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Autore: Glitch_    31/10/2014    7 recensioni
[Sterek, post 3b] Derek decide di restare a Beacon Hills e di riformare la piccola biblioteca di famiglia.
Lydia decide di abbracciare del tutto la propria natura di banshee, ma cerca aiuto presso un Hale diverso, stavolta.
Uno spirito misterioso, invece, decide di mettere radici a Beacon Hills e spingere con mezzi poco etici le persone sole a tornare ad amare, pena l'autodistruzione.
O anche...
Storia in quattro parti in cui Derek scopre che fra lui e Stiles c'è del potenziale e una kitsune del suono si esibisce in delle serenate provvidenziali per invogliarli.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2. GALANTHUS NIVALIS

[Bucaneve – Consolazione, Speranza]


Il tempo a Beacon Hills sembrava essere scandito da un antico orologio, magari una pendola a colonna, una di quelle di legno intagliate a mano: gli eventi che succedevano risuonavano con solennità sia nel bene che nel male, marcando in modo indelebile i periodi della vita degli abitanti della città – prima e dopo l’incendio degli Hale, prima e dopo Peter alpha, prima e dopo il kanima, prima e dopo il darach, prima e dopo la nogitsune – e anche se si era ignari del mondo sovrannaturale e di quei ticchettii – di quegli eventi – e più che sentirne l’effettivo suono se ne percepiva soltanto l’eco, eventualmente non si poteva fare a meno di restare a guardare ammaliati la cura con cui la pendola era intagliata – i fatti inspiegabili avevano sempre il loro fascino.

Quella era un’idea e una fantasia costante nella mente di Derek, al punto tale che l’acquisto di una pendola a colonna di legno era stato il suo unico capriccio riguardo l’arredo del suo nuovo appartamento.

Il capriccio di Lydia era invece stato l’acquisto di un divano con penisola: aveva detto che sarebbe stato comodo, ma Derek pensava che avesse insistito perché in realtà era soprattutto comodo per lei e per le sue gambe, dato che insisteva ancora a indossare tacchi troppo alti per tutto il giorno.

Lydia trascorreva molto tempo nell’appartamento, nonostante avessero finito di rintracciare le copie e le ristampe di tutti i libri di Talia di cui Derek era riuscito a ricordare il titolo; diceva che preferiva studiare lì, ma sapevano sia lei che Derek che la verità era che non le andava di interrompere la routine che aveva stabilito: i lunghi pomeriggi passati al loft avevano riempito il vuoto delle giornate passate a studiare in camera di Allison, e adesso a Lydia seccava – se non turbava – troncare una nuova abitudine presa e fatta propria.

Avevano trovato pochi riferimenti alle banshee nei volumi recuperati, ma Lydia si diceva fiduciosa e non era raro vederla in contatto con collezionisti di libri antichi nel tentativo di mettere le mani su qualche altro titolo prezioso. Quello che consolava Derek era che almeno adesso sembrava che lei fosse tornata a fare una vita sociale un pochino più estesa dal branco: un paio di volte al mese capitava che avesse addosso l’odore di una persona sconosciuta e che nel portarlo sfoggiasse un sorriso soddisfatto e predatore.

Derek, da parte sua, aveva trovato un lavoro, se non altro per mettere a tacere le pettegole della città che lo vedevano costantemente sfaccendato e in compagnia di liceali.

«Mi hanno assunto in palestra» aveva annunciato a Lydia.

Lei aveva inarcato un sopracciglio, sorpresa ma non sbalordita. «Come personal trainer?»

«No, come assistente al banco informazioni e iscrizioni all’entrata».

«Beh» aveva schioccata la lingua, «in effetti mettere uno con un fisico come il tuo proprio all’entrata è un’ottima pubblicità per i papabili nuovi clienti».

Kira nel frattempo stava cercando di scendere a patti con l’idea che se avesse voluto invecchiare al passo dei suoi amici ora che aveva raggiunto l’apice del suo potere, avrebbe dovuto creare un erede, altrimenti sarebbe rimasta giovane e immortale: sua madre le aveva spiegato che era per questo che lei stessa aveva iniziato a invecchiare progressivamente solo dopo averla messa al mondo.

Com’era ovvio Kira non aveva alcuna intenzione di restare incinta a diciotto anni, ma non desiderava neanche dimostrare diciassette anni per il prossimo millennio e restare immortale, quindi si era data un limite di tempo: se dopo la fine del college avesse avuto ancora intenzione di invecchiare, avrebbe avuto un figlio, come e con chi l’avrebbe deciso poi, nel frattempo avrebbe preso lezioni di trucco da Lydia per dimostrare più anni – le avevano anche suggerito di indossare più in là un paio di occhiali da vista finti.

Kira era ancora molto diffidente nei confronti di sua madre, non si fidava molto dei suoi consigli e spesso si sentiva sperduta quando rifletteva sulla propria natura e sui suoi nuovi limiti, ma Scott era molto supportivo con lei – forse anche perché rivedeva in lei come si era sentito lui dopo il Morso – e dopo averne discusso anche con Derek avevano deciso di provare a cercare un’altra giovane kitsune con cui lei avrebbe potuto confrontarsi.

Stiles si era proposto di cercarla per loro con la potenza di Google; Derek ne era stato scettico, ma fatto stava che dopo qualche settimana Stiles trionfante, e grazie a un tizio incrociato su un forum, aveva consegnato a Kira il contatto di una kitsune che al momento viveva in Florida.

Ryu come Kira era di origini miste – padre giapponese kitsune del vento, madre statunitense figlia di franco-ispanici di New Orleans. Kira lo aveva descritto loro come un ragazzo molto alto dai capelli e gli occhi da orientale e la carnagione scura quasi più di Scott; sembrava essere nei suoi primissimi vent’anni, ma in realtà ne aveva cento e una manciata – aveva da poco acquisito il suo primo kaiken.

Stiles, infrangendo parecchie leggi – e Derek non avrebbe mai voluto saperne i dettagli – aveva battuto in lungo e in largo tutti i pezzi di vita di Ryu rintracciabili, e visto che non sembrava una minaccia né un tipo pericoloso, dopo un paio di chat e video chat private fra lui e Kira, l’avevano invitato a Beacon Hills.

Erano rimasti stupiti quando l’avevano incontrato di persona, ma non in senso negativo, perché Ryu come kitsune era qualcosa di totalmente opposto a quello che avevano visto finora: Ryu aveva l’aspetto di un metallaro, era un musicista e un critico musicale, scriveva per delle importante riviste di musica sotto pseudonimo ed era l’autore di parecchie biografie di band famose e storiche. In pratica Ryu aveva deciso di restare immortale per amore della musica, per assistere in prima persona alla sua evoluzione: era una kitsune del suono. Sul braccio sinistro aveva tatuato un pezzetto di uno spartito musicale che gli avvolgeva l’arto a spirale; aveva detto loro che era una strofa di Innuendo dei Queen. Peculiarità e stramberia di quella scelta a parte, senza dubbio gli si addiceva: era una canzone adatta a un trickster centenario un po’ strafottente.

Ryu si era dimostrato un ragazzo dalle mille risorse, malizioso ma non indisponente o sarcastico, un tipo curioso e con uno stile di vita particolare per essere una kitsune.

«Sono un giramondo da più di ottant’anni» aveva spiegato loro, «non ho una casa, né un vero territorio, quindi non mi piace immischiarmi nelle faccende territoriali altrui, né soccorrere gente di cui mi frega poco: di solito se c’è un problema di natura sovrannaturale me ne occupo solo se tocca un mio amico o il discendente di qualcuno che mi è stato amico, e francamente se posso evitare di combattere lo faccio, anche se non mi tiro indietro se un altro trickster mi sfida».

Ryu era affabile e una persona tutto sommato piacevole: sia Derek che Scott erano rimasti soddisfatti del confronto positivo che aveva avuto con Kira.

«Hai visto, lui è "normale"» aveva mormorato Scott a Kira, «ha abbracciato l’immortalità per seguire le sue passioni e conduce una vita abbastanza quieta e pacifica, non ha rimpianti: se ti va, puoi scegliere anche tu un modo diverso e tutto tuo di vivere l’immortalità». Lei gli aveva assentito con un sorrisetto timido e non molto convinto, anche se pure Derek credeva che fosse giusto che lei prendesse in considerazione tutte le possibilità di scelta.

Ryu era rimasto con loro per un’intera settimana, era andato via con la promessa di restare in contatto con tutti loro e con l’odore di Lydia addosso.

Derek aveva sorriso scuotendo la testa.

«Ha il suo fascino» aveva replicato lei mordendosi il labbro, pensosa, «e non è un tipo appiccicoso». E visto che ormai lei e Derek potevano permettersi di scambiarsi battute crude, lui le aveva replicato serio con una sola dichiarazione.

«Posso garantirti però che non è mia intenzione fare come con gli altri tuoi ex sovrannaturali: gli resterò lontano».

Lydia aveva emesso un lamento acuto dall’indignazione dandogli un pugno sul braccio. «Questa è stata cattiva!» Salvo poi scoppiare a ridere isterica insieme a lui.

Scott in quei mesi si era premurato di tenere suo padre il più lontano possibile dal mondo sovrannaturale, e con successo, e quando l’uomo finalmente aveva lasciato Beacon Hills, il ragazzo aveva tirato un sospiro di sollievo: non che Scott avesse tenuto a farlo per proteggerlo, temeva solo che suo padre, una volta scoperta la verità, gli sarebbe stato inutilmente fra i piedi nei momenti meno opportuni nel vago tentativo di dimostrargli che a lui andava bene così com’era – Scott non apprezzava suo padre, ma doveva dargli atto che se finora niente l’aveva smosso dall’idea di tornare a far parte della sua vita, allora neanche la licantropia l’avrebbe convinto a desistere.

Rafael McCall era tornato a San Francisco per un grosso incarico a cui non aveva potuto sottrarsi, ma con la promessa – o la minaccia – di tornare, e Scott sperava che accadesse più tardi possibile.

Ogni tanto nello sguardo di Scott c’era ancora l’ombra della morte di Allison, il senso di colpa nei suoi confronti come amico e come alpha ancora inesperto, e il senso della perdita del suo primo amore e della persona che tutto sommato l’aveva ispirato a diventare il tipo di licantropo che era grazie alla cacciatrice che lei era. Derek non negava il fatto che quella cicatrice sarebbe rimasta sul cuore di Scott per sempre: lo sapeva per esperienza personale.

Stiles si era munito di uno stock di magliette che esibivano battute ancora più bizzarre e irriverenti di quelle che aveva prima – prima della nogitsune – e Scott da bravo migliore amico per i suoi diciotto anni gliene aveva regalata una con tutte le posizioni del kamasutra riassuntate da delle figurine stilizzate. Sulla schiena di Stiles, dopo che lui per certi versi era sopravvissuto di riflesso alla lama di Kira, era ricomparsa la figura di Lichtenberg che si estendeva fino al suo collo, ed era diventata permanente. Stiles non faceva nulla per nasconderla, Scott diceva che anzi spesso negli spogliatoi della scuola s’inventava storie buffe per giustificarla.

Quando Stiles era stressato necessitava di avere accanto Lydia che lo rassicurasse di non sentire alcuna voce, e le sere in cui prevedeva che avrebbe faticato a prendere sonno o a dormire bene preferiva condividere la propria camera da letto con qualcuno.

Per il resto, Stiles ogni volta che veniva nell’appartamento di Derek si premurava di dare sovrabbondanti dosi di cibo a Stira la tartarughina, perfino quando Derek gli urlava di averle già dato da mangiare.

Era in questo modo che il tempo scorreva a Beacon Hills in quei mesi, almeno fino a quando le lancette della pendola immaginaria non toccarono la mezzanotte.



Lydia si era appisolata sulla penisola con un libro sulla termodinamica in grembo, Derek alzò gli occhi su di lei non appena percepì il suo cuore battere più forte: la ragazza si svegliò scattando a sedere e sembrò essere sul punto di urlare, ma non lo fece, restò con la bocca semiaperta con un po’ di fiato corto; si mise a piangere impassibile.

Derek afferrò subito una bottiglietta d’acqua e corse a sedersi accanto a lei. «Stai bene?» Le offrì da bere.

Lydia si asciugò il viso in fretta col dorso della mano, annuì frenetica e accettò la sua offerta mandando giù un paio di grossi sorsi.

Le accarezzò una spalla. «Riesci a descrivere quello che hai sentito o che senti ancora?» Ormai avevano imparato che in casi simili era meglio spronare Lydia a lasciar fluire fuori tutto quello che sentiva nell’immediato, perché dopo sarebbe stata subito molto meglio. L’aiutava anche a sentirsi psicologicamente più in controllo.

Lei assentì di nuovo e si umettò le labbra, gli strinse la mano mentre sembrava cercare le parole adatte per spiegargli tutto. «Non una morte» gli disse con voce rauca ma esile, «ma neanche qualcosa di peggio della morte, o forse simile… Solitudine, così tanta solitudine» concluse ancora più flebile, fissando gli occhi dei suoi e riprendendo a piangere inespressiva – toccandosi il volto con l’altra mano restò sorpresa nel scoprirlo umido.

«Va tutto bene» la rassicurò, «riusciremo a mettere insieme tutti i pezzi, quando sarà il momento».

Lei gli sorrise poco convinta anche se speranzosa, poi l’abbracciò rifugiandosi contro il suo petto. Derek la strinse a sé e per un attimo si concentrò sui rumori fuori dall’appartamento, come per controllare se sul serio non stesse succedendo qualcosa nelle vicinanze e che fossero al sicuro: non sentì nulla di strano, ma si fidava di Lydia.

Qualcosa di forse simile alla morte si stava per far strada verso Beacon Hills.



Derek era seduto sugli spalti del campo di lacrosse della scuola, fra Melissa e lo sceriffo, e tutto ciò che desiderava sapere era com’è che quella fosse adesso la sua vita.

Lydia aveva insistito con fermezza e l’aggiunta di uno sguardo omicida. «È una delle ultime partite dei ragazzi, mi sembra ovvio che tu venga a vederli, anche perché siamo ancora delle persone normali che fanno cose normali, ricordi?»

«Potrei anche guardarli giocare dal bordo campo».

«Un attimo fa mi era sembrato chiaro che le parole d’ordine della situazione fossero "persona normale" e non "stalker inquietante"».

Lydia, una volta che si era assicurata che Derek non avrebbe gironzolato per il bordo campo come un maniaco a caccia di ragazzini da adescare, l’aveva mollato da solo in compagnia dello sceriffo e di Melissa: quando erano arrivati davanti ai due genitori, Lydia gli aveva rivolto un’espressione scettica con tanto di sopracciglio inarcato, e prendendo Kira per mano – che sogghignava divertita – gli aveva detto «Non vorrai mica venire con noi nell’ala designata alle ragazze

Derek, colto di sorpresa, aveva scrollato la testa più volte prima di rendersi conto che le due stavano andando a sedersi in un posto in cui delle ragazze squittenti agitavano dei cartelli d’incoraggiamento verso il campo – quelle dovevano essere le fidanzate dei giocatori. Così, più confuso che persuaso, si era arreso a stare lì.

Ad assistere a una partita di lacrosse fra liceali. Seduto fra due genitori.

Tutto sommato però, avrebbe potuto cacciarsi in una situazione più imbarazzante o infernale: Melissa e lo sceriffo in fondo erano due persone quantomeno sobrie, non facevano parte della schiera di genitori che facevano il tifo per i figli in maniera eccentrica, anche se ogni tanto lo sceriffo, quando Stiles scendeva in campo, scattava in piedi urlando esaltato – ma del resto Stiles doveva pur somigliare a qualcuno, no?

La partita scorse senza troppi scossoni, non ci fu niente per cui trattenere il fiato – e non che ciò fosse una sorpresa – l’unica cosa che aveva lasciato Derek un po’ perplesso era stata la strana preoccupazione che aveva percepito provenire sia dallo sceriffo che da Melissa, ma non doveva essere motivata da qualcosa di troppo pericoloso, perché non aveva delle sfumature acide: se non erano in ansia e in eccessiva agitazione loro, allora non era il caso che si agitasse lui.

Finita la partita – a favore della squadra di Beacon Hills – loro tre andarono al parcheggio ad aspettare che i ragazzi tornassero chi dagli spogliatoi e chi dagli spalti.

Da dopo la nogitsune, lo sceriffo e Melissa erano sempre informati di tutti gli eventi che riguardavano il branco, e viceversa, quando in ospedale o alla stazione dello sceriffo arrivavano strani pazienti o strane denunce, Scott e Derek venivano subito informati. Era bizzarro ma piacevole il modo in cui quei due adulti si erano insinuati nel branco, era successo in maniera veloce e brusca, ma anche se era un po’ amaro dirlo certe volte Derek era contento della loro presenza attiva.

Lo sceriffo sapeva che non molto tempo prima Lydia aveva quasi emesso un completo urlo da banshee, stava all’erta, ma tutto quello che finora avevano tra le mani era un suicidio accaduto tre giorni prima.

«E in tutta onestà non so dirvi quanto possa c’entrarvi» gli disse lo sceriffo, lanciando prima un’occhiata furtiva intorno a loro per controllare che nessuno li stesse ascoltando, «anche se i genitori stanno facendo pressioni per aprire delle indagini, perché secondo loro non è possibile che la figlia si sia tolta la vita dopo essere diventata disperata in modo così repentino: vogliono trovare la causa».

Derek aggrottò la fronte. «Pensano che abbia subito delle minacce?»

Lo sceriffo ciondolò la testa storcendo la bocca. «Non proprio, credono che magari sia stata vittima di un bullismo crudele».

«E hanno delle prove?»

«No, solo ipotesi, ma non mi sembrano molto fondate» si grattò la testa. «È vero che la ragazzina fosse omosessuale, ma in questa scuola non ci sono mai stati casi simili di bullismo: ho interrogato anche Danny a proposito, per sapere se gli fosse mai capitato qualcosa di simile e se avesse dei sospetti, ma nulla».

Melissa s’intromise nella conversazione sistemandosi meglio la borsa sulla spalla. «Quello che personalmente mi dà un po’ da pensare è un’altra cosa: ho visto il corpo. E ho dato una sbirciata alla sua cartella» aggiunse seria. «Anche se potrebbe essere normale che il fisico di una persona suicida mostri dei particolari segni di stress, nel suo caso sono un po’… eccessivi e di varia natura».

«Per esempio?» incalzò Derek.

«Era disidratata e non mangiava regolarmente da giorni, ma i genitori hanno parlato anche di sbalzi d’umore, e se era così disperata da uccidersi è anche normale che fosse così depressa da soffrire di inappetenza e bere poco» sospirò stringendosi nelle spalle. «Il problema è che inoltre non dormiva più da chissà quanti giorni, ma sul suo corpo e nella sua storia clinica non ci sono altri segni di trascuratezza voluta o piccole tracce precedenti di autolesionismo, ma è del tutto impossibile che si arrivi al suicido nel giro di così poco tempo e con un così grosso e improvviso accumulo di sintomi simili: la madre dice che ha iniziato ad atteggiarsi in modo un po’ strano non più di dieci giorni fa».

Derek esalò pensieroso. «Più o meno quando Lydia ha emesso il suo quasi presagio…»

«Finora non è accaduto nient’altro di anomalo» aggiunse lo sceriffo, anche se non sembrava troppo convinto, «e Deaton non ha nulla da segnalare: nessun attacco animale di natura poco chiara. E nessun omicidio».

Melissa agitò una mano per attirare la loro attenzione, ma prima di continuare a parlare controllò ancora una volta che nessuno li stesse spiando. «Questa è un’informazione del tutto riservata, ma… ho sentito un piccolo pettegolezzo fra due infermieri in reparto…» continuò con una scintilla di malizia nello sguardo e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Dicono che stiano per aprire un’indagine interna a carico dello staff di Villa della Quercia Antica».

Lo sceriffo aggrottò la fronte. «La casa di riposo di Beacon Hills?»

Lei annuì. «Uhm-uhm, vogliono vederci chiaro prima che qualcun altro chieda lumi in merito: in meno di due settimane hanno avuto due morti fra i loro ospiti».

«La causa?» domandò Derek.

«All’apparenza sono morti per cause naturali, non c’era nulla che non andasse in loro, se non che è come se si fossero lasciati morire e in teoria questo non dovrebbe succedere in un luogo in cui gli anziani non devono sentirsi soli e abbandonati a loro stessi».

Lo sceriffo era perplesso. «Come hanno fatto a non accorgersi che quei due poveri vecchi stavano così male?!»

Melissa scrollò le spalle, scettica. «Dicono che è successo tutto in modo molto veloce».

Derek assentì sul suo stesso tono. «Dicono, eh?»

«Se volete» propose Melissa, «posso chiedere a qualcuno di saperne di più sulle cartelle cliniche dei due anziani».

Lo sceriffo le rivolse un’occhiata sia fiera che basita.

Lei mise le mani avanti e scrollò la testa. «Non è una cosa così difficile. Almeno per me».

Lo sceriffo sospirò stanco rivolgendo gli occhi al cielo. «Fai attenzione». Lei sorrise soddisfatta. «Vado a vedere come mai i ragazzi stanno ritardando così tanto» aggiunse voltando loro le spalle.

Melissa incrociò le braccia al petto, sembrò un po’ preoccupata e malinconica; si rivolse a Derek. «Non ho ancora detto niente a Scott delle morti a Villa della Quercia Antica, preferisco parlargliene quando avremo notizie più certe». Derek le annuì comprensivo. «I ragazzi ne hanno passate tante, meglio metterli all’erta soltanto quando ci saranno notizie più certe e non più solo ipotesi».

Lui fece una smorfia. «Non che Stiles non si sia già messo in moto dopo il caso di suicidio».

Melissa sorrise. «Considerando la circostanza è brutto dire che però sono contenta di vederlo così preso dalle sue prime teorie sul caso?»

Derek storse appena la bocca. «No». Poi guardò Melissa dritto in faccia. «Perché però stasera tu e lo sceriffo sembrate così preoccupati? Non è per quello di cui abbiamo appena parlato» affermò certo.

Lei sbottò in una risata nervosa scrollando la testa e rivolgendo lo sguardo al cielo. «Non è per niente bello conoscere un licantropo: non vi si può nascondere niente, e sto già faticando parecchio con Scott!»

Derek però notò che Melissa non era propriamente agitata, tutta al più emanava una strana malinconia dolceamara e un pizzico di ansia. «Che succede?» le domandò incuriosito.

Lei si sistemò di nuovo una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un gesto che trasudò un po’ di imbarazzo e timidezza. «Io e lo sceriffo siamo usciti un paio di volte insieme» gli rispose guardandolo dritto negli occhi.

Derek scrollò le spalle. «Non c’è nulla di cui dovreste vergognarvi in questo, e sappiamo entrambi che di certo i ragazzi non avrebbero niente da ridire a riguardo».

«Lo so, è che…» gesticolò e schioccò la lingua, «ormai dovresti saperlo che per Stiles sua madre è un argomento delicato, e soprattutto ora che dopo tutto quello che è successo conosco le sue paure…» le tremò un po’ la voce, «non so come approcciarmi bene a lui in questo nuovo contesto e… inoltre io e lo sceriffo vorremmo procedere con calma e magari prenderci del tempo solo per noi, dato che negli ultimi anni ci siamo dedicati solo ai ragazzi e a crescerli» concluse con un po’ d’ironia – non era però una lamentela vera e propria.

Derek abbozzò un sorriso. «Mi sembra giusto che anche voi abbiate ogni tanto i vostri spazi e dei segreti da mantenere».

«Esatto!» puntualizzò lei picchiando un dito contro il petto di Derek, poi gli rivolse un’espressione ironica. «C’è qualche speranza che anche tu un giorno abbia un segreto da nascondere meno letale del solito e più frivolo come il mio?» lo prese in giro.

Lui scosse la testa sbuffando un sorriso. «Lascio questo onore a Scott».

«E perché mai?» continuò a stuzzicarlo senza troppa malizia. «Sei ancora così giovane…»

«Ho smesso di essere un ragazzo parecchio tempo fa».

«Beh, io invece ho sempre preferito non smettere mai di essere una ragazza» sentenziò ironica. «Potresti farla anche tu questa scelta, sei ancora in tempo!» gli diede una pacca sulla spalla. Prima che Derek potesse trovare qualcosa con cui ribatterle, sentì lo sceriffo e i ragazzi raggiungerli.

Scott, Stiles, Lydia e Kira avevano deciso di festeggiare la vittoria della loro scuola andando a mangiare fuori in una tavola calda, lo sceriffo però aveva insistito affinché Derek li accompagnasse.

Quindi adesso la sua vita era ridotta anche a questo, a fare da baby sitter a un branco – letterale – di adolescenti.

Lydia però aveva ragione: in fondo erano ancora persone normali, dovevano e potevano fare ancora cose normali come quella.

Per fortuna la cena non si rivelò un malaccio e la sua presenza fu patetica soltanto la metà del previsto – la cameriera gli rivolse delle pungenti occhiate scettiche per tutto il tempo – e Derek notò che ogni tanto Lydia, seduta al suo fianco, guardava il proprio cellulare rivolgendo allo schermo dei piccoli sorrisetti soddisfatti e un po’ affettuosi: stava scambiando messaggi con qualcuno.

Considerando che la jeep di Stiles era per l’ennesima volta dal meccanico per un guasto, Derek si offrì di accompagnare lui Stiles a casa: Lydia sembrava in ansia di poter stare un po’ da sola – forse per ricevere o fare una telefonata – e Scott avrebbe potuto dare un passaggio a Kira.

In effetti, Derek vide che Lydia, non appena salita sulla propria auto, prese il cellulare digitando qualcosa e forse mettendo una chiamata in viva voce, perché ancor prima di uscire dal parcheggio era già che parlava con espressione fiera e un po’ sarcastica.

Stiles si sistemò più comodo sul sedile passeggero; Derek notò di sottecchi che stava fissando anche lui Lydia. «Ryu è tornato da Londra, stamattina mi ha scritto di essere nell’Oregon».

Derek tirò su col naso. «Credo che poco fa messaggiassero, è probabile che Ryu le lascerà intendere che se le va lui potrebbe fare uno strappo a Beacon Hills per incontrarsi una seconda volta».

Stiles aggrottò la fronte. «Non sarebbe più pratico chiederle in modo diretto di vedersi?»

«Sono entrambe due persone che al momento non vogliono storie durature, Stiles» gli fece notare, «tengono molto ai loro spazi: sanno che è meglio non mostrarsi opprimenti o troppo interessati». Stiles emise un borbottio pensoso.

Derek mise in moto per uscire dal parcheggio. «Ti dispiace non essere ancora una volta la sua scelta?» gli domandò con più tatto possibile.

Stiles scrollò le spalle e rispose fissando la strada davanti a sé e tenendo una spalla premuta contro lo sportello. «Ho provato a essere presente per lei come meglio potevo ogni volta che ne ha avuto bisogno, ma non ha funzionato: credo che mi manchino un paio di Ray-Ban e una natura sovrannaturale per soddisfarla appieno».

Derek suo malgrado sbuffò una risata. «Almeno sappiamo di certo che Ryu non ha alcun doppio fine».

Lui gli assentì continuando a fissare fuori dal finestrino. «Ryu è un bravo ragazzo, potrebbe funzionare. Certo, non so per quanto, ma potrebbe funzionare: ho visto altri provare a impressionare Lydia con belle auto e regali costosi, esibendo muscoli o organizzando rave non richiesti, mentre lui invece la sta viziando assecondando le sue passioni. Non le fa regali, si limita a informarla sempre su dove potrebbe trovare qualcosa che le interessi, soprattutto libri antichi».

«Questo perché Ryu non è un ragazzo» lo corresse Derek, «è un uomo: ricordati che stiamo parlando di un essere con più di cento anni».

Stiles sogghignò incrociando le braccia al petto. «Non mi sorprenderebbe in futuro vedere una Lydia adulta accanto a un ragazzo che gli altri credono essere il suo boy-toy».

Derek immaginò una Lydia trentenne in piena carriera e con tacco dodici accanto a un Ryu non invecchiato: non poté esimersi dal ridere divertito, perché sapeva quanto entrambe le parti in questioni sarebbero in fondo state compiaciute di quel quadro apparente.

«Scherzi a parte» mormorò Stiles, «perché sono circondato da persone che hanno storie solo con esseri sovrannaturali o sono coinvolti con il sovrannaturale?»

«Fai parte di un branco, Stiles, cosa ti aspettavi?»

«Sì, ma Danny?» gli fece notare piccato. «Non è nel branco!»

«È…» Derek provò a trovare le parole giuste per replicargli, «è un caso».

Stiles sbottò una risata sarcastica. «Un caso? Diciamo pure che è questa città ad alimentare queste situazioni! Sai» sospirò ostentando serietà, «a volte credo che gli abitanti di Beacon Hills siano divisi in quattro categorie» cominciò a contarle stendendo le dita di una mano, «la prima e la più grande è a conoscenza del mondo sovrannaturale, ma fa finta di non sapere nulla per cercare di vivere meglio; la seconda ha avuto svariate prove dell’esistenza del sovrannaturale, ma si rifiuta di riconoscerlo e accettarlo per tenersi stretta la propria sanità mentale; la terza – che è quella di cui facciamo parte – sa del sovrannaturale e in qualche modo ne fa parte e non si rifiuta di riconoscerlo e combatterlo se è il caso, e la quarta e ultima, che è la più piccola e la mia preferita, è formata da gente idiota benedetta dall’ignoranza totale».

Derek annuì arricciando il naso. «Anch’io ho un debole per la quarta categoria».

Stiles puntellò un gomito contro il finestrino e poggiò la guancia contro il palmo della mano; si voltò a guardare Derek con un velo di esasperazione sul volto. «Perché non hai mai lasciato questa città?! Hai avuto più di un’occasione per farlo!» sbottò all’improvviso.

«E tu perché non stai inviando nessuna domanda d’ammissione a un college fuori da Beacon County?» gli ribatté prontamente.

Stiles tornò a guardare la strada davanti a loro, sospirò stanco. «Non posso lasciare i ragazzi e mio padre, e… non posso…» Stava faticando a trovare le parole adatte.

«E non puoi lasciare questa città sola a se stessa» l’imbeccò Derek, serio e un po’ fiero di lui.

Stiles si massaggiò la fronte. «Già… ma non lo trovi un po’ da malati?»

«Odiare e amare una cosa allo stesso tempo?» disse fermandosi davanti a casa Stilinski. «No, anzi è qualcosa di abbastanza comune, anche se perlopiù di solito deriva dalla convivenza più o meno forzata; per esempio, si può odiare e amare la propria famiglia» gli spiegò con nostalgia.

Stiles gli rivolse un piccolo sorriso malinconico. «Hai desiderato spesso strangolare le tue sorelle?»

Derek scosse la testa. «Non immagini quanto». Sospirò e si guardò attorno più che altro per abitudine – prima di lasciare i ragazzi a casa controllava sempre se ci fosse qualcosa di strano o insolito nelle vicinanze – e aggrottò la fronte sorpreso quando lo sguardo gli cadde su un dettaglio dai colori brillanti.

Ai piedi di un albero accanto alla casa, era cresciuta una pianta rampicante dalle foglie ampie a cinque punte di una bella tonalità oro. L’indicò con un dito. «L’avete piantata da poco?» Non era ancora molto alta, doveva essere abbastanza giovane.

Stiles guardò nella direzione indicata e poi sorrise schioccando la lingua. «Nah! Anche io e papà siamo rimasti sorpresi quando l’abbiamo notata, è sorta spontaneamente, ma ho fatto delle ricerche: è una pianta che non ha bisogno di cure particolari per crescere, le basta solo dell’ombra e del terreno umido, e guarda quant’è diventata bella in poche settimane!» esclamò soddisfatto.

Derek assentì. «Sì, ha un bel colore».

Stiles prese il proprio cellulare e glielo mise sotto il naso. «Alla luce del sole è ancora più bella» gli mostrò una foto della pianta che doveva aver scattato lui stesso. «Mi ricorda il colore del distintivo di papà» aggiunse con un po’ di tenera malinconia nella voce.

Derek abbozzò un sorriso. «È vero».

Stiles rimise il cellulare in tasca e afferrò il borsone con gli attrezzi per giocare a lacrosse, preparandosi a scendere, ma una volta aperto lo sportello si voltò di nuovo serio verso Derek. «So che sei rimasto a Beacon Hills anche per noi». Derek distolse lo sguardo e aggrottò la fronte, non sapeva che dire.

«E…» continuò Stiles, emettendo poi un buffo borbottio pensoso, «penso di non averti mai ringraziato per questo. Io personalmente non ti ho mai ringraziato di essere rimasto in una città che odi soltanto per poterci aiutare, quindi… grazie» concluse secco e un po’ impacciato.

Derek continuò a non proferire parola e a non guardarlo, si limitò ad annuire.

«Quindi…» proseguì Stiles cantilenando. «Buonanotte» esalò piatto e asciutto.

Derek gli replicò solo agitando la mano a mo’ di saluto e lui chiuse lo sportello.

Prima di rimettere in moto, a Derek sembrò di sentire nella sua testa Lydia dirgli stizzita "Le parole, Derek, usa le parole, non le sopracciglia!"

Non che lei avesse torto.

Non che lui l’avrebbe mai ammesso.

Ma intanto quella serata da gente normale era finita, ed era meglio così.



Dopo il primo presagio, Lydia era diventata inquieta e detestava stare da sola per troppo tempo – temeva di andare in stato di trance incamminandosi verso un cadavere. Kira dormiva da lei o l’ospitava per la notte più che volentieri, ma non era nelle priorità di Lydia dimostrarsi troppo dipendente e fragile, cercava quindi di alternare le serate in modo da trascorrerle sempre in compagnia di qualcuno di diverso ma dai sensi sviluppati, o in grado di aiutarla in un contrattacco da parte di un intruso.

Lydia era tesa, questa volta voleva non sbagliare e salvare delle persone.

Derek aveva dato le chiavi del proprio appartamento a Lydia, perché gli era sembrato scontato farlo – aveva pensato di darne una copia anche a Scott, ma Stiles gli aveva fatto notare che o le avrebbe perse o al momento utile avrebbe scordato di possederle. Non si sorprese quindi più di tanto quando alcune di quelle sere Lydia s’intrufolò in casa sua senza preavviso e preparando il divano per la notte come se fosse il letto di una reggia – a onor del vero, Derek aveva insistito per darle il suo letto, ma lei le aveva replicato sarcastica e scettica "Quindi secondo te sono troppo delicata per dormire sul divano?"

Non era difficile ormai per Derek addormentarsi con per sottofondo il suono dei respiri e dei battiti cardiaci dei ragazzi del branco – soprattutto quelli delle ragazze, che dormivano da lui più spesso – e anzi sapeva ormai riconoscerli e distinguerli così bene dal resto che perfino durante il sonno i suoi istinti calciavano per svegliarlo se per caso uno dei loro cuori cambiava ritmo. Proprio come accadde quella notte.

Aprì gli occhi nel buio e si alzò dal letto seguendo il rumore appena udibile del fiato corto di Lydia, la raggiunse al divano e la vide dormiente ma agitata; non poteva svegliarla, perché lei avrebbe avuto un esaurimento nervoso se non avesse percorso fino in fondo la strada che la spingeva a urlare, necessitava di arrivare a quel punto e poi lasciarsi andare, per quanto fosse pesante e straziante farlo. Si sedette a terra al suo fianco e le strinse piano una mano sul polso contando i suoi battiti, e pochi attimi dopo lei scattò a sedere con la faccia distorta in un urlo che però le morì in gola.

Lydia guardava dritto davanti a sé, sembrava ancora persa in ciò che stava sognando; restando a bocca aperta si portò una mano tremante al collo.

«Lydia» la richiamò piano, «Lydia urla…» l’incoraggiò.

Lei iniziò a piangere inespressiva e dopo un paio di tentativi conclusi con dei singhiozzi alla fine riuscì a urlare. Solo dopo parve tornare sul serio in sé, e si buttò subito tra le braccia di Derek cercando conforto: sembrava sconvolta e terrorizzata.

Il cellulare di Lydia posato sul tavolino lì accanto iniziò a squillare: era Scott. Derek allungò un braccio e continuando a stringere Lydia aprì la linea mettendo in viva voce.

«Lydia?» chiese subito Scott, aveva la voce un po’ impastata dal sonno, ma si sentiva che era preoccupato: doveva essere stato svegliato dall’urlo.

«Sta bene» gli rispose Derek, «sono con lei. Si sta già tranquillizzando» lo rassicurò.

«Ehi, Lydia» disse Scott con un tono di voce più morbida, «come ti senti?»

Lei provò a parlare, ma boccheggiò incerta; Derek avvicinò le proprie mani alle sue e aspettò che lei le prendesse pure per trovare qualcosa a cui ancorarsi e tornare di più in sé. «Hai sentito delle voci nel sonno o hai provato qualcosa in particolare?» l’aiuto a mettere ordine nei propri pensieri e fra le proprie reazioni.

«Voci» mormorò lei. «Non è colpa sua».

«Che non è colpa sua lo dicono le voci o una sola persona?» incalzò Derek.

Lei aggrottò appena la fronte, come concentrandosi meglio. «Entrambi. Ma non è colpa sua. Loro. Non è colpa di qualcuno. Succede».

«Hai sentito altro?» la spronò Derek con attenzione.

«Mi sembrava di essere…» si umettò le labbra, «mi sembrava di essere al centro di un deserto. Di notte. Senza luce e senza calore».

«Ok» provò a tranquillizzarla di nuovo, «è finita adesso, sei sveglia e sei lucida». Lei gli annuì vaga asciugandosi le lacrime col dorso della mano. «Vado a prenderti un po’ d’acqua» le disse ancora, spingendola piano a stendersi di nuovo; poi si alzò da terra e andò in cucina portando il cellulare con sé e togliendo il vivavoce.

«Ha faticato a urlare» esordì con Scott, aprendo il frigo per prendere da bere per Lydia, «non sappiamo a chi appartengano le voci che sente, ma vista l’insistenza a dire che non è colpa loro potrebbe trattarsi di qualcosa di… preterintenzionale?»

«Oppure un danno collaterale?» suggerì Scott. «Forse fatica a urlare perché non si tratta di una morte provocata in modo diretto…»

«O forse non c’è un vero colpevole» ipotizzò Derek, sospirando e decidendo di versare da bere anche per se stesso; mandò giù un grosso sorso. «L’altra volta Lydia ha parlato di un senso di solitudine, adesso di un deserto: è inutile sottolineare la simbologia».

«Chi è però che si sente solo? La vittima o il colpevole?» mormorò Scott, pensieroso. «Lydia non riesce a essere chiara quando la linea che separa queste due cose è nei fatti poco marcata per i motivi più svariati».

Derek si massaggiò la fronte. «Come quando non è riuscita a trovare Stiles» ricordò di malavoglia.

«Abbiamo ancora pochi indizi a disposizione» sospirò Scott, stanco, «l’unica cosa che possiamo sapere per certo dopo questo presagio è che domani lo sceriffo ci contatterà per avvertirci di una strana morte».

«Sempre se il cadavere sarà ritrovato presto».

«Già» esalò lamentoso. «Lydia si è ripresa?»

Derek trasse un respiro profondo e tornò di là con in mano il bicchiere d’acqua da darle: la trovò già riaddormentata. «È crollata a dormire mentre noi progettavamo come incastrare un carnefice di cui non conosciamo né il volto né le intenzioni».

Scott sbuffò una risata. «Sono le quattro del mattino, Derek, è meglio se torniamo a dormire anche noi. Ci vediamo domani pomeriggio da Deaton?» propose.

«Sì, ci aggiorniamo lì. Avvertirò lo sceriffo». Chiuse la chiamata e si scolò in gola anche quel bicchiere; osservò Lydia dormire pacifica per un altro lungo attimo, tirò su col naso borbottando mentalmente improperi verso nessuno in particolare e cercò di tornare a dormire anche lui.



Discutere di problemi sovrannaturali con il padre di Stiles non avrebbe mai smesso di essere strano, non tanto perché lui era lo sceriffo, ma quanto per le facce che faceva mentre ne parlava: sembrava dire "So che è reale, ma stiamo davvero parlando di questo?"

Deaton, da parte sua, era sempre zen e Stiles una volta aveva detto a Derek che avrebbe voluto inscenare le Sette Piaghe di Egitto giusto per vedere se almeno così il veterinario avrebbe avuto una reazione.

Non c’erano buone notizie: l’urlo di Lydia poteva essere legato al cadavere – previsto – che era stato trovato in tarda mattinata, ed era quello di un impiegato di mezza età – stranamente non si era presentato al lavoro senza preavviso e non rispondeva al telefono, e dato che Beacon Hills era una piccola città, i vicini di casa e i colleghi avevano impiegato poco a chiedersi come mai non si facesse sentire e intorno a casa sua regnasse il silenzio.

In più adesso grazie a Melissa avevano notizie più certe sulle morti alla casa di riposo, e quel giorno due adolescenti erano stati ricoverati all’ospedale dopo aver subito un collasso – denutrizione, disidratazione, mancanza di sonno, tutto insieme.

Lo sceriffo diede una nuova sfogliata veloce al taccuino con i propri appunti. «L’uomo è stato trovato morto sul divano di casa, presentava gli stessi sintomi per cui sono morti gli anziani alla Villa della Quercia Antica, la ragazza suicida e i due ricoverati oggi: al di là dei sintomi comuni non abbiamo nessun collegamento fra i casi».

Derek poggiò le mani sul tavolo chinandosi in avanti, pensoso. «Possiamo però essere certi che ci sia dietro la stessa persona o cosa per via di Lydia e il suo urlo, e deve trattarsi di qualcosa di poco naturale».

Scott si passò una mano fra i capelli. «Abbiamo già battuto la riserva per controllare se ci fossero delle tracce strane o dell’attività anomala intorno al Nemeton, ma non abbiamo sentito neanche un odore in più del solito…»

Lo sceriffo arricciò il naso – segno che stava per dire qualcosa che nel mondo reale aveva poco senso – e si rivolse a Deaton. «Ma sulla base delle cartelle cliniche e delle autopsie, non c’è modo di provare a intuire di cosa queste persone sono state vittime?»

«Beh» sospirò il veterinario incrociando le braccia sul petto, «per prima cosa possiamo dire senza alcun dubbio che si tratta di un qualcuno che agisce sulla mente delle persone, non sul loro corpo».

Scott sembrò di colpo sperduto e impaurito insieme. «Una possessione?»

E forse in un futuro lontano sarebbe giunto il giorno in cui tutti loro alla parola "possessione" non avrebbero sussultato per poi cadere nel silenzio, peccato che quel giorno non fosse quello.

Deaton per fortuna scosse la testa in cenno di diniego. «Non credo: le vittime non hanno presentato alcun black out o vuoti di memoria finora, o almeno i loro genitori, infermieri o conoscenti non hanno segnalato niente simile, e neanche delle allucinazioni, e l’unico disturbo del sonno presente è l’insonnia, nessun caso di sonnambulismo».

«Un incantesimo o una maledizione?» ipotizzò Derek.

«Non lo escluderei con assoluta certezza» rispose Deaton, «ma tuttavia le persone che ne sono state afflitte non hanno mostrato un certo comportamento atipico in comune: se fossero davvero costretti a fare qualcosa, sarebbe visibile dai loro atteggiamenti».

Scott scosse la testa rassegnato. «Le vittime non hanno neanche subito minacce, né delle pressioni…»

Lo sceriffo assentì. «Nessuno di loro negli ultimi tempi ha sporto denuncia per delle molestie».

«Qualcosa in comune però ce l’avranno» insisté Scott, «dobbiamo solo trovare cosa

Derek tirò su col naso. «La solitudine?» buttò lì senza troppa convinzione. «Lydia insisteva con l’accennarla e diceva anche di sentirsi in mezzo a un deserto di notte al freddo, e in più abbiamo due vittime anziane in una casa di riposo – persone simili possono soffrire facilmente di solitudine».

«Il tizio che abbiamo trovato morto» aggiunse lo sceriffo, «viveva da solo da più di dieci anni».

«Allora» sospirò Deaton, «più che di incantesimo o maledizione possiamo parlare di "influenza", che di solito è un modo tipico di agire degli spiriti: non è difficile incontrare spiriti che amano giocare con la sorte degli uomini influenzando le loro scelte, probabilmente avrà spinto le loro menti a fissarsi su qualcosa, in questo caso forse… la solitudine?»

«E che tipo di spirito potrebbe essere?» chiese Scott speranzoso. «Abbiamo un modo per capire o ipotizzare di che genere di entità si tratti?»

Deaton scosse la testa. «Temo che questo possano soltanto dircelo le vittime: se si tratta davvero di un’influenza, lo spirito avrà pur lasciato qualche traccia su di loro o nei loro spazi».

Lo sceriffo aggrottò la fronte. «Magari qualcosa che i normali esseri umani non riescono a vedere a occhio nudo…» e arricciò di nuovo il naso, «dicevate che Lydia toccando degli oggetti ogni tanto sente delle voci?» Stava facendo di nuovo la faccia da "Sto sul serio dicendo questo?"

«Sì» annuì Scott, «ma in genere le succede con le corde».

«Anche se si sta allenando con oggetti meno tesi» aggiunse Derek.

«Potrei darvi l’indirizzo delle vittime e voi potreste…» agitò un mano e fissò negli occhi Scott e Derek dicendo in maniera tacita e in capslock la parola "intrufolare", «uhm… introdurre da loro, e portare Lydia con voi per vedere se sente delle voci toccando qualcosa».

«È una buona idea» concordò Scott. Derek non si disturbò neanche a fissare Scott con un sopracciglio inarcato: per quanto ormai ne sapesse, per loro ragazzi fare cose simili e illegali era la norma.

Al momento quella sembrava l’unica strada possibile per trovare degli indizi e poi a Lydia avrebbe fatto piacere provare una pista di persona, invece che starsene ferma ad aspettare il proprio prossimo urlo.

Presero accordi su come iniziare le ricerche – poco legali – nelle abitazioni delle vittime e si diedero appuntamento per aggiornarsi il giorno successivo.

Derek non rimase sorpreso più di tanto quando Scott gli disse di andare a fare un sopralluogo a Villa della Quercia Antica insieme a Stiles: se c’era qualcosa su cui insisteva sempre quest’ultimo era non essere messo in disparte solo perché era rimasto l’unico umano del branco e gli erano successe cose poco piacevoli – il che era un eufemismo per "possessione" – e tutto sommato non poteva essere pericoloso andare a dare una sbirciatina a una casa piena di anziani, più che altro erano gli anziani a essere in pericolo nelle vicinanze di Stiles.

Dopo aver contattato Stiles per prendere accordi per il sopralluogo, Derek si rifiutò in maniera categoria di usare la jeep, e il ragazzo tenne a precisare che la sua povera jeep si sentiva offesa dalla mancanza di fiducia di Derek.

Derek fece finta di non averlo sentito restando impassibile.

Viaggiare con Stiles era diventato meno fastidioso di un tempo, anche se le origini di tale motivazione erano di certo tristi: quando Stiles si ritrovava a condividere con lui degli spazi stretti ed erano da soli, il più delle volte era come se si "spegnesse" o rallentasse il modo frenetico con cui parlava e si muoveva; certo, c’erano anche volte in cui passavano tutto il tempo a scambiarsi battute salaci – con un umorismo un po’ crudo che forse alle ragazze non sarebbe piaciuto – ma in prevalenza Stiles restava zitto e non chiedeva neanche di ascoltare musica. Non era bello che ciò fosse uno degli strascichi della possessione della nogitsune, ma d’altra parte Derek apprezzava il fatto che con lui Stiles non si mostrasse sempre iperattivo giusto per rassicurarlo che fosse tutto passato e stesse meglio: con lui Stiles stava rilassato.

Derek parcheggiò l’auto un isolato lontana dalla villa e poi s’incamminarono a piedi verso la meta. L’intenzione era quella di fare un giro attorno all’edificio in maniera discreta, cercare possibili tracce o odori anomali, e Derek quasi ci restò male quando non trovò nulla di strano da segnalare; quella casa di riposo aveva l’aspetto di un piccolo alberghetto noioso dai colori neutri, ricca di cespugli alti per fare ombra potati in modo impeccabile.

Derek vide di sottecchi che Stiles, vicino al cancello, si era fissato su qualcosa che stava toccando ripetutamente: era una pianta rampicante dalle foglie a stella di un colore verde scuro opaco; Derek, più che altro per curiosità, si avvicinò di più e ne notò i particolari: le foglie erano bordate di bianco e in alcuni angoli avevano delle strane macchie che davano loro l’apparenza di essere coperte da un velo di polvere o una ragnatela, tant’è che Stiles aveva fra le mani una delle foglie più grosse e stava provando in modo assurdo a "pulire" le parti "macchiate" con i pollici.

«Stiles» sospirò stanco, «non è polvere, sono fatte così».

«Dici? Sembra una sorta di velo lasciato sopra da rugiada che si è asciugata…» biascicò poco convinto, e subito dopo fece un danno: a via di strofinare la foglia con i pollici la staccò dalla pianta.

Derek roteò gli occhi, Stiles si guardò furtivo intorno e poi cercò d’infilare la foglia staccata in mezzo ai rami per nasconderla.

Derek strinse i denti e lo strattonò per un braccio. «Andiamocene».

«Non è colpa mia» protestò, «ero solo curioso. Volevo capire. Per il bene della scienza!»

«Sali in macchina» sbottò Derek, «e vedi di non staccarmi lo sportello».

«È un invito o una sfida?»

«Stiles!»

Mise le mani avanti. «Ok, ok! La smetto».

Derek roteò gli occhi e mise in moto; dovevano andare a prendere Lydia per iniziare gli altri sopralluoghi.

Stiles distese la schiena contro il sedile in modo lento, pigro e soddisfatto; sembrò riflettere su qualcosa per qualche minuto e infine parlò. «Un paio di anni fa non mi sarei mai aspettato che in futuro sarei andato "in missione" con Derek Hale» esordì.

«E cosa ti aspettavi?» gli ribatté.

Lui scrollò le spalle fissando la strada. «Non so, anche se di certo non mi aspettavo nemmeno di poter fare alla fine della mia adolescenza un montaggio dei miei momenti migliori con per sottofondo una canzone dei Coldplay».

Passarono un paio di attimi di silenzio, poi Derek si fermò a un semaforo e scoppiò a ridere isterico con ritardo.

«Dico sul serio» insisté Stiles convinto, «non sono mica un tipo da Coldplay: te lo immagini un filmato dei miei ultimi due anni su Fix you

«Penso che a Lydia potrebbe piacere».

«Certo che le potrebbe piacere: hai idea di quali film drammatici e sdolcinati ha la colonna sonora? Potrebbe addirittura regalarmi un video simile per i miei vent’anni. Ne sarebbe capace se glielo dici, quindi non dirglielo mai».

Derek si appuntò di dirglielo. «Ma comunque non sei un tipo da Fix you, è troppo lenta per te» lo prese in giro con espressione seria.

«Perché, per caso The scientist sarebbe meglio?» Si scambiarono uno sguardo inespressivo e Stiles ne cantò un verso con fare teatrale. «Oh take me back to the start».

Derek ostentò disgusto schioccando la lingua e scuotendo la testa; Stiles sogghignò.

«E tu hai mai pensato di voler tornare all’inizio?» gli domandò il ragazzo tornando a fissare davanti a sé, anche se adesso stava tamburellando le dita sulle ginocchia, e sembrava proprio che stesse seguendo il ritmo di The scientist. Quella non era frenesia o la sua iperattività che veniva a galla, quello era semplice buonumore. «Oppure credi che niente si possa evitare e che quindi tornare indietro sia inutile?»

«Si impara dagli errori, si acquisisce saggezza con l’esperienza, quindi se torni indietro al massimo torni allo scemo che eri una volta» sintetizzò Derek.

«Uhm» ponderò Stiles continuando a tenere il ritmo, «anche questo è vero. Io non so se vorrei tornare a com’ero prima, non che mi senta così grato nei confronti della sorte» precisò con un sorrisetto amaro e sarcastico, «ma in effetti prima ero una persona molto più ignorante di adesso, e non mi riferisco alla mia cultura sul mondo sovrannaturale, ma a certe…» schioccò la lingua incerto sulle parole da usare, senza smettere di tamburellare le dita sulle gambe e sulle ginocchia.

«Emozioni?» l’imbeccò Derek.

«Uhm, sì, sono più maturo dal punto di vista emotivo, ora ho altre priorità e forse sono una persona migliore. Poi, ovvio che non mi è piaciuto crescere in questo modo, ma non posso dire di piacermi poco».

Derek aggrottò la fronte. «In molti però pensano che tu più che maturato sia diventato più silenzioso e che sia un problema, che sia il sintomo di un...» esitò appena dal dirlo, perché era brutto mettere quella parola nero su bianco davanti a Stiles, «trauma».

Stiles lo fissò di traverso, scettico. «È per questo che tutti intorno a me si comportano come se stessero camminando su delle uova?»

Derek strinse le labbra e sospirò rumoroso. «Un po’ sì».

«Ma sto bene!» protestò seccato.

E fu il turno di Derek di guardarlo scettico.

«Ok» si arrese Stiles, «non proprio bene-bene, ma presto, un giorno starò davvero bene!»

«Speriamo che accada presto, piuttosto che un giorno» esalò Derek.

Stiles roteò gli occhi e riprese a parlare. «A parte questo, sono serio quando dico di non voler tornare all’inizio, perché adesso sono più cosciente della potenzialità delle cosiddette "piccole cose", so che devo concentrarmi meglio sulle occasioni e che non devo lasciarmele sfuggire, perché… davvero non si sa mai cosa potrebbe succedere domani» sospirò con un velo di malinconia. «Credo di aver sviluppato un occhio migliore riguardo le potenzialità di ciò che mi circonda e che posso avere. Non mi mancano i miei vecchi stupidi problemi, perché ora so ciò che davvero conta nella vita».

Derek annuì. «È un buon modo per vedere le cose» affermò, anche se la sua voce suonò incerta alle sue stesse orecchie.

Stiles gli rivolse un’occhiata dubbiosa. «Giusto, dimenticavo che in fondo noi due siamo delle persone così positive e piene di speranza nei confronti vita. Non c’è mai alcuna traccia di malinconia e autocommiserazione travestita da sarcasmo puro quando parliamo».

Derek sorrise scuotendo la testa.

Stiles sogghignò a propria volta, tamburellò più forte sul cruscotto e in sequenza più veloce imitando un rullo di tamburi, e poi tornò a rilassarsi contro lo schienale del sedile. «Sai cosa mi piace di te e me insieme?» gli mormorò con una certa ironia nella voce.

«No» gli replicò Derek incuriosito.

«Che quando siamo soli riesco a farti fare una fottuta risata e tu sai rilassarmi abbastanza da farmi stare zitto».

Derek abbozzò un sorriso ironico. «Non c’è di che, Stiles, quando vuoi» gli ribatté fermandosi davanti alla casa di Lydia – dovevano andare con lei a fare la seconda ispezione.

Lei salì in macchina e si sistemò al centro dei sedili posteriori; li fissò entrambi un po’ stizzita. «State ridendo per qualcosa che non so e che non volete condividere con me: sputate il rospo».

Stiles si esibì in un sorriso da Grinch e si rivolse a lei guardandola allo specchietto retrovisore. «Per caso nell’iPod hai dei pezzi dei Coldplay?»

«Sì, perché?»

«Passamelo!» rispose sogghignando e allungando un braccio all’indietro verso di lei.

Derek si portò una mano alla fronte. «Stiles, no

Lydia si mostrò ancora più infastidita. «No cosa? Ditemelo

Stiles strinse la lingua fra i denti e collegò l’iPod all’autoradio: pochi secondi dopo partirono le prime note di The scientist. «Ho cambiato idea» esalò Stiles, teatrale, «la prossima volta che torneremo in macchina a casa dopo aver estinto una nuova minaccia mortale da Beacon Hills, ascolteremo questa canzone!» Derek grugnì rivolgendo gli occhi al cielo e rimise in moto.

Lydia, indispettita, diede dei pugnetti ai loro sedili. «Volete dirmi di cosa stavate parlando?»

Fu Derek a risponderle. «Stiles per il suo ventesimo compleanno spera di ricevere un filmato dei suoi momenti migliori con per sottofondo questa canzone».

Lei si rivolse a Stiles, sorpresa. «Perché non me l’hai mai detto?!»

Stiles gesticolò ampiamente, scocciato, mentre Derek rideva di lui. «Perché non è vero!»

«Lydia, non ascoltarlo: hai due anni di tempo per metterti in pari e farlo».

«Non è vero» insisté Stiles. «Ci stavamo chiedendo se per caso ci andasse di tornare indietro nel tempo e, che io sia maledetto, ho citato questa canzone!» si inventò.

Lydia arricciò il naso, scettica. «Non ti credo».

Derek ebbe pietà di lui e interruppe la conversazione mentre accostava poco lontano dalla casa della vittima. «Ne riparleremo dopo, adesso mettiamoci a lavoro».

Stiles, per sottolineare che la discussione era finita invece lì, riconsegnò inespressivo l’iPod a Lydia senza degnare gli altri due di uno sguardo.

L’abitazione era sulla strada che portava alla riserva e sembrava più che altro l’umile dimora di un uomo in pensione con l’hobby del giardinaggio e una discreta passione per i nani da giardino.

Lydia inarcò un sopracciglio. «Escludendo i nani di gesso, non ha un giardino così brutto: è carino» commentò. Derek annuì dandole ragione: non era poi così male, e tra l’altro mentre si concentrava con i propri sensi per ascoltare e annusare se ci fosse qualcuno nei dintorni e i vicini fossero presenti, notò come neanche i profumi delle varie piante fiorite non fossero invasivi né esagerati tutti insieme; quell’uomo doveva averle coltivate anche pensando a come sarebbe stato il loro odore una volta tutte sbocciate, e se si era dedicato con così tanto zelo a un hobby e la sua casa aveva un aspetto simile… forse era stato davvero un uomo molto solo, e la solitudine stava diventando un elemento ricorrente in quel caso misterioso.

Lydia dispiaciuta arricciò le labbra e con una mano sfiorò una pianta sul punto di appassire. «È davvero un peccato che non se ne occuperà più nessuno». Prese fra le dita una delle foglie ancora non andate a male: era cuoriforme, di un verde scuro lucente con una grossa chiazza giallo oro al centro, e il ramo era attorcigliato attorno al palo della cassetta postale – una topolino dalla vernice rossa un po’ scrostata. Poi il suo sguardo cadde in basso, proprio vicino alle radici del piccolo fusto quasi morto, e sorrise intenerita.

«Myosotis» esalò, schioccando le labbra e indicando ai ragazzi dei piccolissimi fiorellini dai petali azzurri e tondeggianti, cresciuti sotto la cassetta delle lettere. Loro due la fissarono perplessi; lei alzò gli occhi al cielo facendo una smorfia, poi puntò di nuovo il dito verso i fiori. «Non ti scordar di me, vi è più chiaro adesso?»

Stiles annuì lentamente. «Ahhhh, sì certo. Sappiamo tutti il nome scientifico dei non ti scordar di me».

Prima che Lydia potesse ribattergli qualcosa, Derek li interruppe di nuovo. «Possiamo procedere, non ci sta guardando né sentendo nessuno». Ed era meglio approfittarne, prima che quei due battibeccando attirassero l’attenzione di qualche passante.

Non c’era stato alcun motivo di avviare delle indagini, perché la morte di quell’uomo era stata classificata come avvenuta "per cause naturali" e così almeno non avrebbero dovuto avere a che fare con i sigilli messi dagli uomini dello sceriffo. L’unico problema era che la porta era chiusa a chiave.

Stiles sorrise fiero e stese le mani in avanti. «Lasciate fare a me!» Iniziò a guardare sotto i vasi e sottovasi delle piante posizionate accanto all’ingresso e sul porticato. «Ho imparato questa lezione tempo fa, è un classico! Stavolta non mi spaccherò la mano con il vetro della porta, troverò la chiave!»

Derek sospirò rassegnato. «Non so a proposito di cosa tu stia delirando, ma sospetto che c’entri qualche guaio in cui ti sei cacciato con Scott e quindi preferisco non saperne niente».

Tuttavia, mentre Stiles continuava determinato la sua ricerca, Lydia si tolse dai capelli una delle forcine con cui sosteneva l’intrico di trecce della sua acconciatura, e si accovacciò mettendosi all’opera con la serratura.

Derek la fissò sgranando gli occhi, indeciso fra l’essere sorpreso, fiero o inquietato. «Sai come scassinare una porta?»

Lei finì il lavoro e prima di rialzarsi provò ad aprire – con ovvio successo. «Leggo molto» si giustificò. «Moltissime cose di vario genere» aggiunse sicura di sé.

Stiles si voltò a guardarla con entrambe le sopracciglia alzate fino all’attaccatura dei capelli. «Per caso sai anche come rubare un’auto? Perché un giorno potrebbe anche esserci utile». Derek e Lydia lo fissarono inespressivi. «Tipo per una fuga». Loro due continuano a non essere colpiti dalla sua osservazione. «Come non detto».

Entrati dentro, trovarono tutto abbastanza in ordine; Derek respirò a fondo. «Non ci sono tracce forti e recenti di intrusi, e credo che il tizio non ricevesse molte visite: sento un unico odore, e deve essere il suo».

Lydia, con sguardo malinconico, aprì la credenza e osservò il misero numero di piatti e bicchieri presenti. «Doveva essere davvero molto solo…»

Da parte sua, Stiles sorrise soddisfatto e avanzò verso la porta aperta di un minuscolo studio. «Solo sì, ma isolato no: aveva un computer e una connessione internet!» Batté una mano su un vecchio monitor piccolo e a tubo catodico. «Beh, magari non stava al passo coi tempi, ma non si può volere tutto dalla vita». Sospirò e si sedette dietro la scrivania.

«E adesso, amici miei» annunciò Stiles teatrale scrocchiandosi le nocche delle mani, «con il solo potere delle mie infinite abilità, vi rivelerò se qui dentro ci sono indizi che potrebbero aiutarci!»

Derek roteò gli occhi. «Stiles, scommetto che quel tipo non aveva neanche una password perché vivendo così solo non ne aveva il fottuto bisogno: ti basterà avviare il sistema».

Lui gli replicò offeso. «Devi sempre rovinare l’atmosfera che un pover’uomo costruisce?»

«Avvia quell’affare e sbrigati» incalzò impassibile andando a controllare Lydia in cucina. «Avverti niente?» le chiese quando la raggiunse.

Lei stava dando dei lievi tocchi al lavello, concentrata nella ricerca di un oggetto che potesse farle sentire una voce. «No, nulla» mormorò perplessa. «Non è strano?» aggiunse un po’ frustrata. «Voglio dire, questa persona ha avuto gli stessi sintomi che hanno portato alla morte delle altre persone, dovrei sentire qualche cosa, almeno una voce che mi parli delle sue sensazioni poco prima di morire, perché è logico che sia morto soffrendo – perlomeno emotivamente parlando. E invece niente» concluse agitando le mani, nervosa.

«Non dare per scontato che sia colpa tua» la rassicurò posandole una mano sulla spalla, «forse la sua morte è solo una coincidenza, forse non c’entra niente con le altre e la tempistica ci ha portato fuori strada».

«Ragazzi?» li richiamò Stiles. «Venite un po’ qui».

Quando lo raggiunsero sorpresi e un po’ in ansia, Derek vide che Stiles oltre a frugare fra le cartelle del computer era anche entrato nella casella di posta elettronica dell’uomo.

«Che hai scoperto?» incalzò Derek.

Stiles sospirò incerto. «Non so se essere impressionato o preoccupato: a quanto pare questo tipo aveva da poco sviluppato una certa "ammirazione"» tracciò in aria delle virgolette immaginarie, «per una sua collega».

«E da che cosa lo hai dedotto?» gli ribatté lui.

«Ho letto i suoi scambi di mail con questa donna… Gente, lui nei fatti stava svolgendo l’intero lavoro di lei, aveva in mano tutte le sue pratiche…»

Lydia emise un borbottio d’indignazione. «Lei si stava approfittando di lui?»

Stiles agitò le mani. «No, no, no! Anzi è proprio questo il punto: da quel che ho letto, lei è una mamma single e sua figlia è gravemente malata, ma lei non poteva assentarsi dal lavoro e così lui l’ha aiutata, ma… quello che ha fatto lui non è darle dell’aiuto, ma della totale dedizione».

Derek aggrottò la fronte. «Un modo per corteggiarla?»

«No, nelle mail di ringraziamento che si sono scambiati non c’è una sola sua frase che sia inquietante o che suoni da maniaco… cavolo, in tutto il computer non ho neanche trovato una foto di lei!» sbottò sorpreso. «Le era devoto nella maniera più assoluta e da quello che possiamo vedere era pure molto onesto nei suoi confronti: noi stessi in malafede abbiamo pensato subito che lui volesse approfittare della sua momentanea fragilità, io per primo ho pensato che volesse farla sentire in debito, ma no! Non l’ha neanche mai invitata a bere un caffè insieme!»

Lydia incerta storse la bocca. «Forse perché il mondo non è poi un posto così brutto come pensiamo?»

Stiles fissò lo schermo continuando a scorrere le mail. «Non saprei… Questa devozione così pura e onesta… non è neanche ossessione, per quanto sia così intensa, e l’altra cosa strana è che la prima mail risale a circa poco più di due settimane precedenti alla sua morte: prima di allora in tutto il computer e fra la sua posta non c’è alcuna traccia di contatto con altri esseri umani, immaginiamoci con lei!»

Lydia si mordicchiò un labbro. «Quest’uomo era davvero così solo».

Derek valutò quello che avevano davanti. «E se per caso questo ipotetico spirito con cui abbiamo a che fare influenzasse le persone a focalizzarsi solo su qualcuno?»

Lydia sembrò soppesare l’ipotesi. «Magari provando a stabilire o a forzare un legame spirituale fra due anime?»

Derek concordò. «Potrebbe essere».

Stiles continuò a fissare lo schermo poggiando il mento sul palmo della mano. «Allora perché non influenzare entrambe le persone? Da quel che leggo qui, solo lui ne è stato affetto».

Lydia afflosciò le spalle, dispiaciuta. «D’altra parte, però, io non ho trovato niente: forse questo è stato un buco nell’acqua e quest’uomo ha in comune con le altre vittime solo il periodo in cui è morto».

Stiles inizio a chiudere le schede del browser per spegnere tutto. «Non credo: una dedizione simile verso una persona non sorge così da un giorno all’altro, non mi sembra del tutto naturale e normale. E ricordatevi che questo tizio non ha mai avuto chissà che contatti con il resto della società, in giro per casa non ci sono neanche delle foto di parenti o conoscenti, nel suo computer c’è solo lavoro, lavoro e altro lavoro. Non c’è neanche del porno!» esclamò stupito.

Derek lo fissò inarcando un sopracciglio.

Stiles allargò le braccia. «Andiamo, chi non ha del porno nel computer?»

Derek restò impassibile.

Stiles lo fissò basito. «Non dirmi che tu non ha mai avuto del porno nel computer!» Lui roteò gli occhi. «No, adesso voglio saperlo: non hai davvero mai avuto del porno nel computer?!»

Derek preferì non rispondergli e fece cenno ai due ragazzi di seguirlo fuori dallo studio. Si assicurarono di rimettere tutto per com’era e uscirono dalla casa.

Lydia sembrava un po’ abbattuta, e dovette notarlo anche Stiles, perché passo il resto del tragitto fino a casa della ragazza a cianciare sui nani da giardino e di come da piccolo ne aveva rotti un paio dei suoi vecchi vicini – in compagnia di Scott, ma questo era scontato – nel vago tentativo di distrarla.

Una volta lasciata Lydia a casa Martin, nell’abitacolo scese un silenzio denso di stanchezza, ma anche confortevole: non che Derek e Stiles avessero bisogno di commentare come entrambi sapessero quanto Lydia si stesse sentendo delusa da se stessa in quel momento.

Dopo un po’, Stiles emise una piccola serie di borbottii – o forse una breve colonna sonora di sua invenzione per dei momenti di profonda riflessione, con lui tutto era possibile. «Scott e Kira dovevano andare nella casa di un’altra vittima: magari loro sono stati più fortunati di noi».

«Non ci hanno mandato alcun messaggio» gli fece notare, senza distogliere gli occhi dalla strada.

Stiles annuì pensoso. «Anche questo è vero, quindi non hanno trovato niente».

«Ci restano ancora un paio di posti da controllare, magari domani andrà meglio».

«Speriamo» esalò, stravaccandosi in modo pigro sul sedile passeggero.

Tornarono al silenzio di prima, e Derek si sorprese a riflettere sulle parole di Stiles, "Quando siamo soli riesco a farti fare una fottuta risata e tu sai rilassarmi abbastanza da farmi stare zitto". Non aveva mai visto il loro rapporto da questo punto di vista, non aveva mai fatto caso a quanto avessero un effetto calmante l’uno sull’altro: Stiles riusciva a fargli abbassare le difese abbastanza da lasciarsi andare a una risata, viceversa lui in qualche modo placava la sua iperattività. Forse perché ormai, dopo tutto quello che avevano passato insieme e sapendo l’uno le perdite che aveva subito l’altro, sapevano capirsi senza troppe parole. O forse perché Derek aveva bisogno di ridere fidandosi del fatto che poteva permettersi di ridere in quel determinato momento, mentre Stiles aveva bisogno di qualcuno con cui non fosse necessario coprire qualsiasi emozione con mille parole, né tantomeno esprimerla con cento metafore improbabili. Si capivano, o perlomeno si rispettavano a vicenda.

Giunti davanti a casa Stilinski, Stiles con un grosso sospiro aprì lo sportello. «Ci vediamo domani alla stessa ora?» Gli annuì, Stiles fece altrettanto a mo’ di saluto, rivolgendogli in più un sorriso accennato, e scese dalla macchina.

Derek ripartì solo quando lo vide rientrare in casa, e lungo la strada imprecò contro Stiles perché adesso aveva in testa The Scientist, e fermandosi a un semaforo rosso si chiese se per caso ascoltando più volte a ripetizione quella dannata canzone gli sarebbe passata quell’ossessione non richiesta.

Scattò il verde e ripartì sospirando rassegnato, e poco dopo sentì una strana sensazione farsi spazio dentro di lui, come una pianta invasiva che metteva radici velocemente – in modo non naturale.

Stava provando un’improvvisa e immotivata sensazione di vuoto, la mancanza di qualcosa che gli procurava l’effetto di un pugno allo stomaco e in più l’inspiegabile e fulminea assenza di volontà di focalizzarsi su qualcosa, neanche sulla strada: accostò all’istante e trasse dei respiri profondi, scosse più volte la testa e si stropicciò gli occhi nel tentativo di tornare in sé. Funzionò, ma gli strascichi della mancanza di qualcosa restarono dentro di lui pesandogli sullo stomaco.

Restò per qualche attimo impalato a fissare il vuoto con le mani posate sul volante: quello che gli era appena successo non era per niente normale.

Aveva bisogno di un consulto.



Derek il giorno dopo ebbe cura di andare da Deaton mentre i ragazzi erano impegnati a scuola, e di trattenere e non propagare il più possibile le proprie emozioni per non dar modo a Scott di sentirle quando fosse venuto a lavoro alla clinica veterinaria.

«Non c’è niente che non va in te» sospirò Deaton una volta terminato il controllo, «almeno dal punto di vista fisico».

«Non mi ero mai sentito così in vita mia» mormorò Derek fissando il pavimento, «non avevo neanche voglia di concentrarmi o pensare ad altro, ho dovuto perfino fermarmi sul ciglio della strada, o avrei rischiato un incidente».

«Ed è successo all’improvviso?»

«Sì» confermò sicuro di sé. Rialzò lo sguardo su Deaton. «Non è una buona cosa» sentenziò, e il veterinario non lo contraddisse.

«Su di te non ci sono tracce di alcun tipo di strozzalupo o altre erbe specifiche, e al momento il tuo corpo sembra funzionare alla perfezione» appuntò. «Non hai sentito delle strane presenze accanto a te quando ti è successo?»

Scosse la testa. «No, nulla. E neanche dopo. Ho perfino controllato tutta l’auto quando sono rientrato a casa, ma niente».

«Lydia e Stiles erano con te: stanno bene?»

«Ieri sera ho mandato loro dei messaggi in modo discreto: non mi hanno segnalato nulla quando mi hanno risposto».

Deaton trasse un respiro profondo, anche se non tradì un’emozione. «A questo punto direi che possiamo azzardare delle ipotesi, anche se non molto entusiasmanti…»

«Lo so» ribatté serrando la mascella, e riprese la giacca di pelle per andarsene. «Ma preferirei che questo restasse fra noi».

«Derek» insisté Deaton, «soffri anche di inappetenza? Hai dormito stanotte?»

Aveva faticato un po’ a prendere sonno e quella mattina a colazione aveva solo avuto voglia di un caffè nero e semplice, mentre per pranzo – guardò che ore fossero… si accigliò: quando si era fatto così tardi e come mai non aveva ancora i morsi dalla fame?

Tirò su col naso e rindossò la giacca con dei gesti secchi. «Non sono ancora così grave» affermò vago.

Deaton lo fissò inespressivo. «Suppongo che tu abbia appena saltato il pranzo» intuì.

«Non una parola con Scott» insisté serio, «i ragazzi non devono sapere quello che mi sta succedendo».

Lui obiettò. «Analizzare in modo aperto e diretto i tuoi sintomi potrebbe aiutarli a trovare una soluzione».

«Nemmeno io sto capendo bene quello che mi sta succedendo!»

«Ma in cambio sappiamo bene che è la stessa cosa che finora è successo alle vittime».

«Forse. Non ne siamo sicuri» replicò asciutto.

«Derek…»

«Non una parola con Scott» ripeté, gli voltò le spalle e andò via dalla clinica.



Superare il turno di lavoro in palestra non fu facile per Derek: non riusciva a concentrarsi, sentiva l’impulso di seguire dei pensieri strani, delle riflessioni sui suoi bisogni e delle domande su ciò che gli mancava nella vita che non si era mai posto prima. Era snervante. Si perdeva così tanto nella sua mente col finire col non sentire la gente chiamarlo o i clienti domandargli qualcosa.

Arrivare a fine turno senza scagliare degli oggetti contro la parete opposta fu un vero miracolo.

Si diresse a passi veloci e nervosi verso la propria auto; aprì lo sportello ma non salì, si tolse in modo brusco la giacca di pelle lanciandola malamente sui sedili posteriori, si rimboccò le maniche della maglia e si fissò le mani: le vide e le sentì vuote, era percorso da una strana frenesia – voglia di focalizzarsi su un obiettivo che però non trovava o non sapeva definire – e al tempo stesso sentiva anche sottopelle una malinconia immotivata e dolce in maniera struggente.

Strinse le mani sul bordo del tettuccio dell’auto e respirò a fondo un paio di volte per provare a calmarsi. Perlomeno durante la pausa si era ricordato di mangiare qualcosa, anche se per farlo si era puntato una sveglia col cellulare.

Quella situazione era ridicola. Grottesca.

Quando rialzò gli occhi da terra, lo sguardo gli cadde sulla vetrina della libreria dall’altra parte della strada: forse provare a concentrarsi sulla lettura di un libro sarebbe stato un ottimo esercizio per tentare di mostrarsi normale davanti ai ragazzi, poteva essere una buona idea. Anche se Stiles avrebbe sottolineato come lui in realtà avesse sempre delle pessime idee.

Sospirò rassegnato, chiuse lo sportello dell’auto e attraversò la strada. Una volta però faccia a faccia con la vetrina e con i libri esposti, si ricordò come quella fosse in realtà una piccola libreria in una piccola città e di quante probabilità ci fossero di trovare dei titoli che non fossero dei best seller straletti o di pescare tra gli scaffali una chicca ancora sconosciuta ai più che gli piacesse. Sospirò di nuovo rassegnato passandosi le mani sul volto.

Stava per tornare sui suoi passi quando notò che in vetrina c’era anche un grosso manifesto cartonato che annunciava l’uscita del nuovo libro della seconda saga di Percy Jackson. Quando quasi due anni prima era stato costretto a nascondersi in camera di Stiles, aveva notato nella sua libreria la copertina del primo libro, e nel tempo il resto della saga era andato a fargli compagnia, segno che quantomeno Stiles ne fosse appassionato.

Stiles non era un tipo da non accennare alle proprie passioni, anche a sproposito, ed era strano che in quei giorni non avesse parlato esaltato dell’uscita di quel libro, considerando quanto tempo avevano trascorso insieme: forse era stato così preso da quello che stava accadendo e così preoccupato che se l’era scordato, o forse adesso le sue priorità erano diventate altre. Nessuna delle due opzioni era molto felice.

Lydia insisteva sempre col dire che erano ancora persone normali e che potevano e dovevano fare ancora cose normali. Forse a Stiles avrebbe fatto bene avere quel libro fra le mani e ricordarsi mentre lo leggeva delle passioni comuni e normali che poteva ancora avere – quelle di un ragazzo della sua età.

Senza troppi ripensamenti, comprò una copia del libro e tornò in macchina.

Si recò in una caffetteria per prendere qualcos’altro da mangiare al volo e dopo aver controllato che ore fossero si recò a prendere Stiles per andare insieme a lui e Lydia a ispezionare un’altra abitazione di una delle vittime.

Stiles uscì di casa non appena Derek accostò di fronte al suo vialetto; quando salì in macchina, Derek gli chiese inespressivo «Devo supporre che tu oggi abbia scelto di portare il tuo iPod?»

Lui incrociò le braccia sul petto e lo fissò oltremodo offeso. «Non capisco proprio cosa ti faccia pensare che io oggi voglia rispondere al fuoco col fuoco» sbottò, prendendo dalla tasca dei pantaloni il proprio iPod e collegando all’autoradio. «Non mi conosci affatto bene».

Derek sospirò a fondo e mise in moto. «Dimmi almeno che non ascolteremo i Coldplay».

Stiles gli rivolse il proprio migliore sorriso da Grinch e subito dopo partirono le prime note di All by myself di Celine Dion.

Derek continuò a guidare fissando solo la strada e cercando di restare impassibile. «Questa non può essere la colonna sonora dei nostri momenti migliori».

Stiles ostentò un broncio. «E perché mai?!»

«Tu ti ci vedi a ritornare a casa dopo aver sconfitto qualcosa con questa canzone di sottofondo?!»

«Non ti sembra poetico da un punto di vista melodrammatico?»

«No! E non dirmi che hai anche il pezzo da Titanic, perché se la risposta è sì è meglio che tu tolga questo coso di mezzo prima che Lydia salga in macchina, o ci costringerà ad ascoltarlo a ripetizione quant’è vero che ci sorbiamo almeno due volte al mese Le pagine della nostra vita

Stiles sgranò gli occhi. «Cazzo, hai ragione!» In tutta fretta e in modo goffo si premurò di cambiare playlist, passando a dei pezzi degli All Time Low – e questa era decisamente farina del suo sacco, stando al poster della band che era fisso in camera sua. Derek trasse un sospiro di sollievo e proprio in quell’attimo in cui si rilassò di più si accorse di quanto in quegli ultimi minuti non si fosse sforzato di nascondere i suoi problemi e la sua bizzarra frenesia a Stiles.

Non si sentiva più agitato o in ansia, non era più pervaso da un senso di malinconia inspiegabile e si sentiva molto più lucido.

«Va tutto bene?» gli domandò Stiles perplesso. «Le tue sopracciglia stanno mostrando un alto grado di profonda riflessione».

Derek sbuffò storcendo il naso. «È tutto ok» replicò spiccio. «A scuola si è verificato qualcosa di anomalo? Altri ragazzi sono stati ricoverati d’urgenza in ospedale?»

Lui gli rispose scuotendo la testa in cenno di diniego. «Tutto regolare e per fortuna nessun altro si è sentito mortalmente male. Almeno finora» esalò non troppo speranzoso.

Dopo alcuni attimi di silenzio, però fu la volta di Derek di notare l’alto grado di profonda riflessione sul volto di Stiles. «C’è qualche problema?» gli chiese asciutto e diretto.

Il ragazzo respirò a fondo e a lungo fissando lo sguardo fuori dal finestrino. «Tu sapevi di mio padre e Melissa?» Non lo disse risentito o dispiaciuto, anzi il suo tono era stato abbastanza neutrale.

«Sì» ammise piatto, anche perché non era loro abitudine mentirsi a vicenda: in passato a volte erano stati perfino sinceri in modo crudo l’uno verso l’altro. «Ma non spettava a me dirlo a te e Scott».

«Lo so, lo capisco: questo è un passo importante per papà, era giusto che la notizia mi arrivasse da lui, anche se… non me l’ha ancora detto» concluse con un piccolo sorriso ironico sbuffato. «L’ho intuito da solo».

«La cosa ti dispiace? Cioè» specificò Derek, «ti dispiace che te lo stia nascondendo o ti dispiace che stia frequentando Melissa?»

«Uhm» borbottò pensoso, «nessuna delle due? Oddio, un po’ mi dispiace che per l’ennesima volta non si fidi molto di me e non me lo stia dicendo, e adesso capisco come si è sentito lui le volte in cui in passato gli ho nascosto qualcosa di grosso e importante e lui sapeva che gli stavo mentendo e ne era deluso, ma…» sospirò stanco, «a parte questo non mi dispiace che stia provando ad avere una storia con Melissa».

«Si capiscono a vicenda» sottolineò Derek.

Stiles annuì. «Sì, è vero, forse si sono avvicinati perché si sentono sulla stessa barca, o perché l’uno per l’altra sono l’unica cosa che ha un po’ di senso in mezzo a questo grande casino». Sorrise malinconico. «Hai presente come mio padre suoni ancora sorpreso e confuso quando parliamo del sovrannaturale, no?» Derek gli annuì. «Ecco, almeno Melissa può aiutarlo, e lui a sua volta può sostenere lei. In fondo hanno del potenziale naturale per poter stare insieme».

Derek provò a spezzare un po’ l’atmosfera densa che era scesa su di loro. «Magari loro due come coppia possono diventare un altro motivo per non tornare all’inizio di questa storia» suggerì con un velo di ironia.

Stiles abbozzò un sorriso nostalgico. «Già, una cosa bella a cui si è arrivati dopo tante cose brutte». Derek ricambiò il suo sorriso e poi scivolarono di nuovo in un confortevole silenzio, tant’è che quando Lydia salì in macchina li guardò stupita inarcando un sopracciglio.

«Beh, oggi non avete niente da non voler condividere con me?»

Stiles le rispose scandendo bene un «No» e schioccando la lingua con fare un po’ dispettoso. Derek sospirò accennando un sorriso, scosse la testa e rimise in moto.

Il resto del viaggio trascorse fra lievi ma sarcastici scambi di battute fra Stiles e Lydia – Derek si limitò a fingere di non sentirli – che vennero interrotti quando Derek si fermò a qualche chilometro di distanza dalla casa dentro cui dovevano fare irruzione: fece cenno ai due di tacere e si mise in ascolto dei vicini.

Dai rumori che poté ascoltare notò che i pochi presenti intorno a loro erano impegnati alcuni in attività da cui si sarebbero distaccati difficilmente e altri invece stavano sbraitando in piena lite fra di loro; agitò una mano per indicare ai ragazzi di seguirlo in silenzio: a differenza del giorno precedente si trovavano in un posto meno isolato.

Camminarono con più nonchalance possibile fino al porticato – Derek prestò attenzione a continuare ad ascoltare i vicini – e poi Stiles si rivolse a Lydia con un esagerato inchino elegante.

«A te l’onore» le disse teatrale a bassa voce.

Lydia sbuffò roteando gli occhi, ma si tolse comunque una forcina dai capelli e ripeté l’impresa del pomeriggio prima. Non appena entrarono, naturalmente Stiles inciampò su un tappeto e per poco non fece cadere a terra un grosso e bruttissimo vaso di ceramica: Derek afferrò l’oggetto al volo prima che potesse frantumarsi con un gran baccano, e rivolse un’occhiataccia a Stiles che ebbe la sfacciataggine di non scusarsi e dare invece la colpa al tappeto indicandolo infastidito.

Lydia controllò il proprio cellulare. «L’ultimo messaggio di Melissa è di tre minuti fa: confermava ancora che i proprietari di questa casa erano all’ospedale a far visita alla figlia; possiamo indagare tranquilli».

Derek respirò a fondo l’odore della casa. «Non ci sono animali domestici» mormorò sollevato – Dio mai volesse Stiles pestasse la coda a un gatto o provocasse accidentalmente un cane, ci mancava solo questo. «Seguitemi» li invitò, salendo le scale e andando verso il punto in cui l’odore tipico di una giovane adolescente era più concentrato.

Si trovavano nell’abitazione di una delle ragazze che erano state ricoverate con gli stessi sintomi delle vittime, e che stava peggiorando. Dall’alta concentrazione di fragranze fiorite e odore di trucchi e smalti, Derek non fu sorpreso di scoprire che la cameretta della ragazza era una graziosa e ordinata stanza che gridava "giovane adolescente alla moda" da ogni minimo dettaglio: i mobili erano bianchi e rosa acceso, sulla cassettiera con specchiera i trucchi e gli smalti erano sistemati con cura e perfezione in ordine di sfumatura di colore, le pareti erano tappezzate di foto sue e delle sue amiche e il profumo che usava – ce n’era una boccetta sulla scrivania – e quello dei trucchi non coprivano però un buon odore di pulito.

Stiles diede un’occhiata all’ambiente inarcando un sopracciglio. «Suono un po’ presuntuoso se dico che di solito ragazze di questo tipo tengono un diario segreto e che sarebbe utile scovarlo?»

Derek provò a ricordare dove le sue cuginette umane nascondessero i propri diari – Laura li cercava sempre per leggerli, perché era un po’ bastarda dentro e non poteva fare a meno di approfittare dei propri sensi sviluppati per scovare l’introvabile – e aprì prima i cassetti della scrivania per cercare un possibile doppio fondo. «Lydia, potresti controllare se c’è un doppiofondo nel cassetto della biancheria?» domandò proseguendo la ricerca.

«Lo faccio io» si propose Stiles. Derek gli rivolse un’occhiataccia. «Perché no?!» Fu la volta di Lydia di guardare Stiles come a chiedergli se fosse serio; lui dovette finalmente intuire che non era galante da parte di un uomo mettersi a frugare fra le mutandine e reggiseni di una donna, e si arrese mettendo le mani avanti e tornando a frugare fra le mensole della libreria.

Non avendo successo alla scrivania, Derek osservò le pareti alla ricerca di un quadro dalla cornice abbastanza spessa e cava dietro cui potesse nascondersi magari una piccola agenda, ma poco dopo Lydia alzò in alto una mano sventolando un diario dalla copertina lucida e rossa. «Trovato!» esclamò rialzandosi dal pavimento.

Quell’oggetto poteva essere carico di voci che Lydia avrebbe potuto sentire, se la ragazza aveva scritto sulle sue pagine sotto l’influenza dello spirito. «Senti niente?» le chiese Derek indicando il diario con un cenno del mento.

Lei si concentrò stringendo l’agenda al petto. «Uhm, niente. Cioè…» si morse un labbro e provò a concentrarsi di nuovo, «forse qualcosa c’è, ma non si tratta di voci o sensazioni: sento che non c’è niente da sentire» borbottò stranita aggrottando la fronte. «Avverto che c’è un tocco strano, sovrannaturale, ma allo stesso tempo che questa traccia non mi dirà niente rispetto a quello che già so».

«O forse» aggiunse Stiles, «non ti dirà niente in più rispetto a quello che troverai già scritto» puntò un dito contro la copertina.

«Probabile» concesse Lydia, sedendosi sul letto; poi con mano esitante accarezzò un grosso orso di peluche posato accanto al cuscino – aveva l’aspetto morbido e al collo aveva un grosso fiocco fatto di un nastro a quadretti. Derek capì l’esitazione di Lydia: la vittima poteva aver stretto il pupazzo in un momento di stress, poteva farle sentire delle voci, ma da come le spalle della ragazza si afflosciarono dopo la prima carezza, Derek intuì che ciò non avvenne.

Lydia strinse l’orso al petto e aprì il diario per iniziare a leggerlo, lui e Stiles continuarono a frugare per la stanza.

«Abbiamo ancora poco tempo» li avvertì Lydia poco dopo, con il cellulare in mano, «Melissa manda a dire che i genitori hanno lasciato l’ospedale circa due minuti fa». Sfogliò più veloce l’agenda. Era molto accigliata, però.

«Hai letto niente di interessante, finora?» ribatté Stiles.

«Non direi proprio "interessante"» replicò sovrappensiero continuando a leggere, «forse più che altro triste e molto strano… Questa ragazza ha incoraggiato la sua migliore amica a fare una mossa verso il ragazzo di cui quest’ultima era cotta da anni, e quando i loro piani hanno cominciato ad avere successo lei si è resa conto che l’ha aiutata perché in realtà voleva tanto vederla felice…»

Stiles la fissò perplesso e stupito. «E che c’è di strano in questo? Io stesso ho aiutato Scott in passato…»

Lydia si mordicchiò un labbro e malinconica alzò lo sguardo verso di lui. «Lo hai fatto perché sentivi che ti completasse e che la sua felicità era la cosa per te più importante? L’hai fatto perché ti sentivi devoto a lui e quando hai iniziato a vederlo finalmente felice con qualcun altro hai capito che hai fatto tutto ciò perché ne eri innamorato

Né Stiles né Derek risposero a quella domanda, perché quella situazione era fin troppo simile a quella in cui si era imbattuti l’altro giorno. Erano attoniti.

«Quando tempo fa ha iniziato a comportarsi così?» incalzò Derek, pragmatico.

Lydia sfogliò il diario all’indietro. «Non più di due settimane fa, ma c’è dell’altro: lei stessa dice di non essersi mai sentita attratta da una ragazza prima d’ora… cioè, questo non le ha creato alcun problema, però si è chiesta come mai non le fosse mai successo in precedenza di avere almeno delle fantasie omosessuali…»

«Beh» sospirò Derek, «se lo spirito l’ha influenzata, l’avrà spinta ad andare oltre le sue preferenze sessuali» ipotizzò; poi notò di sottecchi che Stiles stava fissando qualcosa alla finestra, e stava pure sviluppando un certo senso di panico e ansia. Si avvicinò a controllare cosa avesse visto.

Sul davanzale c’era un piccolo vaso di ceramica in cui c’era piantato un geranio fuxia dai rami che pendevano verso il basso; le foglie erano lucide e di un bel verde brillante e la loro forma ricordava quella di un’edera.

«È un’edera» disse Stiles con voce flebile, puntando un dito contro la pianta.

«No» obiettò Derek, sicuro, «è un geranio. Forse di tipo rampicante o qualcosa di simile, ma è un geranio».

«Sì, ma guarda bene le foglie» insisté, «non noti che alcune sono diverse? Ai rami c’è intrecciato qualcos’altro…»

Solo allora Derek si accorse che in effetti in un paio di rami le foglie a forma di edera si alternavano a delle foglie verdi a forma di goccia. «Un’altra pianta?» si stupì, anche se ancora non capiva cosa Stiles stesse cercando di dir loro. Lydia si avvicinò per osservare meglio il vaso.

«Questa è l’edera» precisò Stiles indicando una delle foglie a goccia. «Ma è tecnicamente impossibile che un’edera cresca così, in un ambiente perlopiù chiuso e condividendo lo stesso spazio con un’altra pianta dal fusto poco rigido. Non è normale. Lydia…» si rivolse a lei facendo cenno con una mano di essere in procinto di toccare le foglie dell’edera e con l’altra indicò di fare silenzio. Lydia intuì e gli annuì concentrandosi.

Non appena Stiles sfiorò la pianta facendo vibrare una foglia a goccia, Lydia rivolse loro la solita espressione che faceva sempre quando sentiva delle voci, e spintonò lui e Derek per farsi spazio e toccare lei stessa le foglie – a cui nel frattempo Stiles scattò prontamente delle foto col cellulare.

Derek però non ebbe il tempo né di chiedere a Lydia cosa le stessero dicendo le voci, né di domandare delucidazioni a Stiles, perché sentì un’auto imboccare il vialetto di fronte la casa.

«Sono arrivati i genitori!» avvertì i ragazzi con un sibilo.

Lydia riprese il diario dal letto, forse nell’idea di rimetterlo a posto, ma presa dal panico lo passò a Stiles come fosse una patata bollente, che a sua volta colto dalla confusione si guardò più volte intorno e infine sollevò l’orlo della propria maglia infilandoselo fra un fianco e la cintura dei jeans. Lydia sprimacciò il cuscino del letto e batté le mani sulle coperte nel vano tentativo di lisciarle alla meglio. Sembravano usciti da una sit-com e non c’era nulla da ridere.

Derek aprì la finestra. «Saltiamo giù!» suggerì, sentendo di sotto l’auto fermarsi all’ingresso. «Lydia, ti afferrerò io!» le disse prima di buttarsi verso il giardino sul retro della casa.

Una volta atterrato, rialzò lo sguardo verso l’alto allargando le braccia per invitare Lydia a imitarlo, ma lei lo stava fissando atterrita.

Stiles sbottò agitato. «È giunta l’ora di mettere a frutto le lezioni che ti hanno dato i ragazzi!» lo sentì dire Derek. «E cosa dicevamo a proposito delle scarpe con i tacchi alti?» Derek lo vide abbassarsi e subito dopo Lydia mise le mani sul davanzale come per mantenere l’equilibrio su un piede; quando Stiles si rialzò, lanciò con malagrazia fuori dalla finestra le scarpe di Lydia, colpendo Derek.

«Stiles!» sibilò lui sottovoce.

«Sto solo cercando di aiutarvi!» gli replicò stizzito e gesticolando.

Lydia respirò a fondo per calmarsi e poi con più eleganza possibile saltò giù: Derek la prese in braccio al volo. Poco dopo sentirono un grosso tonfo e un paio di imprecazioni. Stiles era atterrato.

«Grazie dell’aiuto» biascicò loro Stiles fra i denti, «mi sono solo rotto una decina di ossa».

«Potevi aspettare che…» ma Derek non ebbe tempo di continuare la frase, perché sentì i genitori gridare allarmati e minacciosi verso degli intrusi, loro.

«Corriamo!» disse a Stiles, rigirandosi Lydia fra le braccia per potersela caricare in spalla.

«Derek!» squittì lei indignata e dandogli un pugno sulla schiena.

«Così andiamo più veloci» si giustificò continuando a correre. «Stiles?» e si voltò appena per controllare che lui li stesse seguendo.

«Tranquilli, ho le scarpe!» gli replicò affannato, agitando le preziose proprietà di Lydia che teneva in mano. Derek avrebbe voluto urlargli che era un idiota, se solo fosse stato il caso di perdere tempo.

Arrivati in macchina salirono in fretta e furia e partirono a tutta velocità. Per dei lunghi minuti restarono in attonito silenzio, ancora carichi di adrenalina.

Stiles tirò su col naso. «Certo che facciamo davvero schifo come topi d’appartamento: manchiamo di stile».

«’Sta zitto, Stiles» esalò Derek, stanco, e dopo aver controllato che nessuno li stesse seguendo accostò per fare il punto della situazione con più calma. «Allora» si voltò verso Stiles, seduto sul sedile passeggero, «cosa c’entra secondo te quell’edera?»

Lui gli rivolse uno sguardo serio e acuto. «Ti ricordi l’edera che c’era alla casa di riposo?» Derek ci rifletté sopra qualche secondo e poi gli annuì. Poi Stiles si voltò verso Lydia. «E tu ti ricordi l’edera che abbiamo visto ieri, quella attorcigliata alla cassetta delle lettere?» Gli annuì anche lei; lui prese il proprio cellulare e continuò a parlare. «Cercate su internet "hedera helix", l’edera comune, e controllate se ne esiste una specie uguale a quelle che avete visto».

Si misero all’opera in silenzio e con ansia, e poco dopo fu Lydia a parlare per prima con tono biascicato e un po’ preoccupato. «Trovata. Edera Cuore D’Oro» voltò lo schermo del cellulare verso di loro per mettere in mostra una foto della pianta.

«Edera Ghiacciata» mormorò subito dopo Derek, non meno preoccupato di Lydia e imitando il suo gesto con il proprio cellulare.

Stiles assentì deglutendo a stento e girò anche lui il proprio cellulare verso loro. «Edera Lacrima». Era l’edera che avevano visto pochi minuti fa.

Lydia fissò Stiles perplessa, ma non meno in ansia. «Come hai fatto a intuire il collegamento e che appartenessero alla stessa specie?»

Lui le rispose sorridendo amaro e rigido. «Il collegamento è un azzardo, ma che appartengono alla stessa specie l’ho ipotizzato perché qualche giorno fa ho fatto delle ricerche proprio sull’edera comune e ho scorso veloce le sue specie». Fissò lo sguardo in quello di Derek. «Quella che è cresciuta davanti casa mia è l’Edera Ranuncolo».

Derek non pronunciò neanche una sola parola, serrò la mascella e mise in moto per correre subito verso casa Stilinski. Lì vivevano solo due persone, e Stiles era in forma perfetta al momento, nonostante l’edera fosse lì da settimane: andando per esclusione la vittima poteva essere solo lo sceriffo.

Lydia si protrasse in avanti e mise una mano sulla spalla di Stiles per rassicurarlo – lui aveva portato il cellulare all’orecchio e stava chiamando suo padre. «Vedrai che starà bene. Sistemeremo tutto» gli mormorò piano; lui gli annuì con gli occhi lucidi.

Derek sentì lo sceriffo rispondere sereno alla chiamata, Stiles gli chiese come stesse, mascherando bene la propria preoccupazione, ma non ci fu nulla di strano nel modo in cui l’uomo rispose alle domande del figlio, che non gli rivelò nulla dell’Edera Ranuncolo, almeno per il momento.

Stiles salutò il padre proprio quando accostarono di fronte casa sua e scese subito dall’auto correndo verso il punto in cui cresceva l’edera; Derek lo seguì con Lydia alle calcagna.

Lydia ancora non aveva visto la pianta, ma Derek sì e restò sbalordito nel vedere come fosse all’improvviso seccata e che ai suoi piedi adesso prosperassero dei rami di non ti scordar di me. Proprio come quelli che avevano visto il giorno prima accanto a quella cassetta della posta.

«Che significa questo?» mormorò Stiles, confuso e tremante.

Lydia si accovacciò a terra e con gesti decisi toccò subito i rami secchi e poi i non ti scordar di me. «Non mi dicono niente» disse frustrata, «come non mi hanno detto niente ieri quell’edera secca e quegli altri non ti scordar di me, e li ho toccati».

«Eppure» aggiunse Derek, «abbiamo trovato delle specie di edera comune ovunque e poco fa quelle foglie ti hanno fatto sentire delle voci».

Stiles si passò le mani fra i capelli e sembrò tornare a essere più lucido. «Dobbiamo avvertire Scott e Kira: stavano facendo un sopralluogo a casa della ragazza suicida». Si diresse verso casa e Derek lo seguì portando il proprio cellulare all’orecchio e inoltrando una chiamata.

Stiles invitò dentro lui e Lydia; Scott rispose dopo parecchi squilli. Lui e Kira dovevano aver accostato in moto sul ciglio della strada, perché Derek sentì parecchi rombi di motore di sottofondo. Chiese loro se fossero già stati alla casa della prima vittima e alla risposta positiva, per non allarmarli, domandò loro solo di tornare indietro e verificare se nei pressi ci fosse un tipo di edera e di fotografarla, poi avrebbero spiegato loro tutto.

Stiles si sedette al tavolo della cucina e si passò stancamente le mani sul volto. «Questa situazione è più incasinata di quanto pensassimo». Lydia si sedette al suo fianco e gli accarezzò una spalla abbozzando un sorriso comprensivo.

Derek respirò a fondo e incrociò le braccia sul petto appoggiandosi di schiena al muro. «Cosa sappiamo sull’edera comune?»

«Era uno dei simboli di Dionisio» rispose Lydia, «nel suo caso rappresentava l’innocenza, la spensieratezza del suo essere».

Derek si accigliò «Ma non era anche il dio del vino?»

Stiles sbuffò una risata amara. «Era anche quello della liberazione dei sensi, ma guardacaso dal vino si può sviluppare una dipendenza, e uno dei significati dell’edera è proprio questo, dipendenza».

«O l’essere amanti» aggiunse Lydia deglutendo a fatica, «perché il modo in cui s’intreccia alle cose per crescere ricorda il modo in cui i corpi di due amanti s’intrecciano».

E questo già la diceva lunga sullo strano stato di dedizione e forse dipendenza in cui si erano ritrovate le vittime. Derek si massaggiò la fronte, stanco. «E i non ti scordar di me?»

Fu Stiles a rispondere, con voce roca e sguardo basso. «Vero amore». Si schiarì la voce. «Significano vero amore. Esiste più di una storia legata al perché del loro nome» spiegò gesticolando, «ma quella che credo essere più vicina al nostro caso è quella di origini austriache e che riguarda due innamorati». Trasse un sospiro profondo e iniziò a raccontare.

«Si narra che un giorno, mentre una dama e il suo cavaliere camminavano lungo il Danubio, lei vide sulla riva dei piccoli fiori azzurri; lui provò a raccoglierli per lei ma finì dentro al fiume: prima di morire trascinato dalla corrente, le urlò "Non ti scordar di me"». Si scrocchiò nervoso le nocche delle mani, fissandosele. «Da allora quei fiori azzurri hanno preso quel nome e simboleggiano l’amore vero, quello che non viene dimenticato neanche dopo la morte».

Lydia aggrottò la fronte e arricciò il naso. «Non possiamo però farci scoraggiare da così tanta positività, no?» ironizzò con un velo di amarezza.

Stiles sbuffò una risata aspra passandosi di nuovo le mani sul volto. «Non saprei…» sospirò stanco, posando sul tavolo il diario che aveva tenuto nascosto contro la cintura dei jeans fino ad allora. «In questa storia ci sono cose che non hanno alcun senso e altre sì. Papà sta bene» aggiunse con voce tremante, «ma non possiamo ignorare le coincidenze che vanno oltre l’Edera Ranuncolo e i non ti scordar di me: ha iniziato una storia con Melissa proprio adesso. Se davvero questo è solo il frutto dell’influenza di uno spirito…» Non riuscì a finire la frase, emise un lamento di frustrazione nascondendosi il volto fra le mani e Lydia l’abbraccio di lato poggiando la testa sulla sua spalla.

Derek fissò le mani di Stiles continuare a tremare e pensò che in vita sua non si era mai sentito così dannatamente inutile.

Quando sentirono il rombo della moto di Scott, Derek corse ad aprirgli.

«Che succede?» chiese loro Scott col fiatone e con ancora il casco fra le mani. Kira era alle sue spalle e li stava fissando tutti con apprensione.

«Avete trovato un’edera?» chiese Derek spicciò.

«Sì» gli rispose Kira, allungando verso di lui il proprio cellulare per mostrargli una foto.

Derek cercò veloce su internet una hedera helix che somigliasse a quella, verde chiaro e con le foglie dalle punte sottili e dritte come indici della mano – somigliava all’impronta di una zampa di uccello. Non seppe se sentirsi deluso o meno quando ebbe un riscontro positivo. «Edera a Punta D’Ago» biascicò, rimettendo il proprio cellulare in tasca e ridando a Kira il suo.

Scott guardò Lydia e Stiles quasi supplicante. «Aggiornamenti sulla situazione?»

Spiegato a Scott e Kira cosa avevano scoperto finora, l’argomento si spostò su ciò che invece avevano trovato loro due.

«Questo potrebbe avere senso» disse Kira, «se lo confrontiamo con ciò che io e Scott abbiamo visto nella cronologia del browser del computer della ragazza suicida».

«Cioè?» la spronò Stiles.

«Scott diceva che c’era un’alta concentrazione di stress attorno al computer» gli spiegò, «così ho pensato che se nonostante ormai fossero passati così tanti giorni c’era una traccia molto persistente, allora magari lei aveva trascorso parecchio tempo sulla tastiera a fare delle ricerche, a cercare delle risposte».

«E avete scoperto…?» incalzò Stiles.

Scott gli rispose atono. «Quella tizia aveva parecchi problemi, amico, o forse se li stava creando».

«O forse ancora» aggiunse Kira, «non ha preso bene l’influenza dello spirito: non capiva come mai tutto di un tratto si sentisse attratta da un ragazzo, visto che non aveva mai avuto dubbi sulla propria omosessualità» concluse flebile.

Scott si passò una mano fra i capelli. «Abbiamo visto che ha consultato parecchi siti e forum, non è neanche finita in posti molto belli… Non siamo risaliti ai consigli che le hanno dato, ma visti i risultati direi che non le hanno suggerito nulla di buono».

Stiles aggrottò la fronte. «Si è uccisa perché non accettava la propria eterosessualità? O… bisessualità?»

«Purtroppo non è così strano» sospirò Derek, «pensa a tutti i ragazzi che negano la propria omosessualità fino a compiere lo stesso atto estremo».

«In più» aggiunse Kira dispiaciuta, «nel suo caso è accaduto tutto all’improvviso e lo spirito le ha fatto provare delle emozioni più intense del normale».

Stiles sospirò esaurito massaggiandosi le tempie. «Quindi in sostanza abbiamo uno spirito che influenza le persone affinché cerchino qualcuno a cui dedicarsi e/o di cui innamorarsi».

Lydia concordò annuendo. «Delle persone che si sentono sole» sottolineò. «Poco fa le voci che ho sentito quando hai sfiorato l’edera mi hanno detto di nuovo le stesse cose a proposito della solitudine».

«E questo spirito» continuò Derek, «fa innamorare le persone senza rispettare le loro preferenze e forse chissà quanti altri limiti» concluse pensoso e poco positivo a riguardo.

Scott aggrottò la fronte. «E se queste persone non vengono ricambiate… muoiono?»

«Si lasciano morire» lo corresse Stiles monocorde, «perdono il loro obiettivo, il centro della loro dedizione e quindi il motivo per continuare a vivere. Mi sa che soffrono anche la lontananza fisica dalla persona che amano».

Kira perplessa scorse le foto che aveva fatto all’edera. «Quindi questa pianta cresce nei posti in cui ha agito?»

Stiles ciondolò la testa. «Più o meno. Resta da capire perché in alcuni casi muoia e al suo posto nascano dei non ti scordar di me».

«Nessuna idea su che tipo di spirito possa essere?» domandò Scott speranzoso.

Fu Derek a rispondergli. «Io e i ragazzi abbiamo trascorso gli ultimi mesi a leggere tutti i libri che ho trovato: avessimo delle ipotesi valide le avremmo già esposte».

«Abbiamo bisogno di aiuto» sentenziò Stiles, atono ma sicuro.

«Deaton?» propose Scott speranzoso.

Derek scosse la testa. «Se avesse saputo qualcosa sugli spiriti che causano sintomi simili, ci avrebbe già aiutato a restringere il campo delle indagini».

«Forse» azzardò Kira, anche se un po’ indecisa, «dovremmo consultare qualcuno che ha vissuto molti più anni di noi, qualcuno che ha molta più esperienza diretta e indiretta di Deaton con il sovrannaturale».

Scott la guardò inarcando un sopracciglio. «Tua madre?»

Lei scosse la testa. «Non mi fido di lei» replicò ferma. «Ogni volta che mi racconta qualcosa di passato che riguarda anche lei come kitsune sento che nonostante tutto continua a nascondermi dei dettagli. E non credo che sia appropriato coinvolgerla nelle nostre attività di branco» concluse rivolgendo una breve occhiata di sottecchi a Stiles.

Derek la capiva: Kira non voleva sua madre fra i loro piedi una seconda volta, non dopo che la donna aveva dimostrato di non avere remore nell’uccidere Stiles pur di eliminare la nogitsune.

«Allora chi suggerisci?» le chiese Stiles incuriosito.

Derek intuì la risposta e ghignò appena proprio mentre Kira pronunciava il nome. «Ryu».

La proposta non fu accolta con dei dissensi o da un senso di sorpresa, in fondo quel ragazzo si era fatto ben volere e sembrava un tipo più o meno a posto, o quanto meno normale – per quanto una kitsune centenaria potesse essere normale.

Derek scommetteva che Lydia sarebbe stata anche ben più che felice di rivederlo.

Scott passò in rassegna con lo sguardo i volti e le espressioni di tutti e poi esalò rassegnato. «Ok, contattiamo lui. Se non avremo alcun risultato, allora dovremo rivolgerci a Noshiko». Kira annuì a labbra strette.

Dopo di che, gli occhi di tutti puntarono verso Lydia, che li fissò a sua volta con fare annoiato. «Che c’è?» chiese loro.

Derek inarcò un sopracciglio fissandola come a chiederle se stesse scherzando o se per caso fosse davvero stupida.

Lei sbuffò e prese il proprio cellulare dalla borsa. «E va bene, ho capito: lo chiamo io» si lamentò come le costasse fatica, e si alzò per recarsi nella stanza accanto per avere almeno una parvenza di privacy, visto che in cucina c’erano due licantropi.

Non c’era bisogno di girarci attorno: che fosse Lydia a contattare per prima Ryu era solo mera strategia per rendere il ragazzo più interessato.

Decisamente non erano un branco di santi.

Derek si appoggiò allo stipite della porta e ascoltò Lydia spiegare con tono pragmatico a Ryu quello che stava succedendo a Beacon Hills, aggiungendo accorata che il padre di Stiles a quanto sembrava era anche una vittima e che quindi se Ryu poteva in qualche modo aiutarli sarebbe stato grandioso.

Ryu durante tutto il racconto di Lydia era rimasto stranamente silenzioso, si era limitato ogni tanto a emettere un borbottio di assenso, e quando lei finì di parlare le chiese con tono fermo ma gentile se poteva metterlo in viva voce con tutti.

Lydia tornò in cucina e posò il cellulare al centro del tavolo. «Adesso ti sentiamo tutti» annunciò a Ryu.

Ci fu un breve coro di scambi di saluti, poi Ryu iniziò a parlare.

«Stiles, amico, sei lì anche tu?»

«Sì, ti sento forte e chiaro» ironizzò lui, un po’ amaro.

«Allora, per prima cosa sappi che tuo padre è fuori pericolo, ok?»

Derek vide Stiles trattenere il fiato.

«Come fai a esserne così certo?» insisté Stiles.

«L’edera è seccata, sono sorti dei non ti scordar di me ma lui sta benissimo e attualmente frequenta una donna, giusto?» riassunse Ryu.

«Sì» gli confermò Stiles.

«Quindi posso dirti con sicurezza che è tutto a posto: è vero che tuo padre è stato sotto l’influenza di uno spirito, ma adesso questa influenza è finita perché l’obiettivo voluto da quell’essere è stato raggiunto».

Stiles aggrottò la fronte. «E qual era quest’obiettivo?»

«Che tuo padre non si sentisse più solo». Derek notò Stiles deglutire a stento, poi Ryu riprese a parlare. «Lui adesso è felice e, dato che l’influenza si è conclusa con dei sentimenti ricambiati, sono nati dei non ti scordar di me al posto dell’edera».

Scott non era convinto. «Ma questi sentimenti non sono comunque un’illusione frutto dell’influenza?»

«Non esattamente» lo corresse Ryu. «Vedi» gli spiegò schioccando la lingua, «la cosa essenziale che dovete sapere riguardo questo spirito è che nella maniera più assoluta non intende fare del male, solo che visto che ragiona seguendo le regole della natura e non quelle della civiltà, finisce col far soffrire le persone, e più morti provoca in modo involontario, più si sente disperato e cerca altre persone da aiutare, alimentando così un circolo vizioso» sospirò stanco.

«Però» proseguì Ryu, «proprio perché non intende far del male a nessuno, non spinge le sue vittime a dedicarsi a persone che potrebbero renderle infelici e insoddisfatte: le indirizza solo ed esclusivamente verso quella che è la loro potenziale "altra metà". Trattandosi però solo di teoria, di potenziali anime gemelle» sottolineò marcando bene le parole, «e per giunta secondo dei calcoli fatti seguendo le regole della natura, non sempre questi accoppiamenti hanno successo, ma quando invece ce l’hanno…» sospirò di nuovo e si sentì un sorriso nella sua voce, «beh, è tutto vero, perché stiamo parlando di un potenziale preesistente all’influenza sovrannaturale».

Stiles aveva gli occhi lucidi. «Ne sei proprio certo?»

«Al 100%, stai tranquillo, amico! I non ti scordar di me in questa situazione nascono al posto delle edere solo in due casi: quando la vittima non viene ricambiata e si lascia morire, ma soltanto adesso che lei non c’è più l’altra persona capisce che nel bene e nel male non potrà mai dimenticarla, e nel secondo caso – quello di tuo padre – quando l’influenza finisce perché l’obiettivo è stato raggiunto».

«Ok» esalò Stiles, rilassando le spalle anche se con ancora gli occhi lucidi, «mi hai convinto».

Sentirono Ryu sbuffare un sorriso. «Scott?» chiamò poi a gran voce.

«Sono qui, dimmi tutto» gli replicò l’alpha con un pizzico di ironia.

«Avete fra le mani una gran bella gatta da pelare» commentò Ryu sullo stesso tono.

«Eh, lo sto notando!»

«Sto pensando di raggiungervi domani in tarda mattinata e di spiegarvi tutto per bene di persona» propose; non ne rimasero sorpresi – Derek accennò un mezzo ghigno – anche se Scott sembrò giustamente un po’ incuriosito dalle sue motivazioni.

«Come mai non vuoi dirci tutto per telefono?»

«Scott, amico» cantilenò Ryu con ironia e un po’ di malizia, «lo so che sto parlando con un licantropo alpha, e tu lo sai che qui dall’altro capo della linea c’è una kitsune: come può un lupo fidarsi di una volpe che non vede e di cui non sente i battiti cardiaci? Ti sto venendo incontro».

Derek alzò gli occhi verso Scott e non si meravigliò quando vide che lui stava proprio aspettando che i loro sguardi s’incrociassero. Si scambiarono una breve serie di piccoli ghigni ironici e di circostanza e dei cenni di assenso: mai fidarsi di una volpe, Ryu avrebbe voluto senza dubbio qualcosa in cambio del suo aiuto, ma conoscendo la sua storia e il suo essere restio agli scontri e alle guerre – era rimasto nascosto perfino durante la seconda guerra mondiale – decisero che anche se non potevano fidarsi di una volpe, potevano concedersi di correre il rischio di credere a un tizio che aveva tatuato lo spartito di Innuendo sul braccio – nel loro branco di tatuaggi eccentrici se ne intendevano.

«Ok» esalò Scott, «ti aspettiamo».

«A domani, allora! Ciao!» li salutò entusiasta.

Erano tutti visibilmente un po’ meno abbattuti dopo quella chiamata, anche se adesso che un po’ di ansia era scivolata via la stanchezza si stava facendo sentire.

«Dovremo aggiornare tuo padre» disse Scott a Stiles; lui gli rispose assentendo e passandosi le mani sul volto con un grosso sospiro rumoroso. «Io andrò a parlare con Deaton» li informò, riprendendo il casco da dove l’aveva lasciato e voltandosi a domandare a Kira se voleva essere riaccompagnata a casa da lui.

Lydia si avvicinò a Derek posandogli una mano sul braccio. «Io preferirei restare qui per un altro po’» gli mormorò, indicando Stiles con un piccolo movimento della testa. Anche se lo sceriffo era fuori pericolo, Stiles era ancora abbastanza stressato, Derek capiva bene le intenzioni di Lydia.

Le annuì. «Io torno a casa, vorrei consultare alcuni dei nostri libri sugli spiriti attratti dalla solitudine e dall’innamoramento. Se ti va puoi raggiungermi stasera» aggiunse, anche se non c’era bisogno di renderlo esplicito: Lydia sarebbe andata da lui comunque, e infatti gli assentì abbozzando un sorriso stanco a labbra strette.

Derek stava per fare un saluto generale a tutti per andarsene, quando ricordò un piccolo particolare. «Stiles?» lo chiamò. «Puoi seguirmi un attimo alla macchina?» Il ragazzo restò sorpreso e perplesso, ma lo accontentò senza alcuna esitazione.

Giunti all’auto, Derek aprì lo sportello e prese il libro comprato da dove l’aveva nascosto, glielo porse.

Stiles fissò la copertina aggrottando la fronte e boccheggiando, incerto se prenderlo o meno.

Derek sospirò paziente e spinse il libro verso di lui. «So che ti piace – ho notato gli altri volumi della saga in camera tua – e ho visto che la libreria di fronte la palestra dove lavoro aveva in vetrina l’avviso dell’uscita del nuovo libro, ma non ne avevi parlato in questi giorni, nonostante di solito tu sia un fiume di parole senza fine sulle cose che ti appassionano, così…» allungò la mano per invitarlo di nuovo ad accettare l’offerta, «ho pensato che con tutto quello che sta succedendo tu non avessi avuto tempo per comprarlo o te ne fossi dimenticato».

Stiles sembrava senza parole, sorrideva un po’ impacciato ma contento mordicchiandosi un labbro; prese il libro fra le mani e ne accarezzò la copertina con i pollici.

«È un regalo» precisò Derek. «Magari utilizzalo per distrarti un po’, stasera».

Stiles continuò a fissare la copertina, più che sorpreso sembrava attonito e un filo malinconico. «Sai questo cosa mi ricorda?»

«No, cosa?»

«Che è passato un anno da quando ho comprato il libro precedente della saga. E non l’ho ancora letto». Sorrise amaro. «Sono successe così tante cose che…»

«Stiles, mi dispiace se per caso ti ho ricordato che…»

«No, no!» lo interruppe scuotendo la testa e incrociò le braccia stringendo il libro al petto. «Non è come pensi, non mi stai riportando alla mente qualcosa di brutto… solo un amichevole sollecito a ricordare che, se ne ho voglia, ho ancora degli hobby normali, che posso distrarmi ancora leggendo di storie con eroi che combattono mostri, invece che combatterli io nel mondo reale». Scrollò le spalle. «Mi è mancato questo, e non sapevo neanche che mi stesse mancando».

«Hai solo diciotto anni» ribatté Derek, «nonostante quello che ci sta accadendo è giusto che tu viva ancora le stesse cose che vivono i ragazzi della tua età». E c’era da dire che Stiles con quel libro stretto al petto, le mani quasi del tutto coperte dalle maniche della felpa, stretto nelle spalle e con sul viso un sorriso un po’ goffo, malinconico ma contento sembrava più adolescente di quanto in quell’ultimo anno lo fosse mai sembrato.

Faceva un po’ male al cuore guardarlo, o almeno lo faceva a quello di Derek.

«Grazie» mormorò Stiles schioccando la lingua. «Per il libro, per essere venuto alla nostra ultima partita di lacrosse, per…» sospirò e continuò l’elenco a testa china, «per aver aiutato Lydia, per averci aiutato a far sentire Kira a suo agio in un mondo che non conosceva e nel branco, per notare sempre come stiamo e… per essere rimasto» sottolineò ancora una volta. «Non eri sul serio costretto a restare».

«Stiles…» provò a ribattere, ma lui lo fermò dal proseguire.

«E grazie di concederti di fare cose carine per gli altri come questa» indicò il libro con un cenno del mento. «Una volta tanto è bello vederti dimostrare quello che pensi di qualcuno non salvandogli la vita ma solo facendo qualcosa di carino per lui… è più… normale».

Derek sbuffò un sorriso e scosse la testa. «Lydia sottolinea sempre come sia giusto comportarsi da persone normali».

«Amico» ribatté Stiles ironico inarcando un sopracciglio, «ammetterai che l’espressione "normale" in genere ti si addice poco, perlopiù sei estremo e costipato: mi piaci quando provi a essere normale comprando dei regali» e ciondolò le braccia in modo infantile per accennare di nuovo al libro.

Lui roteò gli occhi e riaprì lo sportello dell’auto. «Non farmene pentire».

«Noi andiamo!» sentirono Kira dire a gran voce alle loro spalle; si voltarono e salutarono lei e Scott agitando un braccio; Lydia doveva essere ancora dentro casa.

Derek salì in macchina e Stiles spinse lo sportello a chiudersi. «Domani manderò un messaggio a tutti, non appena Ryu mi avrà avvertito di essere arrivato» disse a Stiles; Ryu sapeva che i ragazzi andavano ancora a scuola, avrebbe contattato lui per prima.

«Ok, ci sentiamo presto». Stiles gli assentì sorridendo e Derek restò lì a fissarlo attonito per un paio di secondi che gli sembrarono infiniti.

Si accorse di non desiderare altro al mondo che vedere Stiles con quel sorriso sul volto, contento e un po’ malinconico, perché la malinconia si addiceva a Stiles: era sincera, rispetto a tutto il resto che esternava e mascherava col sarcasmo; era lui in ogni singola goccia e senza bisogno di difese. Quello che Derek stava vedendo in quel momento era Stiles senza addosso alcun muro cementato di ostinate pretese per proteggersi dal mondo e da chi non gli dava fiducia, ed era forse il tipo di persona che Derek stesso avrebbe voluto essere, se solo non avesse avuto così tante remore a lasciarsi andare. Prendersi cura di Stiles era di riflesso come prendersi cura di se stesso.

Era quello che voleva.

Erano più simili di quanto credesse.

Stiles aveva il…

Bloccò il flusso di pensieri, si congedò da Stiles con un ultimo cenno del capo, e con un’amara e sorprendente rivelazione mise in moto e corse verso il proprio appartamento.

Più si allontanava da Stiles, però, più si sentiva di nuovo addosso la strana frenesia di quella mattina, quella voglia di rincorrere qualcosa e dedicarsi a essa che portava una deviazione pericolosa nella sua abilità di concentrazione – non andava bene, stava faticando a guidare dritto. Voleva tornare indietro.

Che fosse nei guai, già lo sapeva, ma dopo tutto quello che nelle ultime ore aveva saputo restavano pochi pezzi da mettere a posto per avere il quadro completo della sua situazione: parcheggiò l’auto sotto il proprio palazzo e percorse tutto il marciapiede fino ad arrivare all’aiuola più prossima alle finestre del suo appartamento – situato un paio di piani più sopra.

Non restò sorpreso quando vide ciò che pensava di trovare.

Entrò nel condominio e prese l’ascensore, amareggiato e ancora incredulo, tenendo lo sguardo basso e spalancato; una volta aperta la propria porta, si tolse la giacca di pelle e si stese sul divano coprendosi gli occhi con un braccio.

Gli sembrava di sentire il Destino sghignazzare forte alle sue spalle.

Quella situazione era incredibile, asfissiante, dolorosa e deleteria. Non avrebbe mai più voluto trascinare nessuno nei suoi guai, ma grazie a questo sarebbe successo. E Dio, se si sentiva solo e impotente.

Una marea di sensazioni, idee e propositi che suonavano sia buoni che disperati – e che riguardavano tutti la stessa persona – gli invase la mente facendogli perdere il senso del tempo, e quando sentì la serratura della porta d’ingresso scattare e alzò il braccio dagli occhi restò stupito di vedere come ormai non entrasse più luce dalle finestre: era calata la sera da chissà quanto, probabilmente era passata anche l’ora di cena e lui non aveva fame.

Lydia entrò in salotto e accese la luce, lo guardò con gli occhi lucidi e un sorriso indulgente; lui non provò nemmeno a rialzarsi dal divano e a fingere di stare bene. Lei teneva fra le braccia del cibo d’asporto – cinese, intuì Derek dall’odore – ma fra le dita rigirava il picciolo di una foglia particolare.

Era larga e a cinque punte, di un verde scuro intenso e brillante, bordata di bianco. Lydia la posò con attenzione sul tavolino di fronte a Derek, mordendosi un labbro e continuando a sorridere triste.

«Anne Marie» gli disse, «questa specie si chiama così» continuò annuendo; poi alzò gli occhi verso Derek. «Vuoi parlarne, vuoi distrarti o vuoi rilassarti?»

Lui deglutì a stento. «Penso di volermi rilassare: mi servirà per mettere ordine fra le idee» ammise.

«Ok» esalò lei, sistemandosi un paio di ciocche di capelli dietro le orecchie. «Io…» gesticolò, «non sapevo quanto tu fossi già grave, se per caso stessi soffrendo già di inappetenza» schioccò la lingua fissando il cibo incartato e trattenendo in maniera affettata le proprie emozioni, «quindi ti ho portato da mangiare». Iniziò a scartare tutto con mani tremanti.

Derek, nonostante tutto, le sorrise intenerito. «L’hai capito da quello che ti ha raccontato lui» intuì. «Ti ha detto del mio regalo».

«Anche» assentì tirando su col naso e senza guardarlo. «Eri un po’ strano oggi, ormai ti conosco».

«Lydia» sospirò e si mise a sedere, «sono sotto l’influenza soltanto da un giorno. Sto ancora più o meno bene. Starò bene». Lei finalmente lo guardò dritto in faccia: aveva la mascella serrata nel tentativo di restare impassibile, ma stava piangendo. «Vieni qui» esalò Derek, facendole cenno di avvicinarsi.

Lei corse a nascondere la testa contro il suo petto. «Non posso perdere nessun altro di voi!» singhiozzò frustrata dandogli dei pugnetti contro la spalla. «Non posso perdere anche te!»

«Lydia…» le mise le mani sulle spalle per provare a calmarla.

«No!» Scosse la testa e si separò da lui artigliandogli con forza la maglia, lo fissò negli occhi, decisa e un po’ furente. «Io ti ho mostrato e dato le mie debolezze, tu mi hai mostrato e dato i tuoi tormenti: non si torna indietro, Derek, tu adesso fai parte della mia vita, io tengo a te, tu tieni a me e non esiste neanche l’idea di vederti morto! Perdere un migliore amico non è qualcosa che può succedermi un’altra volta!»

«Lydia…»

Lei gli strinse il viso fra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi. «Promettimi che se ti lascerò un messaggio, se ti chiederò di non fare qualcosa, tu mi seguirai alla lettera!»

«Lydia…»

«Promettimelo, Derek! Ho bisogno di sapere che questa volta il mio messaggio sarà letto e seguito!»

Le strinse piano le mani. «Te lo prometto, ok, Lydia? Te lo prometto: presterò attenzione ai tuoi consigli».

Lei sembrò calmarsi appena, riprese a parlare, anche se flebile. «Questo non può succederci di nuovo. Nessuno di noi merita questo».

«In qualche modo ce la caveremo anche questa volta» le mormorò provando a essere convincente.

Lei gli accarezzò il viso come a testare quanto stesse bene – o male. «Hai bisogno di dirlo a Stiles».

«Non voglio che lui si senta manipolato da me: dopo la nogitsune è l’ultima cosa che gli serve» obiettò sicuro e asciutto.

Lei lo guardò inflessibile. «Scegli: è meglio che lui lo sappia da te, o che lo capisca da solo? Perché sappiamo bene entrambi che sarà questione di giorni e lo capirà da solo, e come pensi che si sentirà quando saprà che hai voluto tenerlo all’oscuro?»

Derek si passò le mani sulla faccia. «Penserà ancora una volta che la gente lo crede inaffidabile e debole?»

«Esatto».

«E tu» le replicò con una punta di amaro sarcasmo, «in questo momento stai giocando con i miei sentimenti, perché sai benissimo che ora come ora l’unica cosa che per me conta è come si sente lui».

«Precisamente» ebbe la sfacciataggine di ribattergli con un sorrisetto a labbra strette. «Quindi domani, dopo che Ryu ci dirà tutto quello che sa, parlerai da solo faccia a faccia con Stiles e gli dirai tutto».

«Va bene» esalò rassegnato. «Posso rilassarmi, adesso?» biascicò, provando a spezzare l’atmosfera.

Lydia nascose la testa nell’incavo del suo collo e tirò su col naso. «Sì, però il pollo alle mandorle è mio».

Derek rivolse lo sguardo al soffitto e si grattò la testa: di certo quella serata con Lydia non sarebbe stata più impegnativa del momento in cui avrebbe detto a Stiles che lui aveva il potenziale di essere il suo partner perfetto.



Ryu si presentò alla porta di Derek con un paio di Aviator e un sorriso abbagliante, più il solito abbigliamento di uno che sembrava essere appena tornato da un concerto degli Iron Maiden – Derek si chiedeva spesso come Ryu fosse sopravvissuto fino alla seconda metà degli anni Sessanta senza heavy metal, i Beatles e i Queen, e come stesse attualmente riuscendo a convivere con l’idea dell’esistenza di Justin Bibier.

Ryu si tolse gli occhiali da sole, infilandoseli nella tasca della giacca di pelle nera, e lo salutò con una calorosa e virile stretta di mano e mezzo abbraccio laterale con tanto di pacche sulle spalle; poi corse verso Kira, urlò «Ehi, volpacchiotta!» e la sollevò da terra facendola girare in tondo; lei ridacchiò contenta e lui la riposò a terra scoccandole un bacione sulla guancia.

Ryu scambiò con Stiles una buffa serie di presunte virili – o meglio infantili – strette di mano, riservò a Scott lo stesso accoglimento che aveva riservato a Derek – ma con in più un ironico e un po’ malizioso scambio di occhiate con flash di iridi rosse, da parte di Scott, e arancioni, da parte di Ryu – e infine si rivolse a Lydia con un inchino buffo e regale simile a quello che avrebbe fatto un giullare di corte.

«Principessa Leila» la salutò con tono morbido, e Derek notò come quel giorno l’acconciatura di Lydia guardacaso ricordasse quella di Leila – non era la prima volta che sentiva Ryu chiamare Lydia così. Lei strinse le labbra nel vano tentativo di reprimere un largo sorriso, e gli porse la mano rivolgendo gli occhi al soffitto; Ryu, dopo un elegante baciamano, posizionò sul tavolo il grosso borsone di pelle nera consunta che aveva con sé e si rivolse a tutti.

«Diamo inizio alle danze» sospirò; si tolse la giacca e prese il primo oggetto che aveva portato con sé, un tablet. «Se volete capire come annientare questo tipo di spirito, innanzi tutto dovete capire com’è nato».

Kira aggrottò la fronte e lo fissò perplessa. «Stai per raccontarci una tua storia d’amore in stile Casablanca?»

Ryu la guardò altrettanto confuso e scrollò la testa. «Non so cosa intendi, volpacchiotta, ma comunque no, niente storie d’amore in stile Casablanca, voglio iniziare da come nasce uno spirito simile soltanto perché mi sembra chiaro che qui ci troviamo davanti a un’anomalia».

Stiles inarcò un sopracciglio fingendo stupore. «Qualcosa di strano a Beacon Hills? Ma non mi dire!»

«Credimi» sospirò Ryu, cominciando a selezionare delle foto da mostrare loro, «alla fine della storia non vorrai più scherzare». Trasse un respiro profondo e cominciò a raccontare.

«A esser sincero questa è soltanto la seconda volta che sento parlare di uno spirito simile, e finora ne ho incontrato uno di persona una sola volta: in Croazia nel secondo dopoguerra, nella prima metà degli Anni Cinquanta».

«Che ci facevi li?» gli chiese Lydia incuriosita.

«Un viaggio per amor di scienza» le rispose mettendo in mostra la propria miglior espressione sicura e diretta; lei non batté ciglio e lo fissò inespressiva. «Ok, sono andato lì per vedere se potevo procurarmi del legno di particolari alberi millenari per costruire degli strumenti musicali» confessò schietto.

«Dovete sapere» continuò Ryu, «che anche se il Nemeton è raro nel suo genere, non è l’unico nella specie degli alberi a essere dotato di peculiarità sovrannaturali; ce ne sono perfino alcuni che nel corso dei secoli hanno accumulato talmente tanta energia naturale da diventare loro stessi quasi dei completi esseri senzienti: al mondo esistono più specie di alberi speciali di quante voi possiate immaginarne. E a questo proposito» si rivolse a Lydia, «Leila, tesoro, ricordami dopo di passarti una lista di collezionisti di libri antichi a cui potresti rivolgerti qualora tu volessi saperne di più». Lei alzò gli occhi al soffitto fingendo in modo palese di non essere interessata.

«Nel mio caso, però» proseguì Ryu, indicando loro una cartina storica dell’Europa sul tablet, «ero in particolar modo interessato agli alberi secolari e millenari dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo e a quelli delle sue isole, perché queste erano terre che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano sofferto molto».

Stiles intervenne pensoso. «Perché quegli alberi potevano aver assorbito la sofferenza della gente coinvolta negli scontri?»

«Esatto!» esclamò Ryu. «Non solo quegli alberi aveva sopportato e assorbito lo stress della natura sotto i bombardamenti, restando ancora una volta in piedi, ma avevano anche di certo preso il dolore dei popoli della terra su cui crescevano trasformandolo in energia: stava a vedere poi quanto avessero purificato questo dolore e quindi che tipo di energia avessero accumulato, ma comunque di sicuro valeva la pena osservarli da vicino».

«Trovasti qualcosa di interessante?» incalzò Derek.

«Altroché! Restai in Europa per quasi cinque anni, accumulando un bel gruzzoletto di strumenti musicali e delle preziose informazioni: attualmente sono ancora in contatto con dei branchi di licantropi spagnoli, greci e croati – o meglio con i loro eredi – fu un’esperienza fantastica! Ma tornando al punto di partenza» mostrò loro un’altra foto, «la specie di alberi a cui mi interessai per prima fu quella degli olivi».

«Nelle terre del Mediterraneo ci sono olivi di cui è davvero impossibile stimare l’età e di cui il minimo dell’anzianità calcolata è millecinquecento anni!» spiegò Ryu, entusiasta. «Sono una sorta di mostri sacri, perché se ci fermiamo per un attimo a riflettere da quanto tempo sono in piedi, possiamo dedurre che alcuni di loro abbiano visto il sorgere e lo svilupparsi delle più grandi civiltà umane, come… quella degli Antichi Romani, per esempio, e come sapete queste grandi civiltà non si sono espanse sempre in modo pacifico…» insinuò.

Stiles si grattò la testa. «Quindi gli olivi del Mediterraneo sono delle fottute batterie illimitate».

Ryu annuì. «E per questa ragione non puoi immaginare quanto le famiglie di vari tipi di mannari presenti attorno a un olivo millenario del Mediterraneo siano molto protettivi nei suoi confronti: i branchi del Mediterraneo hanno stipulato una lega esclusivamente per questi alberi, per difenderli da chi vorrebbe usarli male».

«E qual è l’inevitabile collegamento con il Nemeton che stai costruendo?» incalzò Stiles.

Ryu non si mostrò sorpreso dalla sua intuizione. «Non mi sarei mai, mai, mai aspettato che il Nemeton, una quercia plurisecolare per giunta abbattuta, avrebbe attirato a sé quella che la Lega dei Branchi degli Olivi Millenari ha definito "L’Edera delle Anime Sole"».

«Ero in Croazia» raccontò Ryu ancora, «accompagnato da alcuni licantropi italiani della lega, e stavamo facendo un’esplorazione di cui la meta finale era Sette Castelli» mostrò loro un’altra foto, ritraeva un albero gigantesco, «lì si trova questo olivo che ha circa più di millecinquecento anni, però, a un tratto… cominciarono a succedere cose strane come quelle che stanno succedendo qui a Beacon Hills» si grattò la testa al ricordo. «Non potevamo proseguire il viaggio, perché non sapevamo che origini avesse questa minaccia e in più uno dei ragazzi italiani cadde vittima dell’influenza. Non fu bello» scosse la testa arricciando il naso.

«Come mai?» chiese Lydia flebile, rivolgendo uno sguardo di sottecchi a Derek.

«Come vi ho già detto» spiegò Ryu, «questo spirito agisce secondo le regole della natura, non quelle dell’uomo e della sua civiltà, quindi le sue scelte non sono sempre le migliori. Dovete capire» sospirò gesticolando, «che questo spirito in realtà è una sorta di "seme" – più o meno corporeo – che viaggia seguendo il vento e quando percepisce un elemento naturale che ha raccolto o fa risuonare molto dolore umano… beh, questo spirito decide di mettere letteralmente radici lì per ristabilire l’Equilibrio portando un po’ di serenità».

«Quindi» riassunse Stiles, «il Nemeton, in quanto albero sovrannaturale presente in un posto dove sono successe parecchie cose brutte, ha attirato questo seme qui?» puntò il dito contro il tavolo.

«Direi di sì» confermò Ryu. «Non doveva succedere, perché il Nemeton non è un olivo, è una quercia ed è ormai ridotta a un ceppo, ma a quanto pare in questa città avete sofferto così tanto da spingere lo spirito a fare uno strappo alla regola…»

Stiles schioccò la lingua, sarcastico. «Che fortuna!»

«Questo però vi aiuterà a capire le intenzioni di questo spirito e a rintracciarlo» aggiunse Ryu. «Nei fatti è un’edera dalle foglie rossastre e brune simili a quelle di un acero, e mette radici in un posto qualsiasi del luogo a cui appartiene l’albero che l’ha attratta, ma è solita prendere anche l’aspetto di una giovane ragazza dai capelli biondi e gli occhi blu, vestita con abiti medievali e un mantello dello stesso colore dei non ti scordar di me».

Scott si stropicciò gli occhi, stanco. «Come possiamo sconfiggerla?»

«Dovete uccidere l’edera, o meglio dovete letteralmente trovarla ed estirparla, ma non sarà facile perché potrebbe essere ovunque: dalla riserva a un innocuo parco per bambini, da un’aiuola in un parcheggio di un supermercato a dietro l’ospedale, piuttosto che nel giardino del vostro vicino di casa!»

«Fantastico» biascicò Stiles atono.

«Ricordatevi che lei non intende far del male, è uno spirito del tutto altruista: non fa questo per proprio tornaconto e non capisce che sta agendo nel modo sbagliato. Fa parte della sua natura influenzare gli uomini affinché diventino devoti e dipendenti a quella che in teoria ha la potenzialità di essere "l’altra metà", "l’anima gemella", è il suo modo per incoraggiarli a cercare la propria felicità e a tornare ad amare e sperare ancora, non capisce che ciò non è giusto, ed essendo il motivo per cui esiste non può smettere di farlo».

«E meno risultati ottiene» ricordò Lydia, monocorde, «più continua a comportarsi così per disperazione».

«Esatto» assentì Ryu. «Considerate che i casi di vittime dell’influenza che state vedendo morire di certo non comprendono soltanto situazioni in cui la persona colpita non è ricambiata dal proprio potenziale, perché come vi ho detto prima questo spirito segue solo le leggi della natura: sulla carta la persona più affine a noi potrebbe non avere le nostre stesse preferenze sessuali, o essere venti o trent’anni più giovane o più vecchia di noi, o essere addirittura un nostro consanguineo, com’è successo al ragazzo che era con me in Croazia, che si è ritrovato innamorato della propria gemella».

Stiles storse il naso. «Mi ricorda quello che mi ha detto una volta Malia riguardo la non esistenza di bagni diversi per uomini e donne nella foresta: le regole sono diverse per gli animali».

Ryu scrollò le spalle. «La natura è fatta così, per lei l’incesto e l’omosessualità non sono un problema, e» distorse il viso in una smorfia di disgusto, «neanche la pedofilia».

«A proposito di quest’ultima possibilità» s’intromise Derek, «ci sono probabilità che le vittime diventino violente con i loro potenziali?» In realtà sperava che lui stesso non diventasse mai violento…

Ryu agitò una mano in cenno di diniego. «Assolutamente no: le vittime seguono la natura non violenta dello spirito, sono portate a desiderare soltanto la felicità dei loro potenziali, non farebbero mai del male a loro, né è loro intenzione spaventarli, ed è per questo che non troverete fra loro neanche degli stalker improvvisati». Derek rilassò appena le spalle.

Scott sospirò sollevato. «Almeno una buona notizia!»

Ryu allargò le braccia. «Se volete posso mettervi in contatto con i miei amici della Lega dei Branchi degli Olivi Millenari anche subito: purtroppo per loro non è raro affrontare situazioni simili, potranno darvi suggerimenti migliori dei miei».

Scott fissò Ryu assottigliando gli occhi e inarcando un sopracciglio. «Ammetto però che tanta generosità incondizionata da parte tua mi sta facendo sentire in debito con te, o per caso era proprio questa la tua intenzione fin dall’inizio?» insinuò ironico ma sospettoso.

Ryu non si mostrò né offeso né sorpreso. «Amico, lo sai però che sono una brava persona!» gli ribatté sul suo stesso tono.

Scott incrociò le braccia al petto. «Sì, sappiamo che sei piuttosto trasparente. Cosa ti hanno dato i croati all’epoca in cambio del tuo aiuto?»

«Un paio di favolose bacchette da batteria fatte col legno di un meraviglioso albero plurimillenario» rispose pronto, «di cui non posso dire né il nome né l’esatta locazione per motivi di sicurezza e rispetto: i ragazzi del branco si sono fidati di me, non li tradirò» si vantò soddisfatto, ma anche con un velo di affetto nello sguardo.

«E cosa vorresti da noi?» incalzò Scott.

Ryu trasse un respiro profondo diventando serio, li guardò bene in volto uno per uno prima di rispondere. «Voglio vedere il Nemeton».

Derek sentì come tutti loro s’irrigidirono all’unisono, ma Ryu mise le mani avanti.

«Attenzione, non voglio sapere dove si trova, voglio solo vederlo: potete condurmi fin lì anche bendato per non farmi memorizzare la strada».

«Perché?» gli chiese Scott scettico.

«Sono soltanto curioso di osservarlo da vicino». Sospirò e mise di nuovo le mani avanti. «Ascolta, nei miei centoquattordici anni ho visitato il mondo in lungo e in largo per intraprendere delle ricerche e degli studi sugli alberi secolari e plurimillenari. Gli strumenti musicali sono fatti in gran parte di legno, quindi sono sempre stato curioso delle proprietà di questi giganti della natura e di quanta forza potrebbe darmi il suono di uno strumento fatto col loro legno, ma…» scosse la testa e gesticolò, «ti posso assicurare che sono solo curioso di vedere il Nemeton, perché so e sento che è tornato attivo e dopo aver visto così tanti altri alberi simili a lui mi piacerebbe vederlo: ti posso garantire che non porterò di nascosto con me una sega per rubarne un pezzo e farne un violino!» ironizzò per spezzare l’atmosfera.

Ryu aveva detto la verità, la sua frequenza cardiaca non l’aveva tradito, ma non era esattamente roba da poco mostrare il Nemeton a uno estraneo al branco. Tuttavia, Ryu anche se un ottimo combattente non era un tipo né aggressivo né violento, ed era molto riflessivo e restio ad accettare provocazioni – accettava sfide da parte di altri trickster solo se era inevitabile – una sorta di buon vecchio diavolo a cui era facile affezionarsi.

Scott passò in rassegna i volti di tutti e scambiando una breve serie di sguardi con ogni membro del branco, ma alla fine annuì. «Va bene, affare fatto».

Ryu ghignò e rivolse a Scott lo stesso inchino da giullare che aveva riservato prima a Lydia, si rimboccò le maniche della maglia mettendo in mostra il proprio tatuaggio e poi cercò con aria ironica e solenne qualcosa dentro al borsone di pelle. «In questo caso…» disse, prendendo la sua ninjato dall’impugnatura nera e oro; tolse il fodero e agitò la spada con gesti veloci e precisi e poi la rivolse in modo regale verso Scott. «La mia spada è tua» concluse serio, ma con un accenno di sorriso sulle labbra.

Scott sorrise e fece scattare i propri artigli della mano destra. «Ti parerò le spalle con questi, se sarà il caso». Ryu rinfoderò la lama e i due si strinsero la mano.

Stretto l’accordo, non restò loro che discutere delle nuove vittime – tre persone ricoverate all’ospedale, due nuovi morti – e di come Ryu li avrebbe messi in contatto con la Lega dei Branchi degli Olivi Millenari; seguirono delle brevi chiacchiere superficiali ma piacevoli fra Ryu e i ragazzi, su dove la kitsune del suono fosse stata negli ultimi tempi, e Derek era stato indeciso se roteare gli occhi o scoppiare a ridere quando a un tratto Ryu aveva commentato «Questi sono tempi oscuri, mia cara Leila: hai idea di quante persone siano fissate col realizzare opinabili cover alternative di Enjoy the silence? Ho scritto un articolo per stroncarne una giusto ieri».

Derek tra l’altro non sarebbe rimasto sorpreso se nei prossimi giorni si fosse un paio di volte imbattuto in Ryu in versione suonatore di strada, con la chitarra o un violino imbracciato, proprio com’era successo la prima volta che era venuto a visitarli: quando Ryu si esibiva con dei suoi personali arrangiamenti di vecchie glorie degli Anni Settanta e Ottanta, la sua faccia da schiaffi combinata col suo aspetto da cattivo ragazzo mandava in visibilio parecchie ragazzine per le vie di Beacon Hills. Ora che ci rifletteva, Derek si chiedeva se per caso quegli strumenti fossero fatti con degli alberi millenari… aveva paura di conoscere già la risposta, meglio non chiederglielo.

Quando i ragazzi cominciarono a dar cenno di voler tornare ognuno a casa propria, Lydia rivolse a Derek un’occhiata significata, come a ricordargli cosa dovesse fare.

Dato che sia Derek che Scott potevano ascoltare e a volte involontariamente spiare gli altri, nel branco si era sviluppata l’abitudine di inviarsi dei messaggi al cellulare al posto di dire qualcosa all’orecchio: i due licantropi non avevano preso male quell’atteggiamento, perché comprendevano il bisogno di tenere qualcosa per sé, e loro stessi avevano cominciato a utilizzare sempre più spesso quell’escamotage. Derek prese con disinvoltura il proprio cellulare e inviò un testo di poche parole a Stiles; il ragazzo aggrottò la fronte e restò sorpreso quando sentì il proprio cellulare vibrare in tasca, ma dopo aver letto il messaggio ostentò alla meglio nonchalance e con un po’ di goffaggine perse tempo per essere l’ultimo ad andar via. O meglio a fingere di andar via.

Stiles andò alla finestra e guardò giù verso il parcheggio per assicurarsi che Scott fosse già uscito dal palazzo e salito in moto, prima di guardare Derek in faccia e dirgli serio e un filo preoccupato «Che succede? Perché mi hai chiesto di restare?»

«Noi due abbiamo bisogno di parlare» l’invitò a sedersi, anche se evitò il suo sguardo.

Stiles aggrottò di nuovo la fronte e lo fissò perplesso e in ansia. «Stai bene?» domandò diretto.

Derek trasse un respiro profondo, prima di rispondergli sincero. «No» esalò.

Lui si sedette con un tonfo sul divano, a testa china e passandosi le mani fra i capelli. «Fantastico» borbottò sarcastico.

Derek si sedette sul tavolino basso, di fronte a lui; cercò di trovare le parole giuste con cui iniziare a spiegargli cosa non andasse bene, ma Stiles lo batté sul tempo, chiedendogli un po’ flebile «Sei sotto l’influenza dello spirito?»

In effetti a conti fatti era quella l’unica risposta alla richiesta di restare a parlare.

«Sì» ammise asciutto.

«E… hai deciso di aspettare che fossimo da soli per dirmelo perché…» la voce di Stiles divenne un po’ strozzata, «perché io sono il tuo potenziale?»

Derek non riuscì a guardarlo in faccia mentre glielo diceva. «Sì».

Stiles sbuffò una risata amara, si scompigliò i capelli, boccheggiò col viso distorto in una strana smorfia e si fissò le mani. Gli tremavano. «So cosa vuol dire essere sotto l’influenza di uno spirito».

«Non è la stessa cosa che è successa a te» lo rassicurò Derek, sicuro.

Stiles alzò lo sguardo su di lui, scettico. «No? Non saprei, Derek, per quanto ne so anche tu sei costretto a fare cose che non vorresti fare, in questo momento» sottolineò sarcastico.

«Non metterla su questo piano, non è così».

«Perché, per caso non sei esattamente posseduto?» sputò fuori la brutta parola che ancora in tanti intorno a lui si rifiutavano di dire a voce alta. «Non credo che tu sia molto più libero di quanto lo fossi io: stiamo parlando dei tuoi sentimenti, Derek, e di quanto siano stati deviati».

Derek gli parlò piano, ma fermo, sforzandosi di fissarlo negli occhi. «Smettila di rifletterti su di me: non ucciderò nessuno, non stai per rivivere tutto da capo attraverso me».

Stiles lo guardò incredulo e sarcastico. «Sei eterosessuale, Derek, e questa cosa ti sta costringendo a provare dei sentimenti per me: non credi che già solo questo sia violare una persona?»

«Poteva andarmi molto peggio e lo sappiamo bene entrambi».

Ma Stiles non prestò attenzione al suo tentativo di calmarlo e alzò la voce di un tono, le mani gli tremarono di più. «Come fai a stare così calmo?! So cosa vuol dire sentirsi sotto pelle la sensazione di azioni che non ti appartengono, e non ho mai voluto che una cosa simile accadesse a noi ancora una volta, né a te né a nessun altro! Non voglio che tu viva questo» farneticò continuando a mantenere lo sguardo sulle proprie mani, «non voglio che tu senta questo, né che io veda questo, né che gli altri siano costretti a subire di nuovo tutto questo!»

«Andrà bene, supereremo anche questa».

«Non ho bisogno che tu ti atteggi come Scott, perché l’ultima volta che lui mi ha detto che potevamo ancora sperare, Allison è morta! Non sempre le cose vanno bene!»

«Non morirò».

«Come fai a esserne certo? COME FAI A STARE COSÌ CALMO?!» ripeté, gridando col fiatone.

Derek deglutì a stento, ed esitante allungò le proprie mani verso quelle di Stiles rivolgendo il palmo verso l’alto. «Provo a restare calmo» precisò, «perché tu hai bisogno di qualcuno che resti fermo mentre ti concedi di andare fuori di testa» concluse con leggera ironia. Gli aveva sempre permesso di sfogarsi urlandogli addosso, sempre, sia prima che adesso.

Stiles si rilassò appena, socchiuse gli occhi e abbozzò un sorriso scuotendo la testa. «Questa è una delle situazioni più incasinate in cui io sia mai finito: ovvio che sei calmo, i tuoi bisogni sono i miei bisogni!»

«Mi dispiace averti coinvolto anche in questo problema».

«Non è stata certo una tua scelta!» obiettò.

«Mi dispiace lo stesso». Le persone intorno a lui avevano sempre avuto la brutta tendenza a finire col farsi male. O a essere ammazzate.

Derek aveva ancora le mani stese e aperte a un passo da quelle di Stiles, che tremavano un po’ meno; Stiles strinse le labbra e fece quel passo, e Derek gli strinse piano i suoi polsi fra le dita.

Derek scoprì che era una bella sensazione sentire i battiti cardiaci di Stiles sotto i polpastrelli, ascoltare come pian piano il loro ritmo rallentava mentre la sua calma – o rassegnazione – aveva effetto sul ragazzo.

Stiles tirò su col naso. «Lydia lo sa già, vero?»

Gli annuì. «Ma ancora non l’ho detto agli altri».

«E da quanto tempo ne sei affetto?»

«Due giorni scarsi».

C’era una quiete piacevolmente calda e confortevole intorno a loro, dava quasi l’illusione che niente potesse turbarli e che in realtà non fosse successo nulla di così brutto e disastroso.

«Quali sintomi sono prevalenti, finora?» domandò Stiles.

«Frenesia in tua assenza e mancanza di concentrazione. L’inappetenza e l’insonnia non sono ancora così gravi». Era inutile mentirgli, tanto Lydia nei prossimi giorni avrebbe fatto irruzione nel suo appartamento agli orari più insoliti per controllarlo e tenere Stiles aggiornato, la conosceva. Li conosceva.

«Ti sei sentito molto solo, in queste ultime ore?»

Quella domanda di Stiles lo colse impreparato, ma quando alzò lo sguardo verso di lui vide che negli occhi di Stiles c’era solo comprensione e preoccupazione, e che in attesa di una risposta aveva spostato le proprie mani sulle sue spalle stringendogliele in modo timido ma non incerto. Qualcosa dentro Derek andò in mille pezzi procurandogli una sorta di dolore sordo e dolcissimo, e prima di rendersene conto e potersi trattenere si ritrovò con gli occhi lucidi.

Quanto poteva andare bene lasciarsi andare davanti a Stiles? Soprattutto in quel momento che Stiles stava iniziando di riflesso a piangere con lui…

«Ehi» sospirò Stiles con un sorriso tremulo, «va tutto bene» gli mormorò, spingendolo piano ad avvicinarsi a lui, invitandolo così implicitamente ad abbracciarlo, se lo desiderava.

Derek non avrebbe voluto cedere, ma era così stanco di non poter neanche solo parlare con Stiles – aveva passato buona parte della notte con gli occhi spalancati verso il soffitto a ripercorrere le cento e una fottute volte in cui Stiles gli aveva dato un punto di vista diverso della vita, e come adesso poteva ricambiarlo diventando una costante negli attimi in cui Stiles avrebbe avuto bisogno di qualcuno – e ora non ce la faceva più: crollò in avanti poggiando la fronte contro il petto di Stiles e lui gli posò le mani sulla nuca e gli parlò piano contro i capelli.

«Sono qui adesso, Derek, sono qui. È tutto ok, non andrò via fino a quando non lo vorrai».

Quelle parole ebbero un effetto devastante perché non solo erano vere, Stiles le avrebbe dette lo stesso anche se non fosse stata lui la cura al male di Derek, anche se al posto dell’influenza ci fosse stata una banale ferita, perché quella era la natura di Stiles: non lasciava mai indietro nessuno.

E Derek aveva un così dannato e bruciante bisogno di qualcuno che non lo lasciasse mai indietro.

Lasciò che Stiles continuasse a tracciare dei piccoli cerchi sulla sua nuca con i pollici e respirò a lungo il suo odore senza mai separare la fronte dal suo petto: l’intensità di quel momento lo stava intossicando, eppure era felice – certo, come un ubriaco, però lo era.

Si azzardò a posare le mani sui fianchi di Stiles: non lo sentì ritrarsi sotto il suo tocco e decise di restare in quella posizione ancora per qualche attimo. «Sai qual è una delle tue qualità che mi spinge più verso te?» gli domandò mormorando senza alcuna inflessione.

Stiles sbuffò un sorriso, o forse un ghigno, contro i suoi capelli. «No, quale? Scommetto però che sono davvero parecchie mie qualità ad ammaliarti» ci scherzò sopra con leggerezza, «sono davvero tanta roba».

Derek rise contro la sua maglia. «No, idiota. La tua capacità di accettare ogni cosa» gli confessò serio e con un velo di affetto nel tono della voce.

«Prendi per esempio quello che è successo ora» gli spiegò Derek, «non abbiamo mai avuto chissà che contatto fisico, ma tu hai accettato che ne ho un improvviso bisogno e di conseguenza hai anche accettato che invadessi il tuo spazio. Non ti sei posto neanche troppe domande, lo hai semplicemente fatto, e così anche quando Scott è stato Morso, o Lydia ha iniziato a mostrare i suoi poteri: sai accettare con delicatezza le cose meno logiche… Tu accetti perfino quello che non sarebbe saggio accettare, non neghi alcuna possibilità e metti tutti a proprio agio».

Sentì Stiles premere di più i pollici contro la sua nuca e le sue spalle, ma non perché fosse diventato teso, quanto quasi per intensificare l’effetto rilassante del suo tocco, come se calmando Derek potesse calmare anche se stesso.

«Ormai sai di mia mamma» affermò Stiles certo, continuando a parlare mormorando.

Derek aveva perfino visto i risultati della analisi di Claudia confrontati con quelli di Stiles per mano dello sceriffo; gli annuì contro il petto.

«Più peggiorava, più io memorizzavo l’espressione distrutta di una persona che non sapeva più distinguere la fantasia della realtà: non mi piace rivedere quest’espressione sugli altri, preferisco sempre credere agli altri – anche quando ciò che dicono non ha alcun senso – per dimostrare loro che non sono impazziti e che tutto ha un senso. Non mi piace creare sconforto».

«È comprensibile» gli disse Derek, cominciando a imitare piano il modo in cui Stiles lo toccava, accarezzandogli i fianchi.

«Preferisco non mettere mai le persone a disagio, quindi è facile vedermi accettare anche l’impensabile. Tu hai bisogno di questo, Derek, di essere accettato?»

«Anche» rispose con voce roca e un po’ tremante, anche se non dall’incertezza. «Non solo come persona, ho bisogno di… Ho bisogno…» sospirò. «Lo sai che genere di cose mi accadono di solito intorno… spesso non le accetto neanche io stesso, e non so mai quanto le persone al mio fianco possano accettare il mio mondo».

«Mi piace il tuo mondo» ribatté Stiles prontamente. «Cioè, la licantropia, il tuo mondo, mi piace e ormai ci vivo dentro» scrollò le spalle.

Derek sbuffò un sorriso. «E l’hai accettato come nulla fosse».

«Non avrei potuto fare altrimenti».

«Lo so, non sarebbe stato da te» sospirò, rialzando finalmente lo sguardo verso di lui.

Derek quasi si sarebbe aspettato di sentirsi addosso l’ansia e la voglia di baciare Stiles dopo quel momento così intimo che avevano condiviso, e invece no: per quanto si stessero fissando intensamente c’era solo una tenera malinconia nel loro sguardo – ed era sorprendente che fosse da parte di entrambi – una sottile, calda e avvolgente comprensione e – almeno da parte di Derek – nessuna esigenza di prendere e marcare in modo indiscutibile l’attimo che avevano appena vissuto con un bacio.

Ciò che sentiva non era un impetuoso senso di possessività, ma una languida certezza di appartenenza.

Stiles sembrò tornare in sé e inspirò a fondo stringendosi nelle spalle. «Stai meglio?»

Gli assentì distogliendo lo sguardo dal suo. «Sì, molto meglio, grazie».

«Chiamo Lydia così stasera ceniamo qui insieme e progettiamo come dire agli altri questa lieta novella?» sdrammatizzò Stiles.

Derek sorrise scuotendo la testa. «Ok».

Stiles si alzò dal divano e per un attimo con la mano gli sfiorò il collo: Derek socchiuse gli occhi assaporando appieno quel singolo secondo.

Non sapeva se ne avrebbe avuti altri e se gli fosse concesso averne altri – forse sarebbe stato troppo da persone inquietanti, Stiles non avrebbe gradito.

Osservò di sottecchi Stiles andare in cucina e chiamare Lydia, fissò il posto vuoto sul divano davanti a sé e provò a non soffermarsi molto sul pensiero di quanto ciò fosse simbolico.

Il destino non smetteva mai di prendersi gioco di lui.












Note finali:
Edere, in ordine di apparizione e con il nome originale in lingua inglese (perché sì, sono piante che esistono davvero):
- Edera Ranuncolo, hedera helix buttercup, l'edera dello sceriffo: 1, 2, 3.
- Edera Ghiacciata, hedera helix glacier, l'edera dei vecchietti della casa di riposo: 1, 2, 3.
- Edera Cuore D'Oro, hedera helix golden heart, l'edera dell'uomo solitario col giardino: 1, 2, 3.
- Edera Lacrima, hedera helix teardrop, l'edera della ragazza di cui Lydia legge il diario: 1, 2, 3.
- Edera Punta D'Ago, hedera helix needlepoint, l'edera della ragazza suicida: 1, 2, 3.
- Edera Anne Marie, hedera helix anne marie, l'edera di Derek: 1, 2, 3.
E inoltre:
- Aloe, la pianta del titolo dello scorso capitolo.
- Bucaneve, la pianta del titolo di questo capitolo.
- Non ti scordar di me, il fiore da cui prende il nome questa storia.
- L'ultimo libro della seconda saga di Percy Jackson è The Blood of Olympus, uscito in lingua inglese il 7 ottobre 2014 e che io ho letto in un giorno solo perché faccio schifo.
E poi è pure canon che Stiles abbia il primo libro della prima saga in camera: si è visto in una inquadratura della prima serie, e giustamente su tumblr certe cose non scappano ai fan che s'improvvisano Sherlock Holmes XD
- Quando Stiles prova a fare irruzione nella casa del tipo, sta farneticando dell'esperienza fatta con Scott durante il webisode Search for a cure, che trovate qui in lingua originale, diviso in più parti (seguite i link correlati), nel caso non lo conosceste. E' ambientato fra la prima e la seconda serie
- L'olivo croato che cita Ryu esiste davvero, a Sette Castelli/Kastela. Nella pagina wiki inglese della città potrete trovare una sua foto a lato. Così come è anche vero che le terre del mediterraneo e in particolare le sue isole siano piene di maestosi olivi millenari.
- Questa storia è composta da quattro capitoli, il quinto e l'ultimo è un appendice particolare dedicata a Ryu :)
A venerdì prossimo!
   
 
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