Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Nimel17    07/11/2014    3 recensioni
Seconda classificata al contest "Da un momento all'altro" di Belle.
Sybil è l’angelo bibliotecario del Paradiso, non si sarebbe mai dovuta innamorare di un demone.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Storia partecipante al contest “Da un momento all’altro” di Belle.
 
 
 
Nickname EFP/forum: Nimel17
Titolo: It only takes a moment
Rating: verde
Genere: Soprannaturale, romantico, introspettivo.
Trama: Sybil è l’angelo bibliotecario del Paradiso, non si sarebbe mai dovuta innamorare di un
              demone.
Note dell’autrice: Nessuno
 
 
 
Sybil era morta a vent’anni, investita da un pirata della strada. Questo era successo qualche secolo prima e lei non ricordava quasi nulla della sua vita terrena, però le piaceva osservare la gente mortale e la Terra continuare la sua evoluzione, dopo che aveva rischiato la rovina a causa di guerre e inquinamento.
Qualche volta, scendeva persino dalla sua nuvola per mescolarsi tra i vivi, ma il suo dovere di angelo non le lasciava mai troppo tempo libero: era la bibliotecaria del Paradiso, visto che le era stato detto che in vita aveva amato moltissimo i libri.
Nonostante quello che si poteva pensare, in Cielo non c’erano solo volumi di teologia, ma anche fantasy, thriller, biografie, addirittura romanzi rosa.
La biblioteca era un luogo neutrale: dovendo l’Inferno essere privo di piaceri, i demoni dovevano recarsi lì se volevano leggere e, grazie alla clemenza divina, non c’erano né crocifissi né acqua santa che potessero farli sentire a disagio.
Sybil era piuttosto timida e schiva, ma di tanto in tanto le piaceva chiacchierare con qualche visitatore, anche se infernale; era fin troppo consapevole che diavoli e angeli erano accomunati dalla solitudine.
Talvolta vedeva anche suo padre, dannato per l’eternità per avere ucciso la moglie a forza di botte, ma lo trattava come tutti gli altri, anche se con grande sforzo: pur non ricordando molto della sua vita, le sembrava di provare ancora quel misto di odio e paura nei suoi confronti quando i loro occhi s’incrociavano.
“Si sogna a occhi aperti, eh, angioletto?”
Lei alzò lo sguardo dal suo libro per incontrare le iridi color oro fuso di Gormogon, uno dei demoni più odiosi che conoscesse, a suo parere secondo solo a Lucifero.
Voleva dargli una risposta sarcastica, ma era un angelo, così gli rivolse invece un sorriso luminoso.
“Mi scusi. Come posso aiutarla?”
L’altro inarcò un sopracciglio a quel tono formale, ma alzò le spalle.
“Sto cercando Il collezionista di ossa.
Sybil arricciò il naso. Tutti uguali i dannati, non erano contenti se non leggevano qualcosa di violento.
“Mi dispiace, ma non può averlo finchè non consegna quello preso in precedenza.”
“Ho ancora due settimane, li porterò entrambi per allora.”
Lei sorrise più dolcemente. Aver cambiato la data di restituzione non era stata una cosa molto gentile da fare, ma era solo un angelo, non la Madonna, in fin dei conti.
“Controlli pure il registro.”
Il demone la fissò come se fosse indeciso tra il ridere e lo sprigionare fiamme, decidendosi alla fine per un inchino ironico.
“Lo restituirò stasera, in tal caso.”
“Spiacente, è la mia serata libera.”
“Angioletto, lasceresti un libro celeste nelle mani di un dannato come me? Rischioso. Poco rispettoso, anche.”
Erano decenni, se non addirittura secoli (il passare del tempo era così relativo in Paradiso, che raramente Sybil ne teneva conto), che i due partecipavano a questa breve danza di dispetti e frecciatine. Uno attaccava, l’altro parava e affondava a sua volta.
E ora addio progetti per la sera.
Tuttavia, non mostrò di esserne particolarmente colpita e annuì seria.
“Ottimo.”
Tornò a leggere la storia della piccola fiammiferaia, incrociando le caviglie e fingendo d’ignorare il demone, cosa in realtà quasi impossibile da fare: Gormogon era di statura più alta del normale, la pelle era di un colore indefinibile tra il grigio e il violaceo, i capelli erano neri con un’unica ciocca bianca nel mezzo, ma la cosa che la infastidiva di più era quella barbetta a punta.
Non dava più un look diabolico, a suo parere, solo disadattato.
“Sei molto irritante, per essere un angioletto fatto di luce e virtù.”
Sybil nascose un mezzo sorriso, non sapendo d’essere smascherata dalle fossette.
“Mi dispiace.”
“Non è vero.”
“Gli angeli non possono mentire.”
Ed era la verità: le dispiaceva che la trovasse semplicemente irritante e non fastidiosa, nociva, dannosa.
Sostenne il suo sguardo con occhi limpidi e lo fissò mentre scompariva in una nuvola di fumo.
Esibizionista antiquato.
Fantastico, aveva persino lasciato della cenere per terra. L’aveva fatto apposta, ne era sicura.
Sospirò e abbandonò la sua comoda sedia per vagare tra i corridoi della biblioteca, soffermandosi spesso sui bambini chini a disegnare o a guardare le figure dei libri, le loro piccole aureole che cozzavano le une contro le altre. Non era giusto che il Signore li avesse chiamati a Sé così presto.
Scacciò quel pensiero quasi sacrilego, irritata per aver dubitato di Lui. Nessuno sapeva quale fosse il Suo disegno e lei non aveva nessun diritto di giudicare.
Spazzò via la cenere con un gesto della mano e tornò al suo posto, più irrequieta di quando si era alzata. Le sue dita giocavano inconsapevolmente con i capelli, le cui ciocche oscillavano tra il castano molto chiaro e il biondo molto scuro; le ali le pesavano sulle scapole e le era pure venuta un’emicrania, dimostrando come menzognera la concezione secondo cui gli angeli non soffrivano né di mali fisici, né di malattie.
Doveva essere stata una voce diffusa dai demoni, solo loro avrebbero potuto inventare una bugia così plateale.
Cercò di riprendere la lettura, ma la sua mente era altrove. Non vedeva l’ora che finisse il suo turno per andarsene qualche ora sulla Terra: si sarebbe recata a Parigi, decise improvvisamente.
Un aperitivo veloce seduta sulla rive gauche, la Torre Eiffel illuminata, gli artisti e l’assenzio che scorreva come acqua di cliente in cliente…
Sorrise, rasserenata. Pensare a Parigi la faceva sempre sentire meglio.
“Scusa?”
Una bimbetta di non più di cinque anni le stava sventolando un foglio sotto il naso, saltellando sulle punte dei piedini nudi.
“Non riesco a disegnare un gattino. Me lo fai? Per piaceeere?”
Sybil rise di cuore e si mise la piccola sulle ginocchia, tenendola lì mentre esaudiva la sua richiesta. Provò a ricordare se in vita aveva desiderato dei figli, ma probabilmente era stata troppo giovane per pensarci seriamente.
Mentre faceva il disegno, notò  che la testa della bambina aveva iniziato a ciondolare da un lato, i suoi occhietti erano chiusi e coperti dai ricciolini, così se la sistemò meglio, appoggiandole il capo sulla sua spalla.
“Ma che tenerezza.”
Cos’aveva mai fatto di male per meritarsi ancora quel demoniaco seccatore così presto? Prese in considerazione l’idea di cacciarlo via, ma poi si ripeté che era un angelo. Perché se lo dimenticava sempre, quando lui era nei paraggi?
“Abbassi la voce, per favore. Sta disturbando i lettori.”
Era un’esagerazione e lo sapevano entrambi, ma Gormogon fece semplicemente spallucce.
“Se lo dici tu, angioletto. Sono qui per conto del mio Padrone.”
Lo disse con tale reverenza, che Sybil poteva percepire la lettera maiuscola come se l’avesse nitida davanti agli occhi. Strinse la bocca in una linea sottile.
“Cosa gli serve?”
Il demone si frugò nelle tasche e le porse un foglietto spiegazzato.
“Li prendo io, basta che mi dici dove sono, dolcezza.”
Lei si staccò delicatamente dalla bimba, lasciandola dormire sulla sedia.
“Non posso lasciare maneggiare questi libri da altri, è la Regola.”
Lui roteò gli occhi.
“Nemmeno dagli angeli?”
“Nemmeno da loro. Questi testi sono i miei tesori e mi pesa già abbastanza separarmene per un po’.”
La voce aveva lasciato trasparire troppo trasporto, quindi tacque, imbarazzata, tenendo la testa bassa.
“E io che pensavo che fosse perché sono un demone.”
In parte era così, ma Sybil non l’avrebbe mai ammesso a voce alta.
“Cosa gliel’ha fatto pensare?”
“Direi… il tuo atteggiamento, così aperto e solare, probabilmente.”
Ferita dal suo sarcasmo, contò fino a dieci prima di sorridere.
“Ce la metto tutta.”
Salì sulla scala, cercando l’autrice giusta e ridacchiando quando la trovò.
“Barbara Cartland? Un harmony, sul serio?”
“Beh, è stato Lucifero a inventare il genere. È una delle creazioni che lo rendono più orgoglioso.”
Lei avrebbe dovuto immaginarlo, ma certe cose erano troppo persino per lei. Guardò all’improvviso in giù, colpita dal pensiero che il demone avrebbe potuto sbirciarle sotto la tunica, ma incontrò solo il suo sguardo astuto, quello sguardo che diceva “Sapevo che avresti fatto così”.
Tornò a cercare gli altri libri, mordendosi l’interno della guancia. Chi si credeva di essere?
“Ne manca ancora uno, angioletto.”
“Quale?”
Twilight.”
Sybil fece un salto sulla scala, rischiando di cadere.
“Non mi dica che Lucifero ha inventato pure questo!”
“No, ma non l’ha mai letto e, da quello che ha sentito, pensa possa essere una buona fonte d’ispirazione.”
Lei rabbrividì e salì di un altro piolo.
“Meglio che faccia io, angioletto. Se cadi non farai in tempo ad aprire le tue alucce.”
“Non si preoccupi.”
Sentì un sospirò provenire dal basso e lo ignorò prontamente, allungando un braccio per prendere il libro.
Non ci arrivava.
“Angioletto…”
Provò un cauto saltello e riuscì ad afferrare il fantasy.
“… la scala sta cedendo.”
Proprio in quel momento, i pioli le crollarono sotto i piedi e Sybil si ritrovò a cadere a velocità della luce, il volumetto per cui si era tanto sforzata fluttuante sopra di lei.
La sua schiena entrò in collisione con il duro pavimento, Twilight invece venne prontamente afferrato da lunghi artigli.
“Grazie mille, dolcezza.”
L’angelo rimase senza parole per qualche secondo; il suo corpo urlava per il dolore e l’indignazione la stava quasi soffocando, le guance erano rosse in modo allarmante, ma il demone rimase imperturbabile.
“Ti avevo avvisata.”
Uno, due, tre, quattro… no, nemmeno contare era sufficiente.
“FUORI!”
Sybil si rialzò a fatica, controllando i lividi che si stavano già formando sulla pelle bianca.
Per fortuna era già morta.
“Avresti preferito che ti avessi presa tra le braccia?”
Lei sbatté violentemente le ali, un po’ per rabbia e un po’ per scrollarsi la polvere di dosso. Aveva i pugni serrati e solo il suo dovere angelico le impediva di scagliarsi contro di lui.
“La biblioteca è chiusa. Fuori.”
“Ma…”
“Inventario. Ora. Fuori.”
Si voltò e si diresse verso la porta; sarebbe dovuta andare da Temperance, l’angelo infermiere, perché il ginocchio destro le faceva un male del..
Le faceva molto male.
Aspettò che il demone uscisse, rigida sulla soglia e per nulla impietosita dallo sguardo da cane bastonato di Gormogon.
“Mi disp…”
“Non. Una. Parola. I libri vanno consegnati entro il primo del mese prossimo.”
Meno di mezz’ora dopo, aveva già fatto uscire i lettori e aveva chiuso le porte massicce con la grossa chiave di quarzo, desiderandone per l’ennesima volta una più piccola e leggera. Non si era mai sentita tanto furiosa, sia con lui sia con se stessa: era contro la natura delle creature infernali fare buone azioni, perché allora si era aspettata che la prendesse al volo?
Però la biblioteca era un ruolo neutrale, non era come se un gesto cortese l’avrebbe poi trasformato in un santo!
Mentre andava in infermeria, salutò la sua amica Verity, che stava distribuendo biscotti fatti in casa: era una dei migliori angeli custodi e una cuoca a tempo libero, ma nessuno osava dirle che i suoi risultati culinari erano stati confiscati dai demoni minori per usarli come armi da combattimento.
Aveva aiutato molto Sybil quando era arrivata in Paradiso e per questo le sarebbe stata sempre grata, al punto da assaggiare qualsiasi cosa le propinasse.
“Come mai hai finito prima, carissima?”
“Mi sono fatta male e volevo andare da Tempe.”
“Stai attenta che non lo scopra Oneiros, sai quanto ci tenga ai preziosi volumi che ci ha regalato dopo l’ennesima lite dei suoi bibliotecari.”
“Povero Abele, gli piaceva tanto aiutarmi con l’archivio.”
Mentre Temperance le massaggiava il ginocchio, più tardi in infermeria, rifletté sulla visione del mondo che aveva da umana. Non se la sarebbe mai ricordata, se un bambino non le avesse fatto una particolare domanda sul Diavolo pochi giorni prima: aveva sempre immaginato l’Inferno come una fossa piena di fuoco, che però i dannati potevano provare a superare, per cominciare poi il loro cammino per la redenzione.
Avevano solo troppa paura per tentare.
Il Cielo, invece, lo riteneva un luogo fatto solo di nuvole e angeli che cantavano in cerchio.
Da morta aveva ovviamente scoperto la verità: l’Inferno era fatto sì di fiamme ardenti, ma anche di castelli e boschi pieni di rovi, mentre i dannati vagavano tranquilli, trasformati nel tipo di persona che in vita odiavano di più.
Le avevano ad esempio riferito che Hitler si era convertito all’ebraismo ed era diventato un alcolizzato amante dei barbecue domenicali.
Il Paradiso era una specie di megalopoli, con grattacieli di vetro e giardini all’inglese estremamente ordinati. Era vero, però, che in genere gli angeli adoravano cantare e indossavano le solite, stereotipate tuniche bianche.
“Tutto a posto, Sybil. Stai più attenta alle scale, sono pericolose.”
Lei sorrise all’anziano infermiere dalla pelle color noce.
“Lo farò, non temere.”
“Divertiti stasera, a Parigi.”
Rinunciò a chiedergli come facesse a saperlo: Temperance era l’angelo del gossip, se mai ne esisteva uno.
Le ci voleva sempre poco per prepararsi, libera da tediose pratiche come il trucco. Le bastava mettersi abiti umani ed era pronta a scendere le scale del Paradiso.
Quella sera il vestito le fluttuava appena sopra il ginocchio ad ogni passo, il cappellino era fermamente calato sull’occhio sinistro e l’insieme le donava molto, nonostante sembrasse probabilmente uscita da un film dei primi anni del Novecento.
Era giugno e c’era un piacevole venticello, ma sapendo quanto fosse imprevedibile il tempo nella capitale francese, Sybil si era assicurata che un ombrellino decorato con pizzi lilla le oscillasse sul polso.
“Non ti hanno insegnato che a Parigi non si viene mai con l’impermeabile o l’ombrello?”
Lei rimase a bocca aperta per la sua audacia: era appena arrivata sulla Terra e già Gormogon la perseguitava!
“Che ci fai qui?”
“Dov’è andata Miss Formalità?”
“Torna dopo mezzanotte.”
Il passaggio tra vivi e anime si trovava in una viuzza laterale del Louvre dall’illuminazione costante, così Sybil poteva vedere Gormogon nel suo aspetto umano.
La pelle pallida, i vestiti ancora più decadenti dei suoi, un bastone nero…
Era piuttosto strano.
Lui le porse una mano, sorridendo leggermente e guardando un punto al di sopra delle sue spalle.
“Tregua?”
L’angelo ci pensò, poi alzò le spalle.
“Sei fortunato, quando sono a Parigi non ho voglia di litigare.”
Accettò la stretta amichevole, per niente sorpresa dal calore intenso delle dita di lui.
“Posso accompagnarti sulla rive gauche? Per farmi perdonare per oggi?”
Lei stava per dire che preferiva stare sola con i propri pensieri, ma si accorse invece di desiderare qualcuno con cui parlare, quella sera.
“Volentieri, ma ti avverto che ho tutte le intenzioni di ubriacarmi.”
“Gli angeli non possono sbronzarsi.”
“Per un paio d’ore non sarò un angelo. Te l’ho detto, è la mia serata libera.”
“Vieni sempre qui a Parigi?”
“Spesso. Chi….? No, aspetta, non può essere stato che Tempe.”
“Non è molto bravo a tenere i segreti.”
 “Perché chiedevi dov’ero?”
Gormogon alzò le spalle.
“Per scusarmi, come ho già detto.”
Sybil sorrise e si gettò i capelli all’indietro, attirandosi gli sguardi di alcuni ragazzi seduti fuori da un Cafè.
“I demoni non si scusano. E non prendono al volo bibliotecarie cadenti.”
“Tu mi stai simpatica, angioletto. Mi è dispiaciuto sapere che sei dovuta andare in infermeria, davvero. Ma la mia natura è quello che è.”
“Ti perdono se mi dici una cosa.”
“Ti ascolto.”
“Perché il bastone?”
“Nell’Ottocento andava di moda. E, prima che tu me lo chieda, sono nato parecchi secoli prima.”
“Hai conosciuto Jane Austen?”
Lui roteò gli occhi e Sybil ridacchiò. Non aveva mai notato nel demone un lato così sincero e aperto. Camminarono per un po’ in silenzio, il rumore degli studenti che festeggiavano le vacanze troppo assordante per parlare. Era quasi buio e avevano iniziato ad accendersi le luci multicolori dei locali, proiettate anche sui marciapiedi e sulla strada; nell’aria c’era un buonissimo profumo di crêpes e lei si sentì venire l’acquolina in bocca.
Nel suo stato non aveva esattamente bisogno di cibo, ma il vedere quelle delizie così fumanti e grondanti di cioccolato le faceva venire fame lo stesso.
“Te ne prendo una, prima che inizi a farti strada a morsi?”
Sybil gli fece una linguaccia e lo precedette. Si sentiva estremamente giocosa e infantile, come se fosse tornata bambina. Doveva essere l’effetto di camminare con un demone di secoli più vecchio.
“Per me, una crêpe al pistacchio, per lui una al cioccolato.”
Vedendo che lui aveva aperto la bocca per protestare, gli piantò un pestone e lo zittì con un’occhiata ammonitrice.
“Buono tu.”
“Meno male che ho il bastone, credo che tu mi abbia azzoppato.”
Mangiarono i loro dolci sui muretti lungo la Senna, quasi del tutto tranquilli.
Quasi, perché ad un certo punto una donna poco distante da loro si mise a strillare, indicandoli.
Lei non riuscì a distinguere bene le parole, ma a giudicare dall’espressione di Gormogon non doveva essere niente di piacevole.
“Cos’ha detto?”
“Mi ha riconosciuto come un demone dell’Inferno. Dev’ essere una sensitiva, immagino.”
Sybil arricciò il naso.
“E perché io dovrei farle paura? Sono un angelo!”
“Forse credeva che ti tenessi sotto il mio incantesimo.”
Lei sogghignò, pulendosi la bocca con una salvietta di carta.
“Vorrei proprio vederlo.”
“Si tratta della mia specialità. Ne sei sicura, angioletto?”
La stava guardando serio, troppo serio. Non aveva più nemmeno l’ombra di un sorriso e gli occhi dorati erano fissi nei suoi, cercando di oltrepassare le sue difese.
Faceva così caldo… sentiva il sudore scenderle dalla fronte, poi si riscosse quando sentì qualcosa di bollente gocciolarle sulle gambe.
“La mia crêpe!”
“Sei molto resistente, devo concedertelo.”
“L’ipnotismo è proibito tra quelli della nostra specie.”
“Ma, stasera, tu non sei un angelo e io non sono un demone. E poi, mi hai sfidato tu.”
“Non c’entra nulla! La volontà è sacra persino per gli umani e non è tuo diritto imporla!”
Gormogon si passò una mano tra i capelli, più mossi del solito, il viso segnato da un sorriso freddo e beffardo che lei non gli aveva mai visto. Le fece stringere le braccia per contenere un brivido.
“Che buffo… la forza di volontà… sai, angioletto, un tempo pensavo potesse fare la differenza. Credevo che i dannati all’Inferno potessero provare a uscire dalle fiamme vincolanti per intraprendere la strada della redenzione, perché lo volevano.”
Sybil impallidì, il cuore che batteva veloce come i movimenti di un uccellino in gabbia. Le sembrò di non aver mai davvero compreso il demone prima di allora… era davvero possibile che fossero così simili? Gli prese la mano e lui l’allontanò con un gesto brusco.
“Patetico, vero? In realtà il vero motivo per cui ti ho seguita qui, dolcezza, è che, anche se a volte non ti sopporto e ti strapperei le alucce dal fastidio, sei anche l’unica capace di sorprendermi. Forza, stupiscimi con una delle tue savie sentenze. Sono certo che puoi capire, in fondo angeli e demoni sono accumunati dalla solitudine, non ti pare?”
Lei aprì la bocca per parlare, poi la richiuse. Si alzò in piedi e corse via, la mente bloccata dal panico, non badava neanche alla marea di gente che le veniva contro, nella fretta di raggiungere le scale. Si voltò un paio di volte, ma non era stata seguita.
Si fermò solo quando fu dentro la biblioteca, il suo santuario, il suo asilo; si appoggiò ad uno scaffale e scivolò a terra, abbracciandosi le ginocchia.
Qual era il significato di quello che era successo? Come aveva potuto quella creatura infernale dare voce ai suoi pensieri, alle sue convinzioni più recondite?
Dio, aiutami…
Anche ad occhi chiusi vedeva quelle iridi dorate perseguitarla. Le lacrime avevano iniziato a bagnarle le guance, il cervello cercava di negare quello che il cuore aveva già intuito.
Non ne sapeva il motivo, ma quelle parole di Gormogon avevano smosso qualcosa dentro di sé, qualcosa che aveva creato una fessura nella sua corazza protettiva e le aveva fatto capire il legame che c’era tra lei e il demone.
Unilaterale, perché lui non l’avrebbe mai vista se non come occasionale anima da stuzzicare con i suoi commenti ironici, come fortuita interlocutrice per conversazioni letterarie o teologiche.
Mentre lei… lei si stava innamorando di una persona che le era nemica come l’acqua lo era del fuoco, tutto perché non aveva mai notato, prima di quelle parole maledette, quanto fossero belli i suoi capelli che si fermavano poco più in su delle spalle, quanto determinati fossero i suoi lineamenti e quanto forte fosse il suo profilo aquilino.
Se non fosse mai andata a Parigi, quella sera, non sarebbe mai successo nulla di tutto questo.
Avrebbe ancora il cuore e la sanità mentale intatti.
Iniziò a singhiozzare, premendosi il viso tra le mani. Non aveva speranze.
E se anche lui avesse in qualche modo ricambiato il suo sentimento, che futuro avrebbe mai potuto esserci tra un angelo e un demone?
Non ci voleva un’Intelligenza Superiore per comprendere che sarebbe stata un’unione maledetta sia da Dio sia dal Diavolo.
Come avrebbe potuto continuare il loro strano rapporto mettendo a tacere i suoi nuovi sentimenti?
Si sciolse i capelli, visto che ormai la treccia era sfatta, poi si alzò in piedi e cercò di calmarsi: era sempre stata razionale, non si era mai lasciata sopraffare da ciò che provava, questo non era nulla di diverso. Avrebbe indossato la sua migliore maschera d’indifferenza e sarebbe andata avanti…
Per l’eternità.
Stava leggendo, seria e posata, quando avvertì la sua presenza.
“Buonasera.”
“Siamo tornati a Miss Formalità, adesso?”
“La mezzanotte è passata, dopotutto.”
“E, come Cenerentola, sei scappata via.”
Se avesse potuto mettersi le mani sul petto per attutire i battiti del cuore senza destare sospetti, l’avrebbe fatto.
“Un momento di panico. C’era troppa gente.”
“Non mentire, angioletto. È peccato.”
Sybil non rispose, preferendo tenere lo sguardo abbassato sulle pagine del libro, terrorizzata dal sospetto che potesse capire la vera ragione che l’aveva spinta a correre via.
“Mi dispiace. Mi sono lasciato trascinare dall’amarezza e devo averti offesa, o spaventata.”
Lei deglutì, poi sorrise.
Perdonami Dio, per questa bugia… la prima che ho detto da quando sono diventata un angelo.
“Non ti preoccupare. Ho reagito esageratamente. È tutto dimenticato.”
“Sicura?”
Le si avvicinò e le scostò i capelli dalla fronte.
“Hai pianto. A causa mia.”
“No!”
Si era alzata in piedi, il libro caduto a terra dimenticato.
“Non c’entri… non hai fatto nulla di male. Te lo giuro.”
Lui la squadrò a lungo e Sybil ebbe bisogno di tutto il suo autocontrollo per rimanere a testa alta sotto quell’esame.
“Non c’è nulla che vorresti dirmi, dunque?”
Probabilmente ti amo.
“No. Scusami ancora per prima.”
Solo quando fu certa di essere rimasta sola, permise alle sue gambe di cedere e al suo corpo di crollare sulla sedia.
Dormì in biblioteca, quella notte.
 
 
Angolo dell’autrice: La colpa di questa storia è di Pratchett e Gaiman, con il loro libro “Buona Apocalisse a tutti”. Per chi non sapesse il francese (beh, non lo so nemmeno io in realtà) la rive gauche è la riva sinistra del fiume.   
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Nimel17