Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: Clockwise    14/09/2014    8 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Edit del 5.11: era nata come one-shot, poi però ho letto altri aforismi, e sono nate altre idee, così è diventata il primo capitolo di una piccola long. 
Sette capitoli salvo imprevisti, missing moments (anche da scene di una ipotetica quarta stagione). Ho cercato di incentrare ogni one-shot sul rapporto fra Sherlock e qualche altro personaggio. 
Fatemi sapere che ne pensate =) 
-Clock 


Nota: questi personaggi non mi appartengono, sono della BBC e di Sir Arthur Conan Doyle e io mi ci sto solo divertendo.

Storiella nata da un aforismo di Oscar Wilde - ho una mezza idea di scriverci su una raccolta, ma si vedrà. 
Fra "The Sign of Three" e "His Last Vow". Slash per chi vuole leggercelo.
Ciao!
-Clock


 
Image and video hosting by TinyPic



Il violino
(andante espressivo)

 


La musica ci crea un passato che ignoriamo e ci infonde un senso di dolore finora celato alle nostre lacrime.
Oscar Wilde


 
Sherlock suona, le spalle alla stanza, quando John entra.
John ha sentito Sherlock suonare innumerevoli volte ma, nonostante abbia fatto del suo meglio per imparare, non riconosce ancora la maggior parte dei pezzi che ascolta – spesso confonde addirittura quelli composti da Sherlock con brani classici, guadagnandosi un’occhiataccia gelida dal detective.
I suoi preferiti, comunque, sono i brani composti da lui.
Come il brano per la Donna? O lo struggente valzer per il tuo matrimonio? 
Ok, forse non proprio quelli, che gli strizzano lo stomaco in uno spiacevole nodo ogni qual volta ci ripensa, ma…
«Componi?» domanda, più per zittire la sua mente importuna che per altro. Se ne pente all’istante quando l’archetto stride sulle corde interrompendo bruscamente una nota e Sherlock si volta, una ruga – fastidio? irritazione? – fra le sopracciglia.
«John.»
«Ciao.»
Sherlock sbatte le palpebre un paio di volte.
«Sì, componevo» mormora, sovrappensiero. Rimane a fissarlo in silenzio per un paio di secondi, poi annuisce e appunta delle note sul pentagramma, ancora immerso nella musica.
«Qual buon vento?» chiede, senza guardarlo. Sente John togliersi la giacca.
«Speravo in una tazza di tè» risponde. Sherlock non ha bisogno di alzarsi per sapere che sorride. Si raddrizza e gli lancia una breve occhiata prima di risistemarsi il violino sotto il mento.
«Sai come prepararlo, suppongo.»
John scuote la testa, sbuffando una risata a metà fra il divertito e l’esasperato e si dirige in cucina.
Sherlock sorride e torna alla finestra.
 
~~~ 
 
Sherlock suona, in piedi accanto alla finestra, una precoce ruga di concentrazione fra le sopracciglia e le labbra strette.
Mycroft sfoglia pigramente una rivista accademica, seduto sul divano. Dondola il piede a tempo, preciso e puntuale come un metronomo.
«Si bemolle» dice ad un tratto. L’archetto stride sulle corde e Sherlock si interrompe.
«È bequadro» sibila, risentito. Mycroft volta una pagina.
«Era bequadro, alla battuta precedente; ora è tornato bemolle» dice, in tono distratto. Gli occhi di Sherlock guizzano sul pentagramma e stringe le labbra ancora di più quando deve constatare che Mycroft ha ragione.
Stizzito, posiziona di nuovo il violino e riprende a suonare con più foga di prima, gli occhi ridotti a due fessure. Mycroft alza gli occhi su di lui.
«Non c’è bisogno di suonare ancora, Sherlock» dice, uno sprazzo di affetto fraterno guizzante nel solito tono di indolente rimprovero.
«Devo imparare» sputa fuori l’altro, secco. Mycroft posa la rivista e si alza.
«Hai suonato per due ore, è sufficiente per oggi. Continuerai domani» dice in tono fermo. Sherlock continua imperterrito, come se non l’avesse sentito.
E poi sbaglia di nuovo, alla stessa nota.
Chiude gli occhi per una frazione di secondo, deluso e arrabbiato.
«Sherlock
Vuole rimettersi a suonare, provare ancora e ancora finché non prenderà quella maledetta nota come si deve…
«Basta così.»
No. Deve riuscirci, deve imparare a suonare e diventare bravo, non solo bravo, il migliore, perché è questo che gli altri (lui) si aspettano (pretende) e perché il violino è l’unica cosa che lo tenga impegnato, lo sfidi continuamente, impetuoso e inflessibile e fatalmente elegante.
E lui vuole diventare esattamente come il violino, l’anima fragile difesa da una solida cassa armonica di legno pregiato, intoccabile per chiunque non sappia maneggiarlo, dalle corde taglienti sulle dita del musicista inesperto, portatrici di piaghe per i polpastrelli callosi del concertista superbo, elegante e malinconico e struggente e orgoglioso e superbo e infinitamente distante. Solo così potrà essere al sicuro, e il suo cuore non si spezzerà più, e non dovrà più incurvare le spalle per proteggersi dagli insulti, dalle critiche, dagli sguardi maligni. Perfetto, come un violino.
Quindi deve finire quello stramaledettissimo Studio e farà meglio a suonare quello stupido Si naturale come si deve altrimenti non sarà mai…
Solo quando Mycroft gli toglie il violino e l’archetto di mano, Sherlock si accorge di aver stretto i pugni sugli strumenti, rischiando di rovinarli, e di aver chiuso forte gli occhi. Abbassa la testa e sbatte velocemente le palpebre per scacciare delle lacrime sleali.
Mycroft, con tatto, fa finta di nulla e ripone lo strumento nella custodia.
«Che ne dici se ti trovo uno spartito di Bach, per domani? Questo Studio era noioso» propone, con tono disinvolto. Sherlock solleva la testa.
«Non devi tornare a Cambridge, oggi?» chiede, astioso. Mycroft sospira, raddrizzandosi e guardando il fratello. Sherlock assottiglia gli occhi, infastidito da quel sospiro che sa di compassione (lui non ne ha bisogno, non ne ha chiesta e soprattutto non ne vuole da Mycroft).
«Possiamo andare insieme a cercare lo spartito domani mattina prima che io prenda il treno» propone. «Potranno fare a meno di me per una mattinata.»
«Bene» borbotta Sherlock, volgendo il capo verso la finestra. Mycroft allunga una mano con l’intenzione indefinita di fargli una carezza sui capelli arruffati o di posargliela sulla spalla, ma la mano rimane sospesa a mezz’aria per qualche secondo, poi ricade, sconfitta. Si volta ed esce, il cuore pesante.
Vorrebbe fare di più per lui, ma sa che non si farà mai aiutare. Sherlock si sta indurendo, corazzando, e presto o tardi chiuderà l’intero mondo fuori da sé, si seppellirà in un Palazzo Mentale custodendo il suo cuore ferito nelle segrete e Mycroft non sa ancora se sia giusto così, se gli faccia bene, ma pensa che per gente come lui – come loro, solo che Mycroft ha seppellito il suo cuore già molto prima – forse non c’è altro modo per sopravvivere.
Per questo, il mattino dopo, gli prende uno spartito e ne ordina di nascosto altri sette, da recapitare a casa la settimana seguente, mittente sconosciuto. Bach, Vivaldi, Čajkovskij, Paganini – è ora di iniziare come si deve, Sherlock è più che stufo dopo due mesi di banali studi e pezzi di tecnica.
Il cuore di Mycroft è muto per la gran parte del tempo; quello di Sherlock grida, strepita, piange e canta da un violino. Melodrammatico, Mycroft gliel’ha sempre detto.
 
~~~ 
 
«Come si intitola?» chiede John, dopo che Sherlock ha posato lo strumento e si è seduto davanti al tè.
«Non ha un titolo» risponde, soffiando sulla bevanda. John corruga le sopracciglia.
«Non è finita? A me sembrava finita.»
Sherlock alza gli occhi su di lui. John si chiede che cos’abbia, perché quel giorno sia così… triste, sì, triste è probabilmente la parola giusta, anche se mai l’ha associata a Sherlock.
Sherlock abbassa di nuovo gli occhi e sorseggia il suo tè.
Mentre cercava qualcosa che lo intrattenesse nella noia dilagante di quel giorno, ha ritrovato un vecchio Studio per violino, uno dei primi pezzi che avesse mai suonato, a tredici anni. Ha trovato una foto di lui, Mycroft e Redbeard – Sherlock ha cinque anni, Mycroft dodici, Redbeard è ancora un cucciolo, in grembo a Sherlock; il più piccolo sorride contento, gli occhi del maggiore si stanno già freddando. Il silenzio opprimente dell’appartamento non ha impedito a dei ricordi dolorosi di tornare a galla.
Posa la tazza ancora piena sul tavolino.
«Ti va un po’ di Vivaldi?» propone, afferrando il violino dal pavimento dove l’aveva appoggiato. John solleva un sopracciglio.
«È inutile che sfoggi la tua aria da musicista colto con me, lo sai che potresti benissimo suonare una robetta per bambini e spacciarmela per Vivaldi, perché io ci cascherei con tutte le scarpe.»
Sherlock sorride di quel suo sorriso sghembo, passando la pece sull’archetto.
«Quindi no, niente Vivaldi» dice John, nascondendo male un sorriso.
Sherlock solleva lo sguardo, il sorriso che scivola in un’espressione incuriosita.
John, compiaciuto per aver avuto l’ultima parola sul detective, tira fuori il cellulare di tasca e mostra lo schermo all’altro.
«Lestrade. Io direi che è un sette pieno» afferma. Sherlock solleva lo sguardo, sollevando un sopracciglio.
«Arriva a malapena a cinque e mezzo.»
John rotea gli occhi divertito e fa per protestare, ma Sherlock lo precede.
«Ma verrò con te, perché mi rendo conto di quanto tu sia disperatamente annoiato e bisognoso di un caso per sollevarti dal tedio di questa vita…»
«Stai parlando di me o di te?» scherza John, rimettendosi in tasca il telefono, mentre l’altro si alza e si libera della vestaglia.
Sherlock si ferma per lanciargli un’occhiata scettica.
«Di sicuro un paio di corsette e pedinamenti per Londra non ti farebbero male, considerando che assistere la tua moglie molto incinta non sta giovando alla tua silhouette, Dottore. A proposito, come sta?» chiede, con aria amabile.
«Molto molto incinta.»
«Non dirmi che stai scappando dalla tua dolce consorte solo perché ha qualche sbalzo ormonale perfettamente comprensibile dato il suo stato, per il quale, vorrei ricordarti, non è l’unica responsabile…» continua Sherlock in tono colloquiale, infilandosi il cappotto.
«Sherlock!»
Gli lancia un’occhiata maliziosa e divertita da sotto in su, allacciandosi la sciarpa. John non resiste e sorride anche lui, guardando subito altrove.
«Beh, non ho fatto niente di così grave per meritarmi di dover correre in giro alla ricerca di fragole ad ottobre!» protesta, tornando a guardare Sherlock. Questi apre la bocca per ribattere, ma John non gliene lascia il tempo.
«Lestrade!» gli ricorda, sventolandogli il cellulare sotto il naso, per poi aprire la porta e uscire. Sherlock nasconde un sorriso nel bavero del cappotto e lo segue.
Lo spartito rimane davanti alla finestra. Redbeard, il titolo.
 
Sherlock aveva composto per sé, quel giorno, per quel bambino solo, quell’uomo perso, quel violino scheggiato che era stato fino a che non aveva incontrato John.
John, che non sa nemmeno la differenza – lampante! – fra un Mozart e un Wagner. O fra un Čajkovskij e uno Sherlock – come è possibile?.
John, che piomba in casa sua e lo ascolta suonare e gli porta un caso – banale, è vero, ma grazie del pensiero – perché ha bisogno tanto quanto lui di bere un po’ di adrenalina sana, una volta ogni tanto – ma si tratta davvero solo di questo? (Forse no, forse sì, in ogni caso va bene).
John, che ha accarezzato il collo del violino con un tocco così bello e gentile che le corde si sono subito rilassate sotto il suo tocco e non gli hanno ferito le dita; John, che ha imbracciato il violino e guidato l’archetto sulle corde nell’unico modo giusto e il violino ha cantato, finalmente.
Ogni tanto, il violino è ancora solo, abbacchiato e depresso, ma basta lo sfiorare leggero di quella mano su quelle corde perché torni alla vita.
John ha fatto suo quel violino, ne ha presa l’anima e la tiene vicino al cuore. E al violino va bene così, perché è di John che si parla. E John è John.

 
Image and video hosting by TinyPic
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Clockwise