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Autore: Clockwise    05/11/2014    5 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Secondo capitolo, speriamo bene. Fatemi sapere le vostre opinioni! =)
-Clock

 
Un messaggio
(la cena dei fantasmi)
 
 
 
Il mondo è un palcoscenico, ma le parti vi sono male distribuite.
Oscar Wilde
 
 
 
Il ristorante è raffinato, con una vista mozzafiato sulla baia – Sherlock ha buon gusto, deve riconoscere.
Si sistema il foulard intorno ai capelli e si avvicina alla ringhiera, godendosi il tramonto. Tamburella distrattamente con le dita.
Sente, senza bisogno di girarsi, che lui è arrivato.
«Abbiamo due posti riservati.»
Quella voce. Chiude gli occhi per un istante, per assaporarne anche il più piccolo riverbero nell’aria.
«Hai fatto le cose per bene» commenta, voltandosi e puntando gli occhi sul suo viso fiero. I capelli tagliati corti, la barba lunga, una informale giacca a vento: non sembra affatto Sherlock. Neppure lei, si rende conto, deve ricordargli molto la donna di un tempo, con quel vestito a mezzo polpaccio che la invecchia, il foulard, il trucco sobrio e la treccia castano chiaro.
«Considerato che è l’unica cena che ti concederò mai, ho pensato che tanto valeva impegnarsi.»
Irene sorride, perché ha notato la piega divertita nel suo viso, lo prende a braccetto e si lascia condurre nel locale.
 
~~~
 
«Auguri!»
«Auguri!»
I bicchieri tintinnano, ma l’atmosfera rimane tesa, i volti spettrali: che anno sarà mai, quello che li attende? In che mondo vivrà la piccola Watson?
Sherlock si allontana dal caminetto e si avvicina alla finestra, mentre gli altri continuano a scambiarsi gli auguri. Da sociopatico che è, le feste sono sempre state un incubo: hanno la capacità di acuire la distanza che sente fra sé e gli altri e metterlo addirittura a disagio. Sì, anche lì nel salotto di casa sua, con le persone che preferisce al mondo. Forse, sono semplicemente un po’ troppe, non è abituato.
Sente una mano posarglisi esitante sul braccio.
«Buon anno, Sherlock.»
Il volto si addolcisce al sorriso timido di Molly Hooper.
«Buon anno, Molly.»
La ragazza solleva il bicchiere al suo indirizzo e beve un sorso, ma non sembra volersene andare. A Sherlock sembra ora di una domanda.
«Tutto bene, Molly?»
«Oh, sì, sì, t-tutto bene. Pensavo solo, un po’, sai… Vecchi Capodanni. Non esattamente felici. Non sono granché il tipo da festa.»
Fa una risatina nervosa, e Sherlock si chiede perché non possa ridere e basta, sarebbe molto più utile – perché sprecare energia con risate fasulle?
«Io sono l’anima della festa, invece» fa Sherlock, sarcastico, e stavolta il sorriso di Molly è più sincero.
«Oh, io ho esperienza pluriennale in tappezzeria alle feste del liceo, imbattibile» ribatte Molly, sullo stesso tono. Sherlock la guarda cercando di non mostrarsi troppo sorpreso.
«Io neanche ci andavo, alle feste del liceo.»
«Io sì, speravo sempre che Bobby Fellon, della mia classe di francese, mi chiedesse di ballare. Ma lui ballava solo con Debbie Cardiff, di spagnolo. Si sono messi insieme, sposati con tre bambini. Poi hanno divorziato perché lei lo tradiva con Jimmy Simmons, di tedesco.»
Sherlock nasconde un sorriso, tornando alla finestra.
«Quindi alla fine, non so chi abbia vinto, insomma… Forse se mi avesse invitata a ballare…»
«Avresti potuto invitarlo tu» obietta Sherlock. Molly ci pensa su per un istante.
«Nah, quella è fantascienza.»
Ride, finalmente, e Sherlock sorride. L’atmosfera fra loro due è diventata rilassata e amichevole. Piacevole, si ritrova a pensare il detective.
 «Torno da Mary» dice Molly e si allontana con un ultimo sorriso. Sherlock la guarda allontanarsi e torna alla finestra.
 
~~~
 
«Allora» esordisce più tardi Irene, sfogliando il menù. «Ho passato gli ultimi due mesi ad annoiarmi a morte in Perù per una situazione un po’ troppo… calda a Singapore, dove vivo, quindi non ho idea di cosa sia successo nel mondo civilizzato. Raccontami: come sei finito nel mondo dei morti?» domanda, abbandonando il menù e appoggiando il mento su entrambe le mani con fare civettuolo, i gomiti sul tavolo. Sherlock le rivolge uno sguardo seccato senza interrompere la sua analisi del ristorante e dei clienti intorno a loro.
«Il gran finale del gioco di Moriarty» risponde, atono. Irene assottiglia gli occhi, un imperituro sorriso sibillino.
«Il gioco non finisce mai, con lui.»
«Si è sparato in bocca.»
La donna spalanca gli occhi sorpresa.
«Allora è vero. Credevo fosse soltanto una diceria. C’è stato parecchio scompiglio fra le sue fila, ultimamente.»
Sherlock volta la testa verso di lei, interessato.
«Scompiglio? Cosa sai? Hai qualche nome?»
Irene si ritrae e torna composta, le sopracciglia corrugate.
«Oh, ma che maleducato! Pensavo volessi portarmi a cena per fare il galante, non per aprire un’inchiesta sull’armata di Moriarty!» protesta, fingendosi offesa. Sherlock sogghigna.
«Pensavo mi conoscessi.»
Irene assottiglia gli occhi e scuote la testa, un sorriso sghembo.
«Che cattivo ragazzo, avrei proprio voglia di darti una bella lezione alla vecchia maniera…»
Sherlock sbuffa e alza gli occhi.
«Ma il povero John mi ucciderebbe, poi. A proposito, come sta?»
Sherlock si irrigidisce, i suoi occhi si fanno distanti.
«Un suo amico si è suicidato davanti a lui. Ha avuto giorni migliori.»
Irene corruga le sopracciglia.
«Non sa che sei vivo?»
«Troppo pericoloso.»
Rimangono entrambi in silenzio per un po’. Irene giocherella con le dita sulla tovaglia candida, la mano vicina a quella di Sherlock, ferma accanto al piatto.
«Sai, vi ho sempre invidiati: avrei voluto avere anch’io qualcuno di cui fidarmi, da cui tornare sempre, come tu avevi John Watson. Certo, magari non mi sarei limitata ad una cosa pudica e platonica come voi due…»
Sherlock la fredda immediatamente con un’occhiata.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
Irene rotea gli occhi con fare teatrale, maliziosa e chiaramente divertita.
«Oh, per l’amor del cielo, Sherlock, non anche tu! Capivo John Watson, ma tu, la mente più brillante del secolo, cieca di fronte all’evidenza…»
«Stai parlando come una vera adolescente in crisi ormonale, puntando la conversazione sul campo sentimentale per sviare le mie domande sulla rete di Moriarty di cui tu chiaramente sai qualcosa, avendo molto probabilmente soddisfatto lo stesso in più di un’occasione, senza tenere conto del fatto che John è eterosessuale…»
«Non vedo come questo possa essere un ostacolo, caro mio» commenta placida Irene, tornando a poggiare il mento sulle mani. «John sarebbe gay per te, così come tu saresti potuto essere etero per me, se non ci fosse stato John di mezzo.»
Sherlock spalanca gli occhi, ricordando ad Irene un’oltraggiata dama ottocentesca.
«Considero me stesso sposato al mio lavoro» proclama il detective a denti stretti. Irene potrebbe giurare che è arrossito, sotto tutta quella barba che non gli dona affatto.
«Una frase talmente ridicola, soprattutto adesso che sei, tecnicamente, morto e, di conseguenza, disoccupato» gli fa notare. Sherlock mette il broncio e incrocia le braccia al petto e Irene vorrebbe tanto sporgersi e…
Ma non può. Diamine, l’ha pagata cara l’ultima volta che ha provato ad aprire il suo cuore a Sherlock Holmes, non può cascarci di nuovo.
«Quello che dici non ha alcun senso…»
«Oh, non si è mai tanto sinceri come quando si è incoerenti.(1)»
Sherlock aggrotta le sopracciglia.
«Oscar Wilde» spiega Irene. «Ho sempre pensato saresti stato un bellissimo Dorian Gray. Ora chiama il cameriere, per cortesia, vorrei ordinare.»
Sherlock scuote la testa ed alza una mano.
«Le donne sono fatte per essere amate, non per essere comprese.(2)»
«Mh, non la migliore scelta per fare colpo, potrebbe generare sia un bacio che una sberla. Nel mio caso entrambi.»
Si scambiano un’occhiata e nascondono i rispettivi sorrisi, accordati alla stessa frequenza.
Il sole cala, le ombre scolorite si concedono un’ultima cena.
 
~~~
 
«Allora, noi andiamo Sherlock, buona notte!» lo saluta Mary, baciandolo sulle guance. «Buona notte» risponde, ricambiando il saluto.
«Abbiamo lasciato un disastro, domani manderò John a pulire» continua Mary, guardandolo preoccupata. John fa una faccia offesa, da dietro le sue spalle. Sherlock lo nota e sorride.
«Un ritorno ai vecchi tempi» commenta. Mary si volta verso il marito.
«Pulivi a Baker Street? E com’è che a casa non alzi mai un dito?» lo rimprovera, divertita. John scuote la testa e le indica la macchina.
«Sherlock ha bevuto, non sa di che parla, era lui a pulire e lucidare qualsiasi cosa quando era in astinenza da casi.»
Mary ride e saluta Sherlock con la mano mentre entra in macchina. John si avvicina al suo amico. Esita per qualche attimo, indeciso, aprendo e chiudendo la bocca.
«Grazie di essere rimasto» dice infine. Sherlock solleva le sopracciglia.
«Non potevo fare diversamente.»
«Senti, so quanto ti piacciano le feste, e la lettera…» si schiarisce la voce, mentre Sherlock si irrigidisce. «Non hai altre notizie, eh?»
«No.»
John annuisce.
«Ok. Meglio che vada. Buon anno, amico.»
«Buon anno, John.»
John fa per andarsene, ma all’ultimo cambia idea e cattura l’amico in un mezzo abbraccio impacciato, a cui entrambi si abbandonano per un istante di più.
Sherlock lo guarda allontanarsi, torna nell’appartamento vuoto e sente freddo. Tira fuori la lettera dalla vestaglia e la getta sulle braci. Poi tira fuori il cellulare e manda un messaggio di auguri.
 
~~~
 
Mio carissimo Sherlock,
non sono improvvisamente diventata una stucchevole romanticona: ho semplicemente ritenuto questo il metodo più sicuro per parlarti. Qualsiasi telefonata, mail o messaggio potrebbe essere intercettato mentre così, oltre al rischio di venire invitata a prendere il tè dalla tua petulante padrona di casa, siamo al sicuro. E confido che tu non sia diventato così sentimentale da voler conservare la lettera.
Sono a Londra solo di passaggio, ma potrei essere costretta a tornare. Per il mondo, sono morta anni fa a Karachi, ma se lui dovesse venire a sapere che in realtà ho vissuto in reclusione a Singapore – una noia mortale –, potrebbe reclutarmi, e io sarei costretta a seguirlo. Nel qual caso, temo di dover accettare il tuo invito per il tè – la cena ormai è superata, non è così?
Stai in guardia, non voglio rivederti per puntarti una pistola addosso: sarebbe un peccato sprecare quegli zigomi.
Buon anno, Sherlock.

Irene.






(1), (2): entrambi aforismi di Wilde.
 
  
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