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Autore: Glitch_    07/11/2014    6 recensioni
[Sterek, post 3b] Derek decide di restare a Beacon Hills e di riformare la piccola biblioteca di famiglia.
Lydia decide di abbracciare del tutto la propria natura di banshee, ma cerca aiuto presso un Hale diverso, stavolta.
Uno spirito misterioso, invece, decide di mettere radici a Beacon Hills e spingere con mezzi poco etici le persone sole a tornare ad amare, pena l'autodistruzione.
O anche...
Storia in quattro parti in cui Derek scopre che fra lui e Stiles c'è del potenziale e una kitsune del suono si esibisce in delle serenate provvidenziali per invogliarli.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3. PLUMERIA

[Frangipani – Perfezione, Tempo di Primavera, Nuovi Inizi]


Non sarebbe stato per niente facile scovare dove l’Edera delle Anime Sole avesse messo radici, considerando che poteva essere dovunque e che era pressoché inodore. Per fortuna sia lo sceriffo che Deaton si erano offerti di partecipare alla caccia fra un turno di lavoro e l’altro: avrebbero dovuto soltanto osservare l’ambiente circostante battendo alcune zone determinate, e più gente partecipava a quella prima fase di ricerca, prima avrebbero messo fine a quel disastro.

Scott e Ryu in quel momento si trovavano da Derek: consultavano la mappa di Beacon Hills per assegnare una zona a ogni pattuglia, stando attenti a non lasciare scoperta neanche una viuzza.

Stavano quasi finendo di definire tutto, quando il cellulare di Ryu iniziò a squillare – Run to the hills degli Iron Maiden – e lui chiese scusa allontanandosi di un paio di stanze. «Mi stanno chiamando dal lavoro» si giustificò, curioso e un po’ perplesso.

Era sempre strano immaginare Ryu come critico musicale e una persona adulta, molto più vecchio di loro e con un lavoro più o meno regolare.

Visto però che Derek non avrebbe mai smesso di essere in malafede nei confronti di tutti, spiò con nonchalance le prime battute di quella conversazione telefonica, ponendola come rumore di sottofondo solo quando capì che in realtà si trattava di una tempestiva chiamata fatta per pettegolare di alcune scelte di un paio di case discografiche. Del resto si trattava di un collega di Ryu, cos’altro si poteva pretendere?

Derek approfittò della momentanea assenza della kitsune per parlare con Scott. «Tutto a posto con tua madre?» gli domandò; sapeva che Stiles era stato inevitabilmente costretto a rivelare a Scott dei loro genitori e come di conseguenza fossero stati per certi versi spinti a iniziare una storia dallo spirito dell’Edera delle Anime Sole.

«Sta bene» annuì Scott, accennando un sorriso velato di affetto e malinconia. «Cioè, l’ha presa bene: ne abbiamo discusso e mi ha detto che forse è stato un bene che lei e lo sceriffo abbiano avuto una "spintarella", o sarebbero stati sempre troppo concentrati su di noi, su ciò che succede a noi ragazzi e a Beacon Hills, per rendersi conto di quello che avevano sotto il naso».

«Quindi l’hai presa anche tu bene» sottolineò Derek. Sembrava pure che stesse reagendo meglio di Stiles.

Scott scrollò le spalle continuando a sorridere, «Beh, sì! Sono stati spinti a frequentarsi, a darsi una chance, e quello che ne è venuto fuori è qualcosa di vero, non hanno costruito il loro rapporto su basi che non c’erano, quindi… sono contento per loro» concluse un po’ impacciato.

Derek sospirò. «Almeno resterà qualcosa di buono alla fine di questa dannata faccenda».
Scott aggrottò un po’ la fronte, corrucciato. «A proposito di questo, Derek, volevo dirti che…» Ma Ryu li interruppe rientrando nella stanza con il viso distorto in un’espressione di disgusto.

«Non ho mai vissuto in un periodo storico peggiore di questo» si lamentò la kitsune, «ho appena saputo che Justin Bibier sta per lanciare un nuovo singolo».

Scott lo fissò confuso e sembrò incerto su come replicare. «Condoglianze?»

Derek si passò una mano sul volto. «Vediamo di finire la pianificazione delle ricerche» disse, provando a riportare la conversazione sui binari giusti.

Scott però agitò una mano. «No, no! Noi stavamo parlando di una cosa… Ryu» chiamò, voltandosi verso di lui, che li aveva appena raggiunti di nuovo al tavolo con una bottiglietta d’acqua, «il potenziale che rileva lo spirito è sempre vero, giusto?»

Ryu bevve un lungo sorso e poi rispose come soppesando con cura le parole. «Lo spirito non crea assolutamente nulla, si limita a passare in rassegna tutte le persone che l’anima sola conosce anche soltanto di sfuggita e poi calcola le probabilità di affinità reale: chi ottiene la percentuale di affinità più alta diventa l’obiettivo della devozione della vittima. Anche se» aggiunse poi, «come abbiamo già detto, la teoria è sempre diversa dalla pratica, soprattutto in questo caso: non sempre quella che sulla carta è la nostra anima gemella lo è sul serio in senso romantico».

«Ok, ma» insisté Scott, «hai detto che lo spirito non crea niente, non crea le emozioni e quello che proviamo, no?»

Ryu scosse la testa. «No, se ti innamori e se l’obiettivo della tua devozione s’innamora di te, lo spirito non c’entra nulla: l’unica cosa che fa è spingerti con forza a focalizzarti sulla tua potenziale anima gemella; se durante il processo t’innamori è tutt’altro paio di maniche».

«Quindi» sorrise Scott, trionfante e voltandosi verso Derek, «tu hai una vera possibilità!»

Derek si limitò a fissarlo inarcando un sopracciglio. Lo stava giudicando tantissimo.

«Amico» aggiunse Scott con tono lamentoso, «non dirmi che non vuoi cogliere questa occasione!»

Derek decise di evidenziargli l’ovvio. «Io e Stiles siamo eterosessuali».

Scott lo guardò perplesso e intristito come un cucciolo smarrito. «Tu sei eterosessuale?»

«Perché, Stiles no?»

«Ho sempre… dato per scontato che sia bisessuale?» concluse Scott tutto di un fiato, dubbioso; si grattò la testa. «Stiles blatera sempre tanto… in passato ha fatto strane osservazioni… Non gliel’ho mai chiesto in maniera diretta perché l’ho sempre considerato un dato di fatto…»

Derek si passò di nuovo una mano sulla faccia. «Io comunque resto eterosessuale».

Ryu, che nel frattempo aveva continuato a bere fissandoli interessato e divertito come una comare pettegola, annuì. «Anch’io».

Derek gli rivolse un’occhiata inarcando entrambe le sopracciglia, lui mise le mani avanti a mo’ di scusa.

Scott, dal canto suo, non desisté. «Ma non vuoi neanche provarci? Insomma, io sarei contento di sapere che esiste al mondo una persona così tanto affine a me da essere la mia anima gemella e che potrebbe rendermi felice: certo, non mi farei illusioni, però non metterei del tutto da parte l’idea…» insinuò.

Derek sospirò forte rivolgendo lo sguardo al soffitto. «Scott, ti è sfuggita la parte in cui non sempre le anime gemelle hanno la potenzialità di sviluppare un rapporto di natura romantica?»

Scott aggrottò la fronte. «Beh, non sarei mica geloso se tu e Stiles sviluppaste un rapporto fraterno come quello che c’è fra me e lui: io e Stiles siamo anime gemelle, da questo punto di vista» biascicò un po’ imbronciato. «Però, ecco, io al posto tuo ci proverei lo stesso».

«Perché?» gli ribatté Derek, esasperato.

«Amico, non ci sarebbe nulla di male!» insisté Scott. «E sei stato fortunato! Cioè, a parte il fatto che tu sei eterosessuale e lui no, non ci sono altre barriere fra te e lui, e…» sospirò, stanco e rassegnato. «Questa potrebbe essere una cosa buona, sia per te che per lui, e tutti noi meritiamo qualcosa di buono».

Derek non seppe che replicargli, lasciando così che un silenzio denso d’impaccio cadesse su loro; dopo qualche attimo, Ryu sdrammatizzò a modo proprio bevendo di proposito in modo schifosamente rumoroso. Derek si rivolse proprio verso di lui, scettico e sarcastico.

«Hai qualcosa di aggiungere a questo proposito?»

Ryu gli annuì serio. «Che anche se non sono venuto a Beacon Hills per assistere a una soap opera, non sono neanche venuto di certo per vederti crepare perché non vuoi uscire con un tizio» riassunse crudo e diretto.

Derek lo fissò inespressivo.

«Amico» aggiunse Ryu lamentoso, «vedila dal mio punto di vista: mi sto sentendo come quando ho realizzato che sono sopravvissuto alla morte di John Lennon e Freddie Mercury solo per poter un giorno ascoltare gli One Direction stonare su Total Eclipse of the Heart

Derek inarcò entrambe le sopracciglia.

«Ehi» protestò Ryu, serio, «le hit degli Anni Ottanta non si toccano neanche con un fiore!»

Alle volte Derek si domandava come Ryu avesse ottenuto il suo primo kaiken. Meglio non chiederglielo.

«Quello che Scott sta cercando di dirti» continuò Ryu, «è che non devi mica prendere Stiles ora-subito-adesso e pomiciarci» esplicò diretto gesticolando, «ma potresti almeno provare a essere meno rigido e prendere in considerazione il fatto che con lui avresti la possibilità reale di sviluppare un buon rapporto».

Scott fissò Derek puntando un dito contro Ryu. «Ecco! Come dice lui!» esclamò, perfino esaltato.

Derek era felice che Cora non fosse presente, o altrimenti la situazione sarebbe stata cento volte ancora più infernale e deleteria di quanto già lo fosse.

La verità era che Derek aveva già sentito più volte l’istinto di baciare Stiles in barba alle proprie preferenze sessuali, ma non sapeva dire se ciò fosse opera dell’influenza dello spirito che lo spingeva a rinnovare i propri limiti, e di certo non ne avrebbe discusso con quei due. Tra l’altro nessun suo desiderio di baciare Stiles era stato seguito da un forte impulso sessuale, non aveva neanche avuto voglia di fare qualcos’altro o fantasticare oltre: era come se prima di tutto venisse quel semplice e quasi tenero contatto, poi il resto non importava. O forse desiderava solo un bacio perché in fondo era cosciente di quanto il loro rapporto sarebbe stato sempre e solo platonico.

«Dovrò comunque stargli vicino, nei prossimi giorni» rispose infine a Scott e Ryu, «a meno che io non voglia continuare a vivere» aggiunse un po’ sarcastico. «In tutta onestà, però, se proprio devo prendere in considerazione la potenzialità che c’è fra me e Stiles, preferisco farlo solo una volta dopo esserci sbarazzati dell’Edera».

Scott sospirò afflosciando le spalle. «Come vuoi, Derek».

Ryu tirò su col naso e fissò Derek, sicuro di sé e un filo strafottente. «Non mi freghi, amico! Succederà, e io sarò lì!» puntò entrambi gli indici verso di lui. «Come dico sempre, la sorte ha voluto che assistessi alla nascita delle Spice Girls, ma per loro sfortuna nel destino è già scritto che io sarò lì anche quando diventeranno nonne, ancora fresco come una rosa al contrario di loro! Quindi» schioccò le dita, «ci puoi scommettere che sarò lì, amico!»

Derek lo fissò impassibile. «Il giorno in cui dirai qualcosa di sensato, Stiles smetterà di essere iperattivo».

Scott sorrise ciondolando le braccia avanti e indietro. «Anch’io sarò lì!»

Derek si chiese se da qualche parte nei cieli Laura e sua madre stessero ridendo a crepapelle di lui.

Forse sarebbe stato meglio tornare a New York o restare a Santa Fe con Cora.

O forse no.



Era stato tristemente prevedibile che il primo giorno di ricerche non fosse fruttuoso – era la storia della loro vita – ma i ragazzi non smettevano di stare vicini a Derek, ognuno a proprio modo.

Lydia si era premurata di aggiornare Cora sulla situazione – Derek temeva che, in quegli ultimi mesi, Lydia avesse messo su addirittura una newsletter sarcastica su di lui per la sorella, con cui la informava sugli ultimi progressi di lui nell’uso dell’espressione verbale – e Cora a propria volta con molto amore fraterno ebbe cura di mettere da parte i calcoli della differenza di fuso orario per chiamarlo a un’ora indecente della notte per potergli dire «Perché mentre io sono qui in mezzo a gente che produce carne in gelatina in scatola tu vai a beccarti l’influenza di uno spirito con manie da Cupido?»

«Cora…» gemette con voce roca – perché aveva dovuto chiamarlo proprio ora che era riuscito a prendere sonno?

«No, Derek, cerca di capire: qui allevano fior di manzi – e non in quel senso – per farne della fottuta carne in scatola, e mentre io sono qui a sprecare il mio tempo in onore dei deficienti come te che non sanno cucinare o non hanno voglia di far la fila in macelleria, tu lì a Beacon Hills diventi ospite del Gioco delle Coppie?»

«Potresti pur sempre cambiare ranch» le suggerì, provando a distoglierla dalla conversazione principale.

«Potresti pur sempre cogliere l’occasione per iniziare di nuovo ad avere una vita sentimentale normale».

«Intendi senza psicopatici pluriomicida?»

«Anche» gli replicò inespressiva.

Derek si lamentò passandosi una mano sul volto. «Ti preferisco quando mi parli delle vene in evidenza sulle mani e sulle braccia dei gaucho».

«Quella è la mia vita sentimentale, questa è la tua, quindi… come ti senti?» esalò, con meno "adorabile" sarcasmo fraterno e più sana preoccupazione.

«Sto…» ponderò per un breve attimo quale parole usare, «bene». Si schiarì la voce. «Più o meno». La sentì sospirare forte.

«Stiles è un bravo ragazzo, ma quand’è messo sottopressione o è agitato sa come essere un bastardo: si sta comportando bene con te o alla notizia è scoppiato spedendo come al solito il tatto su Marte?»

Derek accennò un ghigno. «Il tatto su Marte? Chissà chi mi ricorda». Poté sentirla roteare gli occhi.

«Dico sul serio» incalzò atona.

«Ammetto che all’inizio ha avuto un crollo» si arrese a risponderle, sincero, «ma sta reagendo meglio del previsto. Per adesso mi sta vicino più del solito, ma non in maniera eccessiva: vogliamo provare a rallentare l’aumento dei sintomi e non sappiamo se un’improvvisa sovresposizione potrebbe farmi invece peggiorare».

«Uhm-uhm» mormorò lei, pensosa. «Quindi non state trascorrendo del tempo da soli» affermò sicura.

«No, ieri ci siamo scambiati un paio di messaggi e abbiamo cenato insieme. Con gli altri del branco» aggiunse.

«E pensi sul serio di non approfittarne?»

«Cora…» gemette di nuovo.

«Mi correggo: non "approfittarne", ma "prendere in considerazione". Né tu né lui dopo quello che avete passato negli ultimi anni meritate di finire coinvolti in una relazione per colpa di un elemento sovrannaturale, ma una volta fuori dal pericolo di essere manipolati potreste valutare questa opzione, no?»

«Non lo so» sospirò, stanco e rassegnato. «Forse

«Lydia mi ha detto che il potenziale è reale. Sarebbe una buona cosa per tutti e due. Stiles è un bravo ragazzo» ripeté, seria e malinconica, «ha sempre mostrato un vero interesse verso te e le tue reazioni».

«Lo so» esalò massaggiandosi la fronte, «anch’io mi preoccupo sempre di lui. L’ho cercato per due interi giorni l’ultima volta che…» Sentì la gola stringersi e non concluse la frase: i giorni della nogitsune non erano mai facili da ricordare.

«Uhm-uhm» borbottò Cora cantilenando piano e con affetto. «Ti sta creando problemi il non essere mai stato attratto da uomini finora?»

«No, non ci sto pensando e basta» ammise.

«E forse va bene così. Non è mai utile soffermarsi troppo sui dettagli, quando si parla di sentimenti, no?»

Derek sbuffò un sorriso e sentì lei fare altrettanto dall’altro capo della linea.

«Quando tutto questo finirà» continuò Cora, «verrai a trovarmi qui a Santa Fe?» gli domandò con la voce piena di affetto e nostalgia. «Ne hai bisogno. E io ho bisogno di abbracciarti» concluse con tono dispettoso ma dolce.

Derek si coprì gli occhi con un braccio: Dio, se gli era mancato avere una sorella. «Sì, potrei venire» sospirò.

«Bene. Ho voglia di insegnarti ad andare a cavallo». Chissà perché, ma ciò sembrava promettere nulla di buono. «La Pampa Argentina ti aspetta a braccia aperte».

«Speriamo solo che non si sposti all’ultimo momento per farmi cadere di faccia» le ribatté atono.

«Queste sono cose che succedono nella tua vita, non nella mia» sbottò Cora fingendosi oltremodo oltraggiata; poi tornò a essere monocorde. «Notizie di zio Peter?».

«No, continua a essere disperso».

«Fantastico. Speriamo che lo resti fino al mio centesimo compleanno» esalò atona. «Detto questo, ti saluto: devo andare a scattare delle foto ai nostri nuovi puledrini. Poi te le invio».

«Non ce n’è bisogno».

«Le stamperò e te le manderò via posta cartacea».

«Inviamele al mio indirizzo email» si arrese.

«Ciao!» riagganciò rapida, prima che lui potesse ripensarci, e con un gran sorriso nel tono della voce.

Derek posò il cellulare sul comodino e rivolse la faccia contro il cuscino grugnendo esasperato; sentì dei lievi rumori in cucina accompagnati dal suono di passi fatti da piedi scalzi: intuì che Lydia si fosse svegliata e stesse preparando qualcosa ai fornelli. Infatti poco dopo la vide entrare in camera con due mug fumanti in mano.

«Mi dispiace averti svegliato» sospirò Derek, mettendosi a sedere con la schiena contro la testiera del letto; accese la lampada del comodino.

Lydia si sedette di fronte a lui e gli porse una delle tazze. «Ho scelto di dormire qui proprio per aiutarti a passare la notte, nel caso le cose si mettessero davvero male» gli fece notare.

«Le cose stavano andando benissimo. Poi Cora mi ha chiamato» borbottò; assaporò il contenuto della mug, sembrava un infuso.

Lydia osservò la sua espressione. «È una tisana per conciliare il riposo notturno» intuì la sua domanda implicita, «ne ho comprate di diverse utili per l’insonnia: se questa non funziona, ne proveremo altre».

«Io ne proverò altre, tu nel frattempo sarai già impegnata a russare».

«Io non russo».

«Quando sei stanca o stressata ».

«Non è comunque una cosa di cui il mondo deve essere informato» gli replicò fra i denti e con sguardo omicida.

Derek si arrese sospirando e inarcando entrambe le sopracciglia.

«Allora» sospirò Lydia, assumendo un’espressione più rilassata, «proviamo ad affrontare questo problema: di preciso cosa ti assilla così tanto da non farti dormire».

Lui sbuffò sarcastico. «Mi sembra di essere un ragazzino alla prima cotta che non riesce a prendere sonno perché pensa a lei».

«In questo caso a lui» lo corresse. «Bene, parlami dei tuoi pensieri fissi» l’invitò sicura.

Derek la fissò scettico.

Lei strinse le labbra e parlò gesticolando. «Sto solo cercando di aiutarti: se ti sfoghi, forse ti passa».

«Lydia, sono le quattro e mezza del mattino: vuoi davvero che ti parli dei miei "sentimenti" per Stiles seduti sul letto a bere tisane?» sottolineò inarcando un sopracciglio. «Perché se solo queste tazze fossero piene di cioccolata calda e io avessi un peluche stretto al petto, questo quadro sarebbe perfetto».

Lydia restò ferma nelle sue intenzioni, rigida e inespressiva. «Non devi per forza rendere questa situazione ridicola o grottesca, non è di alcun aiuto. Devi solo parlare».

«Quindi supponi di poter restare seria mentre mi ascolti dire a voce alta quanto Stiles sia perfetto in ogni suo difetto?»

Si fissarono negli occhi per un lungo e intenso attimo, inespressivi.

Infine, Lydia si schiarì la voce. «Credo di… potermi sacrificare per la causa» sentenziò, bevendo un grosso sorso di tisana. Derek l’imitò.

Lydia sospirò. «Torniamo al punto di partenza: cosa a proposito di Stiles ti tiene sveglio la notte?»

Le rispose rigirandosi la mug fra le mani e fissandone il contenuto. «La paura che non starà mai bene».

Lei afflosciò le spalle rivolgendosi un’espressione dispiaciuta. «Derek, nessuno di noi starà mai davvero bene, e non perché la vita è fatta così, di alti e bassi, ma perché ci sono già successe troppe cose». Inspirò a fondo. «Io stessa oggi non sarei ciò che sono senza i pessimi momenti che ho passato e…» esitò appena dal proseguire, «lo so che tutto ciò ha dato vita a qualcosa di profondamente sbagliato che è rimasto dentro di me e… che forse non andrà mai via del tutto. E forse è pure giusto così». Scrollò le spalle. «Non so dirti se questo mio problema che avverto si tratti di un pezzo di me che è stato portato via o piuttosto un pezzo in più che non dovrebbe esserci, ma so che è sbagliato e che comunque vada non mi permetterà mai di stare sul serio bene».

Il pezzo di cui Lydia parlava aveva più di un nome – paura di perdere il controllo su se stessa, paura di perdere la sua identità e non riconoscere più la propria natura, paura di perdere di nuovo qualcuno – e quando lei ne negava esistenza con rabbia, diventava robotica, mentre quando invece lei agiva con disperazione era presente in modo pesante e asfissiante. Non c’era bisogno però che ne parlassero in maniera esplicita: erano dettagli che conoscevano entrambi e di cui ormai riconoscevano e accettavano la presenza.

Derek esalò stanco. «Vorrei solo aiutarlo a stare un po’ meglio».

Lydia posò una mano sulla sua. «Lo so, certe volte quando lo vedo perso nei suoi pensieri, vorrei tanto aiutarlo anch’io». E si fermò, come colta da un pensiero. «Sai, tempo fa Stiles mi ha confessato che l’ha aiutato molto sapere che nessuno di noi è mai stato disposto a perderlo, che neanche per un attimo, mentre lui era posseduto, fra di noi c’è stato qualcuno che ha pensato di ricorrere alla soluzione più facile e ucciderlo».

Derek scosse la testa. «Era fuori questione».

«Per lui no» le ribatté con un sorriso triste. «Stiles a un certo punto ha desiderato morire, per lui l’importante era che nessuno morisse più per "colpa" sua: credo che si possa soltanto immaginare quanto sia valso per lui sapere che perderlo non fosse fra le nostre opzioni».

«Quindi, secondo te» mormorò Derek, pensoso, «ricordargli e fargli sentire che per noi è importante potrebbe aiutarlo?»

Lydia gli prese un polso fra le mani per accarezzarlo e sorrise dolcemente. «Del resto, chi non si sente meglio quando capisce di essere importante per qualcuno?»

Derek restò per qualche attimo in silenzio, lasciandosi cullare dalle piccole attenzioni di Lydia, e infine si lasciò andare. «Non posso dormire se non so se lui riesce a dormire» confessò mormorando, tenendo lo sguardo fissò sulle coperte, «ho bisogno di sapere se ha ancora degli incubi vividi, se si sveglia di soprassalto urlando mentre suo padre non è in casa per un turno di notte… e…» deglutì a stento e poi continuò.

«Lo so che non riesce a prendere sonno se ha paura che da un momento all’altro possa succedere qualcosa a uno di noi, quindi ho bisogno di aiutarlo a sistemare tutto ciò che non va, a fargli sentire che stiamo bene e che non perderà nessun altro, ma io non sto bene» sorrise amaro e sarcastico, «e lo so che di certo ieri lui ha imprecato fra i denti più volte pensando che sto rischiando di morire. E… lui diventa troppo spericolato quando qualcuno rischia di morire, e ciò non deve succedere…»

«Derek» lo fermò piano Lydia, «ti garantisco che anche questa volta faremo tutto il possibile affinché ogni cosa si risolva. Anzi, stavolta faremo di meglio» aggiunse con gli occhi lucidi e abbozzando un sorriso tremulo.

Lui scosse la testa. «Non capisci… e io stesso non capisco: perché lui torna sempre indietro per me?» chiese a nessuno in particolare, atono. «Non ho più nessuno… qualsiasi cosa mi succeda, io non ho più nessuno: non ho più mia madre a darmi saggi consigli o dell’affetto incondizionato, non ho più dei fratelli maggiori o dei cugini che mi prendano in giro dandomi consigli inopportuni e non richiesti che però mi tirano su il morale con la loro ironia, non ho più un posto che mi ricordi la mia famiglia, non ho neanche delle persone della mia stessa età con cui parlare e a conti fatti non ho nemmeno la più pallida idea di cosa voglia dire una relazione alla mia età: posso anche scegliere di nuovo qualcuno o qualcosa da chiamare casa, ma qualcuno sceglierà mai di tornare da me?»

«Derek…» lo richiamò Lydia con voce strozzata: stava piangendo, e si accorse che anche lui lo stava facendo soltanto perché lei gli asciugò le lacrime con i pollici prendendogli il viso fra le mani.

«Perché…» continuò lui a mormorare, perso, «perché lui sceglie sempre di tornare indietro da me per salvarmi, o di restare per salvarmi? Non ho più nessuno, non mi aspetto nessuno, ma lui torna sempre e lo fa per sua scelta… è la sua natura».

Lydia gli annuì a labbra strette. «È il suo modo di essere».

Derek sorrise sarcastico. «E mi uccide. Questo suo modo di essere mi uccide, perché non ci sono abituato, ma ne ho bisogno. Ho bisogno anche solo di sapere che al mondo esiste qualcuno così come lui».

«Ti dà speranza?»

«Mi dà voglia di rialzarmi ancora. Non mi fido delle persone, io spesso odio le persone. Stiles torna indietro per me, mi salva, mi contraddice e mi uccide. Ho bisogno di questo».

Lydia gli baciò la fronte e gli strinse di nuovo il viso fra le mani, piangendo; lo fissò negli occhi. «Quando l’influenza dello spirito sarà passata, noi due parleremo di nuovo di questo, ok? Perché tu hai bisogno anche di molte altre cose, nonché anche di sapere che hai già tutto questo da parte di tutti noi, Derek. Tu necessiti di questo e io necessito che tu sappia che non sei solo, ok? Perché quando io non sapevo a chi rivolgermi tu non mi hai fatta sentire né sola né pazza».

Lui gli annuì flebile e lei gli tolse la mug dalle mani per posarla sul comodino. «Proviamo un po’ a dormire, adesso, vuoi?» gli propose con un sorriso tremulo.

Derek, sospirò sentendosi improvvisamente svuotato e in preda ai primi sintomi di un’emicrania; cominciò a sistemarsi sotto le coperte e Lydia picchiettò un paio di dita sulla spalla di lui per fargli cenno di stendersi su di un fianco. Le fece spazio sistemandosi su un lato del letto e rivolgendole le spalle, lei si stese e l’abbracciò da dietro; Derek assecondò i movimenti di Lydia spingendosi verso i piedi del letto, così lei poté curvarsi meglio attorno a lui facendogli appoggiare la testa all’indietro sul suo petto.

«Non sei solo» gli mormorò con affetto contro i capelli.

Derek posò le mani sulle sue, socchiuse gli occhi e provò a lasciarsi convincere dalle sue parole e a cedere al sonno.

Lydia si addormentò inevitabilmente prima di lui, mentre delle immagini di Stiles che correva disperato a difendere qualcuno di loro a terra lo tormentarono fino a quando il mal di testa raggiunse l’apice e la stanchezza lo spinse a crollare in preda all’ennesimo incubo troppo vivido.

Neanche quella fu una notte molto piacevole.



Il giorno successivo il turno di ricerca di Derek era con Stiles, dopo la scuola.

Derek sapeva che Stiles avrebbe apprezzato non lasciare la jeep nel parcheggio della scuola fino al loro rientro, così decise di concedergli di usarla al posto della sua Toyota.

Andando a scuola a piedi dopo aver staccato dal lavoro in palestra.

D’altra parte doveva pur trovare un modo per scaricare tutta la frenesia che si sentiva addosso.

Attese Stiles stando poggiato contro il cofano della jeep e con un caffè pronto da offrirgli. Quando Lydia arrivò al parcheggio per prima e lo vide, aprì lo sportello della propria auto e lo salutò scuotendo la testa e sorridendogli con affetto e un briciolo di esasperazione.

Stiles non si mostrò troppo sorpreso di vederlo lì, anche se Derek vide di sottecchi che Scott da lontano – era accanto alla sua moto, con Kira – stava osservando perplesso ma compiaciuto la strana e silenziosa sincronia che stava caratterizzando lo scambio di gesti fra lui e Stiles: Stiles quando l’aveva visto aveva aggrottato la fronte e alzato il mento o mo’ di saluto, Derek l’aveva ricambiato allo stesso modo e allungando verso di lui il bicchiere che aveva con sé; Stiles – stavolta sorpreso – ne aveva annusato il contenuto e poi aveva ringraziato Derek annuendo a labbra strette, poi aveva posato lo zaino ai piedi di Derek e aveva iniziato a sorseggiare il caffè dando dei calcetti alla ruota anteriore della jeep, a sguardo basso ma rivolto verso Derek, che nel frattempo osservava il parcheggio svuotarsi e prestava attenzione nel caso qualcuno li stesse spiando. Non si erano rivolti una sola parola, eppure intorno a loro non c’era una singola traccia di disagio o impaccio.

Kira lo salutò da lontano agitando una mano e con sul volto un sorriso da volpe copiato da Ryu – quel tizio era davvero un pessimo esempio per lei – e indossato il casco subito dopo andò via con Scott – Lydia li aveva già preceduti.

Fu allora che Stiles interruppe il silenzio. «Sei venuto a piedi?» gli domandò inarcando un sopracciglio.

«Sì» scrollò le spalle e sfornò la scusa già pronta, «avevo bisogno di sfogare tutta la frenesia che sentivo addosso».

«Ah» esalò Stiles, annuendo pensoso; poi sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi, e dovette notare le occhiaie che aveva, perché schioccò la lingua rivolgendogli una smorfia. «Dio, non stai dormendo per niente, eh?»

Derek non gli rispose – era inutile farlo – si limitò a incrociare le braccia sul petto espirando a fondo.

Stiles si massaggiò la fronte. «Da stasera verrò a dormire da te».

Derek aggrottò la fronte, stupito. «Che dirai a tuo padre?»

Lui buttò il bicchiere di carta svuotato in un cestino della spazzatura vicino a loro, aprì lo sportello della jeep e riprese lo zaino per lanciarlo sui sedili posteriori. «Che lo faccio anche per il suo bene, così può passare la notte con Melissa: s’imbarazzerà abbastanza da andare in tilt e non sapere più cosa replicarmi, e io ne approfitterò per squagliarmela subito».

«Non è molto corretto».

«È il mio stile».

Derek scosse la testa e roteò gli occhi, girò intorno alla jeep per andare a sistemarsi sul sedile passeggero. «Non smetterà mai di sorprendermi il genere di cose secondo cui pensi di meritare dei complimenti, quando invece fanno insorgere nella gente che ti circonda soltanto la voglia di strangolarti».

Lui restò inespressivo e mise in moto. «Fa parte del mio fascino?»

Derek aprì bocca per replicargli di no con l’aggiunta di un battuta sarcastica, ma desisté colto da un’improvvisa realizzazione. «Probabile» concesse.

Stiles si voltò a guardarlo, sorpreso e meravigliato; boccheggiò, poi emise un lungo lamento di frustrazione e agitò le mani. «Ci rinuncio» sbottò, iniziando a far manovra per uscire dal parcheggio.

Derek preferì non sapere a cosa Stiles stesse rinunciando.

La loro meta era una delle strade secondarie che conducevano alla via dove si affacciavano i negozi più importanti della città: erano quelli delle grandi firme, non vedevano beni necessari, ma non per questo erano meno popolati di un supermercato. Kira e Lydia avevano battuto proprio quella via il giorno prima fingendosi – ma non troppo – semplici ragazze in vena di shopping sfrenato, ma non avevano trovato nessuna traccia dell’Edera delle Anime Sole.

«Devo… uhm» esordì Stiles, quando erano a metà percorso, «devo supporre che Scott abbia suggerito anche a te di cogliere quest’occasione e il nostro potenziale?» concluse fissando la strada davanti a sé.

«Sì».

«Bene» annuì inespressivo, continuando a non rivolgergli neanche un’occhiata di sottecchi. «Sai, Scott è uno romantico fino al midollo, era ovvio che ci dicesse una cosa simile».

Derek annuì. «Scontato».

«Già» gli assentì Stiles, «e… si sta un po’ comportando come un cucciolo davanti al suo primo osso di gomma che emette suoni: è un po’ confuso, ma anche sovraeccitato, perché questa è la prima volta che qualcuno è seriamente interessato a me, si sente in dovere di ricambiarmi per tutte le volte in cui io in passato l’ho aiutato e sostenuto con… Allison» disse quel nome con voce un po’ strozzata, agitò una mano in aria, «e in più lo esalta l’idea di vedermi con qualcuno, così… credo che forse stia strafacendo, non pensi?»

Derek scrollò le spalle. «Non si sta impicciando più di tanto».

Stiles aggrottò la fronte, un po’ stupito. «Quindi non ti dà fastidio?»

«Ha insistito solo una volta. A te dà noia che abbia sottolineato che abbiamo del potenziale?»

Lui si fermò a un semaforo rosso, restò fermo a riflettere per qualche secondo e poi sospirò afflosciando le spalle. «Non lo so. Perché se ciò è vero… per quale motivo io e te non ce ne siamo mai accorti prima e abbiamo sprecato così tanto tempo?»

«Forse non eravamo pronti?»

«O forse…» gesticolò Stiles, continuando a guardare solo dritto davanti a sé, «prima non eravamo compatibili ed è stato tutto quello che ci è successo dopo a cambiarci in modo tale da renderci affini… e onestamente, vista da questo punto di vista, la cosa fa abbastanza schifo: non credo che entrambi avessimo bisogno di avere le vita incasinate solo per diventare delle anime gemelle» sbottò sarcastico.

Derek si massaggiò la fronte. «Neanche i tuoi colorati punti di vista smetteranno mai di sorprendermi».

«Lo so, sono un uomo dalle mille risorse» schioccò la lingua e ripartì. «Maaaa…» cantilenò, «giusto così, per curiosità… per scienza… per la cronaca…»

«Per qualsiasi cosa tu voglia» lo spronò Derek, esasperato.

«Ha mai avuto un tipo ideale?» gli domandò tutto di un fiato.

Derek ponderò su come rispondergli sistemandosi meglio sul sedile. «Ti riferisci al fisico o al carattere?»

Stiles prima di rispondergli ci pensò su arricciando il naso, incerto. «Entrambi?»

Derek mise a fuoco le personalità dell’esiguo numero di donne – tre – con cui aveva avuto una storia in vita sua: considerando che il suo tipo ideale non poteva essere sul serio "psicopatico pluriomicida", optò per togliere le ultime due e considerare solo la prima. «Diciamo che l’unico tipo al mondo che mi abbia mai colpito era… Sarcastico. Testardo. Intuitivo. Non influenzabile».

«Uhm» annuì Stiles, «siamo in due, allora».

Derek inarcò un sopracciglio, sarcastico. «Perché guardacaso anche tu sei sarcastico, testardo, intuitivo e non influenzabile?»

Stiles boccheggiò, di nuovo, e restò senza parole per lunghi secondi fino a quando non scosse la testa. «Veramente non mi riferivo al fatto che siamo in due al mondo a essere così, ma che questo è anche il mio tipo ideale».

Derek si pietrificò, poi tirò su col naso ed esalò «Ah».

«Capita» borbottò Stiles, scrollando le spalle, anche se non specificò cosa diamine potesse capitare e Derek preferì non indagare oltre. «E il fisico? Hai un tipo di bellezza ideale?»

Lui strinse le labbra e provò a ricordare i particolari di Paige che spesso si soffermava a osservare, o su cui si fissava. «Credo di essere attratto dalle piccole imperfezioni».

«Tipo le cicatrici?»

«Sì, o anche qualcosa di più naturale come una voglia o…»

«O… un neo» aggiunse Stiles, con voce strozzata.

«Un neo» ripeté Derek, flebile, colto dalla realizzazione e di quanti nei Stiles avesse sulla faccia, per non parlare della figura di Lichtenberg che faceva capolino dal colletto della maglia – e che Derek sapeva bene estendersi sulla parte sinistra della sua schiena.

Stiles annuì. «Giusto» mormorò atono. «E questa è una conversazione per niente imbarazzante».

Derek si schiarì la voce. «E tu?» provò subito ad andare oltre. «Da cosa sei più attratto?»

Lui s’irrigidì per un lungo attimo, poi gli rispose con ostentata noncuranza «Nulla di particolare». Salvo poi rendersi conto che Derek avrebbe colto subito la sua bugia nei suoi battiti cardiaci: arricciò il naso e strinse i denti. «L’hai sentito

«Sì, Stiles» sospirò esasperato, «so ancora capire quando qualcuno mente».

Lui inspirò a fondo, parcheggiò e gli rispose giusto un attimo prima di aprire lo sportello e scendere – scappare – dalla jeep. «Credo di avere un debole per gli occhi verdi».

Derek lo graziò evitandogli qualsiasi replica, e non ne sarebbero venuti fuori vivi.

Quando Stiles lo raggiunse sul marciapiede, cominciarono a camminare l’uno accanto all’altro guardandosi bene in torno e soffermandosi ogni tanto a osservare più da vicino un’aiuola. Derek, però, non appena percepì Stiles più rilassato, ruppe il silenzio.

«Non è un problema, lo sai, vero?»

«Il punto non è che sia un problema» replicò Stiles, «è che mi fa sentire stupido non aver notato prima questi dettagli e quindi non sapere adesso se siamo sulla buona strada per autosuggestionarci o meno».

«Quindi» sottolineò Derek, infilando a fondo le mani nelle tasche della giacca di pelle, «tu ci daresti una possibilità, in fondo». Il succo era quello.

Stiles gli rispose evitando il suo sguardo. «Non lo so ancora. Come credo che tu stesso non lo sappia ancora». Derek confermò assentendo.

«E poi… ammetto di essere curioso» confessò Stiles un po’ imbarazzato grattandosi il collo, «perché in questo momento tu ti senti spinto a essermi devoto e io non sono mai stato oggetto di simili pensieri o attenzioni, o almeno non in modo aperto, e lo so che è un po’ da idioti insensibili, però non riesco a non essere curioso di sapere nei dettagli perché proprio me».

Derek sbuffò un piccolo ghigno storcendo il naso. «Ti rimpolpa l’ego».

«Eh, te l’ho detto che è da idioti insensibili approfittarne…» biascicò stringendosi nelle spalle.

«Stiles, non c’è nulla di male nel chiedere agli altri perché piacciamo» lo rassicurò.

«Non fa tanto bambino della scuola elementare?» gli replicò dubbioso.

«Dipende da come poni la domanda».

«E io la sto ponendo male, vero?»

Derek non riuscì a trattenersi dal ridere.

«Bastardo» l’accusò Stiles dandogli uno spintone con la spalla, tuttavia sorridendo.

«Fammi pure tutte le domande che vuoi» si rassegnò Derek.

«Lo sai però che se mi dai carta bianca posso cacciarmi anche involontariamente in argomenti imbarazzanti» insinuò.

«Spara pure».

«Ok» sospirò Stiles, allargando le braccia, «ma non dirmi poi che non ti avevo avvertito». Attraversarono la strada per esplorare il marciapiede opposto a loro; Stiles iniziò con le sue domande.

«È vero che l’influenza dello spirito ti sta spingendo a togliere certi tuoi limiti, ma quando ti fermi a riflettere, non ti crea problemi la nostra differenza di età?»

Derek si fermò a valutare una pianta rampicante, vide che non era un’edera e passò oltre. «No» ammise sincero. «Confesso che all’inizio, quando ho conosciuto voi ragazzi, sentivo molto di più la differenza di età fra me e voi, ma credo che fosse più che altro la differenza di esperienze fatte, perché adesso più che pensare "Sono giovani, non possono capire" mi dico "Sono giovani, non è giusto che già sappiano questo"».

«Quindi mi vedi come abbastanza maturo per te?»

«Non esattamente» e si soffermò a guardarlo aggrottando la fronte, «ti vedo come "Stiles" e basta» realizzò.

«Ah» esalò Stiles, deglutendo a stento; ripresero a camminare.

«Comunque dovresti smetterla di sottovalutarti così tanto» lo riprese.

«Non è che mi sottovaluto» borbottò Stiles, seccato, «è che sono abbastanza consapevole del poco che posso offrire».

Derek gli rivolse un’occhiata scettica. «Tu hai dei principi, un senso della famiglia, della lealtà e dell’unità che di questi tempi sono merce rara, e lo chiami poco?»

«Non sono una persona stabile, Derek» obiettò serio, «il mio spirito è stato fatto a pezzi, sto ancora cercando di rimetterlo a posto rincollando tutto, ma mi sa che qualche tassello è andato perso lungo la strada, e oltre a questo…» trasse un lungo respiro, «questi ultimi anni mi hanno reso paranoico, in costante ricerca del mio reale obiettivo nella vita – dato che ogni giorno trovo qualcosa di nuovo e inumano che annulla le mie difese e mi fa sentire inutile – e sono cosciente di quanti pericoli e tipi di terrore esistono al mondo che la gente comune ignora e… questo non va bene: non posso imporre a una persona normale di sopportare le mie paranoie o i miei segreti, o spiegargli perché certe parole mi fanno sussultare o perché tuttora soffro di attacchi di panico e incubi troppo vividi. Se amo qualcuno, non posso augurargli di vivere un rapporto costellato da cose simili».

Derek replicò scuotendo la testa. «Non puoi essere tu a decidere che tipo di rapporto devono avere gli altri, soprattutto se tieni a loro».

Stiles si fermò e Derek si voltò a guardarlo.

«Derek» gli disse con un sorriso rassegnato e malinconico, infilando le mani nelle tasche della felpa, «tutto quello che ho dare è uno spirito rattoppato abbastanza male, una speranza che va e viene a seconda dei giorni – se sono in vena di essere speranzoso faccio del sarcasmo, altrimenti pesto i piedi altrui fino a quando non s’incazzano insieme a me – e, per quanto suoni patetico dirlo, un cuore già fatto più volte a pezzi da lutti, perdite, inganni, delusioni e rifiuti. Io stesso non accetterei mai la mia offerta».

E proprio in quel momento, quando in fondo tutto quello che stavano facendo era l’uno mostrare all’altro quanto fossero rassegnati ma pieni di una disperata voglia di sentirsi vivi tornando ad amare, Derek capì che anche lui aveva lo spirito pieno di toppe cucite male e in fretta, che sperava nel domani a giorni alterni e che perlopiù decideva di farlo a seconda della presenza o assenza del caffè al mattino – e sì, ciò era davvero misero – e che temeva di contare i pezzi del proprio cuore perché stavano diventando troppi aumentando di anno in anno. Era logico che loro due si capissero a vicenda. Si chiese se per caso mettendo insieme tutti i loro pezzi rotti magari ne sarebbe venuto fuori qualcosa di buono, o di migliore di loro come singoli.

«Forse…» gli mormorò Derek con voce roca, «forse resteresti sorpreso nello scoprire in quanti accetterebbero un’offerta simile».

Stiles deglutì a stento. «Tu l’accetteresti?»

Derek inspirò a fondo valutando bene cosa e come rispondergli, ma il suo filo di pensieri fu interrotto dall’inaspettato suono di un violino, proveniente dall’altra parte della strada.

Si voltarono all’unisono verso il marciapiede opposto e videro Ryu che, con la posa di uno che stava facendo una serenata, li fissava convinto esibendosi in un arrangiamento di Total Eclipse of the Heart.

Derek l’avrebbe ucciso. In maniera lenta e dolorosa.

Stiles emise un lungo lamento da animale morente. «Ti prego, dimmi che gli strapperai la gola con i denti».

«Potrei farlo» sibilò attraversando la strada; Stiles lo seguì. «Che ci fai tu qui?»

Ryu gli rispose continuando a suonare e ostentando indifferenza. «Sono in pausa dalla ricerca e ho pensato che nel frattempo potevo racimolare qualche soldino». Indicò con il piede la custodia del violino, aperta sul ciglio del marciapiede: c’erano dentro un paio di dollari, ma di certo li aveva messi lui stesso per invogliare i passanti a elargire donazioni – o per poter dire a loro due di essere lì già da prima.

«E hai pensato di farlo proprio qui, dove noi eravamo di pattuglia?» Ryu sapeva che loro sarebbero stati lì, e gli replicò fingendosi dispiaciuto.

«Devo dedurre che non vi piacciono le hit degli Anni Ottanta? Se volete, per soli dieci dollari posso passare a qualcosa dei Novanta».

Stiles si portò una mano alla fronte. «Perché temo di sapere quale sarebbe la tua nuova proposta?»

Ryu sorrise civettuolo. «Ti do un indizio: Titanic».

Stiles gli replicò scandendo bene le parole. «Affonda con lei».

Ryu allargò di più il proprio sorriso e iniziò a suonare il ritornello di My Heart Will Go On, perché era una brutta persona con cattive intenzioni e il bruciante desiderio di morire presto per mano di Derek.

«Dio» gemette Stiles, «ci rinuncio. Andiamocene». Voltò loro le spalle e marciò via.

Derek non spaccò il violino in testa a Ryu soltanto perché gli piangeva il cuore a distruggere qualcosa che molto probabilmente era stato costruito con del legno di un antico e sacro albero plurimillenario. «Alla prossima, ti costringerò ad ascoltare tutta la discografia di Justin Bibier».

Ryu arricciò il naso, stizzito, smise di suonare e con gesti secchi e veloci rimise lo strumento nella custodia, andando via senza rivolgergli uno sguardo.

Derek tornò alla ricerca dell’Edera raggiungendo Stiles, dicendosi che comunque ormai lor due non necessitavano affatto di serenate di sottofondo: ogni tentativo di creare certe atmosfere era futile. Erano già nei guai fino al collo così com’erano.



Passare la notte con Stiles che dormiva di là sul divano fu molto più semplice e meno traumatico del previsto soprattutto perché Lydia decise di unirsi a loro. Non era raro che qualcuno dei ragazzi del branco restasse a dormire nell’appartamento di Derek dopo una serata trascorsa insieme – soprattutto se avevano bevuto parecchie birre e Derek non aveva nessuna voglia di farli guidare fino a casa ubriachi, né di sentirsi in colpa con i loro genitori perché non era riuscito a tenerli lontani dall’alcool – quindi avere Lydia fra lui e Stiles diede alla situazione un’aria più familiare e minimizzò i momenti di impaccio o imbarazzo.

Lydia doveva averlo fatto apposta, Derek gliene era grato.

Le era meno grato, invece, di aver aggiornato Cora, che quella sera stessa con molto amore fraterno si premurò di inviargli un messaggio: "Non fare come Edward Cullen".

A dire il vero, però, Derek si era augurato che almeno l’influenza dello spirito non lo facesse abbassare a guardare Stiles dormire, facendolo atteggiare come un inquietato maniaco dall’espressione allucinata, perché a quello non sarebbe sopravvissuto.

Per fortuna la notte trascorse serena e Derek riuscì finalmente a dormire per più di un paio di ore: ascoltare il cuore di Stiles battere sotto il suo stesso tetto, saperlo al sicuro e in un posto dove poteva proteggerlo o rassicurarlo se si fosse svegliato di soprassalto per un incubo, lo rilassò abbastanza da prendere sonno. Era anche vero che poi l’ansia di svegliare Stiles in tempo per non farlo arrivare tardi a scuola gli aveva fatto riaprire gli occhi quasi un’ora prima della sveglia, ma preparare la colazione per lui e Lydia l’aveva messo di un buon umore che gli aveva tenuto compagnia quasi fino a metà giornata.

Derek non sapeva però se questo dovesse inquietarlo o meno.

Dopo un altro giorno di ricerca andato a vuoto – e purtroppo le vittime e le persone ricoverate all’ospedale aumentava sempre di più – quella sera, a casa di Derek, stavano allargando sulla mappa di Beacon Hills i confini della loro ricerca, e nel frattempo Stiles – dopo aver ingozzato Stira la tartaruga di gamberetti essiccati – cercava su internet se per caso nelle città limitrofe si fossero verificate morti simili a quelle accadute nella loro zona, ma ringraziando il cielo per ora non aveva avuto alcun riscontro.

Mentre Derek e Scott discutevano sui nuovi turni di ricerca chini su una cartina, Stiles stava seduto sul divano col portatile sulle ginocchia, le ragazze consultavano dei libri antichi sulle proprietà dell’edera e Ryu a quanto sembrava stava smistando al tablet del lavoro da fare come critico, e nel frattempo ascoltava della musica con delle cuffie dall’aspetto molto costoso.

Ryu si riteneva ancora offeso da Derek, secondo lui aveva usato una minaccia troppo infida il giorno prima.

All’ennesima volta che Ryu si rifiutò di parlare con Derek, Scott lo fissò afflosciando le spalle e chiamandolo esasperato. «Ryu, non potresti…»

Ryu non lo fece finire di parlare, agitò una mano per fermarlo senza alzare lo sguardo dal tablet. «Sto ascoltando i Cure, niente può farmi male in questo momento. Neanche Taylor Swift che mi minaccia di scrivere una canzone su come l’ho mollata».

Stiles guardò Ryu, sorpreso e aggrottando la fronte. «Sei stato con Taylor Swift?»

«Ehi» protestò lui, abbassando le cuffie sulle spalle, «non giudicarmi: è una cantautrice musicista, ha un suo fascino! E poi "people are people", cantano i Depeche Mode» sottolineò serio e convinto, puntandogli un dito contro. Perché in quel posto misterioso che era la sua testa ciò che aveva appena detto aveva senso.

Scott era perplesso quanto incuriosito. «Perché l’hai lasciata?»

Ryu tirò su col naso, si sistemò all’indietro verso la poltrona su cui era seduto e si strinse nelle spalle. «Divergenze di opinioni. Non ha apprezzato una mia critica».

Stiles gli rivolse un’occhiata scettica e sarcastica. «Cosa le hai detto?»

«Di variare un po’ le tematiche dei suoi testi».

Stiles gli replicò inespressivo. «Ma non è una sorta di accordo tacito non dire in giro che Taylor Swift ogni tanto dovrebbe scrivere di altro?»

Ryu scrollò le spalle, altezzoso. «Io amo essere schietto. Gliel’ho detto, e poi ci siamo scambiati un sacco di brutte parole. E alla fine sono andato via sbattendo la porta, ma non prima di sottolinearle che avrebbe potuto evitare di rifarsi a Shakespeare con Love Story». Lydia, con aria indifferente e una scintilla di sadismo negli occhi, alzò lo sguardo dai propri appunti e s’intromise nella discussione. «Hai mai pensato che forse I knew you were trouble parli proprio di te?»

Lui ci pensò sopra tirando su col naso. «Dici, Leila?» Lei gli annuì. «Uhm, sarà». Kira mal celò una risatina divertita dietro il tomo che stava consultando.

Derek sospirò esasperato. «Adesso possiamo discutere su come potremmo incastrare lo spirito una volta che lo troveremo?» Tutto ciò che Scott aveva ricavato dalle conversazioni sostenute con degli emissari della Lega dei Branchi degli Olivi Millenari era che una volta circoscritta la zona in cui lo spirito si nascondeva, dovevano intervenire in maniera tempestiva cercando prima di ogni cosa di manipolare in qualche modo il terreno dello scontro, visto che proprio nel terreno l’Edera aveva le sue radici.

Ryu inspirò a fondo roteando una penna fra le dita. «Non c’è un unico modo per cambiare un terreno, non ne esiste neanche uno migliore: ogni branco che ha affrontato uno spirito simile ha utilizzato solo le proprie opzioni per farlo, le proprie armi, e ogni branco è diverso dall’altro».

Stiles aggrottò la fronte. «E noi come potremmo cambiare la natura di un pezzo di terra? Dobbiamo premunirci di sacchi di fertilizzante?»

Ryu sogghignò. «Beh, ammetto che a seconda di che tipo di membri hai nel branco, puoi anche aumentare nella terra la percentuale di un elemento che è fastidioso per un’edera attaccando così in maniera diretta le sue radici – grazie a una strega, per esempio – oppure puoi perfino non considerare il terreno di scontro dal punto di vista fisico».

Derek inarcò un sopracciglio. «Considerare il terreno dal punto di vista spirituale?»

Ryu schioccò le dita. «Esatto! Ricordate che lo spirito ha anche un altro aspetto, no?»

Scott assentì. «Quello di una giovane ragazza bionda con indosso abiti d’epoca».

«E questa è la forma che prende su un livello che è diverso da quello terreno» precisò Ryu, «quando la vediamo così non è reale come l’edera rossa che invece vedremo: sarà un’illusione, una sorta di condensazione del suo potere, e noi potremmo provare a giocare proprio questa carta contro di lei».

Lydia arricciò le labbra, non molto convinta. «Ma lei in che modi cercherà di reagire?»

«Come già detto è uno spirito molto pacifico» le rispose Ryu, «non le sfiorerà nemmeno l’idea di farci fisicamente del male, né tantomeno proverà a imporci torture psicologiche, ma di sicuro, non appena sentirà che stiamo modificando il suo terreno, ci affronterà provando a convincerci della sua utilità prendendo le sembianze di una… persona, una diversa per ognuno di noi».

Derek ebbe un tremendo sospetto. «Che persona?»

«L’Edera cercherà nelle nostre menti il volto di qualcuno che ci ha amato e capito e che potrebbe convincerci a tornare ad amare di nuovo lasciandoci andare. Per esempio» e gli s’incrinò un po’ la voce, «io all’epoca ho visto mia zia. Mia zia umana, sorella di mia mamma, che ci ha lasciati molto presto, giusto qualche mese dopo che ho raggiunto l’apice del mio potere e ho smesso di invecchiare» abbassò lo sguardo e si schiarì la voce. «Ma questa ipotetica persona varia, può essere un genitore o un parente come un ex amante, può essere ancora viva o può essere morta… dipende dal nostro vissuto».

Nessuno chiese a Ryu dei particolari del rapporto con sua zia: la perdita di qualcuno era sempre un evento doloroso e purtroppo tutti in quella stanza ne avevano avuto già un assaggio – o anche due o tre.

Derek pensò che le sue opzioni sarebbero state tre: avrebbe visto o sua madre, o Laura, o Paige, e non sapeva quale alternativa fosse la più straziante.

Scott inspirò a fondo e ruppe l’atmosfera pesante che era scesa su di loro tornando al punto della situazione. «Quindi dobbiamo agire prima che lei, sentendoci arrivare, ci provochi queste illusioni?» riassunse.

«Sì» confermò Ryu, «sarebbe meglio, dobbiamo prenderla in contropiede, anche se mi sembra che tutti voi stiate dimenticando quali sono le vostre attuali risorse» gli disse, tornando a sorridere e facendo brillare le proprie iridi di arancio.

«Dobbiamo cambiare il terreno dello scontro» continuò Ryu, «in altre parole il terreno di gioco, perché ogni battaglia in fondo è un grande gioco, e voi avete a disposizione ben due esseri a cui piace molto giocare».

Si voltarono tutti a fissare Kira, che rivolse loro un’espressione smarrita e confusa. «Io… non ho mai agito in questo modo, cioè… non mi sono mai comportata da vero trickster e… che dovrei fare in pratica?» concluse incespicando sulle ultime parole.

«Creare un inganno prima sia lo spirito a crearne uno per prima» replicò Ryu, sicuro, «in poche parole, dare vita a un’illusione».

Kira si mordicchiò un labbro. «Modificare il terreno di gioco cambiandone l’aspetto con un’illusione, intervenendo così sul livello spirituale» dedusse. «La nogitsune quella notte a scuola ha fatto una cosa simile…» mormorò, lanciando un’occhiata di sottecchi al resto del branco, turbata.

Ryu prese in mano la situazione alzandosi e andando ad accovacciarsi di fronte a lei. «Ehi» le disse serio ma comprensivo, «questo è il nostro potere, il potere di tutte noi kitsune, ma è come lo usiamo che ci rende il tipo di persone che siamo: noi non siamo delle kitsune oscure, quindi» mise un paio di dita sotto il mento di lei per spingerla a sollevare lo sguardo verso di lui, «tu hai tutto il diritto di prendere in mano il tuo potere e usarlo come più ritieni opportuno. Non lasciare che il ricordo di una kitsune del vuoto influenzi il tuo modo personale di essere una kitsune del tuono».

«Io… negli ultimi tempi non mi sto esercitando nemmeno con mia mamma perché ogni tanto ho ancora l’impressione che mi stia usando per proprio tornaconto, per farmi fare chissà che lavoro sporco al posto suo» confessò stanca. «Non voglio nemmeno essere una trickster».

Ryu le sorrise indulgente. «Non mentire: tu vuoi essere una trickster, tu sei una trickster. C’è una linea sottile fra inganno e tradimento, fra manipolazione e trucco, fra raggiro e mascheramento, e puoi essere solo tu a decidere di volta in volta da quale parte della linea stare o se sfondarla». Le posò una mano sul cuore con fare solenne. «Lo so che vuoi del potere per aiutare il tuo branco, e questo è il tuo potere, questa sei tu: accettati».

Kira alzò lo sguardo verso Scott, che però si limitò a rivolgerle un sorriso appena accennato e comprensivo, senza spronarla a dir di sì o no. Infine, lei sospirò e si decise annuendo. «Mi insegnerai come creare illusioni?»

«Tu sei mooooolto giovane» le ricordò Ryu, «e paradossalmente lo sono ancora anche io, quindi per creare un intero terreno di gioco alternativo dovremo collaborare insieme, visto che entrambi non siamo molto esperti – questo non è qualcosa che faccio spesso. Ci lavoreremo sopra» le disse fiducioso.

Lei gli annuì a labbra strette e Lydia, al suo fianco, le strinse con affetto una spalla.

Subito dopo la conversazione si alleggerì per poter permettere a tutti di rilassarsi, e visto che si era fatto tardi Lydia raccolse le proprie cose e Ryu l’accompagnò a casa – o meglio, loro finsero di tornare a casa, mentre Derek e gli altri finsero di non capire che in realtà quei due stessero andando a fare sesso sfrenato da qualche parte.

Quando si sentì la porta d’ingresso chiudersi alle spalle della coppia, Stiles aggrottò la fronte. «Pensate che Lydia lo chiami Ian Solo in quei momenti?»

Scott rivolse lo sguardo al cielo e roteò gli occhi, Kira trattenne una risatina. Derek lo fissò inespressivo, o meglio giudicandolo molto con le sue sopracciglia.

Derek decise di godersi il silenzio che finalmente era sceso su di loro sedendosi a leggere un libro nel frattempo che Scott, in piedi al tavolo, finiva di riordinare le cartine della città e Kira riprendeva a sfogliare un tomo. Derek si accomodò sul divano, al lato opposto di Stiles.

Sarebbe stato facile lasciarsi andare al piacere della lettura se non si fosse sentito continuamente spinto a rivolgere occhiate di sottecchi a Stiles, bramando di poterlo toccare: stava diventando sempre più lacerante non poter stare in continuo contatto fisico con lui, anche in maniera casuale, perché sapeva di non poter toccare Stiles con più attenzione e cura del solito senza inquietarlo, e quindi si tratteneva a denti stretti.

Non che volesse toccare Stiles in punti strani, voleva solo abbracciarlo. Tutto qua. Ma Derek di solito non abbracciava gente che non fosse Cora o Lydia, soprattutto in presenza di altri. Però voleva abbracciare Stiles, perché Stiles…

«Dio!» sbottò Stiles esasperato in sua direzione. «Smettila di fissarmi così!» Si sistemò sul divano rivolgendo la schiena contro il bracciolo imbottito e distese le gambe fino a far poggiare i piedi sul grembo di Derek. «Toh, così non stai più in pena» borbottò, posizionando di nuovo il portatile sulle ginocchia e senza rivolgergli uno sguardo.

Derek lo ringraziò abbozzando un sorriso per metà imbarazzato e per metà contento. Gesù Cristo, se era messo male. Di sottecchi vide Scott osservarli compiaciuto e felice ciondolando le braccia lungo i fianchi e molleggiando sui piedi – sembrava un bambino la mattina di Natale. Per fortuna almeno Ryu era assente.

Stiles aveva le guance buffamente chiazzate di rosso per l’imbarazzo, ma Derek non avvertiva nessuna nota di profondo disagio provenire da lui. Era bello. E non si stava riferendo solo al fatto che non fosse a disagio: Stiles in quell’attimo era bello, e ciò non lo stava turbando affatto.

«Pensate…» esordì Kira all’improvviso, in maniera timida ed esitante, «pensate che potrei riuscire sul serio a trovare un mio modo di essere una kitsune senza provocare danni lungo la strada?»

Scott le assentì serio e fiducioso. «Certo».

Derek decise di assumere per un attimo il ruolo di fratello maggiore. «Lo sai che abbiamo cercato qualcuno come Ryu proprio per farti confrontare con un’altra kitsune, per aiutarti a trovare una maniera tutta tua di vivere il tuo potere e la tua natura».

«Ryu è un’alternativa» proseguì Scott, «ha uno stile di vita diverso da quello di tua madre e sono certo che potrebbe metterti in contatto con altre kitsune e mostrarti ancora molte altre alternative».

Kira si morse un labbro e parlò gesticolando. «Lo so che esistono molti modi in cui investire l’immortalità o sfruttare la propria immunità ed eterna giovinezza, e ammetto di essere curiosa di conoscere altre storie diverse da quella di Ryu, ma…» sospirò forte, «come faccio a decidere se voglio restare davvero immortale?»

Scott le sorrise malinconico. «Hai tutto il tempo che vuoi per deciderlo, non avere così tanta fretta».

Lei scosse la testa, corrucciandosi e rivolgendo loro gli occhi lucidi. «No! Il vostro tempo è limitato! Io… certe volte ho voglia di utilizzare fino in fondo la mia immortalità per esplorare il mondo e tutto ciò di cui sono curiosa senza fermarmi mai: l’idea di osservare il tempo che passa intorno a me ha un fascino incredibile. Non riesco nemmeno a elencare per quante mie passioni potrei utilizzare questa mia risorsa!»

«È la tua natura» osservò Scott. «Sei una giovane volpe» sorrise con affetto, «non devi aver paura dei tuoi istinti».

«Ho paura che se mi lascio andare, se mi lancio a briglia sciolta nell’idea di seguire la mia curiosità, perderò il senso del tempo umano: ho paura che inizierò a dirmi "Un altro viaggio, un altro ancora e poi ritornerò a casa", o "Un altro anno, ancora un altro anno lontano da casa e poi basta", e senza che io me ne renda conto le settimane diventeranno mesi, i mesi anni e gli anni decenni, e quando vorrò tornare a casa voi già sarete morti!» sbottò piangendo.

«Kira, ci terremo in contatto» la rassicurò Scott.

«Ho paura» ripeté, asciugandosi con frustrazione le lacrime col dorso della mano. «Ma non voglio neanche restare diciassettenne per sempre. E voi avete già compiuto diciotto anni. E… com’è acquisire la prima coda? Potrebbe piacermi? Per saperlo però dovrei superare il secolo di vita e smettere di invecchiare e non vivere più con voi: ne varrebbe davvero la pena?» si chiese con aria smarrita. «Ho bisogno di risposte e ho voglia di scoprire quello che mi sto perdendo, ma non voglio neanche sopravvivere alla morte delle persone a me care. Sono terrorizzata».

«Potresti intraprendere un lungo viaggio con Ryu» le propose Derek, «da quel che abbiamo notato tutti, non gli dispiacerebbe farti da mentore, e sono certo che avrebbe cura di tenerti ancorata al senso del tempo umano e a mantenerti in contatto con noi».

«È una buona idea» concordò Scott. «Ormai sappiamo che Ryu è affidabile, potresti seguirlo in uno dei suoi futuri viaggi per il mondo o scegliere una meta insieme a lui».

Kira puntò gli occhi in quelli di Scott. «E se dopo scegliessi di non tornare mai più?»

Sapevano che quello poteva succedere, e sapevano tutti quanto avrebbe potuto far male a Scott lasciare di nuovo libera una ragazza – la ragazza per cui a piccoli passi stava tornando ad amare – e poi non vederla tornare mai più. Per la seconda volta dopo Allison.

«È la tua vita» le replicò Scott, sorridendo anche se aveva gli occhi un po’ lucidi, «la scelta è solo tua, e se tu sarai felice, lo saremo anche noi».

Derek deglutì a stento: certe volte invidiava il modo di amare di quei due, quella devozione cieca e innocente che rivolgevano all’oggetto dei loro desideri; Kira era abbastanza devota a Scott da rispettare lui e i suoi tempi, mettendo da parte i propri sentimenti nel frattempo che il cuore di lui guariva dalla perdita di Allison, anche non ricevendo nulla in cambio; Scott era abbastanza devoto a Kira da lasciarla libera pur sapendo che ci fosse la possibilità che lei non tornasse più né da loro né da lui.

Se un giorno fossero diventati davvero una coppia, sarebbero stati come un vento capace di spazzare via ogni cosa.

Kira strinse le labbra e si fece piccola nella poltrona. «Ci penserò» disse infine, flebile.

Scott le sorrise annuendole e poi guardò che ora fossero all’orologio da polso. «Si è fatto davvero tardi: ti riaccompagno a casa, in moto». Si rivolse a Derek e Stiles. «Poi torno» li rassicurò; quella notte era il suo turno di fare da cuscinetto anti-imbarazzo fra loro due.

Derek sospirò assentendo e li osservò riprendere i loro zaini e lasciare l’appartamento. Poi si voltò a guardare Stiles, che era rimasto zitto per tutto la durata della conversazione fra Scott e Kira; lui si sentì fissato e alzò lo sguardo su Derek.

«Che c’è?» esalò Stiles, con un vago tono di rassegnazione.

«Ti amareggia l’idea di vedere Scott perdere di nuovo in qualche modo una ragazza?» intuì.

Stiles abbassò gli occhi sulla tastiera e giocherellò a tamburellarci le dita contro. «Non stanno ancora sul serio insieme e già c’è rischio che le cose vadano clamorosamente male. Non è quello che speravo per lui. E non è neanche quello che speravo per noi: un altro membro del branco che va via non è il massimo».

«Non è ancora detto che ci lascerà» precisò, e senza pensarci troppo lo rassicurò stringendogli piano una mano sulla gamba.

Stiles non si irrigidì sotto il suo tocco. «Ma di certo in caso non tornerà prima di cinque anni» ribatté sicuro, ma senza alcuna asprezza.

Derek fu altrettanto onesto. «Potrebbero essere anche dieci. Ho notato che è un tratto tipico di Ryu intraprendere lunghi viaggi di ricerca, di semilavoro o di esplorazione che durano un arco di tempo compreso fra i cinque e i dieci anni, e poi li etichetta come vere e proprie fasi della sua vita».

Stiles inspirò a fondo massaggiandosi la fronte. «L’ho notato anch’io. Kira potrebbe assorbire questo difetto da lui, o forse lei stessa sospetta già che sarà così».

«Ma noi non la fermeremo» sentenziò Derek, atono ma certo.

Stiles scosse la testa. «No, non la fermeremo» esalò, rassegnato ma senza esitazioni.

E poi accadde, Stiles posò il portatile a terra e prendendo un grosso respiro si alzò dal divano per salirci poi sopra, sistemandosi in ginocchio accanto a Derek, che seguendo l’istinto gli posò le mani sui fianchi mentre lui gli circondava il collo con le braccia.

«Ho bisogno di questo» gli disse Stiles, tenendo la testa nascosta contro il collo di Derek; aveva la voce un po’ roca e tremula, «è ok?»

«Sì» gli rispose Derek, stringendolo un po’ di più a sé e respirando piano ma a pieni polmoni il suo odore socchiudendo gli occhi; sentì Stiles tirare sul naso, rilassarsi sotto il suo tocco e spingersi di più verso di lui.

Era da tanto che Derek non riceveva abbracci del genere, di quelli che sapevano non di conforto disperato e agognato ma di ritorno a casa e un sollievo dolce appena velato di malinconia; il profumo di Stiles rendeva tutto ancora più perfetto.

«Ho bisogno di questo» ripeté Stiles, deglutendo a stento e continuando a non guardarlo, «perché devo… devo…» Sospirò tremando e si separò un po’ dall’abbraccio giusto per fissarlo in faccia posandogli le mani sulle spalle. «Devo sentirti» sottolineò, stringendo di più la presa sulle spalle.

«Sto bene» mormorò Derek, provando a rassicurarlo e infilando con attenzione le mani sotto la felpa e la maglia di Stiles per toccargli la parte bassa della schiena, piano e con piccoli movimenti circolari.

Stiles sbuffò un debole sorriso amaro e triste, ma spostò una mano sul lato del collo di Derek. «Non stai bene, sei sotto l’influenza di uno spirito».

«Potrei stare peggio e lo sai: sto reagendo bene». E a proposito di ciò stava ringraziando il fatto che Lydia e nessun altro avesse sottolineato quanto stesse meglio rispetto a molte altre vittime, perché altrimenti sarebbero sorte altre domande a cui al momento non voleva rispondere.

«Non voglio che la tua vita ruoti intorno a me» gli ribatté Stiles sussurrando a propria volta, e iniziando ad accarezzargli il collo facendo scivolare la mano avanti e indietro dalla nuca alla gola. «Voglio che tu ritorni ad apprezzare la tua vita».

«Apprezzo ciò che ho».

«Ma tu meriteresti molto più di tutto… questo» concluse con una smorfia d’amarezza. «Noi due meritiamo molto più di tutto questo, ok?» Gli posò l’altra mano sul volto, Derek lasciò che le proprie mani salissero di più lungo la schiena di Stiles.

«Meritiamo un branco dove nessuno va via, Derek» continuò Stiles, con un pizzico di disperazione nella voce, «dove la gente non muore, o parte, o decide che qui non c’è quello di cui hanno bisogno, o che necessitano di andare in cerca di se stessi altrove…» Sorrise triste scuotendo la testa. «E perché sto pensando anche a Jackson, ora?»

«Stiles…» cercò di calmarlo, «è normale che tu senta questo».

«Tutti quelli che hanno toccato la nostra vita in mezzo a questo grande casino sovrannaturale» proseguì Stiles, «dopo, nel bene o nel male, potevano continuare a far parte delle nostre esistenze e non lasciarci in preda a… a…» balbettò, «in preda a nottate di solitudine passate a pensare come diavolo risolvere l’ennesimo problema mortale con solo i pochi mezzi di fortuna che abbiamo. Perché se ne sono andati tutti? Jackson, Erica, Boyd, Cora, Allison, Isaac… fra un po’ anche Kira… perché ci lasciano tutti?»

«Non sempre chi ci ha lasciato di propria spontanea volontà lo ha fatto per egoismo, lo sai» lo corresse con gentilezza.

«Lo so, ma… perché?! Perché siamo destinati a questo? Noi meritiamo molto di più… e io… io…» Gli strinse il viso fra le mani. «Io non vi lascerò, ok? Perché so com’è non dormire la notte per paura che il giorno dopo tutto andrà a puttane, visto che fin dall’inizio non siamo mai stati pronti ad affrontare nulla di tutto questo! Io non ero pronto a questo, e sono certo che non lo eri neanche tu quando nella tua vita le cose sono cominciate ad andare male».

Derek sorrise ironico e malinconico. «Chi lo è mai, quando capita qualcosa di brutto?»

«Ma non tutti muoiono a diciassette anni, e non tutti sono costretti a uccidere a quindici anni» gli ribatté serio. «E non tutti vengono posseduti da uno spirito malvagio pluriomicida alla mia età».

«Non vi lascerò, va bene?» cercò di rincuorarlo Derek, puntando il proprio sguardo nel suo. «Dovresti saperlo, ormai, io non vi lascio».

Stiles lo fissò improvvisamente un po’ sperduto. «Se così non fosse, certe volte sarebbe stato molto più facile detestarti o lasciarti indietro per salvarci la pelle». Inspirò a fondo e tornò ad abbracciarlo, e Derek lasciò pure che Stiles sentisse bene contro di sé che lui era lì e non sarebbe andato da nessuna parte.

Stiles gli sfiorò piano il collo con le labbra e Derek socchiuse di nuovo gli occhi sotto quella piccola tortura infinitamente dolce, ma quando Stiles gli sfiorò anche la tempia con il naso e sentì quanto i respiri di entrambi si fossero fatti lenti e pesanti, Derek lasciò pure che le proprie mani ripercorressero all’indietro e verso il basso la schiena di Stiles – aveva la pelle calda e umida, adesso – e, Dio, Stiles si sollevò appena spingendosi verso di lui come a dargli in maniera implicita pieno accesso a… infilargli pure le dita fra la cintura dei jeans e l’elastico dei boxer.

Cristo, era messo malissimo e non poteva fregargliene di meno.

Voltò di poco il capo per poter incontrare la bocca di Stiles a metà strada e si preparò a stringergli il sedere con le mani, quando ecco che sentì dei passi sul pianerottolo. Scattò la testa verso la porta d’ingresso e Stiles lo fissò un po’ riscosso dall’atmosfera in cui erano caduti.

«Scott?»

«Sì» esalò Derek, vedendo Stiles evitare il suo sguardo e ritrarsi per farlo alzare dal divano.

Derek aprì a Scott ancor prima che lui bussasse, e il ragazzo lo guardò sorridente – come sempre – prima di dirgli qualcosa che però gli morì in gola, quando si accorse delle facce degli altri due – e di certo sentì anche l’evidente odore di eccitazione e sesso che riempiva la stanza.

Scott addirittura si mostrò crucciato. «Ho interrotto qualcosa, vero?» si lamentò dispiaciuto.

Stiles agitò una mano in aria, inespressivo. «Tranquillo, Scottie, hai solo avuto un ottimo tempismo. Come sempre».

Scott afflosciò le spalle e fece cenno di andare in bagno per prepararsi per la notte.

Rimasti da soli, Derek si rivolse Stiles, ancora seduto sul divano, e lo vide osservarlo con un sorriso appena accennato e un po’ malinconico – o forse nostalgico.

«È… è…» balbettò Stiles, gesticolando ampiamente e in modo un po’ goffo. «È… ok? Cioè, voglio dire, va bene così» concluse annuendo, forse più che altro a se stesso.

E non c’era molto altro da dire, in fondo per il momento andava davvero bene così.

Derek non aggiunse una sola parola, si abbassò verso di lui e prendendogli il viso fra le mani, gli baciò la fronte, forse in maniera un po’ più languida del previsto, e lasciò pure che Stiles gli accarezzasse le braccia prima di separarsi da lui.

«Buonanotte, Stiles» gli sussurrò piano; lui gli replicò con un piccolo mormorio gutturale di assenso e con gli occhi socchiusi.

A malincuore, Derek lasciò la stanza.

Quella notte, però, dormì bene come non dormiva da anni.



La mattina successiva, Stiles era andato a scuola con Scott, in moto, lasciando la jeep sotto il palazzo di Derek – considerando che ormai dormiva lì ogni notte non era neanche un grosso particolare.

Quel giorno Derek e Stiles erano di nuovo di pattuglia insieme, e Ryu aveva inviato un messaggio a Derek chiedendogli se poteva accompagnare Kira da lui dopo scuola, per iniziare gli allenamenti.

Aspettare la fine delle lezioni era stata a dir poco una tortura per Derek: a lavoro non era riuscito a stare fermo e aveva rovesciato il portapenne due volte; ogni scusa era stata buona per alzarsi dalla postazione e andare a far qualcosa per dei clienti – qualsiasi cosa, fosse anche sollevare dei pesi al posto loro.

Non aveva neanche mangiato e non aveva per niente fame; sentiva tutto il corpo premere verso il posto in cui si trovava Stiles, perché dopo quel momento intenso che avevano vissuto la sera precedente e dopo aver dormito con lui sotto lo stesso tetto, l’idea di non essergli accanto era intollerabile.

Non riusciva a focalizzarsi su niente, e ciò era inquietante se pensava a come nel frattempo quello stesso sintomo stesse portando le altre vittime dello spirito all’autodistruzione.

Giunto davanti alla scuola in anticipo, Derek passò i venti minuti restanti all’uscita dei ragazzi in piedi, appoggiato allo sportello della Toyota.

Quando finalmente il gruppetto lo raggiunse nel parcheggio, Lydia gli chiese con lo sguardo come stesse prima di salire sulla propria auto – Derek la rassicurò annuendole – e Scott lo salutò con un ampio cenno del braccio avviandosi verso la propria moto – sembrava stranamente contento.

Kira fissò Derek, perplessa. «Perché stavi fissando male l’ingresso della scuola? Hai visto qualcuno di sospetto?»

In realtà Derek stava guardando quel punto come se lo avesse personalmente offeso perché non poteva superarlo ed era l’unica cosa che lo separava dall’entrare nell’edificio e cercare Stiles da bravo psicopatico. Tirò su col naso e si allontanò dalla macchina per permettere a Kira di aprire lo sportello e salire. «No. Avevo il sole in faccia» mentì, tanto le kitsune non avevano il superudito.

Sentì Stiles trattenere male una risata alle spalle della ragazza: lui aveva capito. Si scambiarono uno sguardo pieno di sottili minacce, ma alla fine Stiles desisté e andò a sistemarsi al centro dei sedili posteriori.

Mentre Derek faceva manovra per lasciare il parcheggio, Kira sorridendo prese il proprio iPod e glielo rivolse. «Posso mettere su un po’ di musica? Ryu mi ha consigliato dei pezzi dei primi Anna Ottanta e sono curiosa di sentirli!»

Il fatto che avesse nominato Ryu era sospetto, ma d’altra parte lei sembrava entusiasta ed era sempre stata una ragazza dolcissima: Derek dubitava che ci fosse sotto qualcosa. «Certo» le rispose annuendo.

Cominciò a ricredersi quando la vide armeggiare sorridendo maliziosa e mordendosi il labbro inferiore.

Poco dopo partirono le prime note di Do you wanna touch me nella versione di Joan Jett.

Kira, nonostante avesse la cintura di sicurezza allacciata, cominciò a ballare agitando le braccia e il torso, continuando a sorridere deliziata. «Forte!» commentò esaltata.

Scott doveva aver detto a Lydia di ieri sera, e Lydia l’aveva detto a Ryu che a propria volta l’aveva detto a Kira suggerendole inoltre quella mossa con l’iPod.

Kira era stata una ragazza dolcissima, prima che Ryu entrasse nelle loro maledette vite.

Derek si limitò a fissare inespressivo la strada di fronte a sé; alle sue spalle, Stiles emise un lungo lamento di frustrazione e si spinse all’indietro contro il sedile, rivolgendo uno sguardo esasperato e rassegnato al soffitto dell’abitacolo.

Peccato che così facendo mise in evidenza la curva del collo – bianca e abbracciata per metà dalla figura di Lichtenberg, tutta da mordere – e Derek faticò abbastanza a distogliere lo sguardo dallo specchietto retrovisore.

Dannato Ryu e le sue fisse musicali: Derek gli augurò di essere costretto ad assistere a un concerto degli One Direction.

Tre pezzi di Joan Jett dopo – e svariati cori di Kira e Stiles, che appartenevano entrambi alla categoria di persone che di una canzone ne cantavano anche gli assolo di chitarra – Derek parcheggiò accanto al negozio che Ryu gli aveva dato come punto di riferimento, e in effetti poteva sentirlo suonare e cantare fin da lì.

Quando scesero dall’auto, Kira prese per mano Stiles e sorridendo curiosa ed entusiasta lo trascinò di corsa verso Ryu.

Ryu, da parte sua, era seduto su uno sgabello con una chitarra imbracciata – davanti a lui c’era la custodia dello strumento aperta e pronta ad accogliere le offerte – e si stava esibendo in un medley dei Guns N’ Roses, circondato da ragazze in visibilio che tenevano il ritmo battendo le mani fissandolo con gli occhi a cuore.

Ryu, vedendo arrivare Kira, passò prontamente al ritornello di Girls just want to have fun di Cyndi Lauper, invitandola a ballare facendole l’occhiolino con affetto. Derek la trovò una cosa carina.

Poi però Ryu vide lui e Stiles l’uno accanto all’altro, e fissandoli intonò Heaven di Bryan Adams, con particolare trasporto. Derek la trovò una cosa pessima.

Derek non sapeva se il contorno di ragazzine che ciondolavano sognanti a tempo fosse pure peggio.

Però Stiles aveva le guance chiazzate di rosso – l’imbarazzo si mostrava su Stiles a macchie e, dannazione, era adorabile – e ogni tanto gli rivolgeva delle occhiate di sottecchi, quindi Derek decise di rifarsi alla migliore delle proprie espressioni stoiche e resistere fino all’ultima strofa. Ne valeva la pena.

A fine canzone, Ryu annunciò oltremodo dispiaciuto che lo spettacolo era finito – seguirono parecchi gemiti di dolore – ma che il giorno dopo chiunque volesse l’avrebbe ritrovato di nuovo lì. Intascò le banconote ricevute e con gesti veloci e precisi rimise la chitarra nella custodia.

«Si va ad allenarsi?» domandò a Kira. Lei gli annuì sorridendo un po’ timida; le circondò le spalle con un braccio. «Non ti preoccupare, volpacchiotta: ti aiuterò a diventare una donna abbastanza sicura di sé da volersi vestire di pelle nera per dedicarsi allo specchio delle canzoni di Santa Joan Jett da Philadelphia, e senza alcun pudore!»

E quello era un indizio su come Ryu c’entrasse con quello che erano stati costretti ad ascoltare in macchina. Derek sbuffò storcendo il naso, sarcastico. «È una cosa che sei solito fare, per caso?» gli chiese.

Ryu gli rivolse il suo classico sorriso sfacciato da vecchia volpe, ma con l’aggiunta di una buona dose di malizia. «Io sì, e tu?» e fissò Stiles di sottecchi. «Secondo me, dovresti. Tu che ne dici, Stiles?»

Derek lo vide arrossire di nuovo e no, non poteva pensare che Stiles si stesse riducendo così perché stava immaginando Derek vestito di pelle nera a cantare canzoni ambigue: non era salutare.

Stiles si schiarì la voce e si massaggiò il collo. «Che forse dovremmo farlo… tutti?» concluse incerto.

Ryu schioccò la lingua facendogli l’occhiolino e gli diede una pacca sulla spalla. «Ottimo consiglio!» Rimise un braccio intorno alle spalle di Kira, che stava ridacchiando ed evitava i loro sguardi facendo finta di essere impegnata a mettersi in spalla la chitarra di Ryu.

«Ci vediamo più tardi, gentaglia!» li salutò Ryu, agitando un braccio in aria e iniziando a cantare a gran voce «I love rock'n'roll so put another dime in the juke box, baby! I love rock'n'roll so come on take your time and dance with me!»

Stiles li osservò allontanarsi da loro infilando le mani nelle tasche della felpa e storcendo la bocca in un’espressione incerta. «Non so dire se Ryu mi mancherà o meno, quando sarà andato via».

Derek scrollò le spalle, serio. «Io prima o poi l’ucciderò».

Stiles sorrise sbuffando e gli diede una lieve spinta alla spalla colpendolo con la propria, prima di fare dietro front per iniziare l’ispezione dei dintorni; Derek lo seguì cercando di evitare di perdersi troppo nel suo odore a via di rincorrere le sfumature che gli davano le sue emozioni – Stiles ne stava provando di parecchie e di contrastanti da quando si erano incontrati davanti alla scuola.

Dopo qualche attimo di silenzio contornato da parecchi suoni nervosi – tirare su col naso, schioccare la lingua senza motivo – Stiles esordì con «Allora… abbiamo tacitamente deciso di non parlare di ieri sera?»

Derek si schiarì la voce. «Direi di… sì?» sospirò. «Senti, non… non sarò così stupido da dirti di ignorare tutto, perché non… non…» Sapeva cosa voleva dire e come voleva dirlo, ma non ci riusciva, sentiva la voce morirgli in gola.

Stiles gli venne incontro. «Perché per te è stato qualcosa?» gli suggerì speranzoso.

«Sì. Cioè, anche» incespicò.

«Pure per me anche. Cioè» gesticolò nervoso, «è stato qualcosa, e lo so che tutti dicono che è meglio non mettere delle etichette sui propri sentimenti, ma questa situazione è diversa e quindi credo di aver magari bisogno di mettere questo qualcosa almeno sotto una categoria, piuttosto che magari dargli un’etichetta ben definita».

Derek assentì. «Non voglio che tu alla fine dell’influenza dello spirito ti accorga di essere stato suggestionato».

Stiles si fermò e si voltò verso di lui, gli rivolse un sorriso amaro scuotendo la testa. «No, Derek, non sarebbe giusto per nessuno di noi due scoprire di esserci illusi. Non pensare solo a me, ok?»

Lui sbottò una risata sarcastica. «È un po’ difficile farlo».

Il ragazzo si passò le mani sul volto sbuffando stanco ed esasperato. «Detesto questa situazione». Gli rivolse uno sguardo preoccupato. «Hai mangiato oggi?»

«Certo» mentì.

Stiles gli rivolse un’occhiata scettica e cercò qualcosa nello zaino che aveva in spalla; gli porse una barretta energetica alla frutta. Derek accettò l’offerta stringendo le labbra in una riga sottile e vergognandosi parecchio; mandò giù lo snack in modo misero con un paio di bocconi e Stiles gli diede una pacca sulla schiena.

«Andrà meglio. O quantomeno ci rifaremo con una pizza» blaterò Stiles, cercando forse di consolarlo alla meglio.

Fu in quel momento che entrambi i loro cellulari squillarono segnalando la ricezione di un messaggio.

«Scott» mormorò Derek, leggendo il testo; Stiles doveva averne ricevuto uno uguale, perché alzò lo sguardo dal proprio cellulare fissandolo in ansia per poi annuire.

Deaton aveva trovato l’edera rossa.



Il branco si riunì in fretta nell’appartamento di Derek, attorniando il tavolo su cui era dispiegata una mappa della riserva.

«Qui» indicò Scott con un dito, «nel punto più vicino a Hill Valley».

Derek inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Non c’eravamo ancora spinti fin lì».

«Come ci è arrivato Deaton?» chiese Stiles.

«La Forestale ha chiesto il suo aiuto dopo che più escursionisti hanno segnalato dei comportamenti strani da parte degli animali» rispose Scott.

Stiles aggrottò la fronte, interessato. «Di che tipo? Agivano come se la stagione degli amori fosse cominciata in anticipo?»

Derek e i ragazzi si voltarono all’unisono a fissarlo, chi perplesso chi inespressivo.

Stiles mise le mani avanti. «Ehi, considerando il genere di spirito con cui abbiamo a che fare, questa è una domanda del tutto lecita!»

Scott roteò gli occhi. «No, Stiles, non in quel senso: erano più mansueti del normale, compresi i predatori; a quanto pare sono settimane che si lasciano avvicinare dagli umani a testa china, quasi fossero in cerca di rassicurazioni».

«O forse» intervenne Lydia pensierosa, «stanno avvertendo più solitudine del solito».

Ryu annuì. «Capita che l’Edera delle Anime Sole abbia questo effetto sugli animali: li rende più docili e più bisognosi di contatto con altri esseri, e in alcuni casi li porta anche a diventare più ricettivi agli umani sofferenti».

Scott lo fissò sorpreso. «Come quando un cane percepisce che il suo padrone sta giù di morale e si avvicina uggiolante a consolarlo?»

«Esatto» confermò Ryu.

Stiles si strinse nelle spalle. «Non credo però di voler vedere un puma che mi consola».

Lydia gli rivolse un sorrisetto sarcastico. «Dimentichi che in passato sei stato consolato e abbracciato da dei licantropi» gli ricordò.

«Non è la stessa cosa!» protestò lui, anche se sembrò un po’ in imbarazzo. «I licantropi sono più ragionevoli. A volte» concluse con voce flebile.

Scott inspirò a fondo e gesticolò per metterli a tacere. «Ok, ok! Adesso veniamo al dunque!» Alzò lo sguardo verso Ryu. «Dovremo agire prendendola in contropiede, giusto? Tu e Kira dovrete formare un illusione prima che sia lei a farlo» riepilogò.

Ryu incrociò le braccia al petto e sospirò pensoso. «Non sarà facile perché abbiamo soltanto ancora poche ore per allenarci e siamo delle kitsune una più giovane dell’altra» non era una buona idea rinviare il loro attacco, rischiando che nel frattempo il numero di vittime aumentasse, dovevano agire al più presto, «ma credo che tutto sommato possiamo garantirvi che vi faremo guadagnare un po’ di vantaggio». Kira, al suo fianco, confermò annuendo più o meno sicura di sé.

«Come vi ho detto l’altra volta» continuò Ryu, «l’importante è non cedere alle tentazioni: potrà usare contro di voi qualsiasi tipo di persona – parente, ex amante, sia che sia vivo o sia che sia morto – ma se io e Kira saremo abbastanza forti, per voi non ci sarà neanche bisogno di provare a resistere».

Ognuno fece a proprio modo cenno di aver capito e dopo cominciarono a prepararsi.

Ryu si appartò sul divano con Kira per darle qualche altro piccolo consiglio, e Lydia – a quanto sembrava interessata o curiosa dell’argomento – si sedette accanto a lui prendendo appunti su come le kitsune formavano delle illusioni, e ogni tanto gli rivolse anche delle domande.

«Questo perché viviamo in tempi incerti, mia cara Leila» lo sentì dire Derek a un tratto, con tono teatrale quanto solenne, «dei tempi in cui l’uomo si lascia facilmente ossessionare da parecchie domande» e si umettò le labbra. «Per esempio, io dopo aver visto Miley Cyrus nuda a cavallo di una palla da demolizione, ho passato tutta la notte insonne a fissare il soffitto chiedendomi perché».

Derek sperò solo che qualunque domanda Lydia avesse appena rivolto a Ryu, quella fosse all’incirca la vera risposta; scosse la testa e con l’aiuto di Scott continuò a riordinare i libri sulle illusioni che avevano consultato prima, mentre Stiles era intento ad assicurarsi che Stira la tartaruga avesse già fatto il pieno di cibo – le priorità di Stiles diventavano sempre bizzarre quando era nervoso – per poi mettersi a cercare chissà cosa su internet al portatile.

Il terzetto sul divano chiacchierò in maniera intensa ma quieta per i successivi venti minuti, dopo iniziarono a raccogliere le proprie cose per andare ad allenarsi in spazi aperti e lontani da occhi indiscreti.

Lydia strinse a sé la sua borsa piena di libri e con uno sguardo un po’ preoccupato si rivolse a Ryu. «Sei sicuro che per te vada bene riaffrontare tutto questo?»

Ryu sembrò colto di sorpresa, boccheggiò un po’. «Tranquilla, non mi peserà quanto credi» la rassicurò, «vi chiedo solo di evitarmi di fare tagliare o estirpare l’Edera: preferirei che lo faceste voi al posto mio».

Avevano parlato di quel dettaglio significativo: nel momento in cui lo spirito veniva ucciso, l’esecutore materiale dell’atto veniva investito di tutta la solitudine e disperazione provate dalle vittime dell’Edera. Ryu non l’aveva mai vissuto per esperienza diretta, ne aveva visto solo gli effetti anni fa in Croazia, ma per una creatura centenaria come lui la solitudine era un tema quantomeno ricorrente e Derek comprendeva benissimo perché mai non se la sentisse di accogliere dentro di sé il lascito della morte della pianta.

Lydia strinse le labbra, frustrata e un po’ dispiaciuta. «Non mi sto riferendo alla battaglia in sé, ma al fatto che se andrà male potresti rivedere per una seconda volta tua zia».

Cadde uno strano silenzio su tutti loro, Derek si accorse che ora anche Scott e Stiles stavano fissando di sottecchi la scena: Ryu era un tipo irriverente che all’apparenza sembrava non prendere niente sul serio, era fin troppo facile scordare che nei suoi centoquattordici anni aveva dovuto anche lui pagare i suoi conti. Forse per loro fino a quel momento era stato molto comodo fingere – anche se in maniera inconscia – che Ryu non avesse dei propri fantasmi.

Ryu si passò una mano fra i capelli e poi le sorrise un po’ malinconico. «Non è un grosso problema, Leila, non ti preoccupare… Vedi» sospirò, guardandola negli occhi con della dolcezza mista a della nostalgia, «il prezzo della mia immortalità è dover sopravvivere alla morte delle persone che più amo, e da un punto di vista esterno questo potrebbe sembrare molto egoistico da parte mia: perché mai seguire le mie passioni in eterno a costo di non poter condividere la mia esistenza con i miei cari? Visto così è un comportamento poco… elegante, diciamo» gesticolò scrollando le spalle.

«Ma» continuò Ryu, sospirando, «io la vivo in un altro modo: i miei genitori e mia zia erano fieri di me, sia di me come essere umano, sia di me come kitsune e sia di me come musicista; hanno sempre detto fino al loro ultimo respiro che avevo talento e che dovevo continuare a portare avanti la mia passione per la musica, fosse anche solo per portare nel mondo un po’ più di… amore» esalò un po’ impacciato ma sorridendo. «E anch’io sono sempre stato molto fiero di loro, come sono stato fiero di tutte le altre persone che a seguito ho incontrato e ho amato: sono fiero di tutti i miei affetti e di tutti gli amori della mia vita e anche loro sono stati fieri di me… e… e…» incespicò sulle parole, «amo continuare a portare nel mondo gli insegnamenti che loro mi hanno dato, per renderli immortali insieme a me: penso che questo sia il cosiddetto Vero Amore, cioè non vivere nel passato lasciandosi ossessionare dai ricordi, ma portare il meglio del passato nel futuro senza che diventi il tuo presente, in modo che nessuno ci lasci mai davvero per sempre e continui a riflettersi nel mondo che ci circonda tramite noi». Si strinse nelle spalle. «Non mi sento condannato a ricordare, amo non dimenticare». La guardò dritto negli occhi. «Io non dimentico mai nessuno».

Tradotto significava "Io non dimenticherò mai neanche te, e racconterò di te a qualsiasi persona che incontrerò da qui al prossimo millennio e oltre, rendendoti immortale".

Per amore di cronaca, Lydia aveva gli occhi un po’ lucidi, ma si schiarì la voce e spezzò l’intensità del momento con un velo di ironia. «È un’interpretazione molto carina del concetto di Vero Amore» commentò.

Ryu le sorrise con affetto e con un po’ di ritrovata baldanza. «Del resto sono sempre stato un uomo di poche pretese: il mio più grande sogno romantico è trovare una donna che a un mio "Ti amo" risponda "Lo so"».

Lydia roteò gli occhi – ma sorrise – e gli diede un pugnetto sulla spalla. «Andiamo!» l’esortò a uscire dall’appartamento con lei e Kira.

Non appena la porta si chiuse alle spalle del terzetto, Scott gongolò ciondolando sui piedi. «Quei due sono carini, però».

Stiles sbuffò una risata e scosse la testa senza staccare lo sguardo dal computer. «L’alpha approva».

Scott continuò a sorridere contento dondolando sul posto. «Avete tutti la mia benedizione. Anche voi».

La testa di Derek scattò a guardare Scott all’unisono con quella di Stiles, e ciò fece riprendere Scott dal suo bizzarro stato di ebbrezza.

«Cioè» si corresse mettendo le mani avanti, «in caso, se mai dovesse succedere, avrete anche voi la mia benedizione. Io benedico tutti».

Stiles lo fissò perplesso e sarcastico. «Scottie, da quando sei un Papa? Per caso è un optional gratuito e compreso nel prezzo quando si diventa un Vero Alpha?»

Scott li guardò entrambi boccheggiando – Derek non stava facendo nulla per migliorare la situazione: lo fissava giudicandolo di proposito – e alla fine sbottò gesticolando. «Ci rinuncio, siete impossibili» afferrò giacca, chiavi e casco e si diresse verso l’ingresso. «Vado alla clinica veterinaria per avvertire Deaton che stiamo per agire» disse loro uscendo.

Derek vide di sottecchi Stiles mordersi una mano per evitare di scoppiare a ridere forte – Scott l’avrebbe sentito, era ancora sul pianerottolo – e trattenendo una risata si portò un dito sulle labbra facendogli cenno di tacere fino a quando Scott non fu finalmente lontano dal raggio di azione del suo superudito, dopo sghignazzarono impuniti.

Derek scosse la testa. «Non capirò mai perché ti diverti così tanto a metterlo a disagio».

«È il mio modo personale per aiutarlo a crescere».

Lui inarcò le sopracciglia, scettico e sarcastico. «Magnifico contributo».

«Ehi, è così che sprono la sua curiosità, la sua voglia di capire e stare al passo con gli altri! Come quando lo scorso Natale gli ho mandato quel messaggio» gli ricordò trionfante.

Derek, esasperato, rivolse lo sguardo al soffitto. «Stiles, Scott ha trascorso l’intera vigilia di Natale a preoccuparsi cercando di capire che tipo di pericolo imminente potevi aver associato al codice #FFFFFF».

Stiles sbuffò roteando gli occhi. «Gli ho solo scritto "I dreaming for a #FFFFFF Christmas"! E comunque vedi che ha funzionato? Alla fine l’ha capito cosa volevo dirgli!»

«Poi» sottolineò, continuando a sistemare dei vecchi volumi nella libreria, «alla fine. Certe volte avrei proprio voglia di strangolarti».

Stiles ebbe la sfacciataggine di sorridere compiaciuto invece di replicargli, poi sospirò e sistemò il proprio portatile nella borsa; prese un libro a caso fra quelli ancora posati sul tavolo e iniziò a sfogliarlo in modo distratto. «Ehi» disse sorpreso a un tratto, «per caso questo è il libro di tua madre che ha recuperato Lydia?»

Derek si voltò appena a guardarlo, Stiles sollevò il tomo per mostrargli la copertina. «Sì» gli annuì tornando poi a lavoro.

«Non l’avevo ancora visto» mormorò Stiles con un sorriso velato di malinconia. «Certo che deve essere stato davvero bello poter…» e si interruppe, così di colpo che Derek si girò di scatto verso di lui, sorpreso.

Stiles aggrottò la fronte e sventolò piano fra le dita un biglietto con la dicitura "Per Derek". «Non dovresti tenere una cosa del genere in un posto meno accessibile?» gli suggerì. «Suppongo che sia un messaggio privato, no?»

Derek sorrise malinconico a propria volta scrollando le spalle. «Preferisco tenerlo nel suo libro, e comunque non ha importanza: Cora e Lydia l’hanno già letto con il mio permesso». Vide Stiles rigirarsi il foglietto fra le mani, incuriosito ma zitto – forse per paura di risultare impertinente. «Puoi leggerlo anche tu, sei vuoi» sbuffò, dandogli le spalle per tornare a sistemare la libreria.

«Sul serio?» gli ribatté speranzoso.

«Vai pure» l’incoraggiò. Sentì il fruscio del biglietto che veniva dispiegato, poi Stiles fece un paio di colpetti di tosse e iniziò a leggere a voce alta.

«L’amore non è fedeltà, ma lealtà. L’amore non è possessione, ma appartenenza». Sembrò esitare appena dal continuare, ma poi proseguì; Derek non smise di rivolgergli le spalle, ma capì che forse aveva sbagliato a concedergli quel permesso.

«Quando sentirai di appartenere a qualcuno come puoi appartenere solo a una terra, sarai innamorato di nuovo, e amerai e odierai questa persona proprio come puoi solo amare e odiare una terra, per tutto ciò che ti dà, per tutto ciò che ti nega, per tutto ciò che ti toglie, per tutto ciò che ti ha reso quello che sei adesso e per tutto ciò che ora puoi essere grazie a lei». La sua voce divenne flebile. «L’odierai perché starai amando di nuovo».

Nel silenzio attonito e denso che seguì quelle ultime parole, a Derek tornarono in mente sprazzi di conversazioni sostenute con Stiles.

"Perché non hai mai lasciato questa città?! Hai avuto più di un’occasione per farlo!"
"E tu perché non stai inviando nessuna domanda d’ammissione a un college fuori da Beacon County?"
"Non posso lasciare i ragazzi e mio padre, e… non posso…"
"E non puoi lasciare questa città sola a se stessa".
"Già… ma non lo trovi un po’ da malati?"
"Odiare e amare una cosa allo stesso tempo? No, anzi è qualcosa di abbastanza comune, anche se perlopiù di solito deriva dalla convivenza più o meno forzata; per esempio, si può odiare e amare la propria famiglia".
"Hai desiderato spesso strangolare le tue sorelle?"
"Non immagini quanto".

Dio… Dio, se amava Beacon Hills.

"Sai cosa mi piace di te e me insieme?"
"No".
"Che quando siamo soli riesco a farti fare una fottuta risata e tu sai rilassarmi abbastanza da farmi stare zitto".

E "Certe volte avrei proprio voglia di strangolarti".

Dio, se amava Beacon Hills come solo avrebbe mai potuto am-

«Ok» Stiles interruppe il filo dei suoi pensieri e delle sue realizzazioni respirando a fondo e gesticolando impacciato. «Questo è stato un momento abbastanza intenso, così tanto che credo che ora andrò via per fare uscire con me l’elefante che c’è adesso in questa stanza» concluse con voce un po’ tremula.

Derek fissò il pavimento. «Ok» esalò. «Ci vediamo fra un paio di ore all’appuntamento davanti alla riserva».

Stiles annuì, prese la borsa con il portatile e andò via a grandi passi.

Quando Derek sentì la porta chiudersi alle spalle di Stiles, si passò nervosamente le mani sul viso, stanco, esasperato e soprattutto provando a combattere la voglia di inseguire il ragazzo.

Ma non ce ne fu bisogno, perché pochi attimi dopo udì Stiles tornare indietro di corsa; Derek, in ansia e allarmato, andò veloce ad aprirgli, sorprendendolo nell’atto di bussare.

«Bene» esalò Stiles, rientrando senza tanti complimenti. «Noi due dobbiamo parlare, no anzi! Io ti devo parlare».

«Stiles…» sospirò, sfibrato da tutto quello che stavano vivendo; chiuse la porta e seguì Stiles in salotto.

«No! Io devo dirti un mucchio di cose e tu ora mi ascolterai, chiaro?» parlò gesticolando nervoso e fissandolo negli occhi. Derek gli annuì, teso, e lui proseguì il proprio discorso.

«Penso che non potrò mai dimenticarti» sentenziò Stiles secco e deciso, e il suo cuore non lo tradì, stava dicendo la verità. «Nel bene e nel male, qualsiasi cosa accada, anche se tu… se tu…» esitò e deglutì a stento, «anche se tu un giorno dovessi decidere di andar via e di lasciarci, io non ti dimenticherò, ok? Penso che potrei fare anche qualcosa di stupido come parlare di te a tutte le persone che avranno la sfortuna di conoscermi da qui fino alla mia morte».

«Lo fai già con Scott e Lydia, parli di loro con chiunque» gli fece notare Derek, con voce un po’ roca.

«Lo so» gli rispose diretto e sincero in maniera spiazzante, senza distogliere gli occhi dai suoi, «è per questo che volevo dirtelo, perché li amo così tanto da non poter fare a meno di portarli con me in giro anche quando vorrei prenderli a schiaffi… e io… e io» trasse un respiro profondo e lo indicò con un dito, «io vorrei prenderti a pugni due volte sì e una no, ma ci tenevo a dirtelo. Non che ti vorrei prendere a pugni» precisò goffo, «cioè, anche: è importante che tu sappia che ogni tanto sei da prendere a pugni e basta, ma…» aprì e chiuse la bocca più volte. «Io tengo molto a te, ok? Non so cosa sarà di noi dopo che estirperemo quella fottuta edera, ma penso che sia altrettanto importante che tu sappia che nel bene e nel male io non potrò mai dimenticarti».

«Neanch’io potrò mai dimenticarti» gli ribatté quasi sussurrando, perso nel suo sguardo ma con la testa piena dell’eco della sua dichiarazione.

Stiles deglutì a stento e annuì. «Fantastico» mormorò atono, prima di afferrarlo per il colletto e premere le labbra contro le sue.

Fu solo questo, labbra contro labbra in un tocco intenso, duraturo, un po’ languido ma quasi casto, un bacio dato senza alcuna disperazione o ansia di dimostrare qualcosa, solo una ferma attestazione. E diamine se Derek non si sentì devastato da tutta la speranza che racchiudeva quel gesto.

Stiles si separò da lui premendo piano una mano contro la sua spalla, lo guardò un’ultima volta negli occhi e gli mormorò «A dopo». Voltò le spalle e andò via, stavolta in via definitiva.

Derek ascoltò i suoi passi lungo il pianerottolo e poi sulle scale – non aveva preso l’ascensore – fino a quando non fu più a portata del suo superudito, e stavolta trattenersi dall’inseguire Stiles fu più dura di prima.

Sperò solo che qualsiasi tipo di "noi" ci fosse, non andasse via con la morte dello spirito.



Derek arrivò sul posto da solo con la Toyota, Scott e Stiles con la moto del primo e Kira e Ryu insieme a Lydia con la sua auto. Le due kitsune erano armate delle proprie spade giapponesi, e Stiles si lamentò a bassa voce di quanto Ryu con indosso una maglia degli AC/DC e la ninjato alla cintura li facesse sembrare a confronto troppo patetici e normali per essere a caccia di spiriti. Derek roteò gli occhi, ma Ryu sorrise compiaciuto.

«Ryu e Lydia mi hanno aiutato a ricaricarmi con dell’elettricità» li informò Kira, seria; quando notò gli altri fissarla stupiti e preoccupati agitò subito una mano. «Non si è fatto male nessuno!» li rassicurò. Derek preferì non indagare oltre.

Scott si rivolse a Ryu. «Sei carico anche tu?»

Ryu sfoderò la ninjato e guardò in alto fra gli alberi sorridendo nostalgico: fischiò più volte con diverse tonalità e svariati tipi di uccelli risposero subito al suo richiamo, da tutta la foresta; alzò la lama verso il cielo e raccolse l’energia del suono sotto forma di piccole scariche elettriche blu. Infine, soddisfatto si voltò verso Scott. «Ora sì».

Stiles inarcò un sopracciglio. «Hai scelto di accumulare dei suoni naturali di proposito?»

Lui gli replicò rinfoderando la ninjato. «Tutto ciò che proviene di prima mano dalla Natura è più puro e più forte per noi kitsune».

Derek vide Stiles fissare pensoso Kira. «Non starai pensando di usare Kira come parafulmini alla prossima tempesta, vero?» gli domandò sarcastico.

Lui scosse la testa, oltraggiato. «No!» mentì, ma né Derek né Scott sottolinearono la sua bugia.

S’incamminarono verso il punto indicato da Deaton e la Forestale, stando all’erta e attenti a far poco rumore, fino a quando tutti loro tranne Stiles cominciarono ad avvertire qualcosa di anomalo.

Il ragazzo li fissò perplesso. «È qui? State facendo tutti delle facce strane: aggiornate l’umano del branco!»

Lydia si morse un labbro e strinse una mano intorno al polso di Stiles. «Non deve essere molto lontano, sento… sento un senso di solitudine caldo, secco e soffocante che non mi appartiene».

«Come stare al centro di un deserto» mormorò Derek; Lydia gli annuì.

Ryu allungò la mano verso Kira per stringergliela. «Qualsiasi cosa accadrà a partire da adesso» li ammonì a bassa voce, «non spaventatevi: lo saprete quando non saremo io e Kira ad agire».

Le due kitsune chiusero gli occhi e loro istintivamente li circondarono proteggendoli da ogni lato e guardandosi attorno.

Agli occhi di Derek accadde in modo lento, fu come cadere piano dentro uno strano sogno: ci fu un dolce e leggero soffio di vento e quando le fronde degli alberi si mossero si trasformarono tutte all’unisono in quelle di betulle rosse.

L’atmosfera intorno a loro diventò misteriosa ma familiare: i tronchi bianchi e freddi chiazzati di nero contrastavano con il colore caldo del fogliame, e una sottile nebbiolina circondava i rami più alti; sembrava di essere in un posto antico, ma non così lontano da loro.

«Questo è il nostro campo di battaglia» mormorò sicuro Ryu, impugnando ancora una volta la ninjato, mentre Kira sfoderava la katana e poggiava la schiena contro la sua, «è un terreno di gioco nuovo e tutto nostro».

"Rosso come le foglie dell’edera" pensò Derek, "ma il resto è tutto nostro".

Scott si voltò verso una direzione ben precisa e lasciò che i suoi occhi si illuminassero di rosso. «Sta arrivando».

Dalla foschia emerse la figura di una giovane donna coperta da un mantello della stessa tonalità dei non ti scordar di me, e che indossava un abito ottocentesco semplice e viola; quando fu più vicina a loro abbassò il cappuccio sulle spalle rivelando una folta chioma bionda e ondulata, un viso dalla carnagione chiara con una piccola spruzzata di lentiggini e due grandi occhi celesti; il suo sguardo era smarrito e trasudava innocenza.

«Perché?» chiese loro, stringendo le dita sui bordi del mantello. «Non intendo far del male a nessuno, perché siete entrati nel mio territorio con l’intenzione di attaccarmi?»

Scott le rivolse uno sguardo dispiaciuto ma deciso. «Neanche noi vogliamo farti del male, ma questa situazione non può continuare: stanno morendo delle persone innocenti».

Lei abbassò lo sguardo, nervosa. «Alcuni non sono ancora morti, possono ancora farcela, devono solo resistere! In fondo c’è sempre un prezzo da pagare per ottenere il Vero Amore».

«Non è questa la via giusta per averlo» la corresse Scott.

«Non posso lasciare questa terra alla sua sofferenza, qui c’è troppo dolore!» insisté. «C’è bisogno di me, voi avete bisogno di me!... Mi dispiace…» concluse scuotendo piano la testa.

«STA PER AGIRE!» li avvisò Ryu, stringendo di più la mano di Kira.

Derek vide formarsi davanti a loro sei sagome indefinite e tremule, sembrava che stessero combattendo per apparire delineandosi bene – stavano lottando contro l’illusione delle kitsune – e lui e Scott si pararono di fronte a Kira e Ryu per permettere loro di guadagnare più tempo possibile per riprodurre ancora il terreno di gioco immaginario, ma alla fine le due kitsune cedettero crollando a terra in ginocchio con un gemito di frustrazione.

Derek sentì Lydia mormorare con voce spezzata «Jackson?» e capì subito cosa avrebbe visto non appena avrebbe alzato lo sguardo.

Le illusioni dell’Edera avevano vinto quelle di Ryu e Kira e ora davanti a loro c’era una persona per ogni elemento del branco.

Per quanto non conoscesse bene parte di quelle comparse, Derek si sentì lo stesso straziato e sopraffatto da cosa voleva dire per ognuno di loro vedere quei volti proprio in quel momento.

C’era Jackson per Lydia, Allison per Scott, una giovane donna dai capelli neri con addosso un grazioso vestito Anni Venti che doveva essere la zia di Ryu, il padre di Kira e una donna dai lunghi capelli castani chiari, gli occhi grandi e un sorriso luminoso.

«Mamma?» sentì Stiles sussurrare con voce tremante, e Derek si sentì un po’ morire dentro.

Derek sapeva che di certo lei non mancava all’appello, aveva quasi l’impressione di avvertire la sua presenza nelle ossa, ma tuttavia cercò di evitarla in modo stupido.

«Derek?» lo chiamò alle spalle una giovane voce conosciuta.

«Non sei reale» le disse fra i denti.

«Non fare il bambino» lo riprese ironica, «sei cresciuto ormai».

Derek si voltò piano verso di lei. «Ma tu no».

Paige lo fissò sorridendogli con affetto e un po’ di malizia; era proprio come la ricordava, indossava perfino gli stessi abiti della sera in cui era morta, solo che erano puliti. «Sei diventato proprio un bell’uomo» lo prese in giro con dolcezza.

«Perché sei qui?» le chiese, provando ad andare dritto al punto per sconfiggerla in qualche maniera.

«Perché hai bisogno di me per ricordare la parte bella e migliore dell’essere innamorati, la parte che puoi ancora avere. È un tuo diritto».

«Conosco i miei diritti e so cosa mi merito» le replicò secco ma con voce tremante.

«E pensi di non meritare un’altra chance?»

«Forse» ammise. Doveva resistere, non poteva lasciarsi ammaliare e convincere, quell’Edera non poteva restare viva. Cercò di trovare uno spunto per attaccarsi a qualcosa, qualsiasi cosa. «Sei fiera di me, di ciò che sono diventato?» le chiese esitante.

«Sì» gli rispose aggrottando appena la fronte. «Hai avuto dei brutti momenti, ci sono state volte in cui hai dato il peggio di te, ma ti sei sempre rialzato in piedi e hai provato a diventare una persona migliore».

«Sono stato fiero di te» le disse inspirando a fondo, «e lo sono tuttora. Ci sono cose che ricordo di te e di noi che vorrei portare avanti e migliorare. Non voglio riviverle, voglio migliorarle a modo mio» mormorò più sicuro. «Non ho bisogno del tuo aiuto».

Paige lo guardò sofferente e subito dopo Derek sentì qualcosa attorniargli le gambe: abbassò lo sguardo e vide delle radici emerse dal terreno che stavano provando a bloccarlo sul posto.

«Non voglio farti male» si dispiacque Paige, corrucciata, «voglio solo fermarti». Gli voltò le spalle e corse via.

Come uscito da uno stato di trance, Derek si guardò attorno e vide che anche gli altri erano stati attaccati dalle radici e si stavano dimenando per liberarsi.

«Non vuole ucciderci stritolandoci» li avvertì Ryu, colpendo con la ninjato un paio di radici ai suoi piedi, «vuole soltanto guadagnare tempo per mettere radici da un’altra parte di Beacon Hills! Approfittate della poca forza che ci mette per stringerci per liberarvi!»

Derek si dimenò di più e usò gli artigli per tagliare delle radici – finendo per graffiarsi un po’, ma era il male minore – e vide di sottecchi Scott fare lo stesso per poi aiutare Lydia.

Kira si aiutò con la katana e quando fu quasi libera passò al volo la spada a Stiles esortandolo a usarla anche lui a mo’ di coltello, mentre lei con le mani finiva di eliminare le radici attorno a una sua caviglia.

Derek con un ringhio di frustrazione tagliò l’ultima radice, poi si avvicinò a Stiles e con un colpo di artigli lo aiutò a togliere di mezzo l’ultimo impedimento che gli stringeva una caviglia, e insieme corsero verso la direzione in cui erano scomparse le illusioni.

Derek sentì gli altri seguirli a breve distanza urlando indicazioni; Scott stava ruggendo arrabbiato e addolorato – fargli vedere Allison era stato un colpo basso – e quando finalmente Derek vide il loro obiettivo frenò di colpo quasi incredulo e Stiles gli finì addosso.

Aveva l’aspetto di un’edera dalle foglie rosse e brune simili a quelle di un acero, ed era attorcigliata in maniera elegante a una grossa quercia rossa; irradiava mistero, potere e dolore.

Derek sfoderò gli artigli e si guardò intorno: il fusto della pianta era abbastanza spesso e di certo avrebbe fatto opposizione all’essere estirpata e lui era solo un beta, aveva bisogno di aiuto. Oppure di qualcosa di più tagliente e forte degli artigli. «Scott?» urlò, forse in due avrebbero potuto dividere e sostenere meglio il contraccolpo emozionale dell’uccisione dello spirito.

«Lo farò io» lo sorprese Stiles; aveva il fiato corto e il viso bagnato di lacrime – il confronto con la madre doveva averlo provato parecchio – strinse la mano intorno all’impugnatura della katana di Kira che aveva ancora con sé.

«Stiles, non tu» quasi lo supplicò.

Lui gli sorrise amaro. «Come se nel branco ci fosse qualcuno che meriti questo al posto mio: siamo tutti pari».

«Aspettiamo gli altri!»

«Ve bene così».

«Almeno dividiamo il colpo!»

Stiles gli rivolse un ultimo sorrise triste. «Non penso proprio che ti farò sopportare l’uccisione di qualcun altro». Sollevò la katana e diede un colpo secco alla base dell’Edera proprio quando gli altri finalmente li raggiunsero.

Derek sentì intorno a sé come se l’aria fosse stata appena risucchiata da un vortice, o come se all’improvviso mancasse dai polmoni di qualcuno dopo una forte fitta di dolore; nell’atmosfera si espanse un inspiegabile odore di sangue, si udì lo spirito gemere di dolore e subito tutto l’ambiente intorno a loro si disfece come un dipinto ad acquarello colpito da un getto d’acqua: le betulle rosse di Kira e Ryu lasciarono di nuovo il posto agli alberi della riserva, una brezza fresca ma piacevole investì Derek portando via l’odore del sangue e l’Edera abbattuta al suolo divenne polvere rossa e oro e si disperse subito nel vento.

Lo spirito era stato sconfitto.

«Stiles!»

Derek corse a inginocchiarsi a terra accanto a lui: il ragazzo era steso e rannicchiato su di un fianco, tremava dalla testa ai piedi e piangeva singhiozzando disperato.

«Ehi, va tutto bene» gli mormorò Derek, provando a rassicurarlo e sollevandolo per i fianchi per fargli appoggiare la testa contro il suo petto. «È finita. Ti giuro che fra un po’ starai meglio» cercò di suonare speranzoso e sicuro; intrecciò le dita di una mano alle sue e gli accarezzò il viso. «Passerà, ok Stiles? Passerà» l’incoraggiò.

Gli altri li raggiunsero col fiatone, Scott si precipitò subito al fianco di Stiles, di fronte a Derek. «Sta bene?» domandò a Derek, toccando subito l’amico per controllare se e dove provasse dolore fisico per portarglielo via con i suoi poteri da licantropo.

Derek gli annuì. «Non ha nulla sul corpo, ma è stato lui a tagliare l’Edera uccidendo così lo spirito».

Sentì Ryu imprecare. «Oh, cazzo. Non è stata una scelta ideale: è passato troppo poco tempo da quando si è sentito distrutto dalla possessione della nogitsune». S’inginocchiò anche lui di fronte al ragazzo e gli strinse una mano sul braccio. «Ehi, amico, mi senti? Stringi i denti, ok?» e poi Derek lo vide cercare qualcosa nelle tasche della propria giacca.

«Io gliel’ho detto» ribatté Derek frustrato, «ho cercato di convincerlo ad aspettarvi, o almeno a prendere metà colpo ciascuno!»

Scott gli posò una mano sulla spalla. «Sappiamo com’è fatto Stiles» gli disse abbozzando un debole sorriso. «Non preoccuparti, andrà bene».

Derek vide di sottecchi Ryu preparare una siringa. «Cos’è?» gli chiese perplesso e un po’ allarmato.

«Un sedativo» rispose asciutto, poi guardò Scott e gli fece un cenno con il mento. «Strappagli la manica con gli artigli». Scott eseguì l’ordine e Ryu procedette con mano ferma, iniettando il liquido nel braccio di Stiles. «Non sapevo quanto avreste reagito male al contraccolpo, così ho deciso di portare con me un calmante come mossa preventiva: almeno gli eviterà un infarto e dormirà per una piccola parte di tempo in cui sarà ancora sotto l’effetto del contraccolpo».

Derek osservò Stiles rilassare lentamente il corpo, smettere di tremare e chiudere gli occhi addormentandosi. La Lega dei Branchi degli Olivi Millenari li aveva avvertiti che il contraccolpo poteva durare anche tre giorni: non sarebbe stato facile.

Scott diede una pacca sulla spalla a Ryu. «Grazie, amico». Lui gli replicò scuotendo le spalle e con un piccolo sorriso.

Dietro di loro, Lydia e Kira erano ognuna al proprio cellulare, la prima a parlare con lo sceriffo, l’altra con Melissa per verificare lo stato delle vittime ospedalizzate: sembrava che stessero subito cominciando a stare miracolosamente molto meglio.

Scott inspirò a fondo e si rivolse a Derek. «Portiamolo a casa» gli disse, facendo un cenno con il capo verso Stiles; gli annuì e si rialzò da terra mentre Scott lo aiutava a non far cadere al suolo Stiles.

Kira corse con la sua velocità da kitsune a recuperare la Toyota di Derek e la portò sul ciglio della strada più vicino al punto in cui si trovavano, mentre i ragazzi trasportarono alla meglio in braccio Stiles.

Lo sistemarono sui sedili posteriori e Lydia salì subito dietro con Stiles per fargli da cuscino – Derek pensò anche che fosse per stare il più possibile a contatto con Stiles e assicurarsi che stesse sul serio bene.

A casa Stilinski trovarono lo sceriffo e Melissa ad aspettarli, misero Stiles a letto e quando arrivarono anche Scott, Kira e Ryu raccontarono loro in maniera sommaria com’erano andate le cose – Melissa controllò lo stato di salute di Stiles.

«È finita?» domandò loro lo sceriffo con gli occhi lucidi; Scott gli annuì sorridendogli in modo un po’ stanco e lui l’abbracciò.

A quel punto era meglio andare tutti a riposarsi, ma mentre gli altri si salutavano, lo sguardo di Derek si posò sulle scale: le salì e andò a guardare un’ultima volta Stiles, restando appoggiando allo stipite della porta della camera.

Dopo qualche attimo, sentì Scott raggiungerlo e posargli una mano sulla spalla. «Non ti ho ancora chiesto come ti senti, se… se…» esitò dal continuare la frase.

«Se mi è passata?» disse al posto suo, deglutendo a stento e fissando Stiles dormiente. «Sono qui, credo che sia inutile pormi questa domanda» ribatté atono.

L’influenza dello spirito era andata via, ma qualcosa era rimasto. E faceva male.

«Avrete tutto il tempo che volete per parlarne» l’incoraggiò Scott.

Derek si limitò a tirare sul col naso e assentire; si staccò dallo stipite e scese le scale in fretta per salutare gli altri e andare via.

Salito in macchina, mise in moto traendo un grosso respiro profondo: non è che non sapesse di provare qualcosa di vero – lo spirito gli aveva soltanto evidenziato una chance e del potenziale – ma all’improvviso non c’erano più pressioni sui suoi sentimenti, non sentiva più quella costante spinta di devozione verso Stiles e… a esser sinceri aveva perfino molta fame e ciò dopo quei giorni impossibili era un evento degno di nota, anche se un po’ comico vista la situazione. Forse avrebbe perfino dormito in maniera decente.

Le sue emozioni non erano più guidate da niente e nessuno, nella sua mente e nel suo cuore aveva un’immagine più chiara e onesta di lui e Stiles insieme: aveva i colori più vividi, caldi e accesi di quanto previsto, ma ricordava anche una bibita dal retrogusto un po’ acidulo che però era pure dissetante e rinfrescante.

Loro due insieme erano un quadretto problematico e imperfetto, eppure per niente complesso; un po’ come lo era natura selvaggia: era confusionaria, si poteva domarla, ma per farlo bisognava prendere delle contromisure e aggiungere qualcosa di estraneo, rendendola però di conseguenza più complessa e meno bella. Loro due erano proprio così: belli nella loro natura imperfetta e problematica ma non complessa, aggiungere qualcosa per sistemarli o domarli avrebbe solo rovinato tutto.

Quello che adesso provava senza più alcun filtro era bello e un po’ spaventoso, proprio come la natura selvaggia. Spiazzante.

Parcheggiò sotto il suo palazzo e prima di scendere dall’auto lesse al cellulare un messaggio che gli era appena arrivato da parte di Lydia.

"Controlla se la tua edera è seccata e se sono nati dei non ti scordar di me al posto suo".

Non lo fece.

Scelse di prendere l’ascensore e poi entrò nell’appartamento con passi pigri: era strano non sentire più alcuna frenesia addosso e realizzare che il pericolo era passato, così come era bizzarro poter godere a pieno minuto per minuto il pesante significato delle realizzazioni che aveva avuto in quegli ultimi giorni.

"La prossima volta che torneremo in macchina a casa dopo aver estinto una nuova minaccia mortale da Beacon Hills, ascolteremo questa canzone!" aveva detto Stiles. Derek si sentì quasi in dovere di portare a termine quella sorta di proposito al posto suo: si tolse la giacca e dopo aver avviato il computer cercò online The Scientist per ascoltarla.

Si sedette sul divano ridendo un po’ di se stesso in modo amaro. Appoggiò la testa all’indietro contro lo schienale e lasciò pure che i pensieri continuassero a soffocarlo un altro po’.

Oh take me back to the start.






Note:
- Frangipani, il fiore da cui il capitolo prende il nome: uno, due, tre.
- Hill Valley è citata nella 3a come cittadina abbastanza vicina a Beacon Hills. Si specula che il suo nome sia un omaggio a Ritorno al Futuro, di cui l'attore protagonista è Michael J. Fox, che è anche protagonista del film originale a cui è ispirato Teen Wolf (che in italiano è stato chiamato Voglia di vincere).
- Edera rossa in natura: 1, 2, 3.
- Queste sono le foto che mi hanno ispirato l'illusione usata da Kira e Ryu (quel tumblr non è mio, mi è solo capitato il link sotto mano XD). Le betulle rosse invece sono così: 1, 2, 3.
- E questa è invece la quercia rossa in natura: uno, due, tre
- Ah! Il geranio edera/rampicante a cui nello scorso capitolo era aggrovigliata l'edera lacrima è questo.
- Altro particolare di cui mi ero scordata: la storia triste sull'origine del nome dei non ti scordar di me che racconta Stiles è quella originale, non una mia invenzione :) Ne esistono di diverse, questa è una fra le più comuni.
- Il prossimo capitolo sarà l’ultimo; l’appendice dedicata a Ryu mi limiterò a linkarla, visto che non è esattamente un capitolo della storia e quindi non posso inserirla su EFP.
A venerdì prossimo!
   
 
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