Premessa: Prima di tutto, scusate la lunga attesa :P
Ho avuto proprio un blocco dello scrittore perfido,: mi faceva scrivere due righe e poi mi bloccava. Però alla fine sono giunta alla conclusione anche di questa one-shot, evvai!
Ok, vi lascio alla lettura della fanfic anche questa volta! Buona lettura! :P
Beyond
Fissò
la
sua immagine allo specchio ancora per qualche minuto, cercando di non
prestare
attenzione all’ombra – sempre
più
definita – alle sue spalle. Il pentacolo, come il
resto della cicatrice che
solcava il suo volto, da qualche giorno sembrava svanire, sempre
più. Vide una
luce nei suoi occhi, mentre posava lo sguardo sulla figura che lo
sovrastava
sogghignando, circondandolo con quella che pareva oscurità
ormai incombente. Le
labbra gli si incresparono in un sorriso, estraneo al suo volto da
ragazzo
bonario qual era.
“Allen-kun,
io vado prima che mio fratello si svegli…”
Il ragazzo
si voltò di scatto, un sorriso sincero in volto, non come
quello di qualche
attimo prima.
Lenalee
inclinò la testa di lato, spalancando gli occhi.
“Cos’è
quel sorriso?”
Allen non
rispose, si limitò ad alzare le spalle e finire di
abbottonare la camicia.
“E’
da
qualche giorno che sei più strano del solito…
è successo per caso qualcosa?” Osservò
attentamente il ragazzo davanti a lei, cercando di intravedere il volto
coperto
in parte dai capelli. “… E’ a causa del
Quattordicesimo?”
Nessuna
risposta.
“Allen-kun…”
Si
alzò
dal letto, trascinando con sé la coperta ben avvolta attorno
al corpo.
“Allen-kun,
ti prego, parla…”
Posò
una
mano tra i capelli del ragazzo, scompigliandoli un po’, e fu
in quel momento
che notò che c’era qualcosa
di
diverso dal solito.
“I-I
tuoi
capelli…”
“Anche
loro, eh…?”
Si
alzò
dalla sedia, iniziando a raccogliere i vestiti di Lenalee, ancora sul
pavimento
dalla sera precedente.
“Anche
loro? Di cosa stai parlando, Allen-kun?” La presa sulle
coperte si fece più
salda e nervosa. Quelle situazioni, tutti quei segreti li aveva sempre
trovati
snervanti.
“La
cicatrice e il pentacolo stanno svanendo… a quanto pare la
maledizione di Mana
sta scomparendo.”
Si
voltò
verso di lei, porgendole educatamente i vestiti, un sorriso tirato e
totalmente
falso sulle labbra.
“Stanno
svanendo…? E questo non ti preoccupa minimamente?”
Allen
finì
di vestirsi, indossando la giacca e coprendosi il capo.
“Guarda
il
lato positivo… non verrò più chiamato vecchietto
o additato dalla gente a causa della cicatrice.”
Abbassò
la
maniglia, voltandosi a fissare la ragazza, ancora avvolta nelle
coperte, dietro
di lui.
“Ehm,
Lenalee credo che dovresti proprio vestirti, prima che ti veda il
signor Komui…”
aprì leggermente la porta, mettendo un piede fuori dalla
stanza, “… E poi oggi
dobbiamo andare in missione, non dirmi che te lo sei
dimenticata.”
La ragazza
sobbalzò, portando una mano alla bocca. L’avevo
totalmente scordato…
“Ti
aspetto in Caffetteria, ok?”
Allen le
sorrise, prima di incamminarsi lungo il corridoio. Per un attimo le era
parso
che fosse tornato il ragazzo di sempre, quello con le labbra sempre
pronte a
sorridere in ogni occasione, quello con lo sguardo deciso e fiducioso
anche se
sapeva di aver poche probabilità di vittoria; l’Allen che era sempre stato, fino a
qualche mese prima… Poi, una
rivelazione scomoda aveva infranto
un
po’ la serenità dell’Ordine e quella del
ragazzo stesso. Darsi per vinto non
era nel suo carattere ma, ultimamente, nei suoi occhi Lenalee aveva
percepito
un senso di sconforto che, a poco a poco, si era trasformato in
rassegnazione.
L’orologio
lontano della nuova sede dell’Ordine iniziò a
rintoccare le cinque e mezza.
Perché si erano svegliati così presto? Fuori
c’era ancora buio…
Si
vestì
di fretta, passandosi una mano fra i capelli di tanto in tanto per
tenerli il
più in ordine possibile. Raccolse le scarpe finite sotto il
letto e si avviò
lungo i corridoi, giù per le scale, fino a raggiungere la
caffetteria, ancora
vuota visto l’orario.
“Lenalee-chan!”
una voce, seguita da una mano alzata attirarono la sua attenzione.
Miranda.
“Miranda!
Vai in missione anche tu oggi?” le si avvicinò,
sorriso genuino sulle labbra.
“Sì,
porta
numero trentanove… Spagna, credo…”
Il sorriso
della ragazza, se possibile, si allargò ulteriormente mentre
si sedeva accanto
alla donna a tavola.
“Allora
vieni con noi, me ed Allen! A Jaèn, giusto?”
Miranda si
pulì la bocca con un tovagliolo, scuotendo la testa in segno
di assenso rincuorata
dal fatto che non avrebbe dovuto portare a termine una missione da sola.
“Posso
farti una domanda un po’ privata, Lenalee-chan?”
La giovane
spalancò gli occhi, chinando la testa di lato.
“Sì…?”
Miranda
sorrise, portandosi la mano vicino alle labbra e sussurrando poche
parole
concise che solo Lenalee sarebbe stata in grado di capire. Le gote
della
ragazza si tinsero di un rosso accesso, mentre con lo sguardo si
guardava
attorno, come ad accertarsi che nessuno le stesse ascoltando.
“Miranda,
come fai a saperlo!?”
“Sono
maldestra, non stupida Lenalee-chan!” le si
allargò un ghignò sulle labbra,
mentre si riavvicinava paurosamente alla ragazza. “Allora? Tu
e Allen avete
già…?”
“Miranda!”
Il rossore sulle gote di Lenalee aumentò, mentre le mani
della ragazza
correvano a stropicciare l’orlo della gonna.
“Sì, ok!?” Abbassò il capo,
nel
tentativo di nascondere il volto.
“Uh-uh!
Allora
vuol dire che in missione non vi starò fra i piedi,
promesso!”
Con un
ultima risata soffocata la donna congedò Lenalee,
dirigendosi verso l’entrata
dell’Arca in compagnia di due finder.
“Cavolo…”
La ragazza
inghiottì l’ultimo boccone di you tiao, alzandosi
da tavola e andando incontro
ad Allen, che l’attendeva con la schiena poggiata al muro
fuori dalla
caffetteria.
“Mangiato
bene?” chiese, sorridendo e sfiorandole la mano.
“Certo!”
Davanti
alla porta dell’Arca li attendevano Komui, Miranda e i due
finder che
borbottavano a bassa voce, passandosi dei fascicoli piuttosto grandi
fra le
mani. “… Ok, è tutto chiaro?”
sentirono chiedere il Supervisore.
“Sì…
Ah!
Allen, Lenalee!”
Komui
volse prontamente il capo all’indietro non appena
udì il nome della sorella,
come un bestia alle ricerca della sua preda.
“Lenaleeeeeee!”
Grandi
lacrimosi si fecero strada sul suo viso, mentre con un ultimo abbraccio
salutava la sorella, avvertendola di essere cauta, di tornare tutta
intera e
soprattutto di non sposarsi senza il suo permesso.
“…
Non
preoccuparti, il giorno in cui deciderò di sposarmi sarai il
primo a saperlo!”
Allen,
già
per metà nell’Arca ma con l’orecchio
concentrato sulla voce della ragazza tossì
violentemente, invitando i presenti ad interrompere gli in convenevoli.
“Andiamo?” Nascose prontamente le gote arrossate
sotto il cappuccio e si avviò
definitivamente oltre la porta che, in pochi secondi, avrebbe potuto
portarli
in qualsiasi luogo.
“Allen-kun?”
“Sì?”
“Nulla.”
Il ragazzo
la fissò un attimo, sempre procedendo a passo spedito verso
la porta, e con
un’ultima squadrata da capo a piedi si arrese. Non riusciva
proprio ad
immaginare cosa le passasse per la testa in quel momento.
“Lenalee.”
“Sì?”
“La
porta
è questa. Dove stavi andando?”
Allen la
afferrò prontamente per un braccio, tirandola nella
direzione esatta.
“Sei
piuttosto distratta o sbaglio?” le sussurrò in un
orecchio, la voce quasi impercettibile.
Se lei era
distratta, lui era cambiato. Cambiato in un modo terribile e
sconosciuto.
“Arrivati!”
Miranda si
portò in testa al gruppo, mano sul volto per proteggere gli
occhi dal sole
forte, e osservò con circospezione la città. La
grande cattedrale sbucava dai
tetti delle case imponente, dominatrice assoluta del panorama. Gli
ulivi in
lontananza si scorgevano a malapena in mezzo a quel fitto agglomerato
di
edifici, tutti rigogliosamente bianchi cangianti con i tetti rosso
fuoco.
Sembrava quasi –se non fosse stato
per il
colore dei tetti-di stare ancora nell’Arca.
“Bene,
da
dove iniziamo?” domandò Allen, rivolto ad uno dei
Finders.
“Stando
a
quanto raccolto degli altri ricercatori di questa zona, la cattedrale
risulta
inaccessibile da circa un mese.”
“E
perché?” chiese Lenalee, squadrando
l’immensa struttura a pochi isolati da
loro.
“Sembra
che non appena qualcuno tenti di avvicinarsi, questa prenda
vita.”
“Vita?”
sbuffò Allen, soffocando una risata all’idea di
una cattedrale che si muoveva
per conto suo in una città.
“Gli
abitanti del luogo –e i finders che
hanno
raccolto informazioni- hanno raccontato che, solo al mettere
piede sul sagrato,
si possano udire le trombe romane suonare.”
Miranda
puntò un dito in alto, verso uno degli spuntoni
dell’immenso edificio.
“Questa
città era un avamposto difensivo romano. A quanto pare,
un’innocence qui
attorno sta reagendo, cercando di proteggere dagli estranei
il cuore della città.”
Terminò Miranda, sbalordendo sia
esorcisti che finders, “Ho solo letto il
fascicolo!”, li rassicuro, preoccupata
per le loro espressioni vacue.
“Chiunque
si sia avvicinato al portone d’entrata della
cattedrale”, continuò uno dei
finders, quello meglio piazzato, “si è ritrovato
solo contro un esercito armato
fino ai denti.”
Allen
annuì,
portando una mano dietro il capo, “Ok, sembra quasi la stessa
situazione della
tua città natale, vero Miranda?”
La donna
sorrise, per metà contenta della somiglianza e per
metà un po’ preoccupata
perché ancora ricordava cosa era successo la notte che,
finalmente, era
riuscita ad attivare la sua innocence.
“Sì.
Credo
sia proprio questo il motivo per cui il signor Komui mi ha fatta venire
con voi
due!”
Lenalee
sorrise, rassicurata. Avevano affrontato tante situazioni difficili, ma
in tre
contro un fenomeno che sapeva tanto di dejà-vu rendeva tutto
più semplice del
previsto. “Bene, vogliamo andare allora?”
Una nube
di fumo li travolse, oscurando loro la vista.
“Attente!”
Il Crown
Clown le avvolse, stringendole in un abbraccio rassicurante.
Qualcosa
esplose, mandando Allen riverso a terra, lontano da Lenalee e Miranda.
Non
accennava a volersi alzare e una larga chiazza di sangue si faceva
strada sotto
di lui.
“Allen-kun!”
La giovane
scattò in piedi, attorno a lei solo immagini confuse e tinte
di rosso, la
rabbia spiccava su volti che non ricordava d’aver mai visto.
Sentì Miranda
urlare qualcosa dietro di lei, ma non capì una sola parola
di quello che pareva
un avvertimento.
“Allen-kun!”
Qualcosa
la colpì ad un fianco, sbalzandola verso il corpo inerte del
ragazzo.
Alzò
una
mano che, in quel momento notò, era sporca di sangue. Si
toccò la testa e la
ritrasse che era ancora più rossa. Le si annebbiò
la vista e cadde pesantemente
al suolo, battendo la testa.
Lenalee si
alzò di scatto, il sudore freddo che le imperlava il volto.
Strinse la
mancina sulla coperta, e cercò di respirare in modo
regolare. Aveva il fiatone,
come se avesse corso per ore.
Si
voltò
di scatto alla sua destra, sorpresa e felice di trovar lì
accanto la solita
chioma candida. Sorrise un po’, portandosi una mano al petto
ed espirando, con
gli occhi chiusi.
“Allen-kun…”
Scosse la
spalla del ragazzo, piano ma con decisione.
“Allen-kun,
svegliati…”
Il ragazzo
al suo fianco si mosse, bisbigliando qualche parola incomprensibile.
Alzò la
testa lentamente, osservando con sdegno la fioca luce che filtrava fra
le tende
della finestra davanti al letto.
“Che
ore
sono?”
“Non
lo
so, però il sole è già
sorto.”
“Questo
lo
vedo…”
Si fece
strada fra le coperte, trascinandosi di malavoglia verso il bagno.
Lenalee
rimase ferma, ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorreva
dal lavandino.
Andava di rado a passare la notte da lui, a causa di suo fratello, ma
ogni
volta era costretta a quel risveglio. E le piaceva. Adorava vedere
Allen con il
volto corrucciato di chi ha dormito beatamente e non ha la minima
intenzione di
alzarsi. Adorava vederlo scappare in bagno per lavarsi i denti, per non
fare
una brutta impressione. Adorava osservarlo mentre si vestiva, mentre
litigava
con i bottoni della giacca e imprecava sul fatto che avrebbe detto a
Jhonny di
mettere più cerniere nelle prossime divise.
Quando
uscì dal bagno, lo vide sedersi dinnanzi allo specchio,
osservare la sua
immagine riflessa dubbioso, e poi la spaventò il sorriso
tirato che vide
comparire sulle sue labbra.
“Allen-kun,
io vado prima che mio fratello si svegli…”
Ed ecco
che quel sorriso spaventoso era scomparso. Ora era di nuovo Allen.
“Cos’è
quel sorriso?” Scherzò, inclinando la testa di
lato.
Lo vide
alzare le spalle e finire di abbottonare la camicia, ed ebbe un tuffo
al cuore.
Quella
situazione lei l’aveva già vissuta.
La
ricordava perfettamente.
Il suo
sguardo corse subito ai capelli e alla cicatrice di Allen.
Il cuore
smise di battere.
I capelli
stavano diventando castani.
E la
cicatrice stava svanendo.
Come nel
suo sogno.
“Che
c’è
Lenalee? Qualcosa non va?”
“I-I
tuoi
capelli…”
Allen
sbuffò.
“Anche
loro, eh…?”
Aveva
immaginato anche quella risposta. Ma non disse nulla, rimase ferma,
immobile
nel letto.
Il ragazzo
le porse i vestiti, avviandosi verso l’uscita della camera.
“Ehm,
Lenalee credo che dovresti proprio vestirti, prima che ti veda il
signor
Komui…” aprì leggermente la porta,
mettendo un piede fuori dalla stanza, “… E
poi oggi dobbiamo andare in missione, non dirmi che te lo sei
dimenticata.”
No. Questa
volta non se ne era dimenticata. Sapeva esattamente che Allen le
avrebbe detto
quelle parole.
“No,
mi
ricordavo… A Jaèn, vero?”
“Esatto.”
Lo vide
sorridere ancora, da sotto il cappuccio abbassato.
“Ti
aspetto in Caffetteria, ok?”
Lo avrebbe
lasciato andare in circostanze normali, ma quelle non lo erano proprio.
Aveva
sempre avuto sogni strani negli ultimi mesi, ma mai così
vividi e veritieri.
Iniziava a spaventarsi, seriamente.
Allungò
una mano verso di lui, silenziosa, le lacrime agli occhi.
“Allen-kun…”
Quando la
vide, Allen tornò in camera di corsa, sbattendo la porta e
precipitandosi sul
letto.
“Cosa
c’è
Lenalee? Ho sbagliato qualcosa? Vuoi che rimanga qui mentre ti vesti?
Vuoi che
venga in Caffetteria assieme a te…?” La
abbracciò stretta, accarezzandole i
capelli scompigliati dal sonno.
Lei si
mise a singhiozzare sulla sua spalla. Non aveva sognato tutto lo
svolgimento di
quella giornata, ma ciò che aveva visto le era bastato. Le
era bastato per
decidersi a rimandare quella missione. Per decidere che avrebbe
convinto il
fratello a mandarli fra qualche giorno, quando anche Lavi e Kanda
sarebbero
tornati dall’Home e avrebbero potuto aiutarli.
“No.
Voglio solo che oggi nessuno andasse in missione. Non a
Jaèn, almeno.”
Lo
sentì
tremare.
“Un
altro
incubo?”
Lui aveva
paura di quei suoi sogni.
L’ultimo
che aveva fatto non era stato di suo gradimento, visto che dopo pochi
giorni si
era ritrovato senza un braccio, con un buco nel cuore e lontano dagli
amici,
che lo avevano creduto morto per quasi una settimana.
Lenalee si
limitò a scuotere la testa in segno si assenso. Non voleva
spingersi oltre, in
altre spiegazioni. Con lui quella sarebbe bastata, e sapeva che avrebbe
capito.
Si
sentì
stringere ancora più forte, e si abbandonò in
quell’abbraccio, chiudendo gli
occhi e ripiombando nel sonno. Alle scuse per evitare la missione
avrebbero
pensato dopo.