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Autore: BlueMagic_96    07/11/2014    1 recensioni
Storia partecipante al contest "Sangue e pazzia" indetto da YUKO CHAN.
Kevin è un uomo dal passato difficile che lo tormenta e per il quale ha compiuto azioni terribili, diventando un temuto pluriomicida. Quando la cruda realtà gli verrà mostrata da un agente dell'FBI, tutte le sue false convinzioni gli crolleranno addosso. Ma è possibile far ragionare una mente offuscata e lacerata da anni e anni di bugie e soprusi?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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                                    I SUSSURRI DEL PASSATO

                                                 
 “Smettila di piagnucolare! Sei solo un inutile bambinetto senza cervello, ancora mi chiedo come abbiamo fatto io e tua madre a metterti al mondo!” Le grandi mani dell’uomo si scagliarono con violenza sulla guancia del bambino, scaraventandolo a terra con un tonfo sordo superato solo dal lamento acuto del piccolo che, tenendosi la guancia arrossata tra le mani, non aveva il coraggio di guardare l’uomo negli occhi. Sapeva benissimo che sarebbe rimasto terrorizzato da ciò che vi avrebbe visto: rabbia, furore, incontrollabile desiderio di punizione.
“Sentiti, quanto sei ridicolo, piangi come una bambina! Eppure ero convinto di averti fatto un cazzo tra le gambe, o sbaglio?” Il bambino continuava a stare al suo posto, rannicchiato su se stesso, in attesa di altre percosse che tuttavia non arrivarono. L’uomo stava in piedi davanti a lui, lo fissava con il suo sguardo carico di disprezzo e odio e non diceva una parola: il bambino sapeva che stava aspettando una sua reazione, una risposta, ma in verità era troppo spaventato per dire qualsiasi cosa.  Non poteva dirgli che era stanco. Non poteva dirgli che avrebbe preferito giocare con Bill e Naomi giù al vecchio mulino piuttosto che aiutarlo a sistemare i suoi attrezzi da lavoro, gli stessi attrezzi che ogni tanto usava per picchiarlo. Non poteva dirgli che gli voleva bene. Tutto quello che doveva fare era obbedire e non discutere. Aveva imparato la lezione diversi anni prima, così come l’avevano imparata sua madre e suo fratello prima di lui. 
"Allora? Ti ho fatto una domanda!” gridò l’uomo facendo un passo avanti nella sua tuta sudicia e strappata. Il bambino si rannicchiò ancora di più su se stesso, trascinandosi all’indietro in un moto involontario di terrore, preparandosi a ricevere un calcio o qualche altro insulto pesante.
“E guardami in faccia quando ti parlo!” Con enorme fatica alzò gli occhi sul volto dell’uomo, la vista offuscata dalle lacrime che, copiose, gli rigavano il viso e fortunatamente gli impedivano di distinguerne i contorni. Non voleva vedere il suo volto indurito e severo, quel viso che sognava ogni notte e per il quale spesso bagnava il letto. Non voleva affrontare quegli occhi così distanti e furiosi che lo facevano tremare. Voleva solo che tutto quello finisse, voleva dirgli che gli dispiaceva essersi comportato male, gli dispiaceva essere così debole, gli dispiaceva non essere come suo fratello. Ma per esperienza sapeva che era meglio tacere quando suo padre era arrabbiato.
“Guardati, mi fai pena …”

'Mi fai pena…
’ La mia mano si strinse ancora di più sul suo polso.
“Ti prego, ti scongiuro … Lasciami andare … ti prego …” il ragazzo piangeva tra le mie braccia, la voce rotta dalla stanchezza mentre ripeteva quella litania ormai noiosa e priva di senso. Il suo corpo cominciava ad agitarsi contro il mio nel vano tentativo di divincolarsi dalla mia presa che si faceva tanto più salda quanto più lui si ribellava. Doveva averlo capito dato che ormai i suoi tentativi di resistermi erano dettati principalmente dall’istinto, riflessi involontari privi di quella convinzione iniziale. Rispetto agli altri questo era stato una vera sfida: giovane, sulla ventina, attraente e decisamente troppo combattivo. Appena lo avevo visto fuori da quel gay bar avevo subito capito cosa dovevo fare. Non che volessi farlo, ma dovevo. Il modo in cui ostentava il suo corpo era davvero troppo sfrontato per essere ignorato.
“Perché .. Cosa ti ho fatto?! Dimmelo, ti prego … Cosa ti ho fatto? Perchè?!” il buio del garage mi impediva di guardarlo negli occhi, ma riuscivo comunque a percepire il suo terrore dal tremore dei suoi muscoli, dalle pulsazioni accelerate del suo polso, dai singhiozzi che gli scuotevano il corpo mentre mi supplicava di smettere, di lasciarlo andare. ‘Ti prego, non volevo! Lo giuro, non volevo!’
“Basta, sta zitto! Sta zitto!” gridai in preda alla rabbia. La sua voce mi infastidiva, non volevo sentire i suoi lamenti e le sue suppliche. Lo sentii irrigidirsi e rannicchiarsi su se stesso mentre con poco riserbo lo spingevo in avanti per allontanarlo da me, tirandogli uno schiaffo sul viso.
‘Bravo, figliolo. Fallo stare zitto, quel bastardo!’ Un dolore acuto alla testa mi prese all’improvviso: era tornato, era tutta colpa sua.
‘No, la colpa è solo tua, lo sai bene! Se tu fossi normale non dovresti fare queste cose, ci avrebbe pensato qualcun altro!

Mi portai una mano alla testa e cominciai a picchiarla leggermente contro la fronte, cercando di scacciare quella sensazione che tanto mi terrorizzava. Mentre vedevo la mia vittima strisciare e barcollare sul freddo pavimento del garage, potevo ancora sentire l’eco delle sue suppliche nella testa:
“Che ti ho fatto? Perché mi stai facendo questo, ti prego!” Perché lo stavo facendo, in effetti? Non volevo farlo, non avrei mai voluto farlo, eppure ero lì, con una accendino in mano e una persona coperta di benzina ai miei piedi. Quel ragazzo non mi aveva fatto nulla, eppure volevo ucciderlo. No, non volevo. Dovevo
‘Perché stai lì in piedi come un idiota? Che aspetti? Uccidilo,Kevin.
Aveva ragione, lo sapevo: ucciderlo mi avrebbe portato un passo più vicino alla liberazione, alla redenzione, al perdono. Eppure, anche se sapevo che era giusto, non riuscivo mai a guardarli bruciare senza provare un moto di tristezza.
Muoviti, idiota! Sta cercando di scappare, non vedi? Fallo smettere di urlare!
“Basta, ho capito!” sbottai. E’ vero, stava cercando di scappare, ma non sarebbe andato da nessuna parte e questo lo sapevo bene. Tuttavia corsi verso il ragazzo, che nel frattempo cercava di rimettersi in piedi e lo ributtai a terra, poi mi chinai su di lui e lo presi per la maglia zuppa di benzina: “Devi smetterla di urlare! Devi smetterla, capito?” Ma a chi stavo parlando veramente? Al ragazzo o alla voce nella mia testa?
“Ti prego… farò tutto ciò che vuoi… non dirò nulla a nessuno … ti scongiuro …”
‘Andiamo, fallo smettere! Vuoi che mi arrabbi, Kevin? Mi stai prendendo in giro?
Una nuova fitta esplose nel mio cranio quando la voce tuonò.  
“Smettila di piangere! Smettila, ti prego …” esplosi contro il ragazzo. Non potevo più sopportarlo, e lui non avrebbe smesso di tormentarmi finché non lo avessi fatto tacere. Eppure continuava a guardarmi con quei suoi grandi occhi carichi di paura, lo sguardo perso e confuso che chiedeva pietà: non mi ero mai avvicinato tanto a uno di loro.
“Devi stare zitto … non smetterà mai … devo farlo, capisci?” dissi con tono più tranquillo.
“Ma perché? Perché … perché a me …” “Mi dispiace, lui non mi lascerà se non lo faccio ...”  “Lui chi?” pianse il giovane. 
“Ti sto salvando, non capisci?! _ gridai tra i denti, ignorando la sua domanda_ Sto creando un mondo migliore.. e tu mi stai aiutando a farlo! Sarai parte di tutto questo …” Ma lui continuava a guardarmi ancora più spaventato di prima. Perché non capivano mai? Perché non volevano essere salvati? Anche io era terrorizzato all’inizio, ma poi avevo capito quello che andava fatto, avevo accettato il mio ruolo da persona matura, come mi era stato insegnato. Possibile che i genitori di quei ragazzi non avessero mai insegnato loro a distinguere il giusto dallo sbagliato, il bene dal male? Non dovrebbe essere il ruolo principale di ogni genitore?
“Sei pazzo, sei solo un pazzo! Lasciami andare, figlio di puttana!”
Uccidi subito questa serpe, Kevin! Vedi come siete, voi mostri? Riesci a vederlo?’
Lo misi a sedere con la forza, il suo corpo aveva ormai perso ogni energia, era come un cadavere scosso da singhiozzi e da tremori, ma pur sempre un cadavere: “Lo so che è difficile da capire … lo è stato anche per me … ma è necessario. Finirà tutto, e tu sarai libero da questa maledizione …”  
“Ma cosa stai dicendo? Quale maledizione? Di che cazzo stai parlando, bastardo! Lasciami andare!” aveva ripreso ad agitarsi, spaventato dalle mie parole, ma le caviglie legate vanificavano ogni suo tentativo di fuga.. Non riuscivo a capacitarmi di quanto fossero ignoranti. Come facevano a non accorgersi del favore che stavo facendo loro?  
‘Sei ridicolo! Ma guardati, ancora più frocio di come ti ricordavo! Gli parli, gli dici parole dolci … e tutto quello che ti ho insegnato?! Ti sembra il modo di comportarti?’
“Taci! Taci, basta!” Il ragazzo sobbalzò. Non stavo parlando con lui, lui non poteva sapere … se solo avesse saputo, se solo avesse potuto essere al mio posto!
‘ Ti sembra il modo di rivolgerti a tuo padre?’  
“Scusa … è che .. non mi piace farlo …”mi pentii subito di avergli urlato contro, ma provai un moto di rabbia. 
‘Sei la solita femminuccia! Non me ne frega un cazzo se sei un cagasotto! Io saprei cosa fare con lui! Saprei come fargli capire i suoi errori, come farlo tornare normale! Sei tu che sei inutile, lo sei sempre stato!’
“Sto facendo tutto quello che mi hai chiesto di fare, tutto quello che mi hai insegnato!”
E allora fallo, cosa aspetti? Non starai cambiando idea!?’  
Deglutii rapidamente la saliva, anche se avevo la gola praticamente secca. Lo stavo facendo arrabbiare, non era mai bello farlo arrabbiare. Eppure ero agitato, odiavo tutta quella situazione. Ma aveva ragione: andava fatto. Allungai una mano verso la tasca dei miei pantaloni e presi l’accendino tra le dita: “E’ ora di finirla. Qualcosa da dire prima di purificarti?”
“ No, no! Non farlo, ti prego! Sei solo un pazzo, brucerai all’inferno per questo! Lasciami andare! Aiuto! Ti prego! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!”
“Mi dispiace, davvero …” gli occhi mi si stavano inumidendo. Quella era la parte che odiavo di più. Girai la rotellina e premetti il dito sulla leva, osservando con orrore e raccapriccio la piccola e innocente fiammella arancione accendersi. Se pensavo a cosa era capace di fare quella piccola scintilla …
‘Bravo, Kevin. Fallo bruciare …’ 
"
Kevin McGregor! FBI! Non faccia un passo o sparo!” Sobbalzai, tanto che quasi persi la presa sull’accendino. Ero ancora chinato sul ragazzo e quando mi voltai vidi un uomo alto, dalla barba curata e l’espressione crucciata: indossava un giubbotto antiproiettile blu con la scritta FBI stampata in bianco. Nonostante l’oscurità riuscivo a vederla chiaramente, così come riuscivo a vedere le altre quattro scritte identiche alle sue spalle: altri quattro agenti erano venuti a prendermi. Tutti e cinque, inoltre, puntavano la canna della loro pistola contro di me e sembravano essere fin troppo concentrati sul loro compito. Avrei dovuto provare un sentimento di terrore e panico di fronte a quegli uomini: d’altra parte erano venuti lì per impedirmi di portare a termine il mio compito, erano lì per fermarmi, arrestarmi o, se non avessi collaborato, uccidermi. Sapevo come funzionavano quelle cose, ci ero già passato. Tuttavia, quando capii di non avere scampo, qualcosa dentro di me si mosse: avevo le spalle al muro, non potevo più fare nulla. Era davvero un male? Forse sarebbero davvero riusciti a fermarmi … solo loro potevano farlo. E se ci fossero riusciti? Come mi sarei salvato? Come avrei potuto salvarli? Dovevo salvarli tutti … No, non potevo farmi catturare. Non potevano fermarmi, avrebbero rovinato tutto! “
Kevin. Kevin ascoltami! Metti giù l’accendino … non hai bisogno di fare tutto questo.” Uno dei quattro agenti alle spalle dell’uomo con la barba allargò le braccia, abbassando la pistola e avanzando di qualche passo verso di me. D’istinto mi irrigidii e strinsi la presa sul braccio del ragazzo, che nel frattempo aveva cominciato a sussurrare frasi del tipo
“Grazie a Dio, sia lodato il cielo. Vi prego aiutatemi ..”, il corpo ormai completamente abbandonato a me, privo di forze.
“State lontani! Non vi avvicinate! Andate via!” ringhiai contro gli agenti che ora mi squadravano con fare truce.
‘Stanno analizzando la situazione per capire come fermarti, idiota! Fa qualcosa, o sarà finita per sempre … Uccidilo, che aspetti?!’
“Basta, sta zitto! Lo so!” dissi battendomi una mano sulla tempia. Perché non smetteva? Perché?! 
“Non ho detto nulla, Kevin …” lo sguardo dell’agente era confuso e la sua perplessità traspariva anche dalla voce. Riuscivo a percepire la tensione dei suoi muscoli, la sua voglia assurda di girarsi verso i suoi compagni per ricevere un consiglio. Ma nemmeno loro potevano capire. Nessuno poteva capire.
“Smettila di chiamarmi Kevin! Sta indietro, ho detto!” urlai allungando un braccio verso di lui, mentre con l’altro avvolgevo il collo del ragazzo, stringendo la presa ogni volta che tentava di liberarsi. 
“Ok, ok! Non mi muovo, sono fermo, vedi?” era giovane, o almeno così sembrava. Avrà avuto una trentina d’anni e si vedeva che era preoccupato dalla situazione che si era creata dal sudore che gli imperlava la fronte e che gli rigava le tempie, bagnandogli i ciuffi di capelli neri sulla fronte.
“Sto mettendo via la pistola, hai visto? Non vogliamo farti del male, vogliamo solo che allontani quell’accendino dal ragazzo …”
“Voi non capite! Siete solo degli stupidi ciechi!” 
“Cos’è che non capiamo? Spiegacelo …” 
‘Vedi, anche lui ha capito che sei un demente! Ti parla come si fa con i bambini di due anni!’
“Non parlarmi come se fossi stupido … dovete andarvene!”
“Kevin, calmati! So che non sei stupido, ma so anche che sei spaventato. Sai che tutto questo è sbagliato, te lo si legge negli occhi …”  Cosa sta dicendo? Non è possibile, io non ho paura. Non ho paura.
‘Sì invece! Ne hai sempre avuta, sei sempre stato un cagasotto!’
“Non è vero! Non ho paura!”
“Kevin, guardami! Tutto quello che devi fare è mettere via l’accendino e lasciare andare quel ragazzo … puoi porre fine a tutto questo quando vuoi …” “No! Non posso … non posso …”
‘Smettila di frignare! Sei proprio ridicolo! Non fai altro che deludermi!
“Sì che puoi! E’ facile … basta allentare la presa!”
‘Si sta prendendo gioco di te, non vedi? Vuole farti cedere, vuole farti credere che stai sbagliando …’
“Stai indietro! Non mi prendi in giro, sai!? Non potete fermarmi!”
“Ascolta, forse hai ragione, forse non possiamo fermarti, ma puoi farlo tu.” Ci fu un attimo di silenzio in cui lo guardai negli occhi. Volevo ascoltarlo, volevo finire tutto lì, ma non potevo buttare via tutto quello che avevo costruito in quegli anni. Non potevo deludere di nuovo mio padre, non potevo …  “Sai come si chiama? Il ragazzo che hai tra le braccia, quello che ha vinto la borsa di studio per il college e che ha dovuto lasciare tutto per aiutare sua madre che è malata di schizofrenia? Si chiama Mike. Mike Turner. Ha solo ventitré anni, una famiglia che gli vuole bene, parenti e amici che sono preoccupati per lui e che vogliono rivederlo. Guardalo, Kevin.” Mio malgrado feci come mi diceva: guardai il corpo accasciato tra le mie braccia, i suoi occhi carichi di disprezzo e paura, di suppliche mute e rassegnazione. Mi era piaciuto sin da subito quel ragazzo, Mike. Si era dimostrato un osso duro, aveva combattuto senza riserve per la sua vita: aveva qualcosa per cui combattere, una famiglia da cui tornare, come diceva l’agente. Aveva quello che io non avevo mai avuto, qualcuno che gli volesse bene e che gli desse la forza di resistere. Ma questo come potevo spiegarlo? Come potevo dare la colpa agli altri per le azioni che io avevo commesso?
“Ti prego…”“Ti prego! Non è colpa mia… non volevo!”     
                                                                                                                                   

“Non volevo, non volevo! Non me ne frega un cazzo di quello che vuoi tu, mi hai capito?” Le dita dell’uomo si stringevano con maggior forza sulla pelle del bambino, torcendogli il braccio e costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.                                                                                                                                                                           
“E’ così che ripaghi i miei sforzi? E’ così che ringrazi tua madre per averti messo al mondo, piccolo ingrato?! Guardala! Guarda come l’hai ridotta!”


“Basta! Smettila!” gridai d’improvviso, mettendomi una mano fra i capelli e tirandoli con violenza. Spesso il dolore lo spaventava, lo faceva tacere per un po’. Doveva smetterla di tormentarmi, doveva smetterla di urlarmi nelle orecchie! Non sarei mai riuscito a portare a termine il mio compito se lui avesse continuato a parlare, sussurrare, bisbigliare…
“Kevin, chi deve smetterla?” chiese l’agente, azzardando un passo verso di me.
“Lui.. lui se ne deve andare.” Perché glielo stavo dicendo? Cosa stavo facendo? 
“Chi, Kevin? Chi se ne deve andare?” la calma nella voce dell’uomo quasi mi infastidiva.
‘Dai, diglielo! Fagli gli occhi dolci, magari ti metterà in cella con qualche checca come te!’
“Basta… basta … “ pregai fra i denti. Ogni tanto era davvero insopportabile, non riuscivo a respirare, tutto sembrava più buio, più confuso, gli spazi più stretti e soffocanti.
“E’ lui? E’ tuo padre, Kevin?” Mio padre. Era mio padre. Sì. Era lui, era sempre stato lui. Alzai lo sguardo, sorpreso, e lo fissai in quello dell’agente, altrettanto sconvolto.
“Devo farlo … non posso … io … devo …” riaccesi l’accendino che nel frattempo si era spento.
“No, aspetta! Kevin, qualunque cosa tuo padre ti stia dicendo, rifletti! Sei davvero convinto che abbia ragione? Sei davvero convinto che uccidere questo ragazzo sia la cosa giusta da fare, che possa aiutarti?” Cosa voleva dire? Certo che mi avrebbe aiutato …  avrebbe aiutato tutti quanti! Perché non riuscivano a capirlo?
“Voi non capite! E’ pericoloso, tutti quelli come lui lo sono! Io posso salvarvi, solo io posso farlo …”
“Kevin, guardalo! Ti sembra pericoloso? E’ solo un ragazzo, proprio come lo eri tu … So cosa ti ha fatto tuo padre. E’ una cosa ingiustificabile .. ma tu puoi ancora fargli capire che si sbagliava! Puoi dimostrargli che si sbagliava sul tuo conto …” 
“Non è vero … non è vero… ero malato e lui mi ha guarito, lo ha fatto per me!” Cosa stava dicendo quell’uomo? Mio padre aveva ragione, quelli come me erano un pericolo per la società. Spargevamo il nostro morbo infettando le altre persone, convincendole che fossimo nel giusto, e ben presto a causa nostra l’umanità sarebbe scomparsa per sempre. Niente più figli, solo peccatori, sodomizzazioni e blasfemie. Mio padre mi aveva aperto gli occhi, mi aveva fatto capire che potevo guarire e che potevo ancora fare qualcosa di buono nella mia vita malsana …
“Kevin, non sei malato, non lo sei mai stato! Essere omosessuali non è una colpa …”
“Non pronunciare quel nome! Non dirlo!” Quell’uomo non capiva quanto fosse pericoloso pronunciare quella parola. Mio padre me lo aveva spiegato subito.
“Ok, ok. Ma cerca di capire.. sei un uomo intelligente, lo so. So che ami leggere e so che hai letto ‘Il libro dell’inquietudine’ mentre eri in carcere a Tulsa...” ‘Non lo ascoltare, Kevin! Sta cercando di metterti contro di me, di dividerci …’ ma nonostante tutto non riuscii a fare a meno di ascoltare quello che aveva da dire. Ero curioso, confuso, attratto da quella voce estranea che mi diceva cose nuove.  
“ .. In quel libro Pessoa dice che avendo visto con quale lucidità certi pazzi giustificano le loro azioni ha perso per sempre la fiducia in se stesso e in ciò in cui crede…”
‘Avendo visto con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi giustificano a se stessi e agli altri le loro idee deliranti, ho perduto per sempre la sicura certezza della lucidità della mia lucidità.’ ” avevo sussurrato quelle parole senza nemmeno rendermene conto. Erano venute fuori da sole, come se non riuscissi a trattenerle dentro di me. Le stava dicendo sbagliate, non sopportavo quando la gente sbagliava.
“Esatto! Esatto. Capisci?” Il volto dell’uomo si illuminò per qualche secondo, animato da nuova speranza. 
“Tuo padre aveva le sue convinzioni e te le ha inculcate in testa con la forza, ma erano convinzioni sbagliate! Stava delirando, Kevin!”
‘Mente, bugiardo! Non lo ascoltare!’   
“No .. no, non è vero …” 
“Sì, sì è così. Tuo padre era un pazzo e un violento. Ti ha fatto cose terribili, ti ha costretto a odiare ciò che sei, a credere in quello in cui credeva lui .. ma non deve essere così per forza. Ragiona, Kevin! Rifletti! Tu sai che tutto questo è sbagliato, lo so, te lo leggo negli occhi! Non è colpa tua, non lo hai scelto tu.” Quell’uomo stava dicendo un sacco di sciocchezze, eppure… e se avesse avuto ragione? Se mio padre si fosse sbagliato? Io non avevo mai voluto fare del male a nessuno, lo facevo solo per lui, perché sapevo che così mi avrebbe perdonato, perché sapevo che così avrei fatto del bene, avrei rimediato ai miei peccati … e se invece fosse stato tutto inutile?                                                                                                      
‘Kevin, uccidi il ragazzo! Uccidilo, sei ancora in tempo!’
“No … no, non posso… non voglio …” Cosa stavo dicendo? Cosa stavo facendo? Avevo allentato la presa, ma perché? Erano lacrime quelle che bagnavano il mio viso?
“Mi dispiace …”
“Esatto, Kevin… lascialo andare …”
‘Idiota! Pazzo, ingrato, cosa stai facendo!’ 
“Non è colpa mia … non volevo …”
“Lo so, lo so! Ti aiuteremo noi, stai tranquillo!” Eppure… ero stato io ad uccidere tutti quei ragazzi. Ero stato io a cospargere il loro corpo di benzina. Era nel mio garage che la maggior parte dei loro corpi aveva preso fuoco. Ed era sempre stato il mio dito ad innescare la scintilla.
‘Proprio così, è tutta colpa tua. Se solo non fossi mai nato a quest’ora tua madre sarebbe ancora viva, e io non sarei una manciata di cenere sparsa chissà dove. Sei la vergogna della nostra famiglia! Una piaga nel mondo! Avrei dovuto annegarti quando eri appena nato …’

Ma ormai era troppo tardi. Il corpo del ragazzo era scivolato stancamente lontano da me, senza il minimo rumore. Uno degli agenti lo aveva aiutato ad allontanarsi, ed ora ero solo. Completamente solo.
“E’ finita, Kevin. Metti le mani dietro la testa e non opporre resistenza. Hai fatto la scelta giusta, con noi sarai al sicuro, vedrai …”  Ma come potevo essere al sicuro quando il più grande pericolo per me stesso ero proprio io? Potevo fuggire da mio padre, dal mio passato, dalla mia vita … ma non da me stesso. Non avevo mai voluto fare del male a nessuno, eppure l’avevo fatto. Che se lo meritassero o meno poco importava. Chi era quell’uomo per giudicarmi? Nemmeno mi conosceva! Mio padre mi aveva visto crescere, sapeva cosa era giusto per me … avevo portato solo dolore in questo mondo, aveva ragione. Ero sbagliato, ero un mostro, un assassino.
“Kevin… metti via l’accendino … ora!” Ancora ogni tanto continuavo a dirmi che dopotutto non era colpa mia, che ero una persona buona, che non meritavo di soffrire e che stavo facendo la cosa giusta. Eppure nel profondo del cuore sapevo che erano consolazioni che non potevo permettermi e che non sarebbero bastate a salvarmi.Guardai gli occhi di quell’uomo che per qualche minuto era riuscito a farmi sentire compreso, ascoltato e … perdonato. Ovviamente sbagliava: dopo quello che avevo fatto mio padre non mi avrebbe mai perdonato. Aprii le dita con un sorriso e, per la prima volta nella mia vita, seppi di aver fatto la cosa giusta. E fui felice.
                                                                     *******************
“Ehi, Terry, sei stato grande là dentro.” Emily passò una mano sulla spalla dell’agente Terence Miller, appoggiato contro la volante della polizia locale, che aveva sorvegliato il perimetro dell’edificio mentre l’FBI cercava di risolvere la situazione dell’interno.
“Mmh ..” fu tutto quello che riuscì a dire lui alla collega mentre la vedeva allontanarsi tra le luci intermittenti delle ambulanze e delle auto della polizia che ora invadevano l’isolato. C’era un gran via vai di persone: agenti locali, federali, medici e paramedici, curiosi e macabri osservatori, e sicuramente a breve sarebbero anche arrivati i giornalisti. Quelli non mancavano mai. Qualche altro agente si fermò per complimentarsi con lui e dargli qualche pacca di solidarietà, lasciandogli una strana sensazione in bocca. Non si sentiva affatto contento di come era andata a finire quell’operazione. Perché erano tutti così contenti? Perché tutti sorridevano? Perché si complimentavano con lui come se avesse fatto un ottimo lavoro? Forse era sbagliato, forse avrebbe dovuto sentirsi contento anche lui, ma nonostante ci avesse provato, non gli riusciva. Proprio in quel momento,Terence seguì con lo sguardo un’equipe di medici trasportare fuori dalla casa una barella carica con quello che sembrava un sacco per l’immondizia, ma sapeva bene che si trattava di molto di più: era il corpo senza vita di Kevin, il serial killer a cui da mesi ormai davano la caccia, e che finalmente erano riusciti a stanare. Il suo sguardo indugiò sulla forma del suo corpo, celata completamente dal telone scuro come a proteggerlo dagli sguardi accusatori e sprezzanti della gente. Tutto sembrava svolgersi al rallentatore: i medici nelle loro giubbe catarifrangenti, gli agenti che cercavano di proteggere il perimetro della scena del crimine, i guardoni che cercavano di farsi avanti e che gridavano frasi oscene contro il corpo senza vita dell’uomo che sino a poco prima si trovava in piedi di fronte a lui. Forse era proprio quello il problema: tutti gli altri non avevano parlato con quell’uomo. Non lo avevano chiamato con il suo nome.  Non avevano cercato di persuaderlo a fare la cosa giusta. I suoi compagni si erano limitati a puntargli una pistola contro e a coprire le spalle al loro collega. Era stato lui a fare il primo passo verso quell’uomo. Era stato lui a fissare i suoi occhi colmi di pazzia, lui che aveva cercato le parole più adatte per convincerlo a fare come diceva. Ed era stato lui stesso a fallire. Come poteva sentirsi soddisfatto per questo?
“Sembra che qualcuno sia pensieroso …” Terence alzò lo sguardo, quasi spaventato da quella improvvisa presenza.
“Ehi ..” disse spostandosi lievemente alla sua sinistra per fare spazio all’amico e collega.
“Allora, che hai fatto?” chiese l’agente Hamilton con voce stanca. Era stata una lunga giornata anche per lui, evidentemente.
“Niente di che, solo … sono stanco e la mia mente non riesce ad elaborare quello che è successo.”
“Lo so, ti capisco. Sai che ti dico? Fatti un tiro…” disse porgendogli una sigaretta. Terence lo guardò e accennò un sorriso, mettendosi il filtro tra le labbra secche e screpolate: George li conosceva bene, il fumo era sempre stato uno dei suoi vizi, ma era anche una delle poche cose che riusciva a distrarlo dopo un’operazione. Tuttavia, quando vide George avvicinare l’accendino al suo viso, capì che non poteva aspettare di vedere la fiammella accendersi. Capì che non poteva fumare quella sigaretta. Non lì. Non in quel momento.  Allontanò la mano del collega dal suo viso prima che potesse accendere la fiammella e si tolse nervosamente la sigaretta dalle labbra, sotto lo sguardo confuso dell’agente Hamilton.
“Ah, quindi è questo il problema. Terence, è inutile che fai quella faccia, ti conosco da dieci anni ormai e non ti ho mai visto rifiutare una sigaretta.” “Bene, allora mettiamola così: un uomo si è appena dato fuoco di fronte ai tuoi occhi con un accendino. Riusciresti a prendere in mano un accendino e a fumarti una paglia di fronte al suo cadavere?” le parole gli erano uscite di bocca con più acidità di quanta avesse voluto ma la tranquillità con cui tutti parevano rivolgersi a lui lo infastidiva, in qualche modo.
“Ehi, amico.. Hai tutto il diritto di essere sconvolto per quello che è successo, nessuno si aspetta da te che torni in centrale felice e contento come se avessi appena fermato un ladro di caramelle.” Fece una pausa, rimettendosi in tasca accendino e sigaretta. “So come ti senti, ci sono passato anche io, ma non sempre le cose vanno come speriamo. E’ il nostro lavoro … è il nostro cazzo di lavoro! A volte ne esci da eroe, altre volte ne esci sconfitto, altre volte deluso … ma tutte le volte ne esci da schifo.”
“Beh, così non aiuti molto ..” disse Terence con un debole sorriso di scherno.
“Quello che sto cercando di dirti è che è del tutto normale sentirsi così, ma bisogna andare avanti altrimenti non ne uscirai mai.”
“Avrei potuto salvarlo. Era lì, di fronte a me, mi stava guardando negli occhi. Ci ho parlato, ero riuscito a stabilire un contatto… avevo persino pensato di essere riuscito a fermarlo …”
“E così è stato!”
“No! No, cazzo, non l’ho fermato! Si è dato fuoco davanti ai miei occhi, George! Mi ha guardato e ha sorriso, poi boom! Carbonizzato! Sento ancora le sue urla nelle orecchie …”
“Non potevi fare nulla, Ter. Quell’uomo era uno psicopatico, era destinato e fare una brutta fine …”
“E’ proprio questo il problema! Come potevi sapere cosa sarebbe successo? Magari sarebbe riuscito a ritrovare un po’ di pace, qualcuno avrebbe davvero potuto aiutarlo … Tu non l’hai visto! Era disperato, terrorizzato … Non voleva fare quelle cose.”
“Però le ha fatte. E a causa sua otto persone hanno perso la vita in un modo terribile. Otto famiglie hanno dovuto riconoscere i loro cadaveri carbonizzati e dovranno convivere per sempre con questa immagine.”
“ Pensi che non lo sappia? So che era un assassino ma… ma non riesco a fare a meno di pensare a quello che ha passato. Insomma.. come sarei diventato io se fossi stato al suo posto? Quel ragazzo ha passato la maggior parte della sua infanzia ad obbedire al volere di un uomo violento e psicolabile che non faceva altro che ridicolizzarlo e ripetergli quanto fosse inutile! Aveva sedici anni quando sua madre è morta e il padre lo ha convinto che la colpa fosse sua e della sua omosessualità, quando in realtà era malata da anni di cancro! Ti rendi conto?”
“Sì, sapevo qualcosa, e mi dispiace molto per quel ragazzo … ma le cose vanno come vanno.”
“E se non fossero andate così? Se fosse vissuto in una famiglia normale? Insomma, non ha mai ricevuto un’educazione perché il padre non glielo permetteva, eppure mentre era in carcere l’unica sua richiesta erano libri. Libri che ha imparato a leggere durante la detenzione e di cui ha imparato interi passi a memoria! Capisci? Era curioso, intelligente, aveva voglia di imparare, di avere una vita normale … e se avesse potuto averla? Insomma.. come puoi pretendere che qualcuno non perda la testa con un passato del genere alle spalle?”
“’E se’, ‘e se’ … non esistono ‘e se’ nella vita. Esistono i fatti. E per quanto possa farmi pena quel ragazzo, per quanto possa rifletterci sopra, rimane pur sempre un assassino.” “Sì, ma rimane pur sempre un essere umano. Sai perché dava fuoco alle sue vittime?” al cenno negativo del collega, Terence proseguì.
“A diciassette anni ha ucciso il padre durante una colluttazione, probabilmente mentre veniva seviziato da quel pazzo che cercava di ‘curarlo’ dalla sua ‘malattia’. E’ stato sicuramente un incidente perché nonostante tutto quello che gli faceva lui amava il padre e non gli avrebbe mai fatto del male. Secondo alcuni test medici che gli hanno fatto mentre era in carcere è risultato che la sua età cerebrale è rimasta ferma a quel giorno …  Dopo l’incidente ha dato fuoco al corpo perché non ne sopportava la vista. E’ stato lui stesso a chiamare la polizia dicendo che gli dispiaceva e che era tutta colpa sua, che dovevano ucciderlo perché era pericoloso.”
“Poveretto …” 
“Quel che è peggio è che quello stronzo del padre gli aveva fatto il lavaggio del cervello, andava in giro a dire che gli omosessuali erano una piaga per la società perché non generano figli e perché si divertono a diffondere la loro malattia alle persone sane. Gli diceva che lui aveva avuto la fortuna di avere un padre che gli diceva cosa fare, e che una volta guarito avrebbe potuto redimersi portando avanti il lavoro che lui stesso aveva fatto sul figlio.”
“E’ per questo che andava in giro ad uccidere ragazzini gay? Perché doveva redimersi?”
“Pensava che fosse l’unico modo per farsi perdonare dal padre e per fare qualcosa di buono. Pensava di salvare se stesso e quei ragazzi, liberandoli dalla loro ‘malattia’. Credeva che così facendo avrebbe salvato l’intera umanità perché se gli omosessuali avessero continuato a ‘diffondersi’, prima o poi non sarebbero più nati bambini e l’umanità si sarebbe estinta.”
“ Non posso crederci … cosa da matti! Come puoi concepire un ideale così contorto e controverso? E tu pensavi di poter salvare un soggetto del genere?! Cosa avresti potuto fare?”
“Non lo so … probabilmente nulla, ma di certo non volevo che si uccidesse. Mentre gli parlavo ho capito che era ancora ossessionato dal padre … ci parlava, capisci? Sentiva la sua voce in testa, come se fosse lì con lui! Prova ad immaginare quello che ha passato …”
“Ho capito ma …”
“No, George. Qualunque cosa tu possa dire so solo che non riesco a togliermi le sue urla dalla testa e che continuo a rivedere il suo sguardo disperato. Era felice. Mentre lasciava andare l’accendino ha sorriso! Non riuscirò mai a dimenticarlo … pensi che ne uscirò mai?”
“Sì, ne uscirai. E sai perché? Perché è quello che facciamo. Quello che siamo costretti a vedere e sopportare ogni giorno, tutto il dolore e la disperazione di questo mondo … come si può pretendere di uscire intatti da una vita che ci costringe a portare questo fardello sulle spalle? Perciò sì, capisco come ti senti perché ho dovuto sparare più di un colpo nella mia carriera e mi sono sentito male per mesi, se non per anni. E’ così che si sentono le persone buone. Si sentono colpevoli anche per l’inevitabile. Eppure sono qui e anche se non ho dimenticato, anche se ogni tanto continuo a pensare a quei momenti ma sono andato avanti. Sono andato avanti perché i miei compagni hanno bisogno di me. Perché insieme alla gente malvagia che popola il mondo, ci sono altrettante persone buone e innocenti che hanno bisogno di me.”
“Persone buone, persone cattive … esistono davvero? Possiamo davvero stabilire se una persona è buona o cattiva basandoci sulle sue azioni?” 
“Questa è una domanda lecita ma a cui non posso rispondere, Quello che so è che ci sono troppe variabili nella vita di una persona per essere prese in considerazione. Dobbiamo fare ciò che va fatto e non soffermarci troppo sul passato. Quel che è stato è stato, Ter, si va avanti nel nostro mestiere!” “Ma come? Dove trovi la forza per andare avanti dopo una cosa del genere?”
“Te l’ho detto. Guardando il buono che c’è nel mondo e mettendo da parte il male: per questo ora ti chiedo di smettere di guardare quel sacco e di concentrarti su Mike. Sulla vita che hai salvato, e non su quella che tuo malgrado non sei riuscito a salvare. Sul futuro che hai regalato a quel ragazzo e non sul passato che nessuno avrebbe potuto risparmiare all’altro.” Terence fece come gli veniva detto e presto i suoi occhi incontrarono quelli di Mike, che nonostante le ferite multiple e lo schock, aveva ricambiato il suo sguardo e gli aveva sorriso con un espressione che diceva ‘grazie’. E quel grazie era tutto ciò che gli serviva.
“Anche quando salviamo delle vite, anche quando osserviamo i sorrisi dei familiari a cui vengono restituiti i loro cari, non possiamo fare a meno di pensare a tutte le altre persone che in quel preciso momento sono morte o stanno piangendo qualcuno che amavano. Qualcuno che avremmo potuto salvare, forse … ma non potremo mai saperlo. Ma sono proprio quelle persone, quelle che salviamo con fatica e a costo della nostra stessa vita, a darci la forza di andare avanti. Se ci mettessimo a riflettere anche sugli assassini, sui pazzi e sulle loro motivazioni … saremmo noi i primi a diventare matti.”
E così rimasero in silenzio, uno accanto all’altro, due colleghi stanchi e desiderosi di dimenticare tutto quello che era successo il più in fretta possibile. E mentre Terence rifletteva sulle parole del suo amico, su quanto avesse ragione e allo stesso tempo su quanto fosse difficile traslarle nella vita reale, l’agente Hamilton si alzò e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, gli disse:“In ogni caso sei stato forte oggi. Pensa pure ciò che vuoi, ma hai salvato più di una vita.”
Terence capì ciò che intendeva: aveva salvato Mike, ma aveva salvato anche gli altri ragazzi che sarebbero potuti entrare nel mirino di Kevin, se non fosse stato fermato. E poi, forse, aveva salvato proprio Kevin. In quei pochi minuti di conversazione era riuscito a fargli capire l’origine malata delle sue azioni. Era riuscito a farlo riflettere, a farlo tornare sui suoi passi. E grazie a lui, forse, Kevin era morto consapevole di aver sbagliato, ma consapevole allo stesso tempo di aver risparmiato una vita innocente.
E forse, ora, Kevin era libero. Più libero di quanto sarebbe potuto essere in carcere, chiuso tra le sbarre della cella e soprattutto della sua mente. 



Eccoci qua! Spero che questa one shot vi sia piaciuta e che l'abbiate letta con piacere! Personalmente sono piuttosto orgogliosa del risultato, dato che è la prima volta che mi cimento in una cosa del genere ed è stato difficile trovare lo stile giusto, una trama avvincente e credibile ... diciamo che per me è stata un po' una sfida e spero di averla superata! Fatemi sapere cosa ne pensate con qualche recensione, mi farebbe molto piacere!
Grazie per aver letto, ci si vede!

Ilaria;)
  
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