Serie TV > The Mentalist
Segui la storia  |       
Autore: ilovebooks3    08/11/2014    4 recensioni
Una raccolta di one shots per immaginare le nuove vite di Jane e Lisbon immediatamente dopo il finale della sesta stagione.
Perché la tempesta è finita, ed entrambi si meritano un po’ di arcobaleno.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PINK ROSES IN THE GARDEN

 
I coniugi McDonald sono stati trovati, prelevati, interrogati e arrestati.
Sono le 5 del pomeriggio ormai, e l’agente speciale Lisbon è diligentemente seduta alla sua scrivania a compilare le ultime scartoffie sul caso.
Ma la verità è che si sta annoiando a morte.
Non è più abituata a lavorare in un ambiente così banalmente tranquillo, senza i fastidiosi scherzetti di un certo consulente biondo, e senza la sua figura familiare accoccolata sul divano di pelle dell’open space.
Sembra incredibile ma, nonostante quello che lei ha sempre affermato per salvare la faccia, il ritmo del respiro del bell’addormentato sul sofà ha il potere di farla concentrare e di renderla più efficiente. Non glielo confesserà mai.
A proposito, nessuna traccia o notizia di Jane da parecchie ore. E’ decisamente strano.
Lo chiama a casa e non risponde nessuno. Non è un buon segno.
Lo chiama sul cellulare e scatta la segreteria. Non è decisamente un buon segno.
Jane, dove diavolo ti sei cacciato?
Teresa non può sapere, malgrado il sesto senso da sbirro, che Patrick sta trascorrendo la sua interminabile giornata in giro per la città, stranamente senza fare danni, e con l’orecchio destro ormai incollato al telefono.
Non può nemmeno immaginare che tutto questo faccia parte di un suo ingegnoso, e soprattutto innocuo, piano; e, tanto meno, che lo scopo del piano in questione sia solo farla sorridere.
Quello che però la donna sa è che, tutto sommato, neanche questa volta le risulterà troppo difficile concedergli la propria fiducia. Dal lontano giorno di quella stupida prova della fiducia,  buttarsi nel vuoto all’indietro sperando di non cadere è diventata un’abitudine per lei, quando di tratta di Patrick Jane. E si tratta sempre di Patrick Jane.
Lisbon increspa le labbra involontariamente e ordina a se stessa di non immaginare scenari apocalittici di fughe rocambolesche, case andate a fuoco e vicini imbufaliti; ha detto che sarebbe rimasto, che stamattina avrebbe addirittura fatto una specie di trasloco, quindi è piuttosto improbabile che si sia già dileguato. Anche se con Jane, i suoi demoni e le sue bizzarrie, è meglio non affidarsi al calcolo delle probabilità e non dare mai nulla per scontato; dopotutto è un cane sciolto, e sempre lo sarà. Lisbon non saprebbe dire se questo lato di lui la faccia più sorridere o più innervosire. Molte caratteristiche del consulente le fanno questo effetto. Decisamente troppe.
Quando finisce di controllare i fascicoli per l’ennesima volta (vuole fare bella figura con Abbot, dopotutto è sempre la solita, pignolissima, agente speciale Lisbon), le viene in mente all’improvviso che la sua casa, Jane o non Jane, è comunque mezza vuota; casa che, probabilmente, mister Ficcanaso avrà già messo a soqquadro, dispiacendosi del fatto che ci siano pochi oggetti tra cui frugare. Ecco l’unico lato positivo di averne già spediti molti a Washington.
La donna alza gli occhi al cielo e decide di fare l’ultima cosa che avrebbe voglia di fare. Ha bisogno di quella roba. Non può certo permettersi di ricomprarla, come quell’incosciente megalomane biondo aveva suggerito. E poi Teresa rivuole la sua.
Potrebbe cavarsela con una mail o un sms, ma ha la sensazione che non sarebbe un comportamento alla Lisbon; è già stata vigliacca troppo a lungo, per essere quella che ha fatto della correttezza il proprio regime di vita. Un confronto diretto, possibilmente civile, è inevitabile, tanto più dopo quella rapida e incoerente telefonata in aeroporto di cui ha vaghi ricordi (al momento le sue facoltà cerebrali erano piuttosto intorpidite). Glielo deve, dopotutto. E lo deve anche a se stessa.
Approfittando dell’insolito fatto che nell’open space non ci sia nessuno dei suoi colleghi, compone quel numero che, negli ultimi mesi, aveva imparato a memoria.
Una voce che non riconosce, perché forse non l’ha mai ascoltata sul serio, le risponde. Ora tocca a lei.
«Marcus. Ciao. Sono Teresa».
Silenzio.
«Marcus, ci sei?»
«Non è il tuo numero».
«Cosa?»
«Non mi stai chiamando dal tuo cellulare, altrimenti non avrei risposto», chiarisce Pike con astio.
Cominciamo bene. «No, ti chiamo dall’FBI. Come stai?»
«Come vuoi che stia? E comunque non ti riguarda».
«Non serve a niente dire che mi dispiace, però mi dispiace sul serio». Lisbon tenta di usare l’approccio della brava agente che conforta il parente della vittima di un omicidio. Empatia e distacco insieme. Mai immedesimarsi troppo. Mai essere troppo coinvolta.
«Mi hai chiamato per dirmi questo? Perché, se è così, potevi risparmiartelo. Immagino che all’FBI non ti paghino per fare la telefonista».
«No, in effetti no. Ti ho chiamato per chiederti se puoi rispedirmi la mia roba». A pensarci bene, non è che poi le dispiaccia molto per Pike. Dopotutto aveva capito la verità molto prima di lei, ma, nonostante questo, aveva deciso di fare finta di niente e di ingozzarla di pancake. Era stato vigliacco anche lui, a quanto pare.
«Ah. Vedo che non perdi tempo». La voce dell’uomo che avrebbe dovuto sposare è secca e non promette niente di buono.
«Ho bisogno delle mie cose, Marcus».
Silenzio.
«Sei ancora lì?», chiede Teresa, già rassegnata all’eventualità, neanche troppo remota, che lui abbia già buttato giù la cornetta e nel cassonetto le sue cose. Ecco, dovrà dire addio definitivamente alla sua valigia preferita, quella che le aveva regalato suo fratello Tommy, e al vecchio sassofono che suonava al liceo.
Ma, forse, c’è ancora una speranza. «Sì», risponde brevemente il suo interlocutore.
«Hai sentito quello che ti ho chiesto, Marcus?», insiste lei. Le sembra di aver a che fare con un cerebroleso. Peggio del pestifero bimbo di cinque anni travestito da affascinante quarantacinquenne riccioluto che deve sopportare tutti i giorni; e che, comunque, ha un’intelligenza pari a quella del suo ex fidanzato moltiplicata per cento.
«Perché non le lasci qui, Teresa? Sei in tempo per cambiare idea. Se mi raggiungi, faremo finta che non sia successo niente», mormora in fretta l’uomo, trattenendo il fiato.
Incredibile. Tutto Lisbon si poteva aspettare tranne questo repentino cambio di atteggiamento. Evidentemente Pike è bipolare. Oppure non si rassegna all’idea di perderla. Ma non si può perdere qualcosa che non si ha mai avuto.
«Marcus…io non cambierò idea», chiarisce Lisbon con dolcezza e determinazione, le due cose che mette in tutto quello che fa.
«Non la penserai così quando Jane ti farà uscire di testa».
«Oh, se è per quello lo sta già facendo».
«Ma tu lo ami».
«Sì», risponde lei con franchezza, senza alcuna esitazione.
«Capisco. Non hai mai usato quel tono quando ti ho chiesto se mi amavi».
E’ vero. «Non ho mai voluto ingannarti, né farti soffrire, questo lo sai».
«Voglio sperarlo. L’hai fatto, però».
«L’ho fatto anche a me stessa».
«Va bene, se è questo che vuoi, ti spedirò le tue cose. Addio Teresa».
Lisbon non fa in tempo a ringraziare il suo ex futuro marito, che un colpo sordo e l’inconfondibile bip bip le annunciano che la telefonata si è appena interrotta.
Non è stato semplice. Pike è una brav’uomo, e Lisbon tutto avrebbe voluto tranne che far soffrire un brav’uomo. Ma di una cosa è certa: malgrado quello che lui possa credere ora, la verità è che gli ha fatto soltanto un favore. Marcus non è affatto innamorato di lei: non può esserlo semplicemente perché Teresa, solo ora se ne rende conto, in compagnia del bell’agente dei crimini d’arte non è mai stata se stessa. L’ex futura signora Pike, accondiscendente e tutta moine, non è mai esistita; esisteva solo nella mente di Marcus, e, in effetti, anche tra le sue braccia, ma solo perché sperare in un futuro con quel mentalista da strapazzo, che ha sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, le sembrava fantascienza.
Non è fiera del suo comportamento, ma è andata così, e tutti, perfino la granitica agente Lisbon, possono sbagliare. Decidere di trasferirsi da Marcus, e di sposarlo, era stato soltanto un goffo e contorto tentativo di negare a se stessa quell’inconfessabile verità.
E’ tutto molto semplice, adesso.
Adesso Teresa è completamente libera.
E, avendo quasi terminato di svolgere il suo lavoro da scribacchina, tra poco sarà anche libera di uscire dall’FBI, tornare a casa e baciare il suo nuovo coinquilino.
Ma non ancora.
Qualcuno bussa attraverso il vetro dell’openspace. Sembra trattarsi di un pacco in grado di camminare da solo, ma, guardando con più attenzione, la donna capisce che è soltanto un ragazzo che trasporta un pacchetto più grosso di lui: probabilmente un fattorino. Gli fa cenno di entrare.
«Ho da fare una consegna alla signorina Teresa Lisbon».
«Agente», chiarisce Teresa, indicando il tesserino col solito gesto della poliziotta abituata da anni a farsi rispettare, a suon di gomitate e dolcezza, in un mondo governato da uomini. «Sì, sono io».
«Prego, firmi qui».
Possibile che la sua roba sia già arrivata da Washington?
Beh, ovviamente no. A meno che non abbia viaggiato alla velocità della luce e Pike non abbia doti aliene.
Una volta congedato il ragazzo, Lisbon apre il pacco con diffidente curiosità. Dentro trova nientepopodimeno che due dei tre elegantissimi vestiti che Jane le aveva regalato a Islamorada. Quelli che, per un attimo, l’avevano fatta sentire una principessa. Il bianco e il verde. Li aveva lasciati all’hotel quando era scappata; non senza rammarico, a dir la verità.
Ma cosa significano?
Apre la busta allegata al pacco. Dentro c’è un biglietto. Riconosce la scrittura curata e un po’ infantile : il suo mentalista preferito riesce sempre a sorprenderla.
 
Mia cara Lisbon, penso che avrai riconosciuto i vestiti che avevo scelto per te. Indossane uno, quello che preferisci, e torna a casa.
Ps: ho escluso quello lungo, perché ho pensato che fosse un po’ troppo scomodo per quello che ho in mente.
Pps: se ti chiedi come ho fatto a farteli consegnare in ufficio direttamente da Islamorada, posso solo dirti che il telefono è un potente mezzo e che io, evidentemente, non ho perso le mie capacità persuasive.
 
Oh mio Dio, pensa Teresa. Ma sta scherzando? Non solo quel pazzoide le sta chiedendo di indossare in città (e non in un lussuoso hotel dove non la conosce nessuno e ti vietano di cenare in jeans) un vestito del genere (bellissimo, per carità, solo un po’ troppo corto per i suoi standard), ma dovrebbe pure metterselo in ufficio e sfilare tra le scrivanie dell’FBI? Che vergogna. Non se ne parla.
Ma, soprattutto, il lato più inquietante di tutto questo è: cos’ha in mente Jane?
A parte metterla in imbarazzo, quello è scontato.
Lo scansafatiche più indolente del mondo ha proprio del tempo da perdere se ha voglia di fare questi giochetti da idiota.
Suo malgrado, però, è curiosa. E più elettrizzata di quello che dovrebbe.
In un attimo Lisbon capisce che farà esattamente quello che lui le ha chiesto. Come sempre, del resto.
 
**********
 
Ha finito le sue noiose incombenze da agente federale, ha salutato i colleghi e si è nascosta in bagno a indossare l’abito di pizzo verde. E’ stupendo, pensa Lisbon, ma lei, con capelli arruffati, trucco inesistente e stivaletti sportivi, non lo è affatto. Poco male. Tutta colpa di Jane, ovviamente.
Spera di uscire di soppiatto dall’edificio, con i suoi vestiti da lavoro e il secondo abito chic appallottolati impietosamente nella sua enorme borsa da Mary Poppins, insieme alla sua pistola che non sa più dove mettere; ma la privacy è un lusso all’FBI.
Nel corridoio si imbatte in Cho ed Abbot, proprio ad un passo dalla salvezza. Dannazione.
Il coreano si limita a salutarla con noncuranza, indifferente al fatto che dieci minuti prima la poliziotta indossasse i jeans e ora sfoggi un vestito da sera. L’abbigliamento di Lisbon non è affar suo. Ad Abbot, invece, il particolare non sfugge, e nemmeno le sue indirette implicazioni. Sorride con aria sorniona e le augura buona serata.
Teresa ringrazia, arrossendo e maledicendo tra se’ sia l’abito sia Jane; si precipita all’uscita, sale in  macchina, e in meno di una decina di minuti arriva a casa. Per fortuna. Non è piacevole guidare con quell’affare che le lascia scoperta metà coscia.
Dopo aver posteggiato davanti alla graziosa villetta, resta qualche minuto nell’abitacolo.
Respira, Teresa, respira. Improvvisamente le fa uno strano effetto pensare che in casa ad aspettarla, per la prima volta, ci sia Jane. Patrick. Il suo Patrick. Ora ha tutto il diritto di chiamarlo così, anche se non pensa che potrà abituarcisi tanto facilmente.
Quello su cui non ha dubbi è che è impaziente di vederlo. Anche se l’ha costretta ad indossare un vestito in cui si sente leggermente ridicola.
Esce dalla macchina a tutta velocità, sbattendo la portiera. La voglia di abbracciare il suo mentalista è un ottimo incentivo.
Ma sulla porta di casa trova un altro biglietto. La donna sospira e alza gli occhi al cielo con rassegnazione; è stanca e non ha affatto voglia di giocare a caccia al tesoro. E’ un passatempo che non le è mai nemmeno piaciuto, come nascondino e campana, ma, d’altronde, da bambina non ha avuto molto tempo per i giochi.
 
Bentornata a casa, Lisbon! Vai in camera. E non dire che non ti piacciono le sorprese. Questa ti piacerà.
 
Teresa arrossisce violentemente. Che razza di sorpresa le ha preparato Jane? Una sorpresa che riguarda la camera da letto, per giunta.
Suvvia, non essere sciocca, Teresa, e non pensare a quello che stai maliziosamente pensando, dice tra se’ e se’.
Da brava ragazza cattolica scaccia dalla sua mente immagini impure (per quelle ci sarà tempo, tutto il tempo del mondo), entra e si avvia per le scale, verso la stanza in cui, le sembra ancora incredibile, la notte scorsa ha dormito con Jane.
Sul copriletto verde avvista immediatamente tre piccole macchie bianche: avvicinandosi, riconosce due rane di carta, di cui una vecchia e malandata (evidentemente il ficcanaso l’ha trovata senza sforzo) e una nuova di zecca (evidentemente appena costruita dalla stessa inconfondibile mano). Vicino ai due graziosi animaletti, è appoggiato un biglietto.
 
Ho portato qui le mie cose. Come vedi, da oggi la tua rana non sarà più sola.
 
Gli occhi di Teresa diventano lucidi, suo malgrado. Quella ranocchia è il personalissimo modo di Jane per comunicarle le sue intenzioni. Anzi è molto di più; rappresenta la sua promessa di non fuggire mai più da lei.
La donna osserva da vicino i due piccoli origami, sfiorandoli con i polpastrelli. Si sono trovati. Proprio come lei e Patrick.
Il freddo mentalista, se vuole, sa essere davvero molto romantico e Teresa lo aveva già sospettato in più di un’occasione. Una volta le aveva detto, scherzando ma neanche troppo ( è complicato capire le battute di Jane), che il romanticismo è il motore del mondo. Lisbon aveva glissato, dando l’impressione di non essere d’accordo. Lo era, ma ammetterlo sarebbe stato doloroso, o forse sarebbe sembrato un segno di debolezza. Ma ora che il romanticismo del consulente è tutto per lei, anche la poliziotta, cinica per dovere e necessità, può dare sfogo al proprio. Forse.
Improvvisamente le due ranocchie saltano verso di lei, la quale, colta di sorpresa, fa un istintivo balzo all’indietro. Poi si mette a ridere sonoramente, dandosi della sciocca. Certo, lo sapeva che sono due rane salterine. Eppure lo scherzo è riuscito perfettamente, anche questa volta.
Poi Teresa apre l’armadio e vi trova alcune interessanti novità: camicie hawaiane, pantaloni con la piega e giacche grigie tutte uguali. L’ha fatto sul serio. Si è trasferito da lei.
Tocca delicatamente gli abiti e una sensazione di calore la invade, insieme a una nuova, e inattesa, consapevolezza. Ora casa è davvero casa.
Quando riesce a distogliere lo sguardo da tali affascinanti capi di abbigliamento maschile, trova, già sistemato su una gruccia, con precisione quasi maniacale, il vestito rosa che aveva indossato all’hotel Blue Bird. Ne sono successe di cose dall’ultima (e unica) volta che lo aveva messo e visto.
Afferra dalla borsa quella pallottola che un tempo era stato un abito da sera bianco, lo accarezza con cura, cercando di togliere quelle antiestetiche pieghe, e poi lo colloca al suo posto nell’armadio. Lisbon non ha mai posseduto degli abiti così. Non sono il suo genere, ma deve ammettere che non le dispiacciono affatto. Anche se la sua personale preferenza continua ad andare a pratici jeans e grintosi giubbotti di pelle.
Nello svolgere questa importantissima operazione, Teresa scopre nel fondo dell’armadio una scatola da scarpe, sovrastata da un enorme fiocco e da un altro biglietto. Sorride, impaziente di sapere cosa contenga.
Non l’avrebbe mai detto, ma tutto questo sta cominciando a essere divertente. E Patrick aveva sicuramente previsto che, malgrado un iniziale disappunto, la dinamitica agente avrebbe finito per divertirsi un mondo.
 
Indossa queste, Lisbon, e vai in giardino. Tranquilla, non è andato a fuoco.
 
Teresa ride. E’ esattamente quello che lei stava pensando. Ok, Jane ha sempre detto di non essere un sensitivo, asserendo con sprezzo che tali personaggi non esistano; ma la poliziotta, in casi come questo, arriva perfino a dubitarne.
Forse la spiegazione più ovvia è che lei sia davvero traslucente, come le è stato spesso detto dal grande conoscitore dell’animo umano. Oppure, semplicemente, che lui la conosca troppo bene. Non sa se questo sia un bene o un male. Probabilmente entrambe le cose.
Ma ora c’è da risolvere il mistero del contenitore. Forse Jane ha capito la necessità di un paio di scarpe eleganti da abbinare al vestito e ha provveduto. Lui è il tipo d’uomo che presta attenzione a dettagli come questo. A tutti i dettagli in generale, in effetti.
Nella scatola, probabilmente, ci sarà un paio di sandali con tacco vertiginoso, e Lisbon non sa se esserne più spaventata o divertita. Tutto sommato non le dispiace questo intrigante gioco in cui lui la veste. Abituata ad avere il controllo della situazione (come lui, del resto), è disposta, per questa volta, a lasciarglielo quasi volentieri. La trova una cosa molto sexy e dolce. Che il farabutto non ci si abitui, però.
Ma Jane riesce a sorprenderla ancora: nella scatola non c’è traccia di tacchi e lustrini, bensì un paio di banalissime, e comodissime, scarpe da ginnastica.
Sorride, incredula, e anche un po’ sollevata. La corsa sui trampoli non le è mai piaciuta. Non ha idea di cosa c’entrino quelle scarpe con il vestito extralusso, ma benedice in cuor suo l’ imprevedibilità del mentalista.
Si toglie velocemente gli scarponcini, indossa alla bella e meglio le sneakers, poi si precipita giù per le scale con l’entusiasmo di una bambina la mattina di Natale: quella bambina che lei aveva smesso di essere troppo presto.
Apre la porta che dà sul giardinetto sul retro e rimane a bocca aperta per lo stupore. Probabilmente questa è la stessa espressione d’incredulità con cui spesso accoglie i fantasiosi trucchi di Jane. Ma, stavolta, nessun implicito rimprovero, né minaccia di uso legittimo di armi: solo un’autentica, e inattesa, gioia.
Il piccolo e squallido pezzetto di terra si è trasformato in una tavolozza dai mille colori.
Ortensie. Girasoli. Margherite. Rose.
Un vero e proprio tripudio di fiori e di allegria. Come facesse Jane a sapere, nonostante non abbiano mai affrontato l’argomento, che per Lisbon le due cose sono strettamente collegate è un mistero. Anzi no: sarà anche un idiota, ma come mentalista è il migliore in circolazione.
Un biglietto sovrasta l’aiuola più vicina, quella popolata da rigogliose ortensie azzurre.
 
Lo so che hai sempre sognato un giardino pieno di fiori. Ora è tuo. Ho le mani piene di calli, ma ne è valsa la pena, credo.
 
E’ vero. Quando Teresa era molto piccola e non conosceva ancora il male del mondo, la sua famiglia abitava in una graziosa villetta. Ogni giorno sua madre la portava in giardino a mostrarle i fiori che coltivava con passione, permettendole di sfiorare i petali e raccontandole storie meravigliose. Era stato un periodo felice, quello.
Poi erano nati i suoi fratelli e non c’era più tempo per quel genere di cose, poi sua madre era morta, e, infine, suo padre si era attaccato alla bottiglia; la bambina che sussurrava ai fiori era stata costretta a diventare adulta da un giorno all’altro e ad abbandonare quel colorato mondo fatto di sogni. Si erano trasferiti in un appartamento economico, nella zona più grigia e inquinata di Chicago, dove perfino un filo d’erba era considerato una rarità. E lei aveva fatto da madre ai suoi fratelli quando aveva ancora l’età in cui una madre avrebbe dovuto coccolarla.
Poi Lisbon era diventata poliziotta, forse per combattere quella violenza che le aveva portato via la madre e reso folle il padre, forse per aiutare il prossimo, forse per dimostrare a se stessa che era forte, indipendente e in grado di badare a se stessa.
E lo è.
Ma ancora adesso, a quarant’anni suonati, abituata a convivere col lato peggiore dell’animo umano, l’immagine di quel giardino fiorito è rimasto per lei un miraggio di serenità, che pensava le fosse ormai precluso. Insieme a mille altre cose.
Invece, a quanto pare, si sbagliava. Patrick le ha regalato proprio quel giardino fiorito. E anche le mille altre cose.
La donna sfiora i petali dell’ortensia, con interesse e stupore, come faceva da bimba. Poi asciuga col dorso della mano una lacrima malinconica.
Infine sorride, immaginandosi l’esilarante scena di un Jane in versione giardiniere. Avrebbe pagato l’ultima somma che aveva vinto a poker per vederlo lavorare la terra con i guanti e il grembiule, schizzinoso com’è.
Peccato che tra poche settimane dovranno lasciare quella casa: lei aveva disdetto l’affitto e la proprietaria aveva già trovato dei nuovi affittuari. Fatica inutile. Quel meraviglioso piccolo giardino se lo godrà altra gente. A pensarci le si stringe il cuore. Vabbè, amen.
A quel bambinone di Jane non sarà venuto neanche in mente. O forse non gli importa. Ora che, finalmente ne hanno uno da condividere, conta solo il presente. Anche per lei è così. Però le dispiace che dovranno lasciare così presto quel pezzettino di terra, la prima cosa davvero loro.
Poi Lisbon si avvicina alla seconda aiuola, quella dei girasoli e apre il secondo biglietto.
 
Anche la casa. L’ho comprata. Non potevamo lasciare un giardino così bello, giusto?
 
Come?
COME??
Teresa, per un attimo, perde quasi l’equilibrio.
No, non può credere che l’abbia fatto sul serio. E senza dirglielo.  Brutto farabutto!
Forse è uno scherzo, ma sa per esperienza che ciò che sembra uno scherzo, se viene pronunciato dalla bocca di Patrick Jane, non lo è.
Lo deve aver fatto sul serio. Una violenta ondata di rabbia invade ogni cellula del corpicino di Lisbon. E’ una decisione troppo importante questa, e riguarda entrambi. Certo, lei non se la sarebbe mai potuta permettere questa casa, ma non è questo il punto e i soldi non risolvono tutto. Come ha potuto non consultarla? Teresa poteva benissimo non essere d’accordo. Poteva sognare un loft nel grattacielo più alto di Austin; poteva voler affittare un bungalow in campagna o aver deciso di vivere sotto un ponte.
Beh, che lei ami, anzi adori, questa villetta è un irrilevante dettaglio.
O forse no.
E, comunque, quel consulente da strapazzo non può sempre fare come se lei non contasse nulla. Come se non esistesse. Teresa non è il suo burattino. Jane non solo ha preteso che lei rinunciasse a un fidanzato e a una nuova vita in due minuti, ma, poche ore dopo, ha già deciso dove vivranno per i prossimi anni. Comprare una casa non è come comprare un vestito, qualcuno dovrebbe spiegarglielo al megalomane. Stavolta un bel pugno sul naso non glielo toglie nessuno.
Apre il terzo biglietto, appeso sull’aiuola delle margherite.
 
Niente pugni sul naso, piccola principessa arrabbiata. Non ti ho consultata perché sapevo che ne saresti stata felice e volevo farti una sorpresa. Sì, lo so che non ami le sorprese, ma spero mi perdonerai.
 
Piccola principessa arrabbiata. L’aveva chiamata così la prima volta che l’aveva vista indossare un elegante vestito che lei odiava perché la rendeva una stucchevole meringa. Lui l’aveva guardata quasi con ammirazione, e lei si era sentita ancora più stupida e imbarazzata.
A Lisbon non sfugge il dettaglio che il biglietto di scuse sia proprio posto sull’aiuola delle margherite, fiori simbolo di perdono e innocenza. Jane non ha lasciato nulla al caso.
Improvvisamente la donna non si ricorda più il motivo della sua recente collera. Dentro di se’ non ne trova più neanche una microscopica traccia. Sorride.
Come sempre quell’egocentrico di Jane ha deciso per lei.
Come sempre quell’egoista ha plasmato la vita di Lisbon a suo piacimento, dando per scontate troppe cose.
Come sempre Teresa è felice che l’abbia fatto.
Ok, non l’ha consultata e ha fatto tutto da solo. Dicesi “sorpresa”, parola verso la quale la poliziotta è abituata ad essere diffidente. Ma non solo. E’ un gesto bellissimo con cui Patrick le promette stabilità a lungo termine. Deve essere stato uno sforzo per il consulente, animo nomade per natura e contingenza. Eppure l’ha fatto. Solo per lei.
E’ strano pensarlo (e farlo le procura qualche piacevole brivido lungo la spina dorsale), ma ora loro due sono davvero una coppia. Ora questa non è più un posto come un altro dove vivere, ma è davvero la loro casa. Suona bene.
Lisbon volge lo sguardo verso la quarta aiuola. Vi sono piantate delle rose bellissime, di una tonalità particolare, tra il rosa acceso e il rosso. Lì vicino, appoggiata quasi per caso a un alberello che esisteva già quando lei aveva preso in affitto la villetta, c’è una bicicletta. La poliziotta la scruta con espressione interrogativa, cogliendone i dettagli come se si trovasse su una scena del crimine. E’ rossa, di buona fattura, con un cestello sul davanti e le gomme adatte a una strada sterrata. Nel cestello troneggia una mappa di Austin, con un post-it appiccicato sopra:
 
Segui il percorso segnato in rosso. Vai piano, Lisbon.
 
Se lo può scordare. Teresa non ha nessuna intenzione di andare da nessuna parte, tanto meno in bicicletta, e conciata in questo modo.
Apre per curiosità la cartina e trova una linea tracciata con uno spesso pennarello rosso. Non riesce a capire dove porti il percorso perché non conosce ancora molto bene Austin; inoltre sulla piantina sono segnate solo le vie grezze, senza edifici, ristoranti o attrazioni turistiche che Teresa non ha avuto ancora il tempo di visitare, ma che potrebbero fare da punto di riferimento.
Jane ha pensato proprio a tutto. E’ stato dolce, e ha fatto tutto questo per lei. E, apparentemente, senza fare danni. Incredibile, pensa Teresa.
Ma una poliziotta che sale su una bicicletta in vestito di pizzo è ancora più incredibile. Benedette scarpe da ginnastica.
 
 
 
***********
 
Ha attraversato vie sconosciute di mezza città. Jane, evidentemente, ha scelto per lei strade poco trafficate dalle auto. Austin non è affatto male, se la si guarda da vicino: non è fatta solo del grande edificio sede dell’FBI e dei banali ristoranti che aveva frequentato con Marcus.
Per fortuna Teresa, dopo un iniziale barcollamento, si ricorda ancora come si va in bicicletta. Ed è anche piuttosto brava, in realtà.
L’ultima volta che ne aveva usata una, sua madre era ancora viva. Poi non aveva avuto più il tempo per svaghi all’aria aperta. E da quando è diventata poliziotta il suo mezzo di trasporto preferito è senza dubbio il suv.
Si era dimenticata quanto è piacevole avere i capelli scompigliati dal vento, e sentire le ruote che rispondono direttamente alla forza delle sue gambe. E’ una bella sensazione e deve solo ringraziare quel pazzoide che ha il merito di fargliela rivivere. Nonostante l’imbarazzante indumento che indossa. Ma, in realtà, tutta presa a seguire le indicazioni della cartina e a godersi il piacevole esercizio fisico, la sua tenuta tutt’altro che sportiva è passata ormai in secondo piano.
Frena di colpo in prossimità di un cartello che avverte l’inizio di un sentiero ciclabile, ma Lisbon non fa in tempo a vederlo.
La sua attenzione è catturata da un affascinante biondo su una bicicletta simile alla sua, fermo proprio sotto il cartello. Indossa una giacca grigia che poco si intona all’occasione sportiva e ha un’inconfondibile espressione divertita sul volto: Jane.
«Ehi», lo saluta Teresa, alzando le sopracciglia con aria sarcastica.
«Ehi. Ti dona molto il vestito, specialmente su un tale mezzo di trasporto», accenna Patrick continuando a sorridere e soffermando lo sguardo sulle gambe mezze nude di Lisbon. Non ha mai visto qualcosa di più bello, ma sa che se glielo dicesse lei non ci crederebbe. E nulla è più affascinante di una donna che non sa di esserlo. Col tempo, però, provvederà lui stesso a farglielo sapere.
«Dove siamo?», domanda la poliziotta, guardandosi intorno con curiosità, anche per cercare di nascondere il rossore che le sta dipingendo le guance.
«Qui inizia il sentiero ciclabile che circonda il Lady Bird Lake, la cosiddetta Hike-and-Bike Trail. E’ lunga 16.3 km. Il lago prima si chiamava Town Lake, ma nel 2007 ha cambiato nome ed è stato dedicato alla moglie di Johnson, il 39° presidente degli Stati Uniti», spiega Patrick, assumendo un ironico tono saccente.
«E sentiamo, tu come facevi a conoscere questo posto?», chiede Lisbon, stuzzicandolo. Farlo la diverte sempre.
«E’ un’attrazione molto famosa, ma immaginavo che tu non avessi ancora avuto tempo di fare la turista».
«In effetti no», ammette lei.
«Siamo qui per rimediare, Lisbon. Seguimi».
Jane inizia a pedalare, girandosi di tanto in tanto per vedere se lei lo sta seguendo. Rallenta quando il ritmo della pedalata di lei è più lento del suo, accelera quando si fa più veloce.
Teresa, in uno slancio di sentimentalismo (complice l’atmosfera romantica e bucolica del luogo) e dando per scontato che lui non possa sentirla, sussurra fra se’ e se’: «Mi sei mancato».
Ma deve fare i conti con lo straordinario udito di Jane. Il quale, un po’ sorpreso, si volta verso di lei, pur continuando a pedalare, e ribatte con una voce sincera e profonda (che procura un bel po’ di brividi alla spina dorsale di Lisbon): «Anche tu».
 
********
 
Teresa si sente rilassata, tutte le tensioni accumulate al lavoro sono improvvisamente svanite e lei non sa se è più per la presenza del mentalista o per la rigenerante passeggiata. E’ più propensa a dare tutto il merito alla prima, ma non vorrebbe mai dare questa soddisfazione a Mister Presuntuoso.
Patrick, dal canto suo, è elettrizzato. Si sta divertendo un mondo, come un bambino al parco giochi. Una nuova energia lo nutre, e il merito è tutto di Lisbon; lui ne è consapevole e non farebbe neanche troppa fatica ad ammetterlo a voce alta.
Quando il sentiero si allarga i due ciclisti improvvisati pedalano vicini. Del resto, la strada che hanno metaforicamente fatto fino a questo punto, l’hanno quasi sempre percorsa così, uno accanto all’altro. Entrambi non hanno fretta, come del resto non ne hanno mai avuta in questi anni, e si godono la quiete, il silenzio e la reciproca compagnia. A volte basta poco per sentirsi bene.
Ad un certo punto la strada giunge sulle sponde del lago, e prosegue costeggiandolo. La luce del tramonto regala un’atmosfera quasi magica. I grattacieli in lontananza brillano, e creano un suggestivo contrasto con la natura selvatica del parco.
Jane, con la coda dell’occhio, vede la ciclista Lisbon sorridere tra se’ e se’; evidentemente, anche lui è ancora in grado di fare qualcosa di buono.
Dopo aver continuato a pedalare per qualche centinaia di metri, Jane si ferma improvvisamente. Scende dalla bicicletta e la posteggia appoggiandola a un albero.
Teresa, un po’ stordita dall’atmosfera surreale intorno a lei, lo imita.
«Vieni con me», le dice Patrick, prendendola per mano.
Lei lo segue, docilmente. E’ bello camminare mano nella mano con Jane. E’ un peccato non averlo potuto fare prima. Ricorda ancora perfettamente quando lui aveva preso la sua mano nel deserto, quella volta in cui era l’aveva quasi dovuta uccidere, era quasi morto e aveva quasi acciuffato John il Rosso. Era stata una sensazione strana e piacevole, ma anche dolorosa, perché era ovvio che sarebbe finita troppo presto e, forse, non si sarebbe mai più ripetuta. Ora è tutto diverso.
Anche Patrick sta pensando allo stesso episodio. Quella volta afferrare la mano di Lisbon gli era sembrata la sola cosa sensata da fare, l’unico appiglio a cui aggrapparsi per non precipitare nel baratro. Anche adesso. La mano di Teresa è piccola, morbida e forte, e lui la terrebbe stretta nella sua all’infinito, non sa se più per proteggerla o per essere protetto; ma, probabilmente, se facesse o dicesse ad alta voce qualcosa del genere, un pugno sul naso non glielo toglierebbe nessuno. E lui ama Teresa per quella che è, con le sue inaspettate dolcezze e con tutti i suoi spigoli.
Dopo qualche minuto giungono in un particolare punto della costa da cui si può ammirare lo spettacolo di un sole infuocato che si tuffa nell’acqua del lago, donando una luce particolare a tutta la città. Un tramonto così simile, eppure così diverso, a quello a cui avevano assistito insieme poco prima che Jane mollasse Lisbon in mezzo a una strada, per impedirle di partecipare al fatidico incontro con i papabili John il Rosso. Una vita fa. Eppure entrambi se lo ricordano come se fosse ieri.
«Eccoci arrivati», annuncia Jane.
Siccome Teresa non dice nulla, ed è un fatto molto insolito, il mentalista, un po’ imbarazzato, si gioca la carta dell’ironia. «Sei stata puntuale, Lisbon. Meno male, sarebbe stato un po’ complicato chiedere al sole di ritardare a tramontare».
«Avevi dubbi sulle mie doti atletiche?», scherza lei, un po’ distrattamente.
«Ammetto di sì», la prende in giro Patrick, facendo il verso alla sua statura tascabile.
«Idiota».
Jane sorrise nervosamente. Ok, è un mentalista, ma non è un sensitivo e forse Teresa trova stupido tutto questo piano messo in atto solo per portarla a vedere un tramonto. Dopotutto è una donna pratica, forse è stanca e in questo momento vorrebbe solo essere a casa sul divano a guardare la televisione.
Eppure avrebbe giurato che è proprio il genere di cose che le piace.
«E’ bellissimo», sussurra finalmente Teresa, emozionata.
Jane fa un sospiro di sollievo. Anche lui pensa la stessa cosa, ma di lei. Mentre Lisbon osserva il meraviglioso quadro che aveva davanti, lui non smette di guardare la sua partner. La luce calda del sole che sta per tramontare regala al suo viso un colorito acceso, e l’entusiasmo le fa brillare gli occhi rendendoli ancora più smeraldini.
«Sai perché ho scelto quei fiori?», domanda Jane all’improvviso.
Teresa è abituata al fatto che spesso i discorsi di Jane non seguano un filo logico e saltino di palo in frasca, quindi non si stupisce più di tanto. Si limita a voltarsi verso di lui, e, quando lo fa, si accorge che i suoi capelli d’oro sono più luminosi del sole che sta ammirando e i suoi occhi più azzurri del lago che ha di fronte.
«No», risponde, sorridendo maliziosamente.
«Le ortensie perché sono il primo, e unico fiore, che ti ho donato, molto tempo fa», confessa Jane.
«Me lo ricordo. Avevo paura che nascondesse un gioco d’acqua. E ce l’avevo anche stavolta», scherza lei, in realtà colpita che anche lui ricordasse quel lontano aneddoto.
«Donna di poca fede».
«Colpa tua se sei poco credibile».
«Touché. I girasoli li ho scelti perché mi hanno sempre messo allegria, e ora vorrei solo allegria nella tua vita».
«Nella nostra», lo corregge lei con un sorriso, dopo una piccola pausa silenziosa.
Il viso di Jane si accende. Ancora deve abituarsi all’idea. Ancora si chiede cosa abbia fatto per meritarsi quella meravigliosa donnina. Dopo tutto il male che ha fatto. «Già. Nella nostra».
«Continuo io. Le margherite le hai scelte perché sono il simbolo dell’innocenza e del perdono. Volevi rabbonirmi e chiedermi scusa per non avermi consultato sull’acquisto della casa».
«Ti hanno mai insegnato il significato del termine “sorpresa”, Lisbon? E non dire che non ti piacciono, perché stavolta non me la bevo».
«Diciamo che quella sorpresa in specifico non mi è dispiaciuta», concede la donna. Intanto negare non serve a niente con quel furbastro.
«Bene». Jane ci mette due secondi a capire dalla mimica facciale della sua Teresa che l’acquisto della casa l’ha resa felice. «E comunque sono fiero di te, Lisbon. Ci hai azzeccato in pieno con la questione delle margherite. Stai diventando una mentalista niente male. Ma d’altronde, hai il migliore maestro sulla piazza».
«Presuntuoso!»
«Ho raggiunto lo scopo di farmi perdonare?»
«Forse», butta lì con noncuranza, per tenerlo un po’ sulla corda.
Ma resistere all’aria da cucciolo triste di Jane è impossibile. «Per una volta non c’era nulla da perdonarti», chiarisce Teresa con voce ferma e cristallina. «E le rose?», chiede per riprendere il discorso.
«Ti piace il loro colore?». Tipico di Jane rispondere a una domanda con un’altra domanda.
«Sì molto. Non sono né rosse né rosa. Particolari».
«Mi fa piacere che lo pensi. Le ho scelte proprio di quel colore perché mi ricordano te».
«Ah sì? Come mai?». Chiede Lisbon, interdetta e curiosa di sapere dove l’imprevedibile mentalista voglia andare a parare.
«La passionalità del rosso e la dolcezza del rosa», sentenzia lui, tenendo gli occhi bassi, emozionato più di quello che vorrebbe. Non è ancora abituato a dare libero sfogo ai suoi pensieri più segreti.
Wow. Lisbon è colpita. Patrick le ha appena detto una cosa bellissima. E lei non sa cosa dire. Come sempre, quando è commossa, fa fatica a ritrovare il dono della parola. Appoggia la testa sulla sua spalla e lui le cinge la vita col braccio. E’ più che sufficiente.
Rimangono così per interminabili minuti, o forse ore, in silenzio, a pensare che questo mondo tutto sommato è un gran bel posto dove vivere. Ammesso che lo si faccia insieme.
Ad un certo punto l’attenzione di Lisbon è catturata da una barca attraccata a una piccola insenatura della costa poco distante dal punto in cui si trovano loro. Non è molto grande, ma sembra curata nei minimi dettagli e molto elegante.
«Che bella quella barca», commenta, ammirata.
«Mi fa piacere sentirtelo dire, perché è proprio lì che ho intenzione di portarti», la spiazza Patrick.
Lisbon si stacca leggermente dalla spalla di Jane, per potergli indirizzare uno sguardo sarcastico e sorpreso. Lui, stranamente, non ha l’espressione del bambino che l’ha appena sparata grossa.
Ma Teresa non se la beve. Probabilmente le sta proponendo qualcosa di illegale. Non cambierà mai.
Per fortuna.
















**************

Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e scusate il ritardo!
Due ottime notizie per noi fan di The Mentalist: la premiere date annunciata per il 30 novembre (!!!) e le nomination ai People's Choice Awards 2015 nelle categorie  "Favorite TV Crime Drama", "Favorite Crime Drama TV Actor" e "Favorite Crime Drama TV Actress". Nell'attesa di goderci la nuova stagione, possiamo continuare a votare tutte le volte che vogliamo per il nostro telefilm preferito e i nostri beniamini sul sito internet dei People's Choice Awards.
A presto con la prossima one-shot :)



 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Mentalist / Vai alla pagina dell'autore: ilovebooks3