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Autore: pinky_neko    07/11/2014    2 recensioni
Il pittore capriccioso aveva voluto creare l’essere perfetto per dare prova al mondo intero che l’eccellenza, l’assolutezza, non la si ritrovava in ciò che era terreno. Inseguiva un’utopia, il sogno più grande che un uomo potesse desiderare, e l’aveva espressa attraverso i colori.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il pittore capriccioso: “Il canto dell’angelo”
 
 
Lo guardò: i raggi del sole si depositarono su di lui, facendone brillare i colori appena stesi e rendendoli quasi luccicanti, mentre l’effetto bagnato, che ancora conservava, andava perdendosi.
Il lavoro di una vita era concluso e adesso lo aveva davanti agli occhi: ne seguiva i lineamenti perfetti e le forme morbide; puntava lo sguardo su quelle mani portate in avanti, come in segno di preghiera, di supplica.
 
Una supplica a uscire di qui.
 
Prese in mano la tela: era così leggera, fragile quasi, come fragile sembrava anche l’uomo dipinto al suo interno. Lo sguardo perso e lievemente malinconico era fermo di fronte a sé, la bocca appena dischiusa come fosse in procinto a parlare, urlare, e i capelli di un biondo sporco gli coronavano la testa, ricadendo in riccioli fini sulla fronte.
Del suo corpo minuto era visibile solamente il busto nudo, asciutto, mentre l’intimità e le gambe erano coperte da un velo sottile e ondeggiante di acqua. Era immerso in un laghetto, ripreso nell’atto di uscirvi e di addentrarsi nel fitto bosco che si poteva  intuire esserci ai bordi del dipinto.
Il pittore lo ammirava, mentre appendeva la tela con sguardo sognante ad una parete spoglia della stanza, e si allontanava di qualche passo nell’intento di contemplare la figura dipinta nel migliore dei modi.
 
Non guardarmi.
 
Quell’angelo era un essere perfetto, meraviglioso, ed era stato lui a crearlo. Intrappolato in quella pelle candida dello stesso colore dell’avorio, tutta la sua espressione ed emozione era data dallo sguardo intenso e luminoso, di un azzurro glaciale che paradossalmente bruciava l’anima di chi lo fissava.
Le ali argentee si stagliavano dietro la sua schiena, grandi, imponenti, come di chi non temesse il domani, il futuro, la morte.
 
Liberami.
 
Il pittore lo fissava e non sentiva. Non percepiva il forte grido di dolore e smarrimento che sconvolgeva quel corpo dipinto; non capiva la sua profonda agitazione e malinconia dell’essere stato condannato a una vita fasulla, labile come tracce di gesso su una lavagna bagnata. E non poteva comprendere le emozioni di quell’angelo, perché lui non ne provava, non sapeva cosa fossero. Aveva lasciato fuori dalla sua vita ogni contatto umano, ogni sentimento umano, e aveva permesso a tutte le sue sensazioni di esprimersi solo e soltanto in quel quadro. Aveva concretizzato, attraverso quella tela, la sua idea di perfezione, quell’idea che, per tanto, troppo tempo, aveva ricercato nel genere umano ma mai aveva trovato.
Perché l’uomo è sempre in balia dei suoi pensieri, dei suoi ricordi. Le sue emozioni segnano l’andamento delle sue giornate; le sue azioni provocano continuamente sentimenti contrastanti nella sua mente.
Il pittore capriccioso aveva voluto creare l’essere perfetto per dare prova al mondo intero che l’eccellenza, l’assolutezza, non la si ritrovava in ciò che era terreno. Inseguiva un’utopia, il sogno più grande che un uomo potesse desiderare, e l’aveva espressa attraverso i colori.
 
Lasciami andare.
 
Ma quell’angelo era intrappolato in un quadro, frutto della mente del pittore capriccioso che altro non voleva se non soddisfare i suoi desideri, raggiungere i suoi scopi di egocentrismo e superbia. Era costretto ad esibirsi di fronte a quegli occhi bramosi, svuotati di qualsiasi passione o sentimento verso il genere umano che aveva, invece, imparato a disprezzare col tempo. Inspirava l’aria asciutta delle pennellate sobrie e grandi, di un blu mezzanotte che faceva da sfondo alla sua vita, notando come non ci fosse traccia nel suo busto di alcun movimento.
 
La mia vita è il quadro. La mia aria è il colore.
 
Era un angelo in trappola, bloccato in quella superficie bidimensionale. Quanto inutili potevano essere le sue ali se non riusciva a stagliarsi in volo verso l’infinito, spiegarle per poi arrivare fino al sole. Era confinato tra quelle quattro assi di legno che fungevano da cornice. Non poteva urlare, perché non aveva voce, non poteva piangere, perché non aveva lacrime.
 
È vita questa?
 
La perfezione non esisteva, non in lui. Era fragile, pronto a spezzarsi in qualsiasi momento sotto gli occhi scuri e brulicanti di possessione di quel pittore capriccioso. Non aveva alcun potere, non poteva decidere niente che lo riguardasse perché era sigillato da strati di olio colorato che lo inchiodavano alla tela sottile. Quello era il suo destino, ma di certo la sua situazione non poteva essere definita vita. Lui non era un uomo e, di questo, il pittore se ne compiaceva, perché proprio questo era stato il suo scopo fin dall’inizio: creare un uomo che non fosse uomo.
 
Voglio essere come tutti gli altri.
 
Era intoccabile, irraggiungibile da tutte quelle futili e mediocri persone che costellavano la Terra. Era diverso, ed era nato per esserlo. Era nato ma non era vivo. Perché il mondo degli uomini non gli apparteneva. Il suo mondo era solo un quadro. Lui era solo un quadro: “Il canto dell’angelo”.
 
 
Io non sono vivo, eppure sento. Non posso respirare, ma provare emozioni sì.
Quelle emozioni che ti divorano il cuore e ti trafiggono l’anima e ti fanno sentire veramente vivo.
Quelle emozioni che tu non senti più da tempo.

E allora, pittore capriccioso, chi è più morto tra noi due?


 


 
Note dell'autrice: avevo in mente questa storia - se così si può definire xD - già da un po' di tempo e finalmente ho deciso di buttarla giù! L'idea di vedere le cose dalla parte di un uomo raffigurato in un dipinto mi ha sempre attirato moltissimo! ^^
Grazie a tutti quelli che hanno letto, spero vivamente vi sia piaciuta, seppur molto corta!
Un bacione, pinky_neko

 
  
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