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Autore: Francine    06/11/2014    3 recensioni
E poi ci sono loro. Le infiltrate. Quelle che necessitano di più spazio di quello garantito da cento parole secche. Quelle che non hanno un posto dove andare, come i coralli aggrappati allo scoglio. Quelle che non hanno legami, non hanno radici, non hanno una genesi. Quelle che ho scritto quando avrei dovuto concentrarmi su qualcos’altro. Quelle che sono un tappeto di nuvole. Un’accozzaglia di cause perse, insomma. Le ho raccolte tutte qui, nella speranza che possa farvi piacere.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#39 Tutto Qua
Prompt: Nascita
Fandom: Saint Seiya – Post Hades, pre Omega 
Personaggi: ShunRei
Note: Non ricordo in quale momento Shiryu perda tutti e cinque i sensi, se dopo la battaglia contro Hades o durante una qualsiasi altra scazzottata tra divinità. Come li abbia persi è un problema suo, quando sia accaduto, è un problema mio. È abbastanza crudele averlo reso un vegetale durante la gravidanza di ShunRei, n'est-ce pas?


 
Nascere è ricevere un intero universo in dono.
(Jostein Gaarder, In uno specchio, in un enigma, 1993)
 


Nascere è doloroso, ma non per le contrazioni che ti squassano l’addome, non per la schiena che sembra stia per spezzarsi in due ad ogni respiro che ti gonfia i polmoni, non per tuo figlio che spinge, spinge, spinge come se volesse passare sul tuo cadavere – letteralmente – pur di sgusciare fuori da te. Nascere è doloroso perché è una separazione. Della madre dal figlio. Non è più solo suo, ma del mondo. Di Athena, pensa ShunRei mordendosi le labbra secche e spellate.

«Forza, ragazza. Una bella spinta!»

Dong Mei glielo ripete da un pezzo. E lei obbedisce. Svogliata. Perché lei non vuole che suo figlio nasca. Vuole che resti lì. Dentro di lei. Al sicuro.
Le dita di Shiryu sono un’ancora che la tiene a galla. Se non fosse per lui, che le sostiene la schiena e le spalle, si sarebbe lasciata scivolare giù. Nell’oblio. Assieme a suo figlio. Suo. Non di Shiryu. Non di Athena. Suo. Solamente suo.

«Vuoi far nascere questo bambino, sì o no?»

No.

No, che non vuole. Certo che non vuole. Farlo nascere per cosa? Perché Athena lo reclami a sé, come ha fatto con Shiryu e con il Maestro?

Non ti basta, Athena? Non è ancora abbastanza?

Il bimbo vuole uscire. Vuole affacciarsi alla vita. In cuor suo lei lo chiama già col suo nome. Ryuho. Picco del Drago. Così come il monte da cui scroscia a valle la cascata dove Shiryu si allenava da ragazzo e dove il Maestro meditava anche per mesi. Dong Mei è sicura che sarà un maschietto. «Perché hai i fianchi larghi, ragazza», le ha detto qualche mese fa. Raggiante. Come darle torto? Un figlio maschio, in Cina, è una benedizione. Un figlio maschio lo si tiene. Non lo si abbandona nelle foreste, com’è successo a lei. Un figlio maschio è il bastone della vecchiaia dei genitori, si dice. A lei non importa sapere se avrà un maschio, o una femminuccia. A lei importa che suo figlio sia sano. E che non possegga alcun cosmo. Perché in quel caso, Athena lo reclamerebbe a sé. Maschio o femmina che fosse.

«Vedo la testa!»

La mano di Shiryu le accarezza il viso. Le asciuga un po’ di sudore dalla fronte imperlata. Lei vorrebbe morderlo. Vorrebbe che se ne andasse. Anche lui è un pericolo, adesso. Perché pur non possedendo un cosmo, pur non percependo quell’energia di cui tutti attorno a lei parlano come se fosse qualcosa di reale e tangibile – un fiore, una mela, il bastone del vecchio Maestro – ShunRei sa che quello che la mano di Shiryu cercava durante la sua gravidanza, sfiorandole il ventre tondo, non erano i colpetti che il bambino dava dentro di lei. Nossignore. Come avrebbe potuto, dato che ha perso tutti e cinque i sensi in battaglia? Non era la presenza di Ryuho, che cercava Shiryu. Era il cosmo del bambino.

Non ce l’ha. È un bambino normalissimo. Un bambino come tutti gli altri. Un bambino senza cosmo. Il mio bambino.

Questo si ripete ShunRei. Per convincersi che no, quell’energia che ha percepito dentro di sé in questi nove mesi era solo una vita che si forma. Una stella che danza. Tutto qua. Niente cosmi, stelle protettrici o armature da conquistare. Non è Shiryu, lui. Lui è il suo bambino. Un bambino normalissimo. Un bambino bellissimo. Un bambino che non cederà ad Athena, mai e poi mai.

«Dannazione, ragazza! Vuoi lottare per tuo figlio, sì o no?!»

Lo sto già facendo, vorrebbe risponderle ShunRei, se non fosse preda dei dolori che le sconquassano il corpo. Ryuho vuole uscire, e vuole farlo adesso. Dove diamine devi andare?, si chiede lei. Temendo quale sarebbe la risposta di suo figlio – se un neonato potesse parlare e non solo vagire, ovvio –quella che lei non è disposta a sentire. Né adesso, né mai.

«Devo andare da Athena, mamma.»

«No!»

Un grido roco e disperatissimo, urlato contro un cielo lontano e freddo, in uno spasmo che la fa piegare in due, le gambe aperte e tenute divaricate dalla levatrice.

«Come sarebbe a dire, no? Certo che sì, invece! Il bambino sta per nascere. Ti decidi a spingere una buona volta?»
«Non posso…»
«Sì che puoi!»

Dong Mei non capisce. Dong Mei non può capire. Non è suo figlio, quello che Athena sta reclamando a sé. È il mio sangue. La mia carne. La mia anima.

Il Maestro le aveva detto di non affezionarsi troppo a Shiryu, perché avrebbe dovuto dividerlo con Athena. «Una dea sa essere molto, molto possessiva, ShunRei», le diceva, gli occhi acquosi persi ad osservare la cascata scrosciare rabbiosa a valle ed i salti di Shiryu per deviarne il flusso. Ma il suo cuore apparteneva già a quel ragazzo arrivato dal Giappone. Quel ragazzo così serio e taciturno e schivo.

Non ti basta aver preso il Maestro, Athena? Non ti basta quello che hai fatto a Shiryu?

ShunRei piange. Grida. Per il dolore. Per le contrazioni. Per la paura. Perché con un guizzo disperato il suo corpo si schiude. E il bambino scivola fuori da lei. Regalandole un freddo intensissimo. Una solitudine disperata. Incolmabile.

«Dov’è? Dov’è?!», chiede, il respiro mozzo, le braccia allungate a cercare quel pezzo di lei che qualcuno le ha strappato con violenza. È stata Athena. Lei lo sa. Per capriccio. Per dispetto. Per rappresaglia. Per prendersi quello che lei ritiene sia suo di diritto. «Dov’è il mio bambino?»

Le dita di Shiryu si allentano, un poco. Quanto basta per gettarla nel panico. Le sue ciglia stanno tremando. Poco, ma quanto basta perché lei capisca. Ryuho possiede un cosmo. Un cosmo forte e lucente, come quello del padre. E Shiryu sta comunicando con suo figlio proprio grazie a quel cosmo.

«Che ti dicevo, ragazza mia? È un bel maschietto!», dice Dong Mei, mettendoglielo tra le braccia.

ShunRei fissa suo figlio, i capelli scarmigliati e la casacca madida di sudore. Un miracolo di tre chili scarsi. Ciao, piccolo... Ryuho è bellissimo. Fatto di latte e sangue. Una miriade di capelli scurissimi. Il naso del padre. La bocca così piccola. E quelle manine…

«La mia piccola stella che danza», sussurra sfiorandogli le dita. Piccole. Tenere. Caldissime. «La mia stella che danza…»

Un braccio di Shiryu le cinge le spalle. I suoi capelli le scivolano sulla pelle sudata.

«È un bambino bellissimo», sussurra a suo marito. Come se lui potesse ancora sentire il suono della sua voce. «Il mio bambino.»

Non di Shiryu. Non di Athena. Suo. Solo suo. Anche se possiede un cosmo. Suo. Per qualche anno almeno. Tutto qua.
   
 
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