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Autore: Lisaralin    06/11/2014    4 recensioni
"The core of all life is a limitless chest of tales."
(Storytime, Nightwish)
Raccolta di flashfic e one shot di genere vario su personaggi dell'universo di Kingdom Hearts scelti con la modalità random della wikia di KH. Nata da una sfida tra amici e dal divertimento di scrivere qualcosa insieme.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Personaggio: Quasimodo
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste
Rating: giallo
Avvertenze: ambientata poco prima di KH3D e dell'arrivo di Sora e Riku alla Cité des Cloches. Mi sono permessa di dare la mia (alquanto inquietante) interpretazione personale su cosa accade esattamente in questi "mondi prigionieri del sonno" di cui si capisce tanto poco. L'ispirazione me l'ha data il fatto che, proprio in questo mondo, la storia di Sora e quella di Riku contrastano l'una con l'altra, con tanto di Frollo che muore due volte e in modi (più o meno) diversi.
Sono presenti riferimenti vari al film Disney, al romanzo di Hugo e al musical di Cocciante (non potevo resistere) e, siccome siamo alla Cité des Cloches, anche il titolo è in francese: "prigione di sogni".



Prison de rêves

Parigi si sveglia e si sentono già le campane a Notre Dame!
Le monete tintinnano allegramente nel cappello colorato mentre lo zingaro, tra un occhiolino e un sorriso affascinante, cerca di strappare alle dame assiepate nella piazza un obolo per la sua canzone.
Non può rendersi conto del paradosso contenuto nelle sue parole.
Parigi si sveglia, come ogni mattina, ma non apre mai gli occhi davvero. Si sveglia da un sogno. Si sveglia in un sogno. Ogni giorno uguale al precedente ma diverso, come infinite variazioni sul tema di una commedia che vede sempre gli stessi attori calcare la scena. Ma una commedia non è la vita reale, e quando le luci si spengono e il sipario cala torna a disperdersi tra le brume del mondo dell’immaginazione.
Non so perché io sono l’unico tra gli attori a rendersiconto di cosa sta accadendo al nostro mondo. Mi tornano alla mente le lezioni di Frollo – non ricordo più se del Frollo gentile che mi ha salvato la vita per carità, o di quello che non riesce a celare il disprezzo quando posa lo sguardo sul mio corpo deforme, o di chissà quale altro dei tanti che ho incontrato in questo lungo sogno di sogni. Mi parlava degli antichi, della loro credenza che i doni degli dèi venissero sempre accompagnati da maledizioni, per pareggiare i conti sulla bilancia del fato: e così i più grandi veggenti del mito erano afflitti da cecità, e il genio andava a braccetto con la follia. Forse anche io sono così. Forse la mia capacità di vedere oltre l’apparenza è il dono con cui il Signore ha voluto compensarmi per la gobba con cui mi ha maledetto alla nascita.
O forse, più probabilmente, è solo l’ennesima condanna.
Provare invidia per la gente è sempre stata la mia condizione di vita. E ora, all’invidia per un corpo sano e una vita normale, si aggiunge l’invidia per l’inconsapevolezza. Loro continuano a vivere beati, ignari di trovarsi in un sogno. La loro memoria si dissolve a ogni risveglio, non porta traccia di tutti i frammenti di esistenza che hanno ripercorso e continuano a ripercorrere all’infinito, degli innumerevoli finali della commedia. Forse ricordano vagamente di aver sognato, e stiracchiandosi tra le coperte si compiacciono di essere sfuggiti dalle grinfie di un incubo; senza sapere che quello in cui hanno riaperto gli occhi non è che un altro, ennesimo sogno.
Io ho il dono di vedere, ma non di cambiare le cose. Non so come risvegliarmi dalla prigione di sogni. Non credo dipenda dalle mie sole forze. È il cuore stesso del nostro mondo a dormire, e forse solo un eroe venuto da chissà quale terra lontana potrà salvarci tutti e riportarci alla vita vera.
E mentre paziento, prego e aspetto, non ho altra scelta che sedermi tra il pubblico e fare da spettatore. Uno spettacolo diverso ogni giorno, senza neanche dover pagare il prezzo del biglietto.
E ne ho viste di storie, commedie e tragedie, addentrandomi lungo i bivi di tutte le realtà possibili, esplorando le alternative che mai sono state e che ottengono una vita, seppur illusoria, solo grazie ai sogni.
Ho visto Frollo vestire i panni del giudice e poi quelli del sacerdote, rintanato in uno stanzino umido e freddo tra i suoi esperimenti proibiti di alchimia. L’ho visto soffrire per l’ingratitudine di un fratello scapestrato, e discutere con un poeta girovago di filosofia, di Firenze e di Bramante. Ho visto il capitano Febo sposare la superba Fiordaliso e passare una vita intera a rimpiangere l’amore puro e sincero di Esmeralda. Ho visto il popolo della Corte dei Miracoli riversarsi per le strade di Parigi e prendere d’assalto la cattedrale, e lo zingaro Clopin accasciarsi trafitto da una salva di frecce sul selciato della piazza.
A volte sono salito sul palco, ho indossato una maschera e mi sono messo e recitare anch’io.
Ho provato in mille e più modi a conquistare il cuore della bella Esmeralda. In alcuni sogni avevo l’appoggio dei miei amici gargoyle; in altri loro erano davvero semplici figure scolpite nella pietra, e sono rimasti muti di fronte alle mie richieste di aiuto. A volte il sipario si chiudeva con Febo ed Esmeralda mano nella mano, che mi sorridevano pieni di gratitudine, e allora mi costava uno sforzo sovrumano ricambiarli con un sorriso mio, e convincerli che ero davvero felice per loro. Ma dopotutto, in questa eterna dimensione di sogni senza passato né futuro, sono diventato piuttosto bravo a recitare.
Altre volte – e quelli sono gli incubi peggiori – il corpo snello e bellissimo della mia amata pendeva lugubre da un cappio. Oscillava debolmente nella nebbia che precede l’alba, sulla stessa piazza dove un tempo era solita danzare al ritmo dei tamburelli. E io, dopo aver gettato dalla torre il sacerdote maledetto che l’aveva uccisa, le correvo incontro con i rintocchi cupi della grande Marie che mi rimbombavano nelle orecchie, e non desideravo altro che morire insieme a lei.
Gli attori possono indossare mille maschere in questo vortice di sogni. E così accade che il viso bello come il sole del capitano Febo nasconda un cuore nero e ingannatore, mentre dietro la tonaca lugubre di Frollo ci sia più umanità di quanto si possa pensare. O il contrario.
Eppure, ci sono dei finali che non si verificano mai, non importa quante volte lo spettacolo si ripeta, non importa quali scelte compiano gli attori.
La bella Esmeralda non si innamora mai del povero campanaro gobbo.
Sono arrivato alla conclusione che esistono leggi non scritte, granitiche e immutabili, che governano i mondi e da cui non si può scappare nemmeno attraverso i sogni. I diversi, gli esclusi, restano tali in ogni versione del sogno, in ogni replica dello spettacolo. Non esiste un mondo in cui gli zingari possono camminare a testa alta, mano nella mano con i loro fratelli dalla pelle chiara.
E in tutti i mondi, in tutti i sogni, su tutti i palcoscenici della mente, c’è una sola parola per descrivere le creature come me, maledette da Dio e dagli sguardi degli uomini.
La parola mostro.
  
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