al minimo movimento brusco.
 
Senza nemmeno guardarla, in un’atmosfera di imbarazzo e incertezza, la conduce rapidamente fino al cancello di una delle villette nei paraggi. Estrae un mazzo di chiavi vecchio e voluminoso ed apre il cancello, che scricchiola vistosamente sui cardini.
 
Non appena hanno varcato la soglia, richiude rapidamente a chiave la cancellata, sotto lo sguardo sempre più dubbioso e allarmato di Camilla.
 
“Cosa sarebbe questo posto?” gli domanda, guardandosi intorno: una villetta d’epoca – probabilmente fine Ottocento – che sembra uscita da un romanzo gotico vittoriano, forse anche perché necessita urgentemente di un restauro completo. Il giardino che la circonda è in evidente stato di disarmo: non ci sono troppe erbacce e grazie al cielo l’erba non è terribilmente alta ma solo un po’ “incolta”, però le due vecchie fontane sono vuote e piene di foglie marce o secche, gli alberi sono soffocati dall’edera, le siepi irregolari come una bocca parzialmente sdentata e il dondolo, il tavolino e le sedie in ferro battuto sono scrostati e mostrano segni di ruggine.
 
Si respira un’aria di opprimente decadenza, tanto che le sembra quasi di essere entrata in una storia della Deledda o di Verga o – peggio – di Poe.
 
“Questa è una delle nostre proprietà qui a Roma, una delle più vecchie e meno frequentate…”
 
“E si vede!” commenta con sarcasmo, alternando lo sguardo tra De Matteis e le vecchie finestre appannate dal tempo, “ma perché mi ha portato qui?”
 
“Perché ho bisogno di parlarle e...” esita, con l’aria di chi ha appena ingoiato un rospo.
 
“E?”

“E devo… devo chiederle un favore,” sospira pronunciando quelle parole come se gli costassero una fatica immane. Perché così è.
 
“Un favore? A me?! Dopo tutto quello che è successo non solo da quando ci siamo conosciuti, ma anche e soprattutto negli ultimi giorni?!” domanda, incredula, guardandolo come se fosse impazzito, aggiungendo poi con sarcasmo, “e comunque non vedo il nesso tra il favore e… diciamo la location. Se lei pensa che portarmi in questa specie di villino da film dell’orrore, dopo avermi fatto uscire da casa di corsa e avermi derisa per metà del tragitto in macchina, mi renda più bendisposta a concederle un favore rispetto al solito, deve decisamente rivedere i suoi metodi persuasivi, dottor De Matteis.”
 
“E lei pensa che per me sia facile dover ammettere che… che ho bisogno del suo aiuto, professoressa? Mi creda quando le dico che è una delle ultime cose che avrei mai voluto fare al mondo, ma proprio delle ultime: preferirei quasi venire a vivere nel villino da film dell’orrore, come lo definisce lei, senza riscaldamento, luce e gas e senza nemmeno una precedente opera di disinfestazione e disinfezione,” ribatte, altrettanto tagliente, indicando il giardino intorno a sé, “se l’ho portata qui è perché praticamente nessuno sa di questa proprietà, a nessuno verrebbe in mente di cercarci qui e-“
 
“E questa spiegazione dovrebbe rassicurarmi?” gli domanda con un sopracciglio alzato, non potendo evitare di pensare che, in fondo, De Matteis alcune delle caratteristiche del serial killer ce le ha eccome: tra la compulsività, l’ossessività e la sua vita da misantropo.
 
“E, come stavo cercando di dirle, vorrei che nessuno venisse a conoscenza di questo incontro o della nostra conversazione, professoressa… ecco il motivo della location… della macchina a noleggio e del mio abbigliamento di oggi,” spiega con un sospiro, avvicinandosi al tavolino, estraendo una delle sedie e accomondandocisi, anche se dopo un attimo di esitazione, dato che non sono esattamente invitanti.
 
“Se con nessuno intende Gaetano, mi dispiace ma non posso farle questa promessa, dottor De Matteis,” risponde Camilla, rimanendo in piedi, fissandolo con le braccia incrociate.
 
“No, il problema non è Berardi: anche se l’idea che lui sappia quello che sto per dirle non mi entusiasma, la conosco professoressa e so che non c’è speranza di riferirle qualcosa senza che il suo principe azzurro, anzi ex principe azzurro, ne venga informato,” ribatte amaro, facendole segno di sedersi, “non voglio che nessuno della mia squadra scopra di questo incontro, professoressa, in particolare… in particolare Mancini. È lui il problema.”
 
“L’ispettore Mancini?! Dottor De Matteis, ammetto che mi sono persa… non era il suo grande alleato? Il suo pupillo? Il suo braccio destro?” domanda, completamente spiazzata, continuando a restare ferma dov’è.
 
“Professoressa, per favore, si sieda. Ammetto che le sedie non sono il massimo della pulizia, ma non la uccideranno di certo. E nemmeno io, se è solo per questo, ho alcuna intenzione, né alcun interesse a farle qualcosa di male,” la esorta con un altro sospiro, indicando nuovamente la seggiola accanto alla sua.
 
“Lo so benissimo che lei non rappresenta un pericolo per la mia incolumità fisica, sicuramente meno di queste sedie,” replica con ironia, cedendo infine alla richiesta, per poi aggiungere con un tono molto più serio e amaro, “ma il male non è soltanto quello fisico, dottor De Matteis, e lei sta facendo del male a me e alle persone a me più care. E sembra che ci goda proprio all’idea di rovinare la vita all’uomo che amo, a Marchese e… e a me, ovviamente.”
 
“Senta, professoressa, a parte il fatto che quello che sta capitando a lei, a Berardi e a Marchese è soltanto e unicamente colpa vostra e che se c’è qualcuno che sta rovinando la vita al suo principe azzurro è proprio lei con questa sua mania per le indagini. O forse è lui che la sta rovinando a lei, permettendole quello che le ha sempre permesso,” sbotta, prima di riuscire a trattenersi, notando come il viso di lei passi dal dolore, al senso di colpa, all’indignazione.
 
“Gaetano non mi sta rovinando la vita! LUI non mi farebbe mai del male, non volontariamente, LUI,” esplode in un misto tra un grido e un sibilo, “e non le permetto di-“
 
“D’accordo, professoressa, d’accordo, mi scusi, ho esagerato,” la blocca, spiazzandola completamente, non sa se più per quelle due parole – mi scusi – così strane pronunciate da lui o se per quella mano posata sulla sua per trattenerla, ma solo per qualche istante, prima di ritrarla bruscamente, in modo quasi impacciato.
 
Non può fare a meno di fare il paragone con Gaetano, con il modo assolutamente tranquillo e spontaneo con cui le aveva appoggiato una mano sulla spalla praticamente pochi secondi dopo che si erano conosciuti, come se fosse la cosa più naturale del mondo… e le era sembrata davvero la cosa più naturale del mondo. Mentre De Matteis pare nutrire un’avversione mista a terrore per qualsiasi forma di contatto fisico, di contatto umano – fatta forse eccezione per il fratello.
 
“Le garantisco che mi impegnerò per tenere a freno la lingua, come le ho già detto, ma non l’ho portata qui per perdere tempo e per farle perdere tempo ad insultarci a vicenda, ma perché… perché anche se odio doverlo ammettere purtroppo lei e Berardi avevate ragione su Mancini…” confessa come se ogni singola parola faticasse ad uscirgli dalla gola, e in effetti così è.
 
“Cosa?” sussurra Camilla a bocca aperta, di nuovo sbalordita: De Matteis che ammette di avere avuto torto su qualcosa? E, soprattutto, che ammette che lei e Gaetano invece avevano ragione? Per un attimo si chiede di nuovo se non stia sognando e trattiene l’impulso di darsi un pizzicotto per convincersi del contrario.
 
“Sì, ha sentito bene, professoressa: avevate ragione. Mancini è un elemento pericoloso e… e capisco, adesso finalmente capisco quello che ha spinto Marchese ad agire come ha agito, alle mie spalle, anche se non mi fa piacere e anche se rimango convinto che abbia sbagliato, che avrebbe dovuto confidarsi con me, perché le garantisco, professoressa, che se l’avesse fatto l’avrei ascoltato e l’avrei aiutato. Ma, in ogni caso, Mancini va rimosso e ho bisogno del vostro aiuto per farlo: immagino… immagino che Berardi stia cercando elementi contro Mancini e forse anche contro di me per il colloquio con il questore. E se è così ho bisogno di sapere cosa avete scoperto, perché voglio darvi una mano, voglio-“
 
“Dottor De Matteis, mi scusi, lei mi vuole far credere che vuole denunciare Mancini di fronte al questore? E magari invece desistere dalla denuncia nei nostri confronti?” gli domanda con un sopracciglio alzato e tono diffidente.
 
“Sì, esatto, io-“
 
“Ma pensa che io sia nata ieri, eh? Pensa sul serio che io scoprirei così le nostre carte, in modo da consentirle magari di smontare la nostra difesa punto per punto col questore?” chiede con tono sempre più sarcastico e incredulo, alzandosi in piedi e scuotendo il capo, “ma per chi mi ha presa? Pensa davvero che basti questa pagliacciata e portarmi qui per confondermi le idee e farmi credere a questa… miracolosa conversione sulla via di Damasco? Capisco che lei non abbia molta stima di me, dottor De Matteis, ma non sono ingenua e manipolabile fino a questo punto!”
 
“Lo so benissimo che lei non è ingenua professoressa e che non è manipolabile, anzi è cocciuta come un mulo!” ribatte esasperato, rimettendosi a sua volta in piedi e posandole questa volta una mano sulla spalla per trattenerla e impedirle di alzarsi, ignorando l’occhiata raggelante che lei gli lancia.
 
“Mi lasci andare!” sibila, divincolandosi fino a che lui molla la presa.
 
“Professoressa, le garantisco che non è mia intenzione trattenerla con la forza o costringerla ad ascoltarmi, anzi, mi creda che questa situazione è… penosa e imbarazzante per me tanto quanto lo è per lei. Le chiedo solo di lasciarmi spiegare, tutto qui, poi è libera di mandarmi a quel paese ed andarsene. Lo so che negli ultimi giorni ci siamo fatti la guerra ancora più del solito, che sono volate parole grosse, non solo da parte mia, e che tra me e lei non corre buon sangue, per non dire di peggio e che io e Berardi non ci sopportiamo proprio, ma, anche se rimango dell’idea che questa sua passione per le indagini sia pericolosa per lei e per gli altri e anche se continuo a non essere d’accordo con il fatto che Berardi l’abbia sempre assecondata e continui ad assecondarla… mi sono reso conto dei motivi per cui avete agito in questo modo, per cui Berardi si è intromesso nelle mie indagini di nascosto e per cui Marchese ha agito alle mie spalle e mi sono reso conto che in fondo stiamo dalla stessa parte, professoressa.”
 
Lei si limita a guardarlo con un sopracciglio alzato, sorpresa da tanta decisione, da tanta veemenza, dato che le uniche occasioni in cui ha visto De Matteis scaldarsi tanto per qualcosa era proprio per insultare lei o Gaetano.
 
“Senta, le chiedo solo qualche minuto del suo tempo, prima inizio a spiegare prima finisco e poi, ripeto, è ovviamente libera di fare quello che meglio crede. Che cos’ha da perdere?”
 
“Non lo so ancora cos’ho da perdere se le do retta, dottor De Matteis, forse nulla, forse tutto, ma… d’accordo, sentiamo, sono proprio curiosa di sapere cosa sarebbe successo nelle ultime ore per provocare un simile cambiamento. Però, se vuole che l’ascolti, dovrà prima fare a meno di questi,” annuncia, sfilandogli gli occhiali da sole a specchio dal naso senza attendere il suo consenso, per poi aggiungere, di fronte al suo sguardo sorpreso, “quando si parla con qualcuno è buona educazione guardarsi negli occhi e non siamo ad una partita di poker, in mezzo alla neve o su una spiaggia assolata.”
 
“D’accordo, d’accordo, come vuole,” concede, strappandole gli occhiali dalle mani quasi come se lei potesse contaminarglieli ed infilandoseli in tasca per poi sedersi nuovamente mentre lei fa lo stesso.
 
“Allora?” lo incita, vedendolo esitare: tanto era deciso prima, tanto è titubante adesso, quasi come se la barriera, la protezione fornitagli dagli occhiali lo aiutasse a parlare.
 
“Allora, nelle ultime ore è successo che ho avuto prova in prima persona che, purtroppo per me e per tutta la polizia di stato, Berardi aveva ragione su Mancini quando lo definiva un bullo. Mancini è un bullo che si fa forte con i deboli e debole con i forti,  ma che non esita un secondo a pugnalarti alle spalle quando gli sei d’intralcio o non gli servi più. E… anche se… anche se detesto doverlo ammettere, sono stato superficiale nel gestirlo, lo devo riconoscere,” proclama in quello che è quasi un sussurro ma che rimbomba nella testa di Camilla quasi più di un urlo, perché sa benissimo quanto debbano essere costate a De Matteis quelle parole.
 
De Matteis, l’uomo che non chiede mai scusa, che non ammette mai di avere torto, l’uomo arrogante che non ha fatto altro che attaccar briga con lei e con le persone che ama di più da quando l’ha rincontrato, l’uomo che stava o sta per distruggere loro la vita, ora è qui davanti a lei con il capo cosparso di cenere, a fare mea culpa. È una situazione talmente inconcepibile da risultare quasi onirica e allo stesso tempo c’è qualcosa nel modo in cui De Matteis pronuncia quelle parole, negli occhi bassi e che ogni tanto si sollevano a incrociare i suoi, che le fa percepire in maniera netta ed istintiva che lui è sincero, ancora prima che inizi realmente a spiegarsi.
 
“Ho preso sottogamba gli atteggiamenti autoritari di Mancini, il suo amore per la disciplina. Sa, anche io… anche io sono dell’idea che la disciplina sia fondamentale nel nostro mestiere, che il rispetto dei ruoli e delle regole sia fondamentale. Non sono un amicone come Berardi o come Torre, non penso che possa venire nulla di buono dal diventare i migliori amici dei propri sottoposti, credo invece che sia necessario mantenere le distanze, soprattutto coi più giovani, abituarli a quanto è duro questo mestiere e che se… se non reggono, se non hanno la stoffa, è meglio che se ne accorgano subito, finché sono in tempo a fare qualcos’altro. E ho sempre interpretato così il comportamento di Mancini, come un modo di fare forse un po’ vecchio stampo, come il mio, ma nulla di più. Notavo l’atteggiamento particolarmente duro che aveva con Marchese ma… diciamo che gli inizi di Marchese in polizia non sono stati certo dei più brillanti. Parliamoci chiaro, professoressa: lo sa meglio di me che Marchese non è certo un genio dell’investigazione, che non ha particolari doti né di osservazione, né intellettive, né fisiche. È un bravo ragazzo, per la carità, ma come ce ne sono tanti. E molto spesso ho avuto la sensazione che questo lavoro fosse un ripiego per lui, che non avesse passione per questo mestiere e sapevo che Mancini lo aveva avuto come allievo e pensavo che forse anche lui percepisse questo da Marchese, che lo volesse spronare o… diciamo spingerlo a cambiare lavoro, se non era questa la strada giusta per lui.”
 
“Sì, ma tra spronare e maltrattare c’è una bella differenza, dottor De Matteis ed essere vessati continuamente sul lavoro metterebbe a dura prova anche la persona più appassionata del mondo,” gli fa notare Camilla con un sopracciglio alzato.
 
“Lo so, ma… quando c’ero anche io Mancini non è mai arrivato alla… alla vessazione, era severo ma nulla di più. E le garantisco che non sapevo nulla di questa specie di soap opera tra Mancini e Marchese, che la moglie di Mancini fosse la ex di Marchese, l’ho scoperto solo pochi giorni fa. E le assicuro che se Marchese si fosse confidato con me non gli avrei certo negato il mio aiuto, avrei indagato su Mancini e avrei preso i necessari provvedimenti.”
 
“Ma lei pensa che per Marchese fosse facile venirle a parlare, sapendo oltretutto che lei era in ottimi rapporti con Mancini? Le lascio immaginare quanti casi di bullismo ho dovuto affrontare nella mia carriera e se avessi dovuto aspettare che la vittima denunciasse, ne avrei scoperti forse uno o due. È chi è in una posizione superiore che deve mantenere gli occhi aperti, dottor De Matteis, sempre, e imparare a riconoscere i segnali.”
 
“Lo so, lo so, ma… maledizione, professoressa, cosa vuole che le dica, eh? Questo è il mio primo ruolo di comando, il primo in cui ho la massima discrezionalità di operato da quando sono stato nominato vicequestore, ed è il primo caso di questo tipo con cui ho a che fare: prima c’era sempre qualcuno sopra di me che se ne occupava. A lei non è mai capitato di sbagliare? Di non accorgersi? Di ignorare i segnali? Specialmente durante i suoi primi anni di insegnamento?” le domanda guardandola negli occhi e Camilla è colpita dalla vulnerabilità, dall’umanità che per la prima volta scorge in lui, in questa inattesa ammissione di inesperienza.
 
Sarà il contesto o l’abbigliamento, ma improvvisamente De Matteis dimostra l’età che ha e anche se non è certo più un ragazzino, anche se alla sua età Gaetano, Camilla lo ricorda bene, sembrava un veterano al suo confronto, ciò non toglie nulla alla verità di quelle parole. Gliel’aveva detto anche Torre, descrivendole “il nuovo capo”, la prima volta che conobbe De Matteis: era il suo primo incarico davvero importante, aveva poca esperienza. E anche se era passato qualche anno, sempre poca rimaneva, pochi i sottoposti passati sotto di lui, poche le problematiche personali da gestire.
 
“Certo che ho sbagliato e certo che mi sono sfuggiti dei casi e che mi continuano e mi continueranno sicuramente a sfuggire, solo che ovviamente non lo potrò mai sapere con certezza,” ammette Camilla con tono più conciliante, per poi aggiungere, per stemperare l’imbarazzo, “d’accordo, senta… posso sapere cosa le ha fatto aprire gli occhi su Mancini?”
 
“Ieri l’ho convocato nel mio ufficio per annunciargli che… che ci avevo riflettuto e avevo deciso di non procedere con la denuncia al questore per tutta questa storia. Che avevo intenzione di prendere un provvedimento disciplinare nei confronti di Marchese e ritirare la mia raccomandazione per una sua promozione ma nulla di più,” inizia a spiegare, mentre Camilla spalanca la bocca, nuovamente stupita.
 
Sapeva che De Matteis teneva molto a suo fratello ma non pensava davvero che si sarebbe lasciato convincere da Marco, visto come sembrava agguerrito nei loro confronti.
 
“La vedo sorpresa, professoressa, vuole sapere il motivo per cui ho cambiato idea?”
 
“No… sì… cioè… devo ammettere che ultimamente mi è molto difficile capirla, dottor De Matteis, non che mi sia mai stato facile…”
 
“Potrei dire lo stesso di lei, professoressa e non solo di lei. Perché fatico anche a capire mio fratello sinceramente: se ci fossi stato io al suo posto, ce l’avrei a morte con lei, professoressa, le starei il più alla larga possibile e non vorrei mai più vederla nemmeno in fotografia. Ma mio fratello non è come me, per sua fortuna e per sfortuna di lui e… come ha saputo delle mie intenzioni di denunciarvi è arrivato a minacciarmi di autodenunciare il suo coinvolgimento in questa storia al questore, rischiando grane legali, rovinando la sua reputazione  e anche la mia. Perché le lascio immaginare cosa penserà il questore di me sapendo che perfino mio fratello non mi ritiene in grado di svolgere il mio lavoro senza – chiamiamoli contributi esterni,” commenta amaro, mentre lei abbassa lo sguardo, “ma non la vedo affatto sorpresa, professoressa. Lo sapeva già, non è vero?”
 
“Suo fratello me l’aveva detto, sì,” ammette, preparandosi ad un’esplosione, considerato che lui le aveva intimato di stare lontana da Marco.
 
“Ovviamente: mio fratello non poteva evitare di correre a farsi bello di fronte a lei,” sospira De Matteis con un tono fatalista che la spiazza nuovamente.
 
“Non è andata così, dottor De Matteis… ma comunque le garantisco che so bene di non meritarmi affatto queste… premure da parte di suo fratello. E devo ammettere che invece la sua decisione mi ha davvero sorpreso: non pensavo cambiasse idea in ogni caso… nemmeno per suo fratello.”
 
“Non ho cambiato idea solo per il bene di mio fratello o per cercare di salvarmi la faccia, professoressa. La verità è che… l’altro giorno ero furioso e ho agito… ammetto di avere agito d’istinto e in modo sproporzionato rispetto a ciò che era realmente successo e l’ultimatum di mio fratello mi ha dato modo di riflettere. E per quanto, le ripeto, non sono d’accordo con quello che avete fatto, devo riconoscere che in fondo non  è poi molto diverso da quello che è già successo qualche anno fa. E se ho chiuso un occhio sulle sue intromissioni in passato, sarebbe stato… diciamo ipocrita da parte mia denunciarla adesso, professoressa, nonostante a mio avviso il coinvolgimento di Berardi abbia aggravato la situazione, ma non a tal punto da dover andare davanti al questore a chiedere la testa sua e di Marchese. E la reazione di Mancini mi ha confermato di avere preso la decisione migliore e che, anzi, Marchese aveva effettivamente tutte le attenuanti. E che, probabilmente, anche voi avevate avuto delle attenuanti, sia per il comportamento di Mancini, sia per il mio. Lo so che il mio atteggiamento nei confronti suoi e di Berardi non è stato dei migliori da quando ci siamo rivisti, professoressa, ma diciamo che, considerati gli attriti pregressi fra di noi, il modo in cui è andata a finire la storia con mio fratello e… il fatto che il suo nuovo compagno fosse proprio Berardi e ciò che questo comportava per le mie indagini – cioè praticamente la certezza matematica di intromissioni da parte vostra –,  credo che anche io abbia avuto le mie attenuanti, no?”
 
“Non è stato dei migliori?!” domanda, scoppiando in una risata sarcastica, “dottor De Matteis, io le posso anche riconoscere tutte le attenuanti per quanto mi riguarda: è vero, non siamo mai andati d’accordo, è vero, mi sono comportata malissimo con suo fratello, tutto giustissimo. Ma mia madre e Gaetano cosa c’entravano? Lei ha iniziato ad insultarli a maltrattarli e a minacciarli praticamente fin da subito. Vogliamo dire che mia madre non ha un carattere facile? Ok, diciamolo pure, ma lei le era piombato in casa e non ha avuto alcun riguardo nel trovarsi di fronte una donna ultrasettantenne e non di certo Al Capone. E vogliamo parlare di Gaetano che invece è una delle persone più gentili ed educate che io conosca? E no, non lo dico perché sono di parte ma perché è la verità: del resto è stato proprio lei a definirlo, anche se in maniera derisoria, un principe azzurro, no?”
 
“Berardi sarà pure gentile ed educato e principesco con il resto del mondo ma decisamente non lo è stato con me e-“
 
“E se non lo è stato è perché è stato lei per primo a fare battute e frecciatine per nulla velate, a mettere in dubbio la sua intelligenza, la sua abilità di fare il suo lavoro e soprattutto perché ha iniziato ad insultarmi davanti a lui. E che cosa doveva fare Gaetano secondo lei? Darle un premio? Se domani le si presentasse uno sconosciuto in casa e iniziasse ad insultare lei e suo fratello, lei come lo tratterebbe? Lo accoglierebbe a braccia aperte?”
 
“D’accordo, ha ragione, ho esagerato e ho… diciamo che ho proiettato anche su Berardi e su sua madre i problemi che ci sono sempre stati tra noi due e quello che è successo tra lei e mio fratello e… e  me ne scuso,” pronuncia a fatica, dopo un secondo di pausa ma guardandola negli occhi.
 
“D’accordo… diciamo che… diciamo che accetto le sue scuse,” proclama a sua volta dopo un attimo di silenzio, lasciando cadere il discorso perché, per qualche strana ragione, discutere di lei e di Marco con suo fratello è per lei molto più difficile ed imbarazzante che farlo con Marco stesso. E confrontarsi apertamente sul rapporto che c’è tra loro, su quel rapporto che fin dall’inizio è stato conflittuale, complicatissimo e snervante è come rompere un tabù, come toccare un nervo scoperto. La verità è che non si sente in grado di farlo, sente di non avere gli strumenti per capire fino in fondo le origini di tutta questa ostilità tra di loro e soprattutto di non avere gli strumenti per capire De Matteis e che probabilmente mai li avrà.
 
“Come ha reagito Mancini a questo suo... ripensamento?” domanda poi per cambiare argomento e tornare al motivo per cui si trovano lì.
 
“Si è trasformato completamente: fino a due minuti prima era un agnellino ossequioso e improvvisamente ha iniziato a minacciarmi e ad insultarmi con un tono strafottente. Si rende conto? Mi ha minacciato, professoressa, ha osato minacciarmi che se non fossi andato io dal questore ci sarebbe andato lui con la copia del filmato e che avrebbe denunciato anche me per complicità. Mancini sa che lei è stata sul  punto di diventare mia cognata, professoressa e… beh, le lascio immaginare che scenario dipingerà al questore…”
 
“Già…” annuisce Camilla, in fondo per nulla sorpresa nello scoprire questo nuovo e per nulla edificante lato di Mancini, “e quindi lei vuole denunciare a sua volta Mancini al questore? Ma questo non gli impedirebbe di attuare le sue minacce: lei ci andrebbe di mezzo comunque e anche noi.”
 
“Lo so professoressa, lo so, ma gli farebbe perdere di credibilità, fornirebbe delle attenuanti a voi e a me e soprattutto… voglio fermarlo, professoressa, devo fermarlo prima che provochi altri danni altrove! Se per salvarmi la faccia consentissi a Mancini di passarla liscia, se cedessi al suo ricatto, io non… non potrei più fare questo mestiere,” spiega mantenendo lo sguardo nel suo senza esitazioni, “lo so che lei non ha una grande opinione di me come poliziotto, professoressa, anzi, che non ha proprio una grande opinione di me in generale, ma se ho deciso di entrare in polizia è perché ci credo, altrimenti avrei potuto vivere di rendita e darmi alla bella vita come mio fratello, con tutto il rispetto per lui e per il suo – chiamiamolo spirito imprenditoriale.”
 
“Se posso essere del tutto sincera con lei, ho sempre pensato che ciò che l’aveva spinta ad entrare in polizia fossero soprattutto il suo amore per l’ordine, la disciplina e per… diciamo per il comando, dottor De Matteis,” ammette Camilla, stupita dalle parole di lui e dalla piega che ha preso questa discussione tra di loro, ma non in modo spiacevole.
 
“Professoressa, le garantisco che quando sei uno dei due eredi di una delle famiglie più vecchie e ricche di Roma, esistono mille modi infinitamente meno faticosi, meno complicati e soprattutto infinitamente più prestigiosi e più remunerativi per provare l’ebbrezza del comando e del potere che entrare in polizia, anche se diventi il capo della squadra omicidi della capitale.”
 
La verità di quelle parole la colpisce: non aveva mai provato a mettersi nei panni di De Matteis ma, ora che lo fa, si rende conto che ha ragione. Ben pochi con il background e le ricchezze di De Matteis avrebbero fatto la sua scelta di vita.
 
“Devo riconoscere che non ha tutti i torti, dottor De Matteis,” ammette infine, guardandolo negli occhi.
 
“Quindi mi crede? E mi aiuterà?” le domanda, sostenendo il suo sguardo.
 
“Sì… forse me ne pentirò ma le credo, ma solo fino a prova contraria. E la aiuterò se lei ci aiuterà a sua volta, dottor De Matteis. Ma a una condizione: se dobbiamo elaborare una strategia, un piano di azione, voglio prima che ci siano anche Gaetano e Marchese presenti. Questa… questa storia riguarda soprattutto loro e il loro futuro e non posso decidere da sola, senza la loro approvazione,” risponde, con un tono che gli fa chiaramente capire che è una conditio sine qua non.
 
“E lei pensa sul serio che sia una buona idea? Trovarsi tutti insieme in una stanza? Ha visto anche lei che io e Berardi fatichiamo a stare anche solo un minuto senza alzare i toni, soprattutto se c’è lei presente,” le fa notare De Matteis con un sospiro.
 
“Beh, credo che non ci sia alternativa e comunque Gaetano e Marchese sono due persone ragionevoli e intelligenti e… basta che lei si spieghi e si scusi con loro come ha fatto con me e sono sicura che capiranno. In fondo anche noi due di solito non abbiamo un rapporto esattamente idilliaco, dottor De Matteis, eppure stiamo parlando ormai da parecchi minuti tranquillamente…” risponde con un mezzo sorriso e un sopracciglio alzato.
 
“Già… in effetti è strano…” concorda, scuotendo il capo.
 
“Per non dire quasi inquietante, forse anche più della location,” ribatte ironica, guardandosi intorno.
 
“Sì… e… e devo ammettere che in fondo non è poi così male,” commenta, aggiungendo poi con un certo imbarazzo, avendo notando la sorpresa negli occhi di lei, “riuscire a parlarci civilmente, intendo.”
 
“Ah, ecco, meno male che l’ha precisato, altrimenti avrei potuto cominciare a montarmi la testa dopo un simile complimento,” replica con sarcasmo, anche se il mezzo sorriso diventa quasi un sorriso intero, “e comunque concordo, dottor De Matteis: in fondo non è poi così male. E ora, se non le spiace vado a telefonare agli altri congiurati per convocarli in questo… rigoglioso giardino.”
 
E, senza attendere risposta, si allontana per interrompere la registrazione, ripristinare la connettività del cellulare, che aveva messo in modalità “aereo” proprio per evitare che squillasse mentre stava registrando. Compone a memoria il numero di Gaetano, preparandosi mentalmente a quello che la aspetta e sperando di non doversi pentire della sua decisione.
 
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“Buongiorno, commissario! Ma che bella sorpresa: cosa ci fa qui? Credevo fosse tornato a Torino!”
 
“Buongiorno Rosetta,” risponde Gaetano con un sospiro: l’ultima cosa di cui aveva bisogno stamattina era trovarsi di fronte quella pettegola della portiera a sbarrargli la strada.
 
“Sa se Camilla è in casa?” le domanda poi, ignorando del tutto la sua domanda, avendo ormai imparato a conoscere la donna e sapendo benissimo che sarebbe stata solo la prima di molte.
 
“Ma perché lo chiede a me? Non può chiamarla al telefono o, meglio suonare direttamente il campanello?” chiede la donna di rimando con un tono fintamente innocente ma uno sguardo che gli lascia intuire che la portiera ha ben chiaro in mente perché lui preferisce di gran lunga non doverlo suonare quel campanello.
 
Il problema in realtà non è solo Andreina, anche se l’idea di affrontare un terzo grado dalla “Lady di Ferro” non gli fa fare esattamente i salti di gioia, ricordando benissimo come l’anziana tratta Renzo. No, quello che gli fa più paura e che gli farebbe più male sarebbe leggere di nuovo la delusione, o peggio, l’odio negli occhi azzurri di Livietta.
 
“Ho provato a chiamare Camilla ma ha il cellulare staccato e a casa della signora Andreina non risponde nessuno, quindi mi sono preoccupato,” chiarisce con un sospiro, capendo che fornirle almeno qualche innocua spiegazione è l’unico modo per convincerla a collaborare o almeno a levarsi di torno, “per favore Rosetta, mi può dire se ha visto Camilla questa mattina?”
 
“Guardi che io mi faccio i fatti miei, non sto di certo a spiare gli inquilini,” ribatte lei con tono indignato, sollevando gli occhi al cielo, per poi guardarlo in un modo che gli fa intuire che in realtà Rosetta non solo sa benissimo dov’è Camilla, ma che muore dalla voglia di dirglielo.
 
“Ma so anche che è una portiera solerte e precisa, Rosetta,” la incita con tono più conciliante.
 
“E va bene! Sì, ora che ci penso ho visto la professoressa Baudino. Sa, stavo uscendo anche io per fare un po’ di spesa e non ho proprio potuto fare a meno di notarla,” commenta con un mezzo sorriso che non gli piace per nulla.
 
“Come mai? Le è sembrata strana? Andava di fretta? Ha notato qualcosa di insolito?”
 
“Non direi proprio qualcosa… ma qualcuno di insolito sì. E, beh, in effetti sembravano avere una certa fretta,” proclama con sorriso e tono sarcastico.
 
“Qualcuno di insolito? Chi?”
 
“Ah, non lo conosco, purtroppo per me, anche se mi piacerebbe. Perché era un bel pezzo di figliolo, anzi, direi proprio un gran figo, se mi consente l’espressione,” commenta con un’aria tra il divertito e il malizioso.
 
“Ma un ragazzo, quindi? Giovane?” chiede, stupito, domandandosi per un attimo se non possa trattarsi di un agente in borghese o magari di Marchese. Anche se, a suo avviso, il povero Marchese non è esattamente quello che si potrebbe definire un gran figo.
 
“No, beh, non un ragazzo, un uomo: non vecchio ma già brizzolato, ma quel brizzolato che fa fascino e poi con un gran bel fisico, alto, sportivo, occhiali da sole. Un po’ tipo Richard Gere ai tempi d’oro,” spiega con un tono ed uno sguardo sognante che gli provocano una sensazione di costrizione nel petto che cerca di soffocare sul nascere.
 
“Ma Camilla com’era? Cioè, a parte la fretta, le sembrava tranquilla, normale o era invece a disagio?”
 
“Guardi, a me sembrava che fosse perfettamente a suo agio, anzi che stesse molto meglio di me e di lei messi insieme!” commenta con una risata che lo fa decisamente innervosire.
 
“Ma quindi erano in rapporti… diciamo amichevoli?” chiede con tutta la nonchalance di cui è capace.
 
“Direi molto amichevoli. Doveva vedere come l’ha salutata lui, quasi si sbracciava! Se posso parlare chiaro ed essere del tutto sincera, commissario, diciamo che, se non sapessi che è impossibile, dato che lei e la professoressa siete felicemente fidanzati, beh, avrei proprio detto che si trattava di un appuntamento galante in piena regola. Magari di una bella gita fuori porta, sa, con questo clima estivo,” insinua con un sorriso mellifluo e una faccia da schiaffi, assestandogli l’ennesima stoccata al cuore.
 
E adesso chi è questo Richard Gere dei poveri? E, soprattutto, che vuole da Camilla? Non bastava già baffetto d’oro bohèmien?
 
Una colata d’acido gli invade lo stomaco mentre sente che il demone della gelosia inizia ad agitarsi e a protestare ma, di nuovo, la sua parte razionale interviene per cercare di tranquillizzarlo. In fondo lui e Camilla si erano lasciati da due giorni e ieri c’era già stato un piccolo ma importante riavvicinamento. E l’aveva sentita la sera prima e poi... Camilla non era tipo da avventure in generale e soprattutto non era di certo così irresponsabile da andare alla ricerca di avventure proprio con tutto quello che incombeva sulle loro teste.
 
“Dottor Berardi!” una voce alle sue spalle interrompe infine la lotta interiore tra il demone della gelosia e la voce della razionalità.
 
“Sammy? Cosa ci fai qui?” domanda stupito, vedendola uscire dal portoncino d’ingresso del condominio vestita di tutto punto, probabilmente per andare in studio o in tribunale.
 
“La professoressa non gliel’ha detto? Dopo quello che è successo con mio… con Pietro, lei e sua madre mi hanno offerto asilo qui per qualche giorno, fino a che non trovo una nuova sistemazione,” chiarisce con un sorriso che contrasta con il tono malinconico, “e lei invece? Cosa ci fa qui? Se è venuto a cercare la prof., non è in casa.”
 
“È che ho provato a chiamarla ma ha il telefono staccato, qui non risponde nessuno e mi sono preoccupato.”
 
“Eh, sì, è che Livietta e la signora Andreina sono uscite a fare un paio di commissioni ed io ero sotto la doccia e poi con il phon acceso e devo non aver sentito il telefono.”
 
“E Amedeo?” non può fare a meno di chiedere: deformazione professionale.
 
“Beh, vede…” esita, incamminandosi con lui in modo da allontanarsi il più possibile dall’udito finissimo di Rosetta, “Il signor Amedeo ha preso e se ne è andato ieri e non so se e quando tornerà. Ma forse è meglio che ne parli direttamente con la prof.”
 
“Che situazione…” sospira, immaginando come questo sia l’ennesimo problema da affrontare per Camilla, in un periodo già complicatissimo, “va beh… senti, sai dov’è Camilla? E soprattutto con chi è? A detta della portiera è uscita di corsa con una specie di sosia di Richard Gere…”
 
“Sosia di Richard Gere? Mi sa che Rosetta ha fatto colazione con un caffè molto, ma molto corretto, perché, a quello che so, la prof. è dovuta uscire all’improvviso perché ha ricevuto una telefonata da De Matteis che aveva bisogno di parlarle. E per qualche motivo è venuto a prenderla qui invece che convocarla in questura.”
 
“De Matteis? Sei sicura?” domanda, non sapendo se sentirsi più sollevato o più inquietato alla scoperta di chi sia questo fantomatico accompagnatore e avendo la conferma che evidentemente Rosetta sapeva benissimo che c’erano problemi tra lui e Camilla e aveva deciso di divertirsi un po’ a sue spese, ricamandoci sopra a questa storia dell’appuntamento.
 
“Sì, certo, sono sicura, l’ho sentito con le mie orecchie,” conferma Sammy con un sorriso.
 
Proprio in quel momento squilla il telefono: Camilla.
 
“Pronto, Camilla! Dove sei? Sarà un’ora che provo a chiamarti, cominciavo a preoccuparmi… Cosa? Sei con De Matteis? E dove? Cosa?? Vuoi che venga lì? Ma stai bene, ci sono problemi?” domanda preoccupato, mentre Sammy lo guarda altrettanto preoccupata, “De Matteis mi deve parlare? Ah, deve parlare con me e con Marchese? Ma che sta succedendo, Camilla? No, no, non ho altri impegni, d’accordo, dammi l’indirizzo e arrivo subito. Aspetta un secondo che prendo qualcosa da scrivere. Sammy hai un foglio di carta, per caso? Sì, Camilla, c’è qui anche Sammy e-“
 
“Io le do il foglio di carta se lei mi passa la prof., non so il motivo di questa riunione ma voglio esserci anche io, penso sia un mio diritto dato che c’è anche la mia vita di mezzo!” proclama Sammy incrociando le braccia sul petto.
 
“Sammy, non so se sia una buona idea… hai presente com’è De Matteis e non credo sia una visita di cortesia…” protesta Gaetano, sentendo che questa giornata sta decisamente prendendo una brutta piega e intuendo subito dall’occhiataccia che gli lancia Sammy e dal modo in cui non indietreggia di un millimetro, anzi, si proietta in avanti con il busto, che le speranze di farla desistere sono minime..
 
Che cosa vorrà adesso De Matteis? L’ora della verità davanti al questore si avvicina ed il peggio è che lui non ha ancora uno straccio di elemento contro l’altro vicequestore, salvo qualche statistica che dimostra chiaramente un peggioramento nelle performance della squadra omicidi da quando c’è lui al comando e, soprattutto, da quando è arrivato anche Mancini. Ma non è molto, anzi è poco più di niente.
 
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“… E quindi Mancini deve essere fermato, ma mi serve il vostro aiuto per farlo e spero che accettiate di collaborare con me…” conclude De Matteis dopo una lunga arringa accolta soltanto dal più assoluto silenzio e da occhiate che sarebbe riduttivo definire sospettose.
 
Gaetano, Sammy e Marchese si guardano con l’aria di chi ha appena ascoltato lo scemo del villaggio raccontare di essere stato rapito dagli alieni o di chi è appena stato fermato da un piazzista fastidioso che sta tendando di sbolognare un set di vetuste enciclopedie, pagabili in duecento comode rate.
 
Subito dopo rivolgono lo sguardo a Camilla ed è evidente la domanda non espressa: lei sul serio ci crede a quanto ha appena detto De Matteis? Perché ha accettato di farli andare lì a perdere tempo?
 
“E secondo lei, dottor De Matteis, noi dovremmo crederle e accettare di collaborare con lei dopo tutte le gentilezze che ci ha fatto negli ultimi giorni? Dopo il modo in cui ci ha trattato?” rompe infine il silenzio Gaetano, con un tono più che tagliente, “per la carità, sono più che d’accordo con lei sul fatto che Mancini vada fermato e che sia fuori controllo ormai, ma… chi ci dice che questa non sia solo un suo modo per raccogliere informazioni per distruggere ogni possibilità di difesa da parte nostra o, peggio, una trappola da parte sua per spingerci a commettere azioni compromettenti nei confronti di Mancini e poi riferirle al questore?”
 
“Il fatto che anche io commetterei azioni compromettenti, dottor Berardi, il fatto che sono venuto proprio da voi ad ammettere di avere avuto torto e a scusarmi e le garantisco che avrei preferito quasi qualsiasi altro scenario a questo e soprattutto il fatto che non solo non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, vista la situazione in cui vi trovate, anzi, in cui ci troviamo, ma che abbiamo lo stesso obiettivo,” risponde con un tono deciso ma non arrogante che sorprende i presenti ma che Marchese ricorda di avere sentito in un’altra occasione: quando quel ragazzo aveva preso come ostaggi la prof., Mazzeo e alcuni studenti a scuola e De Matteis, dopo aver chiesto chi di loro fosse disponibile ad andare in prima linea, aveva deciso di andarci lui stesso.

Era stato uno dei rari momenti in cui Marchese si era sentito orgoglioso di fare parte della stessa squadra di De Matteis, uno dei rari momenti in cui aveva davvero ammirato il vicequestore. Momenti che poi venivano regolarmente sepolti sotto il caratteraccio, la freddezza e la presunzione di De Matteis.
 
“Dottor Berardi, io e lei la vediamo diversamente su quasi tutto, abbiamo idee diametralmente opposte su cosa voglia dire comandare una squadra, probabilmente non solo non saremo mai amici ma diciamo pure che continueremo a non sopportarci, ma ora, per una volta, vogliamo esattamente la stessa cosa: evitare che Mancini faccia altri danni e soprattutto evitare di rovinare la vita e la carriera di diverse persone, noi due compresi. Credo che questo venga prima di tutto, sia per me che per lei,” ribadisce De Matteis, guardando l’altro uomo negli occhi.
 
“Sicuramente viene prima di tutto, dottor De Matteis, ma qui non si tratta per l’appunto solo della mia carriera, ma anche della carriera di Marchese e di tutti gli uomini che adesso e in futuro si troveranno sotto al suo comando. Che si aspettano di essere guidati da lei, che vedono in lei un esempio da seguire, un modello a cui aspirare e che si fidano di lei, devono fidarsi di lei nel momento in cui dà loro ordini da cui possono letteralmente dipendere la loro vita e la loro incolumità. E non credo bastino due scuse tardive, fatte solo perché l’agnello si è rivelato essere un lupo di fronte a lei. Se Mancini non avesse perso il controllo e non l’avesse ricattata, lei sarebbe ancora convinto di essere dalla parte della ragione. Che cosa succederà ai suoi uomini quando arriverà il prossimo Mancini in una squadra guidata da lei? E arriverà, glielo garantisco per esperienza.”
 
De Matteis incassa il colpo e rimane per un attimo spiazzato, in silenzio.
 
“Le assicuro che questa vicenda mi ha fatto aprire gli occhi, Berardi, e che starò molto più attento in futuro e farò di tutto perché una situazione del genere non si ripeta. Io non sono come lei, Berardi e non lo sarò mai, ho un carattere diverso dal suo e non sarò mai amico dei miei uomini. Sarei ipocrita e finto se mi sforzassi e fingessi di esserlo. Ma questo non significa che desidero che i miei uomini siano maltrattati o che subiscano soprusi sul lavoro. Ammetto di avere sbagliato, a lei non è mai successo? Soprattutto nei suoi primi incarichi? Non le è mai capitato di non gestire correttamente delle persone?” domanda, facendo eco al quesito che aveva posto anche a Camilla poco tempo prima.
 
“È capitato, sì, l’importante è riconoscerlo e cercare di imparare dai propri errori…” ammette Gaetano, ripensando al suo primo incarico nella omicidi di Roma.
 
“E voglio scusarmi anche e soprattutto con te, Marchese: ho sbagliato con Mancini e con te, come tu del resto hai sbagliato a non confidarti con me, perché ti avrei aiutato, se me ne avessi dato l’opportunità. Ma spero che possiamo voltare pagina da oggi e aprire un nuovo capitolo in cui cercheremo di ricostruire quella fiducia che evidentemente è andata persa da parte di entrambi.”
 
“Per me va bene dottore, se lei me ne darà l’opportunità le dimostrerò che la fiducia che aveva avuto in me era stata ben riposta, che posso essere un ottimo poliziotto e che questo mestiere mi piace davvero, che è il mestiere che ho scelto e che voglio fare,” risponde Marchese, ricordando le parole di De Matteis del giorno prima, quel dubitare della sua passione, della sua motivazione.
 
Era vero, in certi momenti Marchese si era ritrovato a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, aveva provato ad inseguire altri sogni, come quello di diventare uno scrittore, ma la prospettiva di perdere tutto gli aveva fatto capire quanto tenesse realmente al suo ruolo in polizia, a quanto non fosse solo un modo per tirare alla fine del mese, ma molto, ma molto di più.
 
“Camilla, tu che ne pensi?” chiede poi Gaetano, guardandola negli occhi e Camilla sa benissimo che cosa le sta chiedendo: possiamo fidarci?
 
“Io gli credo Gaetano, se non gli avessi creduto non vi avrei fatto venire qui. Penso che per una volta siamo tutti dalla stessa parte e che sarebbe stupido a questo punto continuare a farci la guerra tra noi,” risponde sinceramente, ricambiando lo sguardo, “piuttosto mi chiedo cosa ne pensi tu, Sammy: Mancini è pur sempre tuo marito e, anche se penso sia giusto che tu sia qui oggi e che tu sappia che cosa pensiamo di fare, mi chiedo se forse non sia meglio che tu eviti… insomma che eviti di essere coinvolta direttamente in tutto questo.”
 
“Prof., io SONO già coinvolta in tutto questo ed è proprio Pietro che ha fatto sì che fossi coinvolta quando ha deciso di denunciarci tutti per una stupida rappresaglia nei miei confronti. Lui non ha avuto alcun riguardo verso di me, alcun rimorso e quindi non vedo perché dovrei avere sensi di colpa nel fare ciò che in ogni caso riterrei giusto fare se al posto di Pietro ci fosse qualcun altro. Quindi non fatevi problemi per me, anzi, contate su di me per qualsiasi cosa.”
 
È evidente a tutti dal tono e dallo sguardo di Sammy che la ragazza non cambierà idea.
 
“Va bene, dottor De Matteis, visto che siamo tutti d’accordo a questo punto direi che non ci resta che elaborare un piano. Però la avverto: se tradirà la nostra fiducia per cercare di nuovo di fare del male a uno di noi o alle persone a noi care, le garantisco che se ne pentirà amaramente,” intima Gaetano, fissandolo come a voler scrutare ogni minima esitazione, ogni minimo segnale di paura.
 
“Più che giusto, Berardi, ma le garantisco che non ce ne sarà bisogno,” replica De Matteis, deciso e tranquillo come era stato fin dall’inizio di quel chiarimento tra loro.
 
“Bene, allora non perdiamo altro tempo,” interviene Camilla, tirando le fila del discorso, “da dove partiamo?
 
“Direi che dovremmo avere due obiettivi: trovare più prove possibili del comportamento scorretto di Mancini da portare di fronte al questore e nel frattempo cercare di difenderci dalle accuse che Mancini ci rivolgerà mostrando il famoso filmato,” ribatte Gaetano, mentre De Matteis annuisce.
 
“Beh, scusatemi, se adesso il dottor De Matteis è d’accordo con noi, forse la cosa più semplice da fare per risolvere questa situazione sarebbe dire al questore che lui stesso ci ha autorizzati ad indagare, no?” domanda Sammy, prendendo posto su una delle scomodissime sedie mentre gli altri fanno lo stesso.
 
“No, ci ho già pensato anche io dottoressa, ma purtroppo non è possibile,” risponde De Matteis con un sospiro, “vede, dal filmato risulta chiaramente che io non ne sapevo nulla di tutto questo e poi in ogni caso io avrei potuto autorizzare Marchese a parlare con il dottor Berardi ma né io né loro potevano essere in alcun modo autorizzati a coinvolgere lei e la professoressa, soprattutto non a rivelarvi ogni singolo dettaglio del caso Scortichini. E, sempre da questa registrazione, è evidente che ne sapete quasi di più voi che la polizia.”
 
“Direi che forse allora è il caso di partire proprio da questo filmato vedendolo per intero e capire cosa possiamo fare. Ne ha una copia, dottor De Matteis?”
 
“Sì, professoressa e mi sembra una buona idea anche se, lo vedrà anche lei, temo che questo filmato sia una prova schiacciante ed inconfutabile…” proclama De Matteis estraendo il cellulare dalla tasca e facendo partire il video.
 
Nel silenzio più assoluto assistono a tutta la ripresa: dal loro incontro al bar fino al colloquio con i punkabbestia.
 
“Decisamente non vedo appigli: è tutto nero su bianco. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di spiegare al questore perché abbiamo agito in questo modo e se il dottor De Matteis ci appoggia, questo potrebbe aiutarci, anche se non so di quanto,” commenta Gaetano, alternando lo sguardo tra Marchese, Camilla e Sammy.
 
“Io vi appoggerò e confermerò di fronte al questore che ho compreso i motivi che vi hanno spinto ad intraprendere queste indagini parallele, ma questo dipende da quante prove troviamo contro Mancini e quindi torniamo sempre a questo punto, che è il punto chiave…”
 
“Mi scusi, dottor De Matteis, ma mi sembra che ci stiamo dimenticando un’altra possibilità: e se Pietro non avesse alcun filmato da mostrare al questore?” interviene di nuovo Sammy, prendendoli in contropiede.
 
“Lei intende suggerire di cercare di eliminare questo filmato? Ma conoscendo Mancini ne avrà fatto chissà quante copie… poi lei lo conosce meglio di me. Non credo sia possibile…”
 
“Lo so che Pietro è molto… prudente, per non dire paranoico, dottor De Matteis, ma anche se avesse fatto delle copie extra, non sono di certo infinite. Basterebbe eliminarle tutte, o almeno provarci. Dobbiamo fare almeno un tentativo: a quel punto sarebbe la sua  parola contro la nostra e il questore potrebbe pensare che sia una giustificazione inventata per salvarsi la faccia, se noi abbiamo invece prove concrete a suo carico, che, come dice lei, dobbiamo trovare in ogni caso e che rimangono il punto chiave della questione.”
 
Tutti si guardano, sorpresi dalla veemenza di Sammy: è proprio vero che il confine tra il più grande amore e l’odio più profondo è molto sottile.
 
“Sammy, sei-“
 
“Si, prof., sono sicura!” la interrompe Sammy, intuendo perfettamente cosa stesse per chiederle, “sentite, io ho accesso praticamente a tutto ciò a cui ha accesso Pietro. Se mi dite dove cercare posso aiutarvi.”
 
“Prima di prendere in considerazione questa ipotesi, c’è una domanda fondamentale: in quanti sanno di questo filmato?” interviene Gaetano, non molto convinto della fattibilità di questo piano.
 
“Noi, Mancini e Grassetti...” risponde De Matteis, ringraziando il cielo di non avere coinvolto anche Lorenzi o altri agenti.
 
“E non credo che Grassetti rappresenti un problema, dottor De Matteis. Se davvero riusciremo ad eliminare le copie di questo filmato penso che lei ci reggerebbe il gioco e che non voglia di certo che Marchese o lei abbiate problemi,” commenta Camilla con un mezzo sorriso, mentre Gaetano ripensa al colloquio con la ragazza e al fatto che da allora non avesse più avuto sue notizie.
 
“Sì, probabilmente ha ragione… Grassetti mi ha sempre mostrato una certa stima e una certa lealtà,” concorda De Matteis mentre Marchese nasconde un mezzo sorriso di fronte all’ennesima prova che De Matteis non ha alcuna idea dei motivi che si nascondono dietro a tanta stima e tanta lealtà.
 
“Quindi, tornando al problema principale, se Mancini è davvero paranoico avrà fatto copie sparse in diversi luoghi: computer di casa, magari il computer dell’ufficio, cellulare, tablet se ne ha, hard disk esterni, chiavette USB…” ipotizza Gaetano, mentre De Matteis e Marchese annuiscono.
 
“Beh, io ho ancora le chiavi di casa e quindi posso entrarci liberamente. L’importante è che qualcuno tenga impegnato Pietro in modo che non mi faccia un’improvvisata…” chiarisce Sammy, lanciando un’occhiata eloquente a De Matteis.
 
“Sicuramente posso trovare diversi modi di tenerlo impegnato sul lavoro, ma, ammesso che lei riesca a trovare e ad accedere a tutti i dispositivi dove esiste copia di questo filmato, non è così semplice eliminare un file senza lasciarne traccia e senza che sia in qualche modo recuperabile. E se ci fosse prova di manomissione da parte nostra, saremmo doppiamente nei guai,” spiega De Matteis, e questa volta è il turno di Gaetano e di Marchese di annuire.
 
“Io potrei riuscire a farlo… ad accedere a file protetti e ad eliminarli definitivamente senza lasciare traccia, ma mi serve tempo,” interviene Marchese che è, a tutti gli effetti, l’esperto di computer della squadra.
 
“Potresti accompagnare la dottoressa a casa di Mancini allora,” propone De Matteis, conoscendo bene le capacità di Marchese in ambito informatico, “mentre io posso cercare di prolungare la permanenza di Mancini in questura il più a lungo possibile e avvisarvi del suo rientro.”
 
“No, non è possibile: il nostro portiere è un pettegolo di prim’ordine e se mi vedesse con un uomo correrebbe a riferirlo a Pietro non appena rientra a casa!” chiarisce Sammy, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “però il computer di Pietro è un portatile e hard disk esterni, chiavette e cose così si possono trasportare. Potrei mettere tutto in un borsone e portare il tutto da te, Marchese. Il portiere sa che io e Pietro… che ci siamo lasciati, mi ha già visto andare via con una valigia e non si insospettirà di certo se porto via altre cose.”
 
“Potrebbe funzionare, sì, ma devi assicurarti di cercare in ogni singolo angolo della casa e anche questo richiede del tempo… e ne abbiamo poco in ogni caso…” le fa notare Gaetano, non molto convinto.
 
“Posso aiutarla io: credo che la mia presenza non desterebbe particolari sospetti,” propone Camilla, aggiungendo poi con un sorriso, per sdrammatizzare, “e dopo un trasloco e anni passati a riordinare la stanza di un’adolescente, ti garantisco che potrei ritrovare quasi qualsiasi cosa.”
 
“E poi il nostro appartamento è piccolo e Pietro è un maniaco dell’ordine: non sarà difficile far passare tutta la casa…”
 
“Però potrebbero esserci anche nascondigli fuori casa. La macchina per esempio…”
 
“Quello non è un problema, dottor De Matteis: a casa c’è un paio di chiavi di riserva, posso procurarmele e recuperare qualsiasi cosa ci sia nell’auto di Pietro.”
 
“Cassette di sicurezza? Seconde case? La casa dei genitori, magari?” domanda Gaetano, elencando i nascondigli più usuali.
 
“Non abbiamo cassette di sicurezza a quanto ne so, di sicuro non abbiamo seconde case e la famiglia di Pietro vive a Gubbio e dubito sinceramente che Pietro abbia avuto occasione in questi due giorni di andarci…”
 
“No, infatti, sabato prima vi ha seguiti e poi è rimasto in questura e ieri ha lavorato praticamente tutto il giorno al mio fianco,” conferma De Matteis, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “rimangono il cellulare o i cellulari di Mancini, se ne ha più di uno, l’armadietto personale e il computer dell’ufficio. A quelli posso pensare io.”
 
“E io posso aiutare Marchese nel lavoro di accesso e pulizia dei dispositivi. Ormai me ne intendo abbastanza,” si offre Gaetano, che a questo punto ha ben poco altro da fare: a parte Claudia non ha trovato nessuno disposto a testimoniare contro De Matteis o contro Mancini e ormai ha esaurito la lista delle opzioni.
 
“Bene, rimane quindi il problema principale: trovare delle prove contro Mancini. Lei ha elementi in mano, Berardi?” chiede De Matteis dopo un attimo di silenzio.
 
“Ho delle statistiche e una testimonianza diretta…”
 
“Di chi? E cosa riguarda?”
 
“Preferisco per correttezza nei confronti di questa persona non fare il suo nome, dottor De Matteis, finché non si presenterà a testimoniare davanti al questore. Comunque si tratta di un episodio accaduto qualche tempo fa, diciamo che Mancini ha calcato un po’ troppo la mano durante un interrogatorio…”
 
“Ma ci sono prove? O solo una testimonianza?”
 
“No, purtroppo è solo una testimonianza, ma di una persona conosciuta e rispettata dal questore stesso, quindi credo che avrà comunque un certo peso.”
 
“Il fatto che Pietro ci vada giù pesante negli interrogatori è risaputo, ho sentito parecchi commenti tra colleghi, soprattutto quando pensavano che io non ascoltassi,” conferma Sammy, aggiungendo poi decisa, “lo so che non c’è molto tempo, ma se volete posso provare a contattare qualcuno e cercare di convincerli a testimoniare.”
 
“Forse non sarà necessario: ho un’idea migliore, più rapida e più efficace. Dato che devo tenere impegnato Mancini, potrei lasciargli condurre un interrogatorio e filmarlo. Ho proprio il candidato ideale per far perdere le staffe a Mancini,” rivela De Matteis con un tono e con uno sguardo che incuriosiscono e spaventano Camilla.
 
“Non si preoccupi professoressa, le garantisco che, alla persona che ho in mente, passare un po’ di tempo in compagnia di Mancini non potrà fare che bene,” aggiunge, avendo interpretato correttamente lo sguardo preoccupato di lei.
 
“E lei non ha altri elementi contro Mancini, De Matteis, a parte la sua testimonianza, ovviamente?”
 
“No, Berardi, purtroppo no. Mancini non ha mai esagerato di fronte a me e non avevo motivo di sorvegliarlo o di registrare il suo operato…”
 
“Beh, qualcos’altro ci sarebbe… o meglio, ci sarebbe nel caso in cui non riusciamo ad eliminare tutte le copie di quel filmato. Pietro si era fatto mettere in malattia per seguirmi e spiarmi, perché pensava che lo tradissi con Marchese. Me l’ha confermato lui stesso. Insomma, non mi sembra una condotta ineccepibile, non le pare, dottor De Matteis?” domanda Sammy dopo un attimo di riflessione.
 
“No, in effetti un comportamento del genere è passibile di sanzioni. Certo non è gravissimo ma-“
 
“Ma magari utilizzare le attrezzature della polizia per fini personali potrebbe essere ancora più grave, dottor De Matteis?” lo interrompe Camilla, colta da un’intuizione.

“Ovviamente sì, professoressa Baudino, ma che cosa vuol dire?”
 
“Voglio dire che quel filmato è strano: il video è pessimo, sembra fatto con un cellulare e anche da una certa distanza. Ma l’audio è perfetto, come se Mancini fosse stato accanto a noi mentre parlavamo. Il che, soprattutto nel caso del colloquio con i punkabbestia è impossibile: l’avremmo sicuramente notato.”
 
“Sì, è vero, ha ragione, in effetti è strano,” conferma Marchese, facendo ripartire la registrazione, “una qualità audio simile mi sembra al di fuori della portata di un cellulare, se non a distanza molto ravvicinata. Comunque possiamo verificarlo: ho lo stesso modello di cellulare di Mancini. Se voi parlate normalmente io vi registro a diverse distanze e verifichiamo subito.”
 
“Ottima idea Marchese,” approva De Matteis, pensando che forse il ragazzo almeno un poco è davvero migliorato negli anni.
 
Marchese registra per qualche minuto a varie distanze e angolazioni e poi si siede nuovamente con gli altri per ascoltare il risultato.
 
“Come volevasi dimostrare: per ottenere una simile qualità audio bisogna essere praticamente accanto a chi sta parlando. Com’è possibile?” commenta Gaetano quando hanno terminato la registrazione.
 
“Per cercare di scoprirlo posso provare ad analizzare il filmato, se me ne lascia una copia dottor De Matteis. Ho l’attrezzatura necessaria a casa e posso farlo intanto che Sammy recupera tutti i dispositivi di Mancini.”
 
“D’accordo Marchese… mi sembra che abbiamo un piano di azione,” proclama De Matteis, passando il cellulare al ragazzo, per poi spostare lo sguardo su Gaetano e su Camilla, “per ogni novità ci teniamo aggiornati?”
 
“Sì… e speriamo che siano buone novità…” conferma Gaetano, alzandosi in piedi, seguito a ruota dagli altri.
 
Di sfortune in questi giorni ne avevano già avute a sufficienza.
 
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“Prof. ha trovato qualcosa?”
 
“No, evidentemente tuo marito non è così tanto paranoico da nascondere dispositivi in cucina,” risponde Camilla, chiudendo l’ultima anta con mano guantata, “tu? Hai trovato qualcosa?”
 
“Sì, tra lo studio e la camera da letto in tutto per ora ho il computer, cinque hard disk, dieci chiavette USB, pacchi di dvd apparentemente vergini, altri di dvd registrati. Insomma, praticamente ho svuotato quasi tutti i cassetti e gli armadietti,” rivela lei, mostrando il borsone stracolmo, “temo che il dottor Berardi e Marchese ne avranno di lavoro da fare.”
 
Il suono di un messaggio in arrivo interrompe la conversazione.
 
“È il tuo?” chiede Camilla, non riconoscendo la suoneria.
 
“No, non è il mio,” risponde Sammy, controllando per sicurezza.
 
“Neanche il mio,” conferma Camilla, estraendo a sua volta il telefono dalla borsa e verificando che non ci sono nuovi messaggi, fino a che sente un’improvvisa costrizione nel petto, “oddio… vuoi vedere che…”
 
Con mano ancora guantata, sfila la busta dalla borsa e prende il cellulare al suo interno. Come volevasi dimostrare: un nuovo messaggio. Una frase: poche parole, niente preamboli, né saluti, né firme.
 
Alle 15 al ristorante dove è iniziata tutta questa storia
 
“Prof., lei pensa che il ristorante sia… insomma quello del mio compleanno?”
 
La voce di Sammy a pochi centimetri dal suo orecchio la ridesta dai suoi pensieri e si accorge finalmente che la ragazza si era avvicinata per leggere il messaggio.
 
“Non so Sammy… può darsi,” risponde, anche se in realtà ne è assolutamente certa. Ricorda ancora quel giorno come se fosse ieri: il pranzo, la festa, la telecamera in regalo, lo Scortichini che puntava Debbie senza alcun pudore, con la bava alla bocca, la manifestazione, il furto della telecamera e poi il caos totale.
 
“Cosa pensa di fare, prof.?”
 
“Non lo so Sammy… credimi, vorrei aiutare Ilenia e non sono convinta che sia davvero lei la colpevole, nonostante tutto, ma mia madre aveva ragione quando parlava di priorità e ora la priorità è tirarci tutti quanti fuori dai guai ed evitare che diverse persone abbiano la vita rovinata per questa storia. E poi… e poi ho promesso a Gaetano che non avrei fatto pazzie e che prima di prendere iniziative ne avrei parlato con lui. E dopo tutto quello che è successo penso non solo di doverglielo, ma soprattutto che abbia ragione e che non posso più permettermi di agire di testa mia, vista la piega che ha preso questo caso,” ammette dopo qualche attimo di riflessione e di silenzio.
 
“Ma prof.! Si rende conto che è l’unico indizio che abbiamo per aiutare Ilenia? Forse l’ultima opportunità che abbiamo di ritrovarla e poi... e poi, prof., lei pensa davvero che Ilenia potrebbe fare del male a me o a lei? Anche se avesse davvero… anche se si fosse veramente vendicata dello Scortichini, cosa che fatico ancora a credere, perché mai dovrebbe avercela con me o con lei?” protesta Sammy, guardandola in quel modo come se la stesse pugnalando alle spalle.
 
“Lo so Sammy… ma… senti, adesso terminiamo queste ricerche, portiamo tutto a Marchese e a Gaetano e ti prometto che gliene parlerò e decideremo il da farsi, ok?” abbozza per guadagnare tempo per riflettere.
 
“Ok,” concede Sammy con un sospiro e con l’aria di chi non è molto convinta, “allora lei fa il salotto e io il ripostiglio?”
 
Camilla annuisce e nel silenzio più completo si rimettono al lavoro.
 
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“Pronto? Buongiorno, signor questore, sono De Matteis… Sì, abbastanza bene, grazie… No, non si tratta del caso Scortichini, non ci sono particolari novità, sa con il weekend è tutto rallentato, ma spero di avere aggiornamenti entro stasera… No, no, si tratta di un’altra questione, una questione piuttosto delicata, in cui il caso Scortichini c’entra solo indirettamente e avrei bisogno di parlarle di persona. Avrebbe tempo per riceverci domani?”
 
Il sorriso compiaciuto che scorge sul volto di Mancini, seduto di fronte a lui nel suo ufficio, gli fa ribollire il sangue nelle vene e gli provoca una voglia quasi inarrestabile di strozzarlo con il filo del telefono.
 
“È disponibile in serata? Dopo le 17? Sì, va benissimo… No, non posso anticiparle nulla: come le ho detto si tratta di una questione molto delicata. No, non saremmo solo noi due, vorrei convocare davanti a lei anche l’ispettore Mancini, l’agente Marchese e il dottor Berardi… Sì, esatto, Berardi: è qui a Roma per… diciamo per una vacanza e nei giorni scorsi ho avuto modo di averci a che fare per quanto riguarda il caso Scortichini… sì, so che se ne era occupato lui, infatti e… comunque le spiegherò tutto di persona…. Va bene, grazie signor questore, grazie mille, a domani.”
 
“Soddisfatto?” domanda non appena poggia la cornetta e chiude la comunicazione in quella che è a tutti gli effetti una domanda retorica.
 
“Molto e dovrebbe esserlo anche lei dottor De Matteis: domani finalmente giustizia sarà fatta e presto il corpo di polizia si libererà di due elementi pericolosi. Mi sembra che ci siano ottimi motivi per essere soddisfatti,” replica Mancini con un mezzo sorrisetto, anche se il fatto che De Matteis abbia accettato di fare quella telefonata sembra avergli un po’ ammorbidito il tono di voce.
 
“In ogni caso, credo che ora sia meglio che torniamo a concentrarci sul caso Scortichini. Ilenia Misoglio è ancora a piede libero e non abbiamo alcun indizio su dove sia, nonostante tutti i controlli e i posti di blocco. A questo punto credo che potrebbe avere degli aiuti da qualcuno e quindi che sarebbe utile risentire il padre della Misoglio. Se ne occupa lei di convocarlo e interrogarlo?”
 
“Certo, dottore, immediatamente,” risponde Mancini, recuperando in un lampo la deferenza e l’ossequiosità che l’avevano sempre contraddistinto.
 
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“Dottoressa, ma quindi ci lascia definitivamente?”
 
Sammy e Camilla sono al portone d’ingresso e sono state, come previsto, intercettate dal portiere con il borsone in mano. Avevano passato il piccolo appartamento palmo a palmo e prelevato qualsiasi cosa su cui potesse essere salvato un filmato.
 
“Credo proprio di sì, signor Roberto, anche se dovrò fare ancora un po’ di viaggi per recuperare tutte le mie cose. Sa, noi donne abbiamo molti vestiti,” risponde la ragazza con un sorriso amaro e non le serve affatto recitare.
 
“Mi dispiace molto dottoressa: lei e l’ispettore eravate una così bella coppia. Non c’è proprio speranza che vi riconciliate?” domanda di nuovo, evidentemente a caccia di informazioni.
 
“Temo proprio di no, signor Roberto… la ringrazio per l’interessamento ma adesso devo proprio andare: tra poco devo tornare al lavoro,” taglia corto Sammy, avviandosi verso l’uscita.
 
“Capisco, i miei ossequi ancora a lei e anche a lei signora,” le saluta il portiere, prima di rientrare nel suo ufficio.
 
“Potrebbe fidanzarsi con Rosetta…” commenta Camilla con un sorriso, mentre si avviano alla macchina.
 
“Già…” sospira Sammy mentre caricano la roba in auto.
 
“Allora adesso ci manca l’automobile di tuo marito e poi possiamo andare da Marchese…”
 
“Prof. a questo proposito, se non le dispiace, preferirei accompagnarla prima da Marchese, così comincia a dargli il materiale da analizzare mentre vado io da sola a ispezionare la macchina. Sia perché da sola darei meno nell’occhio sia perché, se non trovassi niente, almeno potrei andare direttamente in tribunale. Purtroppo il mio capo nel primo pomeriggio ha un’udienza a cui devo assistere per forza…”
 
“D’accordo… però, se trovassi qualsiasi cosa, ci avvisi subito, ok?”
 
“Certo, prof. e anche voi, mi raccomando!” le intima la ragazza con un sorriso prima di avviare il motore.
 
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“Ma quanta roba aveva Mancini? Alla faccia della paranoia…”
 
“Lo so, Gaetano, noi abbiamo preso tutto perché non potevamo sapere cosa servisse o no, ma penso che la maggioranza dei dvd ad esempio siano vuoti. Dobbiamo verificare,” spiega Camilla, dopo che lei e Gaetano, sempre con i guanti, avevano finito di scaricare tutta la roba.
 
“E avete fatto bene, ma qui ci vorrà una vita e abbiamo solo poche ore, Camilla…”
 
“Lo sai che io e la tecnologia non andiamo molto d’accordo, ma se mi dite cosa devo fare vi posso dare una mano. Quantomeno penso che controllare se i dvd siano vuoti o meno e verificare quali file ci siano su quelli scritti possa essere  alla mia portata…”
 
“Sì, mi sembra una buona idea, prof.. Mentre io e lei, dottore, possiamo dedicarci a computer e hard disk esterni,” concorda Marchese, cominciando a dividere il contenuto della borsa tra loro tre.
 
“Nel frattempo voi avete scoperto qualcosa su quel filmato?” domanda Camilla, ritirando il borsone.
 
“Sì, prof., abbiamo risolto il mistero: audio e video non corrispondono perché il video è un montaggio. Audio e video sono stati ripresi separatamente e poi uniti in fase di editing,” spiega Marchese, avvicinandosi al suo computer dove il video fa ancora bella mostra di sé.
 
“Come una specie di doppiaggio?” chiede Camilla, raggiungendo a sua volta Marchese che ha fatto ripartire il filmato per spiegarle la differenza.
 
“Esatto, prof.: Mancini ha tolto l’audio, evidentemente di pessima qualità, del filmato fatto con il cellulare e ha aggiunto un’altra traccia audio, catturata in maniera differente.”
 
“Quindi può aver davvero usato qualche attrezzatura della polizia?”
 
“Considerati i cambi di location, la cosa più probabile è che abbia piazzato una cimice, un microfono, tra le cose di Sammy,” spiega Gaetano, unendosi a loro mentre il filmato continua ad andare avanti.
 
“Ehi, aspettate, aspettate: non avete sentito un disturbo nell’audio, come un fruscio?” li interrompe Camilla, colta da un’intuizione.
 
“Sì, hai ragione, l’ho sentito anche io, come quando si tocca un microfono,” conferma Gaetano, come sempre ammirato dalla straordinaria capacità di Camilla di cogliere particolari che agli altri sfuggono, “Marchese, puoi fare tornare indietro il filmato di poco, diciamo un minuto?”
 
“Sì, ecco…”
 
Con il fiato sospeso rimangono in ascolto fino a che si sente chiaramente il fruscio.
 
“Sammy ha spostato di poco il cellulare per fare posto alla ciotola delle patatine ed è in questo momento che si sente il ronzio!”
 
“È vero: ma quindi questo significa che c’è una cimice nel telefono di Sammy?”
 
“No, Camilla, credo che il cellulare di Sammy sia la cimice. Mancini deve averci installato un programma spia: ce ne sono di vari tipi, da quelli che ti fanno rintracciare la posizione di un telefono a quelli che ti consentono di ascoltare conversazioni, telefonate, messaggi e registrarle da remoto. Sono più o meno legali se installati sul proprio cellulare, ad esempio per proteggersi in caso di furto o di smarrimento, ma è ovviamente illegale farlo sul telefono degli altri senza il loro consenso. È una pratica che si sta diffondendo rapidamente tra mariti e mogli gelosi o che sospettano un tradimento.”
 
“Ma allora, se è così, Mancini potrebbe aver registrato tutta la nostra conversazione di poco fa e avere già scoperto il nostro piano,” fa notare Camilla, capendo subito, dagli sguardi preoccupati di Gaetano e di Marchese che è una possibilità concreta.
 
“Sì, ma non è detto che registri tutto o che, anche in quel caso, abbia già ascoltato la registrazione. In ogni caso, la cosa più probabile è che Mancini abbia accesso alle registrazioni o dal suo portatile o da telefono. Dobbiamo avvertire De Matteis di controllare anche questo e ovviamente avvisare subito Sammy di staccare la batteria dal cellulare e di portarmelo qui,” conferma Marchese, con l’aria di chi ha appena inghiottito un rospo.
 
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“Grassetti, Grassetti, proprio lei cercavo, può venire qui?”
 
“Mi dica, dottore,” risponde stupita la ragazza, vedendo il dottore piazzato di fronte al vetro a specchio di una delle sale degli interrogatori. Lancia un’occhiata e nota che è occupata da Mancini e dal padre della Misoglio: si prospetta una lotta tra titani, o tra mostri di simpatia, per usare un eufemismo.
 
“Senta Grassetti, avrei bisogno che lei mi registrasse questo interrogatorio, con discrezione però. Mancini non deve saperne nulla, ci siamo intesi?”
 
“Sì, dottore, ma posso chiederle il perché? Non mi sembra una procedura usuale,” gli fa notare, stupita da tanto mistero.
 
“Sta mettendo in dubbio i miei ordini Grassetti?”
 
“No, certo che no, dottore, ma…”
 
“E allora faccia come le ho chiesto e mi avvisi quando ha pronto il filmato,” taglia corto, incominciando già ad avviarsi verso lo spogliatoio: deve setacciare il cellulare, il computer e l’armadietto di Mancini e non ha molto tempo.
 
“Ai suoi ordini… dottore…” sussurra Grassetti con un velo di sarcasmo, anche se vorrebbe urlargli dietro un paio di paroline irripetibili e che probabilmente le costerebbero il posto. Ma perché doveva andarsi ad innamorare proprio di un tipo così… così… insopportabile, per non dire proprio stronzo.
 
Il cellulare di De Matteis squilla, facendolo fermare sui suoi passi: Berardi. Cosa sarà successo adesso?
 
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“Sì, esatto, mi faccia sapere appena ha finito, noi stiamo cercando di accedere al computer e la terremo aggiornata. A più tardi.”
 
“Cosa dice De Matteis? Qui devo aspettare che il programma per individuare la password di Windows finisca l’analisi, potrebbe volerci ancora un po’. Per fortuna Mancini non è stato paranoico a tal punto da usare l’impronta digitale per proteggere l’accesso al computer, se no sarebbe stato un bel mal di testa,” annuncia Marchese, che nel frattempo sta anche analizzando il primo degli hard disk esterni.
 
“De Matteis ci farà sapere ma è ovviamente preoccupato da cosa succede se non riusciamo ad eliminare un’eventuale registrazione di quello che ci siamo detti oggi. Anche se, guardando al rovescio della medaglia, se davvero esiste un programma spia sul cellulare di Sammy, questa è un’altra prova che abbiamo contro Mancini,” spiega Gaetano con un sospiro, mentre inizia a collegare un altro degli hard disk al vecchio computer di Marchese. Per fortuna non l’aveva buttato ed era ancora funzionante.
 
“Niente, Sammy ha il cellulare staccato e non riesco a contattarla. Magari è già andata in tribunale,” annuncia Camilla, sempre più preoccupata, “voi ricordate il nome dello studio presso il quale fa il praticantato Sammy?”
 
“No, mi dispiace, prof. ma non ne ho idea,” ammette Marchese con un sospiro, “sa, io e Sammy è da poco che siamo tornati in rapporti civili.”
 
“Forse conviene che vada direttamente in tribunale allora: magari qualcuno mi sa dare un’indicazione su dove si trova Sammy.”
 
“Potresti provare prima alla sezione penale e poi se va male nelle due sedi ordinarie… però potresti impiegarci molto tempo Camilla, tempo che non abbiamo. E ci sei più utile qui. Alla fine ora come ora non credo che Sammy possa fare altro di compromettente, se è impegnata in tribunale, e la cosa importante è eliminare la registrazione, se esiste, cosa che possiamo fare o dal computer di Mancini o dal suo cellulare. E magari anche inibire il software spia dal cellulare di Sammy, senza cancellarlo però, se ci serve come prova.”
 
“E quindi cosa proponi di fare?”
 
“Forse conviene che telefoni in tribunale per chiedere se possono avvertirla di chiamarti quando la vedono. E poi avvisare anche a casa di tua madre, nel caso tornasse prima lì.”
 
“Però c’è anche un altro problema: qui abbiamo due computer, a parte quello di Mancini, e servono a me e a lei, dottore. Se la prof. ci dà una mano, ci servirebbe un altro computer…”
 
“Beh, Marchese, se non ne hai un altro a disposizione potrei chiedere a Livietta se mi presta il suo. Così faccio un salto a casa e li allerto di avvisarmi se Sammy dovesse farsi viva.”
 
“Sì, probabilmente è la soluzione migliore. Però, Camilla, Livietta non deve sapere niente di questa storia, ok? Sai com’è fatta e... l’abbiamo già coinvolta abbastanza,” chiarisce Gaetano, preoccupato che la ragazza, curiosa di natura, proprio come la madre, decida di mettersi in mezzo.
 
“Lo so, stai tranquillo,” lo rassicura con un sorriso, toccata dal fatto che Gaetano si preoccupi prima di tutto del benessere di sua figlia, “allora chiamo un taxi...”
 
“No, prendi la mia macchina, Camilla. Tanto io devo stare qui con Marchese e se ci sono problemi posso usare la sua auto, giusto Marchese?”
 
“Certo, dottore.”
 
“Ok, allora grazie,” risponde con un altro sorriso, allungando la mano per afferrare le chiavi che lui ha appena estratto dalla tasca, mentre una nuova scossa elettrica la trapassa da parte a parte quando le loro dita si sfiorano e i loro sguardi, automaticamente, si incrociano. E non può evitare di chiedersi come sia possibile che un contatto così minimo le faccia ancora questo effetto, anche dopo tutto quello che c’è stato tra di loro.
 
“Gaetano… lo so che siete molto impegnati ma… mi accompagneresti un minuto alla macchina?” osa infine chiedergli dopo che erano rimasti ad osservarsi in silenzio per pochi interminabili istanti.
 
“Certo,” annuisce, piacevolmente stupito da questa richiesta, non potendo evitare di sorriderle a sua volta: la verità è che è da quando si erano salutati il giorno prima che non ha fatto altro che pensare a lei, a quei due baci e non ha desiderato altro che poterla rivedere, poter rimanere ancora da solo con lei, “andiamo allora?”
 
Le posa una mano sulla spalla e lei non si sottrae, lasciandosi condurre fino alla porta di ingresso senza bisogno di altre parole.
 
“Non preoccupatevi per me, me la caverò, fate pure con comodo!” proclama sarcastico Marchese all’appartamento vuoto, dopo aver sentito la porta richiudersi, provando una certa benevola invidia nei confronti dei due piccioncini.
 
Tanto ha di che tenersi impegnato in quella che si prospetta essere una lunga attesa.
 
Camilla e Gaetano intanto sono giunti nel più religioso silenzio fino all’auto di lui. Si guardano per qualche secondo, chiaramente esitanti su chi debba fare la prima mossa.
 
“Cami-“
 
“Gaeta-“
 
Pronunciano praticamente all’unisono, scoppiando in un accenno di riso nervoso.
 
“Prima tu…” propone Gaetano, sorridendo ancora.
 
“No tu…” risponde lei, ricambiando il sorriso.
 
“Sei tu che mi hai chiesto di accompagnarti alla macchina, professoressa, quindi presumo che avessi qualcosa da dirmi…” le fa notare con tono ironico, anche se gentile, mentre lei abbassa la testa, evidentemente imbarazzata.
 
“Sì… hai ragione… è che… è complicato, Gaetano,” ammette lei mordendosi il labbro in quel modo infantile e sensuale allo stesso tempo che l’ha sempre fatto impazzire.
 
“Camilla…” sussurra intenerito, allungando una mano per sollevarle il mento e portarla a guardarlo negli occhi, “lo sai che puoi dirmi tutto, vero?”
 
Lei si limita ancora a guardarlo negli occhi per qualche istante, continuando a torturarsi il labbro.
 
“Sì, lo so ma è che… ho paura che non la prenderai bene,” riesce infine a pronunciare, mentre lui, che era ad un passo dall’annullare le distanze tra loro e catturare quel povero labbro tormentato tra le sue labbra, si blocca bruscamente.
 
“È successo qualcosa, Camilla?” le domanda preoccupato, capendo di aver completamente frainteso la situazione e temendo improvvisamente la risposta.
 
Senza volerlo, come in un lampo gli tornano alla mente le parole di Rosetta e, gli tocca ammetterlo, la portinaia non aveva tutti i torti: De Matteis, quando non si veste come un lord inglese dell’ottocento, è oggettivamente un bell’uomo, per non dire proprio “un gran figo”, come l’aveva definito Rosetta.
 
“Sì… mi è arrivata una lettera stamattina a casa di mia madre. Una lettera di Ilenia in cui chiede di incontrarmi da sola. Con la lettera c’era anche un telefono vecchio modello, su cui mi è arrivato un messaggio che dice che ci dobbiamo trovare alle 15 in un ristorante. Credo si tratti del ristorante dove ci fu la famosa manifestazione dei punkabbestia…”
 
“E cosa aspettavi a dirmelo??” sbotta esasperato, mentre il moto di assurda gelosia scompare, lasciando il posto a ben altro genere di preoccupazioni e il mal di testa che lo perseguita da quella mattina, per non dire da giorni, gli peggiora ulteriormente, “e soprattutto cosa aspettavi a dirlo a De Matteis? Perché avresti dovuto dare lettera e telefono a De Matteis non appena vi siete incontrati stamattina! Ti rendi conto che questa potrebbe essere l’unica occasione che abbiamo per prendere Ilenia? E che ormai manca un’ora all’appuntamento?”
 
“Volevo parlarne prima con te, Gaetano, come ti avevo promesso di fare e-“
 
“E hai avuto mille occasioni per farlo, da quando ci siamo trovati in quella specie di giardino degli orrori della famiglia di De Matteis!”
 
“Lo so, ma con tutto quello che è successo me ne sono dimenticata!”
 
“Ma come te ne sei dimenticata?!” domanda lui, incredulo.
 
“Sì, me ne sono dimenticata: tra la sorpresa di trovarmi De Matteis sotto casa, le sue rivelazioni, poi siete arrivati voi, il piano… tutto quanto… mi è completamente passato di mente e me ne sono ricordata soltanto quando questo dannato telefono si è messo a squillare mentre io e Sammy eravamo a casa sua e di Mancini!”
 
“Quindi anche Sammy sa di questo appuntamento?”
 
“Sì, ma le ho detto chiaramente che prima di fare qualsiasi cosa ne avrei parlato con te,” chiarisce Camilla, prendendogli le mani tra le sue come in una promessa solenne, “Gaetano, dopo tutto quello che è successo in questi giorni e dopo tutto quello che ci è successo con quei diamanti, non farei mai nulla che possa mettere in pericolo me o te o le persone che amiamo e non farei mai nulla che possa danneggiarti, danneggiarci. Sei tu la mia priorità.”
 
“Camilla…” sussurra, toccato da quella parole e dalla sincerità che legge nei suoi occhi; tira un respiro profondo per tranquillizzarsi e le stringe più forte le mani, “anche tu sei la mia priorità assoluta, Camilla, tu, Tommy, Livietta e, anche se non ci crederai, pure tua madre. Quindi ti prego, ti prego, adesso porta subito tutto a De Matteis e lascia che sia lui ad occuparsene, ok? Anche se ormai manca poco all’appuntamento e non so cosa potranno fare, però… lascia che sia lui ad occuparsene.”
 
“Tranquillo, vado subito in questura, prima ancora di passare da casa e così magari mi faccio aggiornare da De Matteis su cosa ha scoperto e su quanto tempo abbiamo prima che Mancini torni a casa,” lo rassicura, stringendogli un’ultima volta le mani prima di lasciargliele e di salire in macchina.
 
“Camilla… sii prudente,” si raccomanda ancora, abbassandosi per guardarla attraverso il finestrino.
 
“Anche tu…” gli risponde con un sorriso, prima di decidersi a mettere in moto e a partire, guardandolo nello specchietto retrovisore fino a che diventa un puntolino indistinto.
 
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“Le ripeto per l’ennesima volta che non so dove sia finita quella disgraziata di mia figlia e che, se lo fossi venuto a scoprire, sareste stati i primi a saperlo!”
 
“Veda di moderare i toni, signor Misoglio,” sibila Mancini, frustrato da questo interrogatorio che per ora non ha dato alcun esito.
 
Era già partito male, con Misoglio che si è presentato in ritardo, poi l’uomo era stato a dir poco reticente, rispondendo a monosillabi e negando fino allo sfinimento.
 
E tutti questi proclami di Misoglio contro la figlia, come a volersene lavare le mani, non lo convincevano. Quale padre potrebbe essere tanto indifferente di fronte a quello che era successo a Mauro e a Ilenia Misoglio? Al fatto di avere una figlia latitante, accusata di omicidio plurimo, accusata di avere voluto vendicare la morte di suo fratello?
 
Il modo in cui Misoglio batteva il piede contro il pavimento, quasi come a tenere il tempo, il modo in cui continuava a muoversi sulla sedia, quasi come se fosse seduto su degli spilli, il modo in cui l’aveva beccato a lanciare occhiate all’orologio, come se non vedesse l’ora che l’interrogatorio finisse… sembrava inquieto, ansioso, eppure non cedeva di un millimetro.
 
Forse era ora di cambiare tattica.
 
“Quella disgraziata di sua figlia, come la chiama lei, non è solo una disgraziata, ma è un’assassina senza scrupoli, signor Misoglio. E se lei si ostina a coprirla a non dirci quello che sa, questo è quello che potrebbe succedere a lei o a qualcun altro!” urla, sbattendogli sul tavolo di fronte alla faccia una ad una le foto peggiori dello Scortichini e di Marcio, “è questo che vuole??”
 
“Immagino che questo sia quello che resta del disgraziato che ha ucciso quel vagabondo di mio figlio,” commenta Misoglio, osservando con nonchalance la prima foto, per poi bloccarsi ed apparire sorpreso quando vede la seconda foto.
 
“E… e chi era questo ragazzo? Mia figlia ne ha fatto fuori anche un altro? Non pensavo arrivasse a tanto,” commenta infine, continuando ad osservare la foto.
 
“Era un punkabbestia, il migliore amico di suo figlio,” spiega infine Mancini, completamente spiazzato dalla reazione di Misoglio: freddo, cinico, distaccato, non sembra fare una piega di fronte alle immagini dei due cadaveri.
 
“Quindi un criminale e un barbone, direi che il mondo non ha perso nulla,” commenta Misoglio, sprezzante, spingendo le foto verso Mancini.
 
“Ma potrebbero esserci altre vittime: pensiamo che Ilenia abbia fatto fuori il punkabbestia perché era suo complice, per coprire le sue tracce! La prossima vittima potrebbe essere lei, se la sta aiutando!”
 
“Beh, questo non mi stupirebbe: mia figlia mi odia a morte e se davvero è impazzita completamente come sua madre, potrei essere davvero il prossimo nella sua lista,” ammette Misoglio con un sospiro.
 
“E allora ci aiuti, ci dica dov’è, prima che sia troppo tardi!”
 
“Lo farei, se potessi, ma io non so niente, come glielo devo far capire?! N I E N T E. Parlo arabo?!” sbotta di nuovo Misoglio, alzandosi in piedi, esasperato, “per favore: sono giorni che non sto bene, ho la febbre e un terribile mal di testa. Voglio solo tornarmene a casa mia!”
 
“Si sieda, signor Misoglio: qui le domande le faccio io e lei non può alzarsi o andarsene fino a che non lo decido io, è chiaro?! Quindi se davvero vuole tornare a casa sua, le conviene decidersi a collaborare!” intima Mancini, ormai ad un passo di perdere del tutto la pazienza, “sua figlia è sparita da giorni senza lasciare traccia, è evidente che qualcuno la sta aiutando e mi vorrebbe far credere che lei non c’entra niente? Quando è l’unico parente che le è rimasto qui a Roma?”
 
“Se qualcuno la sta aiutando non sono di certo io! Le dico io a chi deve chiedere, a quella maledetta professoressa, come diavolo si chiama?”
 
“La Baudino?” domanda Mancini, sorpreso.
 
“Sì, esatto, la Baudino. Lei ha sempre coperto ogni cretinata che faceva mia figlia, anzi, la incitava, l’ha perfino convinta a scappare di casa. Se c’è qualcuno su cui dovreste indagare è lei e-“
 
“E la ringrazio per il suggerimento, signor Misoglio, ma sappiamo perfettamente come fare il nostro lavoro e chi controllare e qui stiamo parlando di lei e non della Baudino. E, glielo ripeto, da qui non usciamo finché non mi dice quello che sa!”
 
“Ma non so niente, NIENTE! Possiamo anche rimanere qui finché vuole, ma continuo a non saperne niente e sta solo perdendo tempo!” ribadisce Misoglio, prendendosi la testa fra le mani
 
“Allora perché non mi descrive i suoi movimenti negli ultimi giorni?”
 
“I miei movimenti? Sono stato nel mio laboratorio e a casa mia, come al solito…”
 
“Laboratorio?”
 
“Sì, faccio il falegname. Sono ormai in pensione ma ogni tanto arrotondo ancora con dei lavoretti.”
 
“E c’è qualcuno che può confermare?”
 
“No, vivo da solo in tre stanze sopra al mio laboratorio che sta alla periferia di Roma. Avevo un appartamento una volta ma l’ho venduto… vivendo da solo non mi serviva ed era un costo inutile.”
 
“E non è mai uscito?”
 
“Ma sì, credo di sì… sarò andato al supermercato, come al solito, dal panettiere e poi sono andato in farmacia perché, come le dicevo, è da qualche giorno che non sto bene.”
 
“E non mi sa dire quando di preciso?”
 
“Forse ho ancora qualche scontrino a casa, se no, no. Quando si è anziani e si è soli le giornate diventano tutte uguali e non mi metto a segnare su un’agenda i miei spostamenti: non pensavo di certo di avere bisogno di un alibi!”
 
“Le sue giornate saranno anche tutte uguali in circostanze normali, signor Misoglio, ma sua figlia accusata di omicidio e poi latitante… ammetterà anche lei che le circostanze di queste ultime giornate non sono state esattamente normali, signor Misoglio! E quindi credo che lei ricordi benissimo quello che ha fatto in questi ultimi giorni, in questi ultimi giorni: non un anno fa, ma pochi giorni fa, se solo facesse un minimo sforzo di memoria. Ma lei non lo vuole fare questo sforzo, non è vero, signor Misoglio?”
 
“Ma anche se lo facessi, mi dice che differenza le farebbe sapere a che ora sono andato dal pizzicagnolo o dal farmacista? Non vedo mia figlia da otto anni e non ho la più pallida idea di dove sia, maledizione!! Lo vuole capire che mia figlia mi odia?! Che è più probabile che chieda aiuto al primo che passa per strada piuttosto che a me?!
 
“Ed è proprio per questo che sua figlia potrebbe essere venuta da lei, Misoglio, contando proprio su questo tanto sbandierato odio tra voi due per farla franca! E magari per convincerla ad aiutarla, facendo leva sui suoi sensi di colpa o sulla sua solitudine. Deve essere brutta la solitudine, non è vero, signor Misoglio? Arrivare alla sua età, ritrovarsi vecchio e accorgersi di essere solo, solo come un cane, peggio di un cane!” gli sputa addosso Mancini con un sorriso sprezzante, per poi continuare avvicinandosi sempre di più, fino a soffiargli praticamente in faccia, “com’è accorgersi di essersi fatto terra bruciata intorno, signor Misoglio? Accorgersi di non avere più nessuno? Che le persone a lei più vicine la considerano con odio, con disprezzo. Prima suo figlio che ha preferito vivere sotto i ponti piuttosto che stare sotto il suo stesso tetto, poi sua moglie e sua figlia che se ne sono andate e si sono fatte una nuova vita a Torino, senza volerne più sapere nulla di lei. Sua figlia si è pure laureata, si è realizzata, tutto senza di lei, forse proprio perché era lontano da lei, perché non c’era più un violento ubriacone ad inquinarle la vita. Ed ora ecco che spunta l’occasione, l’occasione perfetta per recuperare, per ritornare nelle grazie di sua figlia, per non essere più solo un povero vecchio patetico, un fallito, un-“
 
Un rantolo strozzato è l’unico suono che esce dalla gola di Mancini perché Misoglio di scatto si alza in piedi e lo afferra per il collo, mozzandogli il respiro.
 
“Maledetto! Maledetto, stia zitto! Zitto!! Lei non sa niente, niente, NIENTE, ha capito? Niente!!” urla Misoglio, completamente fuori di sé, non accennando a mollare la presa, nonostante Mancini cerchi disperatamente di liberarsi.
 
“Signor Misoglio, si fermi, SI FERMI!” urla De Matteis, che aveva assistito all’ultimo pezzo dell’interrogatorio da dietro al vetro con Grassetti, facendo irruzione nella stanza e afferrando Misoglio alle spalle, cercando di allontanarlo da Mancini, colpendolo alle spalle e alle braccia per fargli mollare la presa, ma nulla: l’uomo ha una forza straordinaria nelle braccia e nelle mani che sembra amplificata dalla rabbia furiosa da cui è ormai dominato.
 
De Matteis allunga la mano verso la fondina, deciso ad usare il calcio della pistola per stordire Misoglio ma si accorge con un sussulto di averla lasciata nel suo ufficio. Mancini è ormai cianotico e, preso dalla disperazione, afferra la prima cosa che gli capita a tiro: il bicchiere di plastica ancora pieno d’acqua che Misoglio aveva rifiutato all’inizio dell’interrogatorio e glielo getta in faccia.
 
Non appena il liquido gli bagna il viso, Misoglio molla bruscamente la presa e si sbilancia all’indietro, finendo per cadere a terra, tossendo come se l’acqua gli fosse andata di traverso, portandosi le mani alla gola, gli occhi rossi e fuori dalle orbite, mentre cerca disperatamente di respirare.
 
“Sta bene, Mancini?” chiede De Matteis mentre l’ispettore tira dei forti respiri e annuisce, cominciando a riprendere colore, nonostante la tinta bluastra.
 
Lo stesso non si può dire per Misoglio che continua a rantolare e ad ansimare, scosso da tremori, il viso ormai paonazzo.
 
“Signor Misoglio, signor Misoglio, cerchi di respirare!” lo esorta De Matteis, inginocchiandosi accanto all’uomo e dandogli due colpi alla schiena. Prova poi ad allungare la mano per slacciargli il colletto della camicia, ma l’uomo si sottrae alla presa.

“No, mi lasci, lasciatemi, lasciatemi stare!” urla, guardandolo come terrorizzato, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime e i tremori si fanno sempre più forti, “andatevene, andatevene via!”
 
“Signor Misoglio si calmi: qui nessuno vuole farle del male. Cerchi di respirare e si calmi, per favore,” lo rassicura De Matteis, riuscendo infine a passargli un braccio intorno alle spalle per trattenerlo e a slacciargli il colletto con la mano libera.
 
“Ma quest’uomo scotta, ha la febbre alta!” nota immediatamente, sentendo la pelle del collo dell’uomo bruciargli sotto le dita e lanciando un’occhiata eloquente a Mancini.
 
“Ho provato… a dirlo… al suo agente… sono giorni… che ho… la febbre,” boccheggia Misoglio, mentre ogni respiro sembra costargli una fatica immane, anche se ha smesso di tremare e sembra essersi un po’ tranquillizzato.
 
“Ma è andato a farsi visitare da un medico?” domanda De Matteis, leggermente sollevato dal fatto che l’uomo non sembri in immediato pericolo di vita.
 
“No, no, ma… è la mia solita… la mia solita asma… ho la bronchite cronica che ogni tanto si… si acutizza… sa, tanti anni passati… passati a respirare la polvere di legno e…”

“Ok, non parli e non si sforzi,” lo esorta, guardandosi intorno e vedendo Grassetti e Lorenzi che sono entrati nella stanza e assistono alla scena con espressioni tra il sorpreso e l’inorridito.
 
“Senta, adesso la aiutiamo a tirarsi in piedi e poi uno dei miei agenti la accompagnerà al pronto soccorso a farsi visitare,” propone De Matteis ma immediatamente Misoglio riprende ad agitarsi.
 
“No, l’ospedale no, per favore!”
 
“D’accordo, stia tranquillo, allora la faccio accompagnare dal suo medico, che ne dice?” suggerisce con tono più calmo e conciliante possibile, preoccupato che l’uomo possa avere un’altra crisi.
 
“No, no, sto già meglio e voglio solo andarmene a casa mia, prendere le mie medicine e starmene a letto. Per favore,” implora con un tono che sembra agli antipodi rispetto all’uomo aggressivo e dalla forza quasi sovrumana che aveva quasi strangolato Mancini. Misoglio dimostra improvvisamente ben più dei suoi anni.
 
“Va bene… Lorenzi, mi dai una mano e poi accompagni il signor Misoglio a casa?” domanda, mentre l’agente annuisce e si avvicina aiutandolo a sollevare l’uomo che è quasi a peso morto.
 
“Adesso l’agente Lorenzi la riporterà a casa, va bene? Vuole qualcosa nel frattempo? Magari un bicchier d’acqua?” offre, indicando la bottiglietta di plastica ancora piena per metà sul tavolo.
 
“No, no, l’acqua no!” protesta in quello che è quasi un urlo, ricominciando ad agitarsi.
 
“D’accordo, niente acqua, tranquillo signor Misoglio. Riesce a camminare?” gli chiede e, quando l’uomo annuisce, lo affida a Lorenzi che lo porta a fatica fuori dalla stanza.
 
“Ma quindi lo lascia andare così?! Ma è impazzito?!” esclama Mancini, con la voce ancora roca, continuando a massaggiarsi il collo, “ma si rende conto che ha cercato di uccidermi?! E lei lo lascia andare, lo fa addirittura accompagnare?! Bisognava arrestarlo!”
 
“Mancini, moderi i toni e si ricordi che sono un suo superiore!” sibila De Matteis, furioso per il tono di Mancini e per il fatto che si permetta di parargli così di fronte anche a Grassetti, “mi dispiace per quello che le è successo e se vuole la accompagno personalmente al pronto soccorso a farsi visitare ma, prima di tutto, se il Misoglio sa qualcosa, cosa di cui a questo punto dubito sinceramente, ci è più utile fuori che dentro. E, in secondo luogo, come le è saltato in mente di accanirsi in questo modo su un vecchio malato?! Si rende conto di cosa poteva succedere a lei, a me e a tutta la nostra squadra se fosse successo qualcosa di grave o, peggio, di irreparabile al signor Misoglio mentre era sotto interrogatorio?”
 
“Vecchio malato? Vecchio malato?! Quello è l’Incredibile Hulk, altro che vecchio malato!”
 
“Mancini, forse non mi ha capito: il signor Misoglio sarà anche l’Incredibile Hulk, ma se gli fosse successo qualcosa, per tutta l’opinione pubblica sarebbe stato un povero vecchio malato cronico e noi gli aguzzini che si sono accaniti su un povero vecchio malato cronico. Mi capisce Mancini? E cosa pensa che ne sarebbe stato della nostra carriera?”
 
“Sì, sì, ha ragione dottore,” ammette Mancini con un sospiro, massaggiandosi ancora il collo.
 
“Bene. Vuole andare a farsi visitare?”
 
“No, non è necessario dottore.”
 
“Benissimo. Allora cominci ad avviarsi in macchina: andiamo insieme dal medico legale a prendere i risultati dell’autopsia del cadavere che ipotizziamo essere del signor Giuliani.”
 
“Sì, dottore,” annuisce Mancini, recuperando il tono ossequioso e uscendo dalla stanza degli interrogatori.
 
“Grassetti, mi serve il filmato,” ordina alla ragazza, non appena è sicuro che Mancini sia lontano.
 
“Sì, dottore,” sospira, raggiungendo insieme a lui l’apparecchiatura per le riprese, “quante copie gliene servono?”
 
“Solo una e, mi raccomando, non una parola con Mancini o con nessun altro, ok?”
 
“Sì, dottore,” annuisce, facendo come le ha chiesto ed estraendo un dvd con il filmato, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “dottore, mi scusi, ma se mi posso permettere-“
 
“Grassetti, per favore, sono di fretta, ho appuntamento tra poco col medico legale e Mancini mi aspetta in macchina,” la interrompe De Matteis, non volendo lasciare Mancini da solo per troppo tempo: non vuole certo che l’ispettore si accorga che un certo filmato è misteriosamente scomparso dal suo cellulare.
 
“D’accordo dottore, mi scusi,” replica la ragazza a bassa voce porgendogli il disco.
 
“Perfetto. Grassetti, adesso vada al municipio Roma IX, sotto cui ricade la zona di Spinaceto, e dica a Lorenzi di raggiungerla lì quando ha finito con il signor Misoglio. Bisogna sollecitare gli impiegati, dia loro una mano nelle ricerche se necessario. Voglio qualsiasi documento, foto, qualsiasi cosa riguardi il signor Giuliani, ok?”
 
“D’accordo, dottore, posso andare?” gli domanda, sempre a bassa voce, guardandolo però negli occhi.
 
“Certo, può andare…” conferma De Matteis, avviandosi a sua volta a passo spedito verso l’ingresso.
 
Grassetti lo osserva allontanarsi ancora per qualche istante, scuotendo il capo. Avrebbe voluto chiedergli se aveva filmato l’interrogatorio di proposito, temendo che la situazione sarebbe degenerata, e perché non aveva fermato Mancini, quando era evidente che stava portando il signor Misoglio all’esasperazione inutilmente.
 
Ma De Matteis come sempre non l’aveva nemmeno considerata. Lei è solo uno dei suoi tanti soldatini, che deve limitarsi ad eseguire gli ordini senza fiatare.
 
Ma lei non è fatta di piombo e Mancini in quella sala degli interrogatori era riuscito a fare qualcosa che mai avrebbe ritenuto possibile: era riuscito a farle provare pietà e compassione persino per una feccia umana come il signor Misoglio.
 
Quasi meccanicamente estrae il cellulare dalla tasca, cerca un numero salvato in rubrica e si decide infine a comporlo dopo aver esitato per quasi due giorni.
 
“Dottor Berardi? Sono Grassetti, ho bisogno di parlarle: ho deciso di aiutarla.”
 
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“Cercavo il dottor De Matteis…”
 
“Ha un appuntamento?” le domanda con voce annoiata la giovane agente alla reception.
 
“No, però è una cosa urgente e lui mi conosce. Sono la professoressa Baudino, può dirgli che lo sto cercando?”
 
“Aspetti un istante…” risponde la ragazza, prendendo la cornetta e componendo un numero interno.
 
“Mi dispiace, ma a quanto pare il dottore è uscito da poco e non so tra quanto tornerà. Se vuole può aspettarlo in sala d’attesa, ma potrebbe volerci un po’.”
 
“Non si preoccupi, vorrà dire che lo chiamerò sul cellulare, la ringrazio.”
 
Si allontana con un sospiro e compone il numero: niente, non raggiungibile. Ma cosa avranno tutti quanti oggi con questi maledetti cellulari? Gli manda un sms, chiedendogli di richiamarla appena possibile. Lo sta inviando quando sente il suo stomaco brontolare e si rende conto che è dalla colazione che non mette nulla sotto ai denti.
 
Decide di fare un salto al bar vicino alla questura per ingannare l’attesa e di provare di nuovo a chiamare a casa di sua madre per sapere se Sammy è tornata, ma non risponde ancora nessuno. Mentre attende la sua ordinazione inizia quindi a fare questo benedetto giro di telefonate tra i tribunali, ma anche lì viene rimbalzata da vari “non so” e “non possiamo fornirle queste informazioni.”
 
L’occhio le cade sull’orologio: ormai mancano cinque minuti alle 15 e non faranno mai in tempo ad arrivare all’appuntamento. Sa che l’unica opportunità che avevano di ritrovare Ilenia le sta sfuggendo tra le dita e non sa se sentirsi più triste o più sollevata.
 
Presa da un impulso, afferra un tovagliolino di carta per prendere la busta dalla borsa senza lasciare impronte, decisa a controllare di nuovo il cellulare, sperando che magari Ilenia le invii un altro messaggio o che ci sia qualche numero in rubrica da chiamare o a cui mandare un messaggio.
 
Ma, come estrae la busta, sente un tuffo al cuore, mentre il suo istinto le dice che qualcosa non va: la busta è troppo leggera.
 
Con mano tremante la apre e conferma la sua intuizione: del cellulare non c’è più traccia.
 
Apre la borsa e ne controlla di nuovo il contenuto, lo rovescia perfino sul tavolo, incurante degli sguardi degli altri avventori ma niente, il cellulare non c’è.
 
Sammy! – si maledice, dandosi dell’idiota, capendo che la ragazza deve averle preso il cellulare a casa di Mancini, mentre era impegnata nelle ricerche.
 
Altro che tribunale: come aveva fatto a non capirlo?!
 
Con il cuore in gola compone di nuovo il numero di Sammy: è ancora staccato, maledizione, maledizione!
 
“Sammy, se senti questo messaggio chiamami immediatamente, per favore! Chiamami e non fare sciocchezze!” è il messaggio che le lascia in segreteria e poi le invia per sms, pregando che la ragazza lo senta o lo legga in qualche modo.
 
Quasi automaticamente compone poi il numero di Gaetano, mentre l’occhio le cade di nuovo sulla lettera che ha estratto dalla busta. Uno, due, tre, quattro squilli che le sembrano interminabili.
 
“Camilla, che succede ci sono novità?” le chiede una voce familiare e preoccupata al telefono che però la fa sentire immediatamente più leggera.
 
“Grazie al cielo, Gaetano! Sì, sì, ci sono novità: Sammy mi ha preso il cellulare, quello che mi ha mandato Ilenia, e deve essere andata all’appuntamento al posto mio, Gaetano!” spiega tutto d’un fiato, mentre lo sguardo continua a scorrere sulle righe di quella lettera maledetta.
 
“COSA?? Ma hai avvertito De Matteis?”
 
“De Matteis non è in questura e ha il cellulare staccato e non ho idea di come trovarlo…” risponde, mentre sente il cuore galopparle nel petto e un gusto metallico in bocca, quello del suo istinto che le dice che Sammy è in un enorme pericolo, ma perché, perché tutta quest’ansia?
 
Pensa davvero che Ilenia le farebbe del male, che sia un’assassina?
 
Ed è in quel momento, mentre Gaetano pronuncia parole che lei non sente, non distingue più, che la risposta le si presenta letteralmente davanti agli occhi, scritta nero su bianco.
 
“Non è Ilenia, Gaetano, non è Ilenia!” grida nella cornetta, interrompendo quel miscuglio indistinto di parole che non riusciva a decifrare.
 
“Cosa? Cosa stai dicendo Camilla?” le domanda, stupito e spaventato dal tono di lei.
 
“Non è Ilenia, Gaetano, questa lettera non l’ha scritta Ilenia!” chiarisce, chiedendosi come abbia fatto a non notarlo prima.
 
Il tono, il lei, il modo di indirizzarsi a lei e a Gaetano come “il suo compagno”: è tutto troppo diverso dalla lettera precedente, in cui dava loro del tu e li chiamava per nome con familiarità e con affetto. E poi la lettera precedente era scritta a mano mentre questa al computer, nonostante fosse una fuggitiva e procurarsi un computer su cui scrivere non fosse certo facile per lei. Perché?
 
Perché a scriverla non è stata Ilenia e chiunque fosse stato, non poteva riprodurne la scrittura.
 
Con il cuore che le rimbomba nelle orecchie si affretta a spiegare tutto a Gaetano.
 
“Sei sicura?” è la sua domanda, che giunge dopo un attimo di silenzio.
 
“Sì, sì, sono sicura, Sammy è in pericolo!”
 
“Su questo sono d’accordo con te, anche se si trattasse di Ilenia… quando era questo appuntamento, Camilla, che ore sono?”
 
“Sono le 15.10,” realizza Camilla con un sussulto, guardando l’orologio, “e l’appuntamento era alle 15. Che facciamo Gaetano? Maledizione, dobbiamo fare qualcosa!”
 
“Senti, ti ricordi il nome di questo dannato ristorante? Ci andiamo io e Marchese, di corsa: è chiaro che l’incolumità di Sammy ha la priorità su tutto. Tu intanto prova ancora a rintracciare De Matteis, ok, e avvertilo non appena lo trovi, spiegagli cosa sta succedendo e che ci raggiunga,” risponde Gaetano con quel tono deciso e rassicurante che lei gli ha sentito usare ogni volta che si prospettava un’emergenza, prima di entrare in azione.
 
“Gaetano, mi sembra che il nome del ristorante fosse ‘Biondo Tevere’… era sul Tevere appunto, sull'Ostiense, dopo l’EUR, zona di Vitinia, ma è fuori Roma e praticamente dalla parte opposta della città rispetto a dove siete voi. Ci mettereste troppo tempo ad arrivarci, io sono molto più vicina e-“
 
“Eh, no, Camilla, non se ne parla: tu quel ristorante non lo devi vedere nemmeno col binocolo! Sia che sia come dici tu e non si tratti di Ilenia, sia che si tratti di lei, l’obiettivo di questa lettera e di questo messaggio sei tu, è te che vogliono, e devi starne alla larga! Non ti è bastata la storia dei diamanti?” intima Gaetano, con un tono tra l’implorante e l’arrabbiato che la fa sentire tremendamente in colpa.
 
“Lo so, lo so, hai ragione e stai tranquillo: se non sono andata a quell’appuntamento e te ne ho parlato è proprio perché non volevo correre rischi inutili e non ho intenzione di correrli adesso. Che cosa ne dici se io provo a cercare il numero del ristorante e a chiamare e chiedere informazioni mentre tu e Marchese cominciate ad avviarvi? Se è successo qualcosa qualcuno l’avrà notato, no?” gli propone cercando di tranquillizzarlo e di fargli capire quanto è sincera.
 
“D’accordo, chiamami appena hai notizie. Anzi, chiamami anche se non hai notizie, ok?” la prega di nuovo mentre dai rumori di sottofondo, Camilla capisce che lui e Marchese sono già in strada.
 
“Ok, anche tu…” gli risponde per poi aggiungere, dopo un attimo di pausa, “e stai attento, per favore.”
 
“Tranquilla, professoressa, non ti libererai facilmente di me,” ribatte in un modo affettuoso e ironico che le fa male al cuore prima di interrompere la comunicazione.
 
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“Cosa abbiamo qui?”
 
“La vittima è di sesso maschile, caucasico, dallo stato di ossa, tendini e legamenti e dalla curvatura dello scheletro sicuramente oltre i 70 anni di età. Il cadavere è in avanzato stato di decomposizione, nonostante il sacchetto di plastica in cui era richiuso debba avere ritardato il processo. Non mi è facile quindi stabilire una data di morte precisa, ma certamente risale a più di sei mesi fa e onestamente ipotizzerei anche oltre l’anno. Da quello che vedo sembrava in buona salute per la sua età: aveva ancora praticamente tutti i suoi denti, anche se un po’ consumati, e, da quello che rimane degli organi, non emergono segni di particolari patologie, solo una vecchia frattura a due costole. La causa della morte è un colpo netto inferto alla base del cranio, come si vede da questa frattura. La morte deve essere stata praticamente istantanea. Dal tipo di frattura, il colpo sembra essere stato inferto con un oggetto affilato e utilizzato di taglio, con un’angolazione dal basso verso l’alto e con una certa forza.”
 
“Quindi l’assassino potrebbe essere più basso della vittima?” domanda De Matteis, ricordando benissimo che Ilenia Misoglio è decisamente bassa di statura, tra un metro e cinquanta e un metro e sessanta, mentre Marcio era oltre il metro e ottanta.
 
“Sì, potrebbe essere, come potrebbe essere che, per qualche motivo, la vittima si trovasse in posizione rialzata rispetto all’assassino. Come già detto, lo scheletro della vittima è incurvato per via dell’età ma in posizione eretta risultava comunque alto circa un metro e settantacinque.”
 
“E l’oggetto usato? Qualche indicazione?”
 
“Dato il tipo di frattura, il colpo potrebbe essere stato inferto con una pala, un’ascia…”

“Quindi dobbiamo fare analizzare gli attrezzi rinvenuti nel cascinale,” conclude De Matteis, mentre Mancini annuisce e continua ad annotare, “c’è altro?”
 
“No, direi di no, dottore.”
 
“Immagino che le impronte della vittima non siano più identificabili, giusto?”
 
“No, purtroppo la decomposizione era troppo avanzata. Ma abbiamo provveduto a prelevare il DNA della vittima e verrà inserito nel sistema.”
 
“Perfetto, grazie mille, dottore,” si congeda De Matteis, uscendo dai sotterranei dove si trovava l’obitorio e tornando in strada. Il suo cellulare inizia a squillare, segnalando parecchie chiamate perse e un messaggio: purtroppo nella “cripta” i telefoni non prendono. Sta per aprirlo quando arriva una telefonata.
 
“Pronto? Grassetti? Mi dica…” risponde, mentre sale in macchina, Mancini al posto di guida.
 
“Sono in municipio, dottore, gli impiegati mi hanno appena consegnato copia degli ultimi documenti del signor Giuliani: una carta d’identità risalente a vent’anni fa. C’è anche la foto tessera… qui vicino c’è un laboratorio di stampa fotografica, vado a farmene fare un duplicato?”
 
“Sì, Grassetti, buona idea, anzi, ne faccia anche più di uno, diciamo pure una decina. Altri documenti?”
 
“Nulla che ci possa essere utile, dottore.”
 
“Grassetti, che altezza è indicata sulla carta di identità?”
 
“Un metro e ottanta, dottore…”

“La nostra vittima non identificata arriva al metro e settantacinque ma è incurvata per l’età. Una perdita di cinque centimetri in vent’anni credo possa essere fisiologica, considerata anche la tendenza ad arrotondare l’altezza per eccesso sui documenti,” ragiona ad alta voce, tenendosi alla portiera mentre Mancini prende una curva in modo un po’ troppo sportivo, “segni particolari?”
 
“No, apparentemente nessuno.”
 
“Senta, Grassetti, visto che è in zona, provi a contattare l’ex medico di base del signor Giuliani e a fargli visita. Si informi se il signor Giuliani avesse subito una frattura alle costole in passato e se avesse ancora tutti i suoi denti. Anche se, data l’assenza di visite dentistiche, presumo sia così. E gli chieda se ha tra i suoi archivi qualche informazione aggiuntiva sul signor Giuliani, che magari non ha passato al medico che l’ha sostituito. È improbabile ma conviene fare un tentativo.”
 
“D’accordo dottore, c’è altro?”
 
“No, non c’è altro, mi tenga informato,” conclude affrettandosi a chiudere la chiamata prima di venire assordato dai continui trilli che gli annunciano ulteriori messaggi in arrivo.
 
Una sfilza di chiamate perse – Baudino e Berardi – e un messaggio della Baudino in cui lo prega di richiamarla subito. Qualcosa di fantascientifico fino a poche ore prima, ma immagina che non si tratti di una chiamata di cortesia.
 
Prova a richiamarla, lanciando un’occhiata in tralice a Mancini e preparandosi a parlare in codice ma la professoressa ha il telefono occupato.
 
Non che la cosa lo stupisca: nulla è mai semplice o senza complicazioni quando c’è di mezzo Camilla Baudino.
 
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“Allora, com’era? Zero, sei, tre, sei, sette, sette, sei, sette!”
 
“Ristorante Biondo Tevere,” le risponde una voce familiare dopo qualche istante, confermandole che il numero è giusto e che se lo ricorda ancora dopo oltre otto anni. E soprattutto, che si ricorda ancora a memoria dopo oltre otto anni il vecchio numero di Gaetano a Roma. Non sa se sia più romantico, più patetico o più inquietante.
 
“Buongiorno, mi scusi se la disturbo ma avrei bisogni di un’informazione…”
 
“Se deve prenotare, la cena parte dalle ore 19.30,” spiega meccanicamente l’uomo.
 
“No, no, non devo prenotare. È che verso le 15 dovrebbe essere passata di lì una ragazza, Sammy Lo Bue, capelli mossi, biondo scuro, occhi castani, sul metro e sessanta, quasi metro e settanta con i tacchi, aveva una giacca leggera e una gonna grigio chiaro, camicia bianca. L’ha vista? Perché la sto cercando e ho bisogno di parlarle urgentemente.”
 
“Sì, sì, certo che l’ho vista ma è anche già andata via…”
 
“È già andata via? Ma era da sola o con qualcuno?”
 
“Ma perché le interessa? Chi è lei, mi scusi?” domanda con tono improvvisamente sospettoso.
 
“Sono un’amica di Sammy e sono preoccupata per lei perché so che aveva appuntamento con una persona poco raccomandabile e temo sia in pericolo. Ha il cellulare staccato e non riesco a raggiungerla. La prego, mi deve aiutare, è una questione di vita o di morte: tra poco arriveranno da lei due poliziotti e le chiariranno meglio la situazione e le faranno ulteriori domande ma ogni minuto è prezioso.”
 
“Quindi lei è della polizia?” chiede, passando dal sospettoso al tono spaventato di chi prevede grane.
 
“Diciamo che… diciamo che collaboro con la polizia. Per favore, mi dica con chi era Sammy e cosa ha fatto nel suo ristorante. Non l’avrei disturbata se non fosse davvero importante.”
 
“D’accordo, d’accordo, ma credo che stiate prendendo un granchio perché non è successo niente di che. La ragazza era da sola e non ha incontrato nessuno. È venuta qui, la cucina era già chiusa quindi non c’era nessun altro in giro, e mi ha chiesto se avessi ritrovato una giacca di jeans, dicendo di essere convinta di averla persa nel mio ristorante. Me l’ha descritta e in effetti ieri avevo ritrovato proprio una giacca simile nel guardaroba. Le dirò, mi è sembrato un po’ strano perché la giacca sembrava un vecchio modello e adatta ad un’adolescente e non certo a una tipa elegante come la sua amica, oltretutto sembrava un XL mentre la sua amica avrà una XS. Comunque, visto che mi aveva dato la descrizione e che il suo viso mi sembrava famigliare, gliel’ho restituita.”
 
“E poi Sammy cos’ha fatto con la giacca?”
 
“Ma niente: ha guardato nelle tasche, ha estratto un foglietto, l’ha letto e se ne è andata esattamente com’è venuta. Fine, tutto regolare.”
 
“Un foglietto? E lei non è che mi saprebbe dire cosa c’era scritto su questo foglietto, vero?” domanda Camilla con tono di chi conosce già la risposta.
 
“Signora… sa… io tutelo la privacy dei miei clienti e-“
 
“Sì, ma mettendomi nei suoi panni, signor Peppone, se io trovassi una giacca nel mio locale, da persona scrupolosa come sono sicura che è lei, mi metterei a cercare nelle tasche per controllare se magari ci sono dei documenti o indicazioni su come rintracciarne il proprietario. E magari che non ci siano oggetti di valore o oggetti pericolosi… con i tempi che corrono…”
 
“Sì, è vero, ha ragione… sa, qualche anno fa ho avuto un mal di testa tremendo per via di uno scambio di due loden tra due clienti e da allora controllo sempre ogni oggetto smarrito. Nelle tasche c’era solo un biglietto del luna park, sembrava per una casa stregata, un tunnel dell’orrore, qualcosa del genere. E c’era un appunto scarabocchiato a penna, un orario, ma sinceramente non mi ricordo che orario fosse di preciso.”
 
“E si ricorda qual era il luna park?” gli domanda mentre il cuore ricomincia a batterle all’impazzata, dopo che le parole dell’uomo l’avevano per un attimo tranquillizzata. Non è ancora finita.
 
“No, mi dispiace, ma quando ho visto che non era niente di valore, di pericoloso o di utile a rintracciare il proprietario, ho rimesso il biglietto a posto e non sono stato a leggerlo con attenzione…”

“Capisco, la ringrazio molto, mi è stato comunque utilissimo,” lo saluta, chiudendo rapidamente la chiamata.
 
Sta per comporre il numero di Gaetano quando le arriva un sms.
 
Ho letto il suo messaggio. Sono in auto con Mancini, se ha bisogno mi richiami. PDM
 
PDM? – in altre circostanze la formalità di De Matteis le avrebbe strappato un sorriso. In altre circostanze ma non ora.
 
Segue il suo istinto e compone un numero a lei ben più familiare.
 
“Camilla, ci sono novità?”
 
“Gaetano, sì, ci sono novità. Sammy ha ritirato una giacca di jeans da quel ristorante, dev’essere stata un’istruzione arrivatale per sms. Nella giacca a quanto pare c’era un biglietto di un tunnel dell’orrore, una casa stregata, con un orario. Insomma, Sammy e l’autore della lettera hanno appuntamento in un Luna Park.”
 
“In un Luna Park? Camilla, ti rendi conto di quanti Luna Park e giostre itineranti ci sono in giro adesso tra Roma e i dintorni? Siamo in piena estate!” le ricorda con un tono concitato che le fa capire ancora di più quanto la situazione sia disperata.
 
“Lo so, Gaetano, lo so. Quantomeno possiamo escludere il Rainbow: lì c’è il biglietto di ingresso e non per le singole attrazioni…. Come possiamo fare a trovarla? Non so, si può rintracciarle in qualche modo il telefono?”
 
“Non se è spento, Camilla, ma… cosa dici Marchese? Giusto, hai ragione, è un’ottima idea! Camilla, ti metto in vivavoce.”
 
“Prof., sono Marchese, se, come pensiamo, Sammy ha un programma spia sul cellulare, il suo telefono potrebbe risultare solo apparentemente spento, ma in realtà essere in standby e quindi essere rintracciabile sia dalla centrale, sia anche e soprattutto da Mancini, se ha il controllo del cellulare di Sammy da remoto. Non solo, ma potrebbe anche essere in grado di sentire cosa Sammy sta facendo!”
 
“Ma allora bisogna avvertire subito De Matteis che è in macchina con Mancini. Mi ha appena mandato un sms ma non l’ho ancora richiamato. Potete farlo voi? Io ho solo un telefono e non posso stare al telefono con lui e con voi in contemporanea.”
 
“Certo prof., posso chiamarlo subito. Ma se Mancini si rifiuta di collaborare perché non vuole ammettere del software spia che si fa?”
 
“In quel caso, Marchese, giuro che, a costo di finire in galera, lo spedisco a cantare nelle voci bianche,” replica Camilla con un tono che fa rabbrividire i due uomini.
 
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“Che cosa?? Ho capito, ho capito, resti in linea Berardi.”
 
“Berardi? Perché la chiama al cellulare? Ha ricevuto la convocazione dal questore?” domanda Mancini sorpreso, lanciandogli un’occhiata prima di svoltare ad un incrocio.
 
“No, Mancini, si tratta di un’emergenza e riguarda sua moglie.”
 
“Sammy? Cos’è successo a Sammy?”
 
“A quanto pare la professoressa Baudino ha ricevuto un… diciamo un invito da parte della Misoglio a recarsi ad un appuntamento. È venuta in questura per riferircelo ma non ci ha trovati. In compenso sua moglie, che era con lei, ha deciso di fare di testa sua, le ha sottratto il telefono tramite il quale la Baudino doveva ricevere indicazioni su luogo e ora dell’appuntamento e ci è andata da sola. Per farla breve, la Baudino e Berardi hanno scoperto che sua moglie si sta recando in un luna park ma non hanno idea di quale sia di preciso e il tempo stringe. Hanno provato in tutti i modi a contattare sua moglie ma ha il cellulare staccato.”
 
“Che cosa?” sussurra, mentre il viso perde ogni colore e le mani gli tremano sul volante al punto tale che accosta e ferma la macchina.
 
“Non è tutto, secondo la Baudino, l’autore della lettera non sarebbe la Misoglio ma qualcun altro. Ora, non so se la Baudino abbia ragione o meno ma credo di poter affermare con certezza che sua moglie sta per incontrarsi con un o una pluriomicida e non abbiamo alcun modo di rintracciarla.”
 
“Maledizione, maledizione, lo sapevo, lo sapevo che Sammy non doveva frequentare quella pazza incosciente! Ci ha portato solo guai! Maledizione!” urla, tirando un pugno sul volante per la rabbia e la disperazione.
 
“Mancini, se non fosse per quella pazza incosciente, non sapremmo nemmeno che sua moglie si trova in pericolo e non avremmo alcun indizio su dove cercarla!” replica De Matteis con tono deciso e tagliente, “e ora non è il momento di perdere tempo a farci la guerra tra noi ma dobbiamo concentrarci solo su come fare a ritrovare sua moglie prima che sia troppo tardi. Chiaro?!”
 
“Sì, sì, ha ragione, dobbiamo trovarla, dobbiamo trovarla,” ripete quasi come in un mantra, chiaramente in panico, per poi fermarsi di botto ed esclamare, “ma certo! Posso scoprire dove si trova!”
 
“E come, se ha il cellulare spento?” gli domanda De Matteis, anche se intuisce già la risposta, vedendo Mancini estrarre il suo telefono dalla tasca e iniziare a smanettare come un forsennato.
 
“Ecco, è in zona EUR, sulla Via Ostiense,  sta andando in direzione del centro città!” proclama, mostrando a De Matteis un puntolino rosso che si muove su una mappa. Basta uno sguardo di De Matteis, non servono parole.
 
“Lo so, lo so che non si potrebbe dottore, ma… sospettavo che mia moglie mi tradisse con Marchese e-“
 
“E così ha deciso di spiarla… senta, Mancini, adesso la priorità è raggiungere sua moglie, ma spero si renda conto delle conseguenze di quello che ha fatto,” sibila De Matteis, scuotendo il capo, “e mi dica, non è che ha modo di chiamarla, anche se lei pensa di avere il cellulare spento?”
 
“No, no, ma posso sentire cosa succede intorno a lei, se è a portata di microfono,” ammette con il tono di chi sa benissimo di starsi scavando la fossa da solo ma a cui allo stesso tempo non importa più.
 
“E allora provi a collegarsi e io intanto riferisco a Berardi e Marchese,” ordina, prima di riprendere la cornetta in mano, “Berardi, la metto in vivavoce, sono con l’ispettore Mancini che mi ha appena riferito che sua moglie si trova sulla Ostiense, sta tornando verso il centro città. Possiamo tenere d’occhio i suoi spostamenti e ci avviciniamo alla zona.”
 
“Sì, dottore, se ci da indicazioni precise la raggiungiamo: anche io sono in auto con l’agente Marchese e ho al telefono anche Camilla, la professoressa Baudino, che è a sua volta in vivavoce e ci sta ascoltando. Mi conferma che Sammy è sull’Ostiense?”
 
“Sammy è appena uscita dalla Ostiense,” proclama Mancini, seguendo il percorso sul cellulare mentre avvia il motore, “è su Viale Egeo…”
 
“Da quelle parti non c’è un vecchio luna park ormai chiuso da anni?” domanda Camilla, ricordando benissimo alcune cene di fine anno con gli studenti, un paio di visite con Livietta piccolissima, prima che lo chiudessero, e perfino qualche uscita con Renzo ai tempi del loro fidanzamento, quando la voglia di trascorrere qualche ora da soli in santa pace senza l’occhio vigile del generale Baudino e della generalessa Andreina erano riusciti a vincere perfino l’avversione di Renzo verso i luna park e i luoghi troppo affollati in genere. Ed era uno dei posti preferiti dai suoi compagni di scuola ai tempi del liceo quando volevano marinare la scuola, ma lei era sempre stata una studentessa troppo coscienziosa per farlo, almeno fino a un paio di anni fa.
 
“Sì, è vero, ha ragione, e credo si stia dirigendo proprio lì,” conferma De Matteis, che ha preso il cellulare a Mancini prima di provocare un incidente, guardando il puntolino che si muove sulla mappa e ricordando con orrore quando suo fratello lo aveva costretto ad accompagnarlo in mezzo a quella specie di bolgia umana per fare colpo su una ragazza con il classico metodo del fratellino tenero.
 
Ma il fratellone aveva fatto male i conti, perché lui si era rivelato tutt’altro che un fratellino tenero e la malcapitata se l’era svignata a metà appuntamento. Poi suo fratello gliel’aveva fatta pagare per settimane a casa, ma almeno non aveva più insistito per trascinarlo in un posto simile e non l’aveva più usato come esca per povere fanciulle indifese.
 
“Noi siamo ancora lontani, ci metteremo quaranta minuti almeno ad arrivare,” annuncia Gaetano, già impegnato con Marchese a circumnavigare gli ingorghi di traffico.
 
“Noi ci metteremo mezz’ora, credo, forse meno, se siamo fortunati,” risponde De Matteis, attivando la sirena, mentre Mancini pigia ancora di più sull’acceleratore.
 
“Io sono più vicina, un quarto d’ora e dovrei essere lì,” dice Camilla, calcolando mentalmente le distanze, mollando sul tavolino del bar l’importo necessario per pagare il panino che non ha toccato e dirigendosi alla macchina.
 
“NON SE NE PARLA NEMMENO!” urlano praticamente all’unisono Gaetano e De Matteis, tanto che deve allontanare la cornetta dall’orecchio prima di venire assordata.
 
“Camilla, per favore, stai lontana da quel luna park,” intima Gaetano con quel tono che ormai riconosce benissimo e che è un misto tra una minaccia e una preghiera.
 
“Berardi ha ragione, professoressa: si azzardi anche solo ad avvicinarsi a quel posto e giuro che l’arresto personalmente e non sto scherzando,” aggiunge a sua vola De Matteis, con un tono che invece è una minaccia e basta.
 
“D’accordo, d’accordo, ho capito!” li rassicura, esasperata, “ascoltate, vi prometto che non ho alcuna intenzione di entrare in quel luna park, ma sono la persona più vicina e magari riesco ad intercettare Sammy prima che ci entri. E se non ci riesco vi aspetto fuori, chiusa in macchina e al minimo pericolo avvio il motore e riparto. Ma almeno vi faccio sapere se noto qualcosa di strano, ok?”
 
“Beh, sì, così mi sembra ragionevole,” concede De Matteis con un sospiro, sperando di non doversene pentire.
 
“Camilla…” le sussurra Gaetano, avendo tolto per un attimo il vivavoce dal telefono di Marchese in modo che De Matteis e Mancini non sentano, “d’accordo, voglio fidarmi di te, ma ti prego in nome di tutto quello che c’è stato e che spero ci potrà ancora essere tra noi, in nome di tutte le persone che amiamo: non fare pazzie e non mi deludere.”
 
“Non lo farò, stai tranquillo, Gaetano. E anche tu non ti libererai tanto facilmente di me!”
 
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“Camilla, ci sono novità?”
 
“Sì, e non sono buone: sono qui fuori dal luna park e c’è la macchina di Sammy ma è vuota. Sammy deve già essere entrata,” annuncia, guardando fuori dal finestrino.
 
Aveva dovuto fare un giro intorno al perimetro del parco fino ad arrivare sul retro. La macchina di Sammy era parcheggiata a poca distanza da un cumulo di materiali da costruzione. Nonostante la pila di materiali non sembrasse molto stabile, a occhio e croce poteva essere scalata abbastanza agevolmente, e rappresentava probabilmente l’unico accesso per scavalcare l’alta recinzione del parco.
 
“Rimani lì, ok? Noi ci metteremo ancora almeno venti minuti. De Matteis, voi a che punto siete? Camilla mi dice che Sammy è già entrata nel parco.”
 
“Dieci minuti e dovremmo essere lì. Comunque ho attivato il microfono del telefono della moglie di Mancini e per ora non si sente nulla di sospetto, solo rumori di passi e di respiri. Credo che stia semplicemente camminando,” li rassicura De Matteis, più preoccupato di arrivarci vivo al luna park, dato come sta guidando l’ispettore.
 
Camilla si tranquillizza e rimane in linea come promesso ancora per qualche minuto, osservando l’alta recinzione, finché i suoi occhi e le sue narici percepiscono qualcosa che le fa finire il cuore nello stomaco.

Fumo, fumo nero e denso che si innalza oltre la recinzione e si disperde nell’aria.
 
“C’è fumo, sta bruciando qualcosa!” li avverte, aprendo il finestrino per annusare meglio: l’odore acre di legno e plastica bruciata.
 
Ed è a quel punto che si sente una richiesta d’aiuto da una voce in lontananza che le è familiare ed estranea al tempo stesso, distorta e trasfigurata dal panico.
 
“Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi sente?? Ilenia? Ilenia ci sei?? Sono bloccata qui dentro, aiuto!!”
 
D’istinto esce dall’auto ma la voce invece che aumentare di intensità si affievolisce ulteriormente. Si rende conto allora che proviene dal suo cellulare, o meglio, dal cellulare di Marchese, collegato in viva voce con quello di De Matteis che regge ancora in mano il telefono di Mancini che sta registrando dal microfono del cellulare di Sammy.
 
Una specie di macabro gioco del telefono senza fili.
 
“Maledizione, c’è un incendio? Cosa vede, professoressa?!”
 
“Sì, dottor De Matteis, c’è del fumo, sicuramente è un incendio,” conferma Camilla, guardando quella nube nera con il cuore che batte all’impazzata.
 
“Aiuto!!! AIUTATEMI, vi prego!!! ILENIA!!! QUALCUNO!!!! SONO BLOCCATA, AIUTATEMI, NON RESPIRO!” la raggiunge di nuovo l’eco di un urlo confuso e distorto dalla statica ma ancora più inequivocabilmente disperato, seguito da colpi di tosse.
 
“Dio mio, fate qualcosa! Professoressa, deve fare qualcosa, se vuole davvero bene a Sammy, faccia qualcosa!” urla a sua volta Mancini, fuori di sé.
 
“Camilla!”
 
“Professoressa Baudino!”
 
La raggiungono anche le urla di Gaetano e di De Matteis che si mischiano a quelle di Sammy, ma il suo cuore e la sua coscienza hanno già deciso.
 
“Gaetano, perdonami, ma non posso… non posso stare qui ad ascoltarla morire senza fare niente, io vado, voi chiamate i pompieri e un’ambulanza,” annuncia nella cornetta, scendendo dall’auto ed avvicinandosi alla recinzione, prima di aggiungere, incurante del fatto che gli altri sentano, “se dovesse capitarmi qualcosa, ricordati che ti amo, ti amo tantissimo. E stai vicino a Livietta e a mia madre e dai un bacio a Tommy.”
 
“Camilla, Camilla! Maledizione, Camilla,” urla, ma lei ha rimesso il telefono in tasca, anche se mantiene attiva la comunicazione.
 
Camilla si avvicina all’alta recinzione arrugginita e inizia la scalata. Cerca di fare più rapidamente che può ma deve arrendersi all’evidenza che deve procedere lentamente, se non vuole rompersi l’osso del collo. Quando finalmente scavalca e poi si lascia cadere a terra il più dolcemente possibile, le sue ginocchia e le sue giunture le ricordano con un terribile scricchiolio che ha quasi cinquant’anni e non ha più il fisico per certe cose.
 
Si rialza in piedi e inizia a correre verso il fumo, ignorando i menischi che pungono e i palmi delle mani mezzi sbucciati nello sforzo di attutire l’impatto con il suolo.
 
Ed è proprio la casa stregata a tre piani che sta bruciando.
 
“Sammy, Sammy! Mi senti?!” urla, avvicinandosi all’ingresso, “Sammy???”
 
“Prof.?? Prof.?? Sono qui, sono qui!!!” la raggiunge un urlo rauco e, alzando lo sguardo, vede il viso della ragazza sporgersi da una piccola finestrella al terzo piano con il vetro rotto, attraverso cui Sammy sta cercando di respirare aria pulita.
 
Ma è troppo piccola per essere usata come via di fuga e in ogni caso difficilmente Sammy sopravvivrebbe ad una caduta da quell’altezza.
 
“Prof., sono bloccata: la porta non si apre, deve esserci caduto qualcosa davanti! Prof., la prego mi aiuti!” grida, evidentemente ad un passo da un attacco di panico.
 
“Sammy, respira, respira e stai tranquilla! Io adesso entro ma stanno arrivando anche i rinforzi ok? Gaetano, Marchese, De Matteis e tuo marito, l’ambulanza e i pompieri, stanno venendo qui! Come faccio a raggiungerti?”
 
“Le scale prof.! Al terzo piano e vada a sinistra, c’è un solo corridoio, sono nella stanza in fondo!” urla tra i colpi di tosse, la voce che va e viene.
 
“Arrivo, resisti!” grida, entrando dall’ingresso ormai fatiscente.
 
Il fumo è spesso e acre e le toglie il fiato e capisce che così non potrà mai arrivare viva al terzo piano.
 
Esce di corsa per respirare aria pura ed estrae dalla borsa il fazzoletto di stoffa e la bottiglietta d’acqua che porta sempre con sé. Imbeve il cotone e poi se lo piazza davanti a naso e bocca come una mascherina.
 
Prende un bel respiro e rientra, accovacciandosi e camminando a testa bassa, dato che il fumo va verso l’alto, cercando di distinguere qualcosa. Vede le scale di fronte a sé, ma stanno già bruciando e sembrano pericolanti.
 
Pregando chiunque la stia ascoltando di darle la forza, sale i primi gradini quando sente dei rumori alle sue spalle e due braccia la afferrano per la vita, riportandola a terra e trattenendola con la forza.
 
“Mi lasci, mi lasci!” urla tra i colpi di tosse, incurante del fumo, ma lo sconosciuto è troppo forte, le tappa la bocca con una mano e inizia a trascinarla all’indietro verso la porta.
 
Sentendo di stare lottando per la sua vita e con la forza della disperazione, morde la mano fino a che lo sconosciuto lascia la presa urlando dal dolore. Cerca di proiettarsi in avanti ma lui con la mano ancora sana la trattiene per la vita e la stringe a sé ancora più forte.
 
“Maledizione, sono De Matteis, si calmi, sono De Matteis!” le urla nell’orecchio, portandola a voltare il viso e ad incontrare quegli occhi azzurri e il viso contorto in una smorfia di dolore.
 
Paralizzata da un misto di sollievo, panico e imbarazzo gli permette di trascinarla ancora per i pochi passi che la conducono all’uscita.
 
“Dov’è Sammy??” grida un’altra voce e riesce finalmente ad individuare Mancini.
 
“Terzo piano, a sinistra, ultima stanza in fondo al corridoio,” spiega tra un colpo di tosse e l’altro, mentre l’ispettore, con una mascherina sul volto presa chissà dove, si precipita dentro l’edificio.
 
“Lei stia qui, ok? Stia qui e non si muova, aspetti Berardi e Marchese! Io entro con l’ispettore,” le intima, dopo essere arrivati ad una distanza di sicurezza dall’edificio, comprimendo con la destra la ferita sanguinante alla mano sinistra.
 
“Mi dispiace per il morso… ma non immaginavo…. come avete fatto ad arrivare così in fretta?” domanda imbarazzata, sbalordita da tanta rapidità.
 
“Abbiamo sfondato la cancellata di ingresso e-“
 
Un boato improvviso, il rumore di un crollo, taglia a metà la sua frase. E poi li raggiungono le urla di Sammy e anche di Mancini.
 
“Sammy, Sammy!” grida Camilla, cercando di nuovo di avvicinarsi a quella maledetta casa stregata, ma De Matteis la trattiene per un braccio e le si para davanti.
 
“Vado io a vedere, lei stia qui. Qualsiasi cosa succeda, stia qui e non si muova. Dovesse crollare il mondo non si muova, ok?” le intima, guardandola negli occhi in un modo che non saprebbe definire ma che le fa morire in gola ogni obiezione.
 
“Sì,” sussurra, rimanendo a fissarlo come un’ebete mentre si volta e si incammina di nuovo verso l’edificio in fiamme.
 
Un paio di passi fatti maledicendo il bruciore alla mano, gli incisivi della Baudino e quell’idiota di Mancini per averla spinta a correre verso morte quasi certa.
 
E poi un puntolino rosso, colore che mai come oggi ha simboleggiato per lui sventura e, di nuovo, morte.
 
Un puntolino rosso che rimbalza sul legno dell’edificio in fiamme di fronte a lui e corre poi a zig zag lungo il terreno, tremolando come la fiamma di una candela, avvicinandosi a lui e oltrepassandolo fino a scomparire. A scomparire dietro alle spalle della Baudino.
 
È una questione di pochi secondi, forse frazioni di secondo, il tempo di fare un passo, spiccare un salto, lanciarsi addosso a lei, sentire il suo urlo di sorpresa nell’orecchio e poi il boato e poi il tonfo e poi un altro urlo straziante e ignoto ma che scopre provenire dalla sua stessa gola.
 
“Dottor De Matteis, dottor De Matteis, che succede? Sta bene?” grida Camilla, spaventata da quel grido disumano nelle orecchie, ritrovandosi spalmata a terra a pancia in su, lui sopra di lei a peso morto. Sente qualcosa  sotto la testa che identifica come il braccio sinistro di lui e capisce che le ha attutito la caduta, evitandole probabilmente un bel trauma cranico.
 
“Dottor De Matteis? Sta bene?” domanda di nuovo, fino a che non lo vede aprire gli occhi e fissarli nei suoi, mentre la mano destra di lui si sposta dal suo fianco e sembra armeggiare con qualcosa.
 
“Shhh, stia zitta e non si muova, ok?” le sussurra in un orecchio con voce di chi fa fatica ad emettere qualsiasi sillaba.
 
Camilla vede un bagliore e volta il capo ed è allora che nota la pistola nella mano destra di lui.
 
Un altro sparo e la mano di lui che si solleva e altri due spari e un urlo ancora più lancinante del primo, mentre la pistola scintilla nell’aria e cade a qualche passo da loro.
 
E poi il fiato di lui sul collo e una strana sensazione di calore e di bagnato sul petto e sul braccio sinistro. Bloccata in quella posizione non riesce a vedere cosa sia ma ne distingue l’odore pungente e metallico, persino in mezzo a quello opprimente del fumo: sangue.
 
“Ma lei è ferito, si sposti, la prego, si sposti!” lo implora, sentendo ancora, uno, due, tre, poi quattro spari, cercando inutilmente di spingerlo via, mentre lui non si muove di un millimetro e rimane lì sopra di lei a farle da scudo umano, bloccandola con il suo peso, “per favore, mi lasci andare, chiunque sia che ci sta sparando vuole me e non-“
 
La frase le muore in gola quando sente qualcosa bloccarle le labbra. Un tocco lieve e brevissimo, poco più di qualche frazione di secondo, familiare e completamente alieno al tempo stesso, che termina tanto rapidamente quanto è iniziato, non dandole il tempo né di pensare, né di sottrarsi, né di reagire.
 
Occhi azzurri che scrutano nei suoi e lei che rimane così, con occhi e bocca spalancati, ammutolita e completamente scioccata.
 
“Finalmente capisco mio fratello: aveva scoperto l’unica arma segreta per… per farla… stare zitta,” esala a fatica in un tono che cerca di essere ironico, per poi aggiungere, guardandola di nuovo negli occhi in quel modo indefinibile, “e comunque… non mi muovo da qui… chiaro?”
 
Lei non riesce ancora a parlare, il cervello e la bocca cercano frasi ma non riescono a formarle, mentre una voce nella sua mente continua a chiedersi il perché di quel gesto ed un’altra voce continua a domandarsi se non sia già svenuta o se non abbia davvero subito un trauma cranico e tutto questo sia solo una bizzarra allucinazione.
 
Altri due spari la riportano alla realtà e poi passi… passi in lontananza ma che si avvicinano inesorabilmente.
 
Uno sguardo tra loro ed entrambi si voltano verso la pistola ma è così maledettamente lontana. Camilla lo sente provare a muovere il braccio destro ma capisce dal mugugno di dolore e dal modo in cui si accascia su di lei che non può farlo. Con sommo sforzo estrae il suo braccio sinistro da sotto il corpo di lui, e lo allunga più che può, fino a sentire tra le dita il calcio della pistola e fino a riuscire infine ad afferrarla.
 
“Maledizione! Io non posso sparare, non sento più le mani… ha mai… sparato?”
 
“No… no…” sussurra, spaventata a morte da quell’ammissione.
 
“La sicura è tolta, basta… basta premere il grilletto. Dobbiamo stare fermi, in silenzio… come se fossimo morti…  Si avvicinerà a controllare e io… lo prenderò di sorpresa… le darò un’occasione e lei deve sparare, sparare al petto, due volte, senza esitazioni e poi alzarsi e correre… correre senza fermarsi… capito?” le sussurra all’orecchio, il respiro sempre più affannoso e più flebile, “ha cinque colpi… li usi bene.”
 
“E lei?” gli domanda, guardandolo negli occhi, capendo benissimo qual è la risposta, “no, io non-“
 
“Pensa a tua figlia, a Berardi... spara, corri e… mettiti in salvo,” le ordina e non sa se sia più sconvolta dall’uso del tu, da quello che è successo prima o da quello che le ha appena detto.
 
Livietta… Gaetano… De Matteis ha ragione: non può morire così, non adesso.
 
Ma può davvero lasciarlo indietro? Potrà vivere con la sua coscienza dopo?
 
I passi si fanno sempre più vicini, col cuore in gola Camilla afferra la pistola e la nasconde sotto al corpo di lui, preparandosi mentalmente a quello che deve fare.
 
Sente la terra vibrare sotto il suo corpo ad ogni passo come se fosse quello di mammut, un respiro, due respiri, ormai distingue i passi, non una ma due persone – e i piani vanno a farsi benedire –  ma tiene gli occhi socchiusi, pronta a scattare, pronta a giocarsi il tutto per tutto.
 
“Camilla, Camilla, dottor De Matteis!”
 
È come se tornasse a respirare, spalanca gli occhi e vede due scarpe, due gambe, il mondo a testa in giù e poi quel viso preoccupato che aveva temuto di non rivedere mai più.
 
“Gaetano!” esclama, sollevata, mentre sente il corpo di De Matteis sbilanciarsi sul suo per poi lasciarsi cadere alla sua destra, finendo a pancia in su.
 
“Camilla, Camilla, sei ferita?” le domanda, sbiancando, notando la maglietta all’altezza della spalla sinistra e il braccio sinistro completamente bagnati di sangue, precipitandosi accanto a lei.
 
“No, no, non è il mio sangue,” spiega, aggrappandosi alle sue spalle mentre lui la prende delicatamente tra le braccia per aiutarla a mettersi seduta. E Gaetano torna a respirare e finalmente nota il foro all’altezza della spalla destra di De Matteis e la ferita al braccio che sanguinano copiosamente.
 
“Dobbiamo spostarvi da qui: c’era qualcuno appostato sul tetto del labirinto degli specchi. L’abbiamo messo in fuga, non so se l’abbiamo ferito, ma è meglio che ci mettiamo al riparo,” spiega Gaetano e Camilla si sente sollevare e poi i suoi piedi finalmente toccano terra.
 
“Uomo o donna?”
 
“Non lo so Camilla, non siamo riusciti a vedere.”
 
Gaetano con l’aiuto di Marchese trasporta De Matteis sotto ad una tettoia bassa lì vicino.
 
“L’ambulanza sta arrivando e anche i pompieri,” li rassicura, dando una rapida occhiata alle ferite di De Matteis, “qui bisogna bloccare subito l’emorragia.”
 
“Dove sono Sammy e Mancini?” interviene Marchese, riportandoli alla dura realtà.
 
“Sono lì dentro,” spiega Camilla, indicando l’edificio in fiamme che sembra pronto a crollare da un momento all’altro, “prima c’è stato un boato, come di un crollo ma poi ci hanno sparato addosso e-“
 
“Andate a vedere,” li esorta De Matteis, alternando lo sguardo tra Berardi e Marchese, “non preoccupatevi per me. Io rimango qui con la professoressa.”
 
“Camilla… sei…” le chiede Gaetano guardandola negli occhi, non riuscendo nemmeno a finire la frase ma sa benissimo che lei ha capito perfettamente.
 
“Stai tranquillo, me la caverò, anzi, ce la caveremo,” lo rassicura con un sorriso, prendendogli la mano destra e stringendola nella sua, ignorando il dolore.
 
Lui annuisce e fa per alzarsi, ma lei lo trattiene ancora e si sbilancia in avanti, posandogli un bacio troppo breve e troppo intenso, quasi lancinante, sulle labbra.
 
“Stai attento, ti prego, e torna da me,” implora, accarezzandogli il viso con l’altra mano, sapendo benissimo che non ha alcun diritto di chiederglielo dopo quello che era appena successo, dopo che era entrata in quell’edificio con la consapevolezza che avrebbe potuto non uscirne viva, ma la verità è che la prospettiva della morte la spaventa molto meno della prospettiva di perdere Gaetano per sempre.
 
La risposta è un altro rapido bacio e le mani che si stringono convulsamente alle sue prima di lasciarla andare.
 
Un ultimo sguardo e Gaetano e Marchese si avviano di corsa verso la casa in fiamme.
 
Camilla prende un respiro e con mani tremanti stacca la tracolla dalla borsa.
 
“Forse le farà male ma è necessario…” sussurra, decidendosi infine a guardare di nuovo De Matteis che la osserva con occhi socchiusi, il colorito ormai cadaverico.
 
Facendo appello alle conoscenze apprese al corso di primo soccorso a scuola gli solleva il braccio e usa la sottile tracolla come laccio emostatico. Unisce poi le mani a pugno e spinge sulla ferita alla spalla, applicandoci tutto il suo peso per cercare di fermare il flusso di sangue anche se teme che sia tardi: in realtà non è passato molto tempo dallo sparo, anche se tutto le è sembrato dilatato dal panico e dall’adrenalina, ma De Matteis ha già perso molto sangue.
 
“Le faccio male?” gli domanda preoccupata, rompendo di nuovo il silenzio anche se ci sono mille altre cose che vorrebbe e che dovrebbe dirgli e chiedergli ma che non osa nemmeno pronunciare. Innanzitutto un grazie e un perché.
 
“No… non sento… non sento niente…” ammette e Camilla sa che non è certo un buon segno.
 
 “Si faccia forza, andrà tutto bene, i soccorsi stanno arrivando,” gli ricorda, cercando di infondergli una sicurezza che non sente.
 
“Non sei mai stata brava a… a mentire,” sussurra con un sorriso tirato, guardandola negli occhi ed usando di nuovo il tu e Camilla non sa perché ma la cosa la preoccupa quasi più del colorito cinereo o del fatto che sembri non provare dolore.
 
“Shh, non si deve sforzare a parlare, deve conservare le forze…” lo esorta, aggrappandosi al lei, a quel residuo di formalità, di… di normalità tra loro. Come se passare al tu fosse un’ammissione indiretta anche da parte sua che la situazione è grave, anzi è disperata.
 
“Non cambia niente se… se parlo o no… e comunque… questa è una frase da film e di solito… porta male,” articola, scosso da un misto tra un colpo di tosse e una risata strangolata.
 
“E allora cosa dovrei dire?”
 
“Non lo so… se mi insultassi, se mi trattassi male come fai di solito… forse mi spaventerebbe meno…” ammette guardandola nuovamente negli occhi.
 
“Certo che lei pretende sempre da me cose che non posso o che non voglio fare,” replica con un sorriso commosso, cercando di sdrammatizzare con l’ironia ma notando come lo sguardo di lui si faccia ancora più serio.
 
“Lo so… si vede che è… il mio destino con te… fino alla fine… Camilla…” sibila ricambiando il sorriso, in quello che è ormai un rantolo strozzato.
 
Un colpo di tosse e poi il silenzio.
 
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“Usciamo, è inutile stare qui!”
 
Marchese annuisce seguendo Gaetano fino all’entrata, dove entrambi respirano a pieni polmoni l’aria fresca.
 
Erano stati dentro pochi secondi, il tempo necessario per realizzare che la scala interna era crollata e, soprattutto, per sentire Mancini invocare aiuto con la voce rauca di chi non ha quasi più voce.
 
“Che facciamo? Non possiamo lasciarli lì dentro!” esclama Marchese mentre il panico si impossessa di lui al solo pensiero di Sammy in mezzo alle fiamme e al fumo.  A Sammy che forse è già…
 
No, non può, non deve pensarci.
 
“Lo so,  Marchese, ma la scala è crollata, l’hai visto anche tu, come ci arriviamo al terzo piano? Dobbiamo aspettare il camion dei pompieri,” risponde Gaetano, maledicendo mentalmente il traffico romano e il ritardo nei soccorsi.
 
“Forse no! C’è una scala di sicurezza sul retro!” grida Marchese, colto da un’illuminazione, ringraziando i tanti pomeriggi passati al luna park con Sammy e con… e con Ilenia, fino a conoscerlo quasi come le sue tasche.
 
Girano di corsa intorno alla casa e in effetti trovano una scala di emergenza in metallo e che sembra ancora in buono stato. E, soprattutto, un estintore nuovo di zecca, seminascosto tra il fogliame dei cespugli incolti lì vicino. Che ci fa lì?
 
Ma non è il tempo di farsi domande: Gaetano afferra l’estintore e lui e Marchese salgono le scale di corsa.
 
L’uscita d’emergenza per fortuna non è chiusa a chiave e non fa resistenza. Un ultimo respiro, i fazzoletti bagnati su bocca e naso e sono dentro, procedendo a carponi lungo il pavimento, Gaetano davanti e Marchese dietro.
 
“Mancini!” urla Gaetano dopo aver superato il primo corridoio, trovandosi di fronte ad un bivio e sperando in una risposta.
 
“Sono qui! Sono qui!” risponde tra i colpi di tosse.
 
Seguendo la voce, procedono verso destra, lungo un altro corridoio ed infine lo trovano abbracciato a Sammy, che sembra svenuta, distesi vicino ad una finestrella da cui cercando disperatamente di respirare aria, in un pezzo di corridoio che corre tra una porta evidentemente appena liberata da un cumulo di pesanti detriti e quello che resta della tromba scale ormai crollate, ma soprattutto, tra due lingue di fiamme che stanno per raggiungerli.
 
Probabilmente Mancini era riuscito a oltrepassare le fiamme da solo ma, forse anche per lo sforzo fatto nel liberare Sammy, non ce la faceva a farlo con lei in braccio.
 
“Aiutateci! Sono inciampato e credo di essermi rotto un piede!” urla Mancini, tossendo disperatamente.
 
“Marchese, stai indietro!” urla, togliendo la sicura all’estintore e pregando che sia funzionante e che sia sufficiente, ringraziando il cielo quando sente il suono della polvere che viene sparata contro la base delle fiamme, estinguendole ed aprendo un varco.
 
Si precipitano verso Sammy e Mancini.
 
Marchese prende in braccio Sammy, mentre Gaetano cerca di sollevare Mancini, che gli sembra pesare più di un carico di piombo.
 
Fanno pochi passi quando sentono un rumore di scricchiolii che precedono il fragoroso boato di un altro crollo da qualche parte nella casa.
 
“Qua tra poco crolla tutto, dobbiamo muoverci!” urla Marchese, iniziando a tossire perché, trasportando Sammy, deve camminare in posizione quasi eretta.
 
“Portate via Sammy, non pensate a me, portate via Sammy: sono troppo pesante!” grida Mancini, dopo un altro paio di passi fatti a ritmo di Lumaca.
 
“Ma…” cerca di obiettare Gaetano, ma l’uomo si libera della sua presa e si lascia di nuovo cadere sul pavimento.
 
“Portate via Sammy, per favore!” li implora, uno sguardo di pura disperazione sul volto.
 
Marchese e Gaetano si guardano e annuiscono, capendo che non c’è altro da fare.
 
“Torniamo tra poco!” urla Gaetano, lanciandogli un’ultima occhiata, prima di aiutare Marchese a sorreggere Sammy.
 
In due riescono ben presto a percorrere i corridoi e a guadagnare l’uscita e l’aria pura.
 
Scendono le scale di sicurezza e depositano Sammy, ancora esanime, a distanza di sicurezza dalla casa.
 
“Com’è?” chiede Gaetano, mentre Marchese si precipita ad auscultare battito e respiro.
 
“Respira a fatica ma respira e c’è battito!” esclama Marchese con le lacrime agli occhi, che tracciano solchi grigiastri lungo il viso sporco di fuliggine.
 
Il tempo di un sospiro di sollievo e poi si guardano.
 
“Dobbiamo rientrare Marchese, non possiamo lasciarlo dentro!” proclama Gaetano alzandosi in piedi, mentre Marchese fa lo stesso.
 
“Lei ha un figlio piccolo, rimanga qui, vado io!” risponde il ragazzo, sapendo benissimo che la casa è ad un passo dal collassare.
 
“Non se ne parla: non riusciresti mai a portarlo da solo, Marchese, non ci riuscivo nemmeno io,” gli fa notare, prima di dargli una pacca sulla spalla e pronunciare un commosso, “grazie.”
 
Un altro sguardo d’intesa e sono già sulla scala.
 
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“Dottor De Matteis, Dottor De Matteis,” urla, senza ottenere alcuna risposta.
 
Si china su di lui per controllargli i parametri vitali: niente respiro e niente battito.
 
Merda!
 
Un momento di panico e poi l’istinto prende il sopravvento. Con un ginocchio gli comprime la ferita, liberandosi le mani che grondano sangue. Se le asciuga meglio che può sulla maglia, gli mette il capo in posizione di sicurezza e poi posa le labbra sulle sue, insufflandogli aria nei polmoni. Le mani in posizione, inizia il massaggio in maniera quasi meccanica: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, poi un altro respiro.
 
Va avanti così, quasi come un automa, col pilota automatico inserito per non saprebbe dire quanto tempo: secondi o minuti.
 
E poi il rumore di un altro crollo, uno sguardo lanciato verso la casa, da cui non si vede uscire ancora nessuno, ma non sente grida e la casa è ancora in piedi.
 
Riprende il massaggio e la respirazione, imponendosi di concentrarsi solo su quello, di lasciare il mondo fuori.
 
Il boato e lo spostamento d’aria e il fumo nero la travolgono all’improvviso, mentre con le orecchie che fischiano e il cuore che sembra fermarsi osserva in slow-motion la casa accartocciarsi su se stessa come se fosse fatta di carta, sollevando polvere e fumo che la raggiungono fino ad accecarla.
 
“GAETANOOOO!”
 
Un ululato primordiale e straziante a cui pochi secondi dopo rispondono, come membri di un branco, le sirene meccaniche che annunciano che finalmente i soccorsi stanno arrivando.
 
Ma Camilla ormai non vede e non sente più nulla.
 
 
 
Nota dell’autrice: E per i coraggiosi arrivati alla fine di questo capitolo lunghissimo, spero davvero che sia valso l’attesa. Lo so che vi ho lasciati in un punto tremendo, ma se avessi proseguito non avrei mai pubblicato in tempi umani. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questo capitolo e del comportamento dei vari personaggi, in positivo e negativo, cosa vi ha convinto di più e cosa di meno. Lo so che Camilla e Gaetano hanno avuto poco spazio “insieme” e che lo spazio è stato invece in gran parte occupato dall’esplorazione di altri rapporti e personaggi “complicati” e dall’azione, ma era così che me l’ero immaginato quando avevo messo giù i punti chiave di questo giallo. E a proposito del giallo, il prossimo al 99,9% è il capitolo conclusivo di queste vacanze romane con delitto, in cui finalmente scopriremo chi è l’assassino, quante vittime avrà collezionato nel corso della sua “carriera” e in cui si chiariranno parecchi punti oscuri lasciati da questo e dai capitoli precedenti ma in cui ci saranno ancora diversi colpi di scena.
Mi rendo conto mentre scrivo queste righe che ormai è più di un anno che pubblico questa storia, non ho mai scritto una storia così lunga e per così tanto tempo e vi ringrazio ancora tantissimo per aver voluto condividere questo viaggio con me. Se vi va, come sempre, vi do appuntamento al prossimo capitolo ;).
   
 
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