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Autore: Matih Bobek    07/11/2014    2 recensioni
Brevi racconti tratti da esperienze quotidiane che vertono sulla vita nella Capitale, con un occhio di riguardo per le zone periferiche al nord, l'ignoranza e la cafonaggine del romano medio, le lotte con i mezzi pubblici, l'ansia di prendere la macchina per via del traffico. Divertenti, ironiche e irriverenti le storie presentano una grande varietà di temi, trattati con ferma lucidità analitica e un certo distacco. Dalla raccolta emerge il dipinto di una Roma in caduta libera, macera e spenta, specchio della situazione in cui versa l'Italia. La crisi economica e sociale vengono descritte con amara ironia.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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 Il 64 continuò la sua odissea, e arrivò appena sotto il ponte Cavalleggeri; fuori dal finestrino, videmmo uno spettacolo terribile: una folla immane di gente, intenta a salire sull'autobus. Al panico generale si sostituì una pallida rassegnazione. Io, ormai sciolto in sudore, ero sul punto di svenire, un po' per il caldo, un po' per il timore di dovermi arrampicare sulle mancorrenti. L'orda salì, e noi ci spalmammo sulle sbarre di metallo. Disperato, guardai mio padre e gli chiesi come mai ci fosse così tanta gente, lui si limitò a scuotere la testa: non ne sapeva nulla. Un signore dietro di noi, con cappello e baffi grigi, si girò e ci disse: "la metro A è ferma." Lasciò che le sue parole ci penetrassero, restando serio, poi, come se avesse professato chissà che verità, si rigirò. 
La metro A ferma. Strano. Forse è l'unica cosa che funziona a Roma. Certo, a volte più che una metro sembra un parco acquatico, ma almeno è efficiente. O meglio, lo era. Ancora, il silenzio di mio padre fu più chiaro di mille parole. Uscito dalla galleria, il 64, pieno zeppo di anime disperate, si trovò nel bel mezzo di uno degli incroci più tremendi di tutta Roma, Ed è tutto dire. Dai finestrini potevamo vedere lo spettacolo dal vivo: le automobili sgommarono sul lucido asfalto bollente per evitare di scontarsi. Una macchina sfrecciò contromano, e un motorino fece slalom tra gli ammassi di latta. Dai finestrini delle auto sbucavano le mani "vaffa", il gesto romano per eccellenza, mentre io, con sguardo sconvolto, osservavo il degrado dell'umanità dipingersi sul nero del catrame, proprio vicino al mausoleo di Adriano.
Il viaggio continuò, e ci illudemmo che il peggio fosse finito; ma la quiete fu frantumata di nuovo quando, all'ennesima fermata, salì un ragazzo che, non riuscendo ad entrare, dovette spingere la folla. Non volendo, pestò il piede a miss matita - sulle - labbra: il tempo si fermò.  Si squarciò il cielo al di sopra di noi, l'autobus all'interno sembrò tingersi di rosso; le fiamme uscivano dalle sue pupille, e dalla bocca fiumi di lame affilate sostituirono la lingua. Una voce pietrosa e fredda come granito fuoriuscì dalla cava dentata, e si scagliò violenta contro il malcapitato:"PORCA T***A! CHE C***O FAI! MA SEI UN C*****E! M'HAI SPORCATO 'E SCARPE!"Un buon motivo per buttarle, pensai tra me e me. " MA CHE C****, TUTTE A ME OGGI, TUTTE A ME! Indiavolata, la coatta continuò ad urlare e urlare, mentre il ragazzo, poverino, seriamente dispiaciuto, le chiese scusa, tremando come una foglia:" Mi dispiace veramente, posso fare qualcosa?" Veramente galante, pensai. Lei non pensò lo stesso:" Sì: TE DEVI DA LEVA' DAR C***O!". Il giovane abbassò la testa e si spalmò sul vetro delle porte. Io, incredulo, nuovamente guardai mio padre, cercando nei suoi occhi una risposta. Trovai il silenzio, ancora e di nuovo. La ragazza retrocalcitava sbuffando come un cavallo imbizzarrito, scuotendo lo shatush, un po' per il caldo, un po' per vanto. 
Sgangherato e satollo di anime, l'autobus fece le ultime fermate mentre mano a mano scendevano i superstiti. Noi attendevamo il capolinea. Nei pressi di Corso Vittorio, salì una coppietta di anziani: vistosamente affaticata dalla calura estiva lei, e vistosamente affaticato dalla moglie, lui. A turno si lamentarano prima del caldo, poi dei giovani ( che per me erano anziani, tanto quanto loro ) che non cedevano il posto, degli stranieri, di cui l'autobus era zeppo ( Asia, Africa, Europa, America e Oceania: tutti in uno. I poli ovviamente, sul treno ), poi delle mezze stagioni che non esistono più, e dei mezzi pubblici, sempre pieni zeppi; ricordarono con la nostaglia negli occhi i loro bei tempi andati in cui " si stava meglio", e poi battibeccarono: lei aveva ragione anche se diceva che il cielo era verde, lui torto marcio. Sempre. Dopotutto si sa, il matrimonio è formato da uno che ha sempre ragione e dal marito. E in taluni casi, dall'idraulico. 
La coppietta scese una fermata prima del capolinea, e lasciò sul mio volto un sorriso dolceamaro. 
Eravamo ormai quasi arrivati; l'autobus aveva assunto l'aspetto di una tomba fiammeggiante: "almeno seppellitemi seduto, per favore!" pensai. Le mie gambe non mi sorreggevano più ed ero sul punto di crollare. Il caldo si era fatto insopportabile, ed ero bagnato da capo a piedi.  Cercai refrigerio aprendo lo sportellino, che sembrava però fissato nel cemento. C'erano metri e metri di finestrini e nessuna possibilità di aprirli. Ma chi li costruisce gli autobus a Roma? Saw l'enigmista?
Spalmato sul finestrino, con gli occhi semiaperti, pregai che finisse quell'inferno. Dopo un attimo, che mi parve senza fine, mio padre mi toccò la spalla, e mi fece segno di scendere: eravamo arrivati. Scesi dal bus di Satana, e non appena toccai terra, col volto provato, alzai le mani al cielo, commosso e poi lanciai un ultimo sguardo al rottame degli inferi, che sembrò quasi ringhiare di soddisfazione nel vedermi sfinito, o inaspirsi di odio per non avermi fatto fuori. 
Piazza Venezia splendeva raggiante, con le sue aiuole festose di gioia e profumate di fiori, mentre la figura del Vittoriano si imponeva con la sua regalità sulle strade al di sotto. Orde di turisti inebriati dalla bellezza di Roma scattavano foto su foto, sorridendo felici. Via del Corso brulicava briosa di vita, e i resti della Domus Aurea brillavano per il sole. Il cielo era limpido e regalava una piacevole brezza che mi accarezzava la pelle. Mio padre mi fece sedere su una panchina all'ombra, vedendomi stravolto e accaldato; rimase in piedi accanto a me e disse:" Quando ero piccolo io, il raccordo non esisteva; gli autobus erano pochi e passavano di rado, i treni, non ne parliamo; la metro non sapevamo cosa fosse, le strade erano dissestate, piene di buche, e se disgraziatamente pioveva poco piu' della norma, era la fine; le poche macchine che circolavano conoscevano le regole della strada come io conosco l'aramaico antico. L'educazione non è mai stata di casa. Dimmi, e' cambiato qualcosa?" Scossi la testa in silenzio. Un attimo di silenzio e aggiunse: " E' il prezzo della bellezza."
   
 
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