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Autore: Midnight the mad    08/11/2014    0 recensioni
"Kurt scoprì di chiamarsi Kurt quando aveva quattordici anni, e decise di chiamarsi St. Jimmy più o meno nello stesso periodo. Tutta colpa di un diario.
E di una sigaretta."
"Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care... -
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. -"
"- Syd? -
- Già. Syd. Problemi? -
- No, è che tipo, sei... "incastrata" a fare Syd. Che lo sai già che alla fine morirai da drogata pazza e chissà cos'altro. Io fossi in te me lo darei un futuro, almeno con il nome. Concediti il beneficio del dubbio. -
- Tu sei la prima a non darti un futuro con il tuo nome. -
Lei scrollò le spalle. - Non ho mai avuto così tanta voglia di avere un futuro. Tu invece non vuoi altro. Quindi almeno datti una possibilità. -
- Sì, ma non voglio sperare troppo, capisci cosa intendo? Che poi se va male resto delusa. -
- E allora chiamati Whatsername. -"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JESUS OF SUBURBIA
 
JESUS OF SUBURBIA
(Un’altra città qualsiasi, solo un po’ più grande,
in un ottobre dello stesso anno)
 
- Che tu sappia c’è qualcosa per cena? – domandò Syd, entrando in casa.
Andrea sollevò la testa dal testo che stava sottolineando, un po’ stupito. Syd non aveva mai cenato a casa da quando si era trasferita lì, tre giorni prima. Era sempre stata fuori, tornando a orari assurdi. Andrea iniziava a chiedersi come facesse a non cascare dal sonno.
Scrollò le spalle. – Beh, penso di sì. – In realtà non faceva la spesa da quando si era trasferito lì, però qualcosa doveva essere avanzato. Tipo avanzi di cibo cinese della sera precedente.
- Ok. Ti dispiace se ceno qui? –
- Per quanto mi risulta, è anche casa tua. – rispose lui. Poi, visto che stranamente Syd aveva iniziato una conversazione, decise di approfittarne. – Come ti sembra l’Università? –
Lei sembrò rifletterci su. – Non lo so, a dire il vero. Penso che sia sopravvalutata, ma almeno ho una scusa per restare qui. –
- Ti piace questa città? – domandò lui. In effetti non era un brutto posto, ma neanche chissà quale meraviglia.
- Beh, è grande e fredda ed estranea, ma solitamente sono le cose familiari a mettermi a disagio, quindi è ok. – rispose lei.
Andrea la fissò. Le cose familiari la mettevano a disagio. Ok.
- E che palle, non guardarmi così. E’ vero. Mi rompe fare l’abitudine alle cose. E’ fastidioso che dopo un po’ non siano più vere come prima solo perché ti ci sei abituato. L’abitudine spegne le cose, non le... senti più, non ci fai più caso. –
Il ragazzo mise giù il libro. – Sei strana, Syd. –
- Tutti sono bravi in qualcosa. Io sono brava a essere strana. – rispose lei, alzando le spalle. – Si potrebbe dire che mi viene naturale, anche se “venire naturale” è una cosa abbastanza avventata da dire. Che ne sai di cosa ti ha influenzato in tutta la vita? – Lo guardò. – Tu invece cosa sei bravo a fare? –
Andrea si rese conto che quella era la prima conversazione vera e propria che avevano, e che era decisamente assurda come prima conversazione. Però... beh, però ormai l’avevano iniziata. Si alzò dal divano ed entrò in camera sua, riemergendosene poco dopo con la custodia della chitarra in mano.
Syd non cambiò espressione. – Si potrebbe dire che sei un po’... come dire... “montato”. –
Lui sorrise. – Si potrebbe dire che sono realista. – ribatté. Si sedette sul divano e tirò fuori la chitarra dalla custodia. Era vecchia e si vedeva, ricoperta di graffi e scritte com’era. Ma era sua. E, in un certo senso, lui era di quella chitarra.
Iniziò a scordarla e, quando gli sembrò di esserci riuscito abbastanza bene, prese un respiro. – Non metterti a piangere. – scherzò.
Syd alzò gli occhi al cielo.
Lui appoggiò le dita sulle corde e iniziò a suonare.
-
Quello che veniva fuori da quella chitarra era assurdo. Syd non aveva idea di come Andrea ci stesse riuscendo, ma era così. Cambi improvvisi, accelerando, crescendo. La chitarra era scordata da fare schifo, eppure era anche quello che rendeva tutto così... speciale. Stava usando note assurde, eppure la canzone era bellissima, e perfettamente riconoscibile.
Durò un’infinità, ma lei la conosceva, quindi se l’aspettava. Si chiese se Andrea la stesse suonando in suo onore o se fosse un caso.
E poi lui iniziò a cantare.
Non aveva esattamente una bella voce, eppure era perfettamente adatta al contesto. Non era bravo a cantare e si era creato una musica in cui la sua voce era perfetta. Era... era un fottuto genio.
 
Remember when you were young,
you shone like the sun...
Shine on you crazy diamond.
Now there’s a look in your eyes
like black holes in the sky...
 
Già. Buchi neri negli occhi. E quello che avevi negli occhi... era il tuo futuro.
Ma Andrea questo non lo sapeva, quindi continuò a cantare.
E lei non lo interruppe.
 
Shine on you crazy diamond.
You were caught on the cross fire childhood and stardom,
blown on the steel breeze.
Come on you target faraway laughter,
come on you stranger, you legend, you martyr, and shine!
 
“Sì, ma come si fa a brillare in un modo che piaccia anche a me?”
Syd si rese conto di avere le lacrime agli occhi. Era così, in effetti: lei aveva sempre odiato brillare, almeno nel senso comune del termine. Eppure, ehi, era la ragazza perfetta sotto un sacco di punti di vista. Brava a scuola, studiosa, ordinata, gentile e tutto. E poi a un certo punto si era girata e aveva detto: “fottetevi”.
Brillare era orribile, eppure quella canzone la stava implorando di farlo.
 
You reached for the secret too soon,
you cried for the moon...
Shine on you crazy diamond!
Threatened by shadows at night
and exposed in the light...
Shine on you crazy diamond!
 
Andrea sollevò la testa e la guardò negli occhi con un mezzo sorriso.
 
Weel, you wore out your welcome
with random precision.
Rode on the steel breeze.
Come on you raver, you seer of visions.
Come on you painter, you piper, you prisoner, and shine!
 
Andrea mise giù la chitarra.
Syd lo fissò. – Non è finita. – fu la prima cosa che le uscì.
- Nessuna storia finisce alla fine, tutto finisce sempre a metà. – ribatté lui. – O sbaglio? –
- Almeno le storie che raccontiamo noi sarebbe bello se finissero con una fine. – rispose lei.
- Ma così non sono realistiche. –
- E chi se ne frega della realtà? –
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, quasi divertito, e riprese la chitarra in mano.
 
Nobody knows where you are,
how near or how far.
Shine on you crazy diamond!
Pile on many more layers
and I’ll be joining you there.
Shine on you crazy diamond
and we’ll bask in the shadow
of yesterday’s triumph
and sail on the steel breeze.
Come on you boy child, you winner and loser,
come on you miner for truth and delusion, and shine!
 
- E’ la mia parte preferita. – mormorò Syd quando la musica finì davvero. - Cioè, è tutta un addio, questa canzone, ma questa è la parte in cui c’è lo... “strappo”. –
- Sì, ma il cantante qui dice che o raggiungerà, il diamante pazzo, no? – osservò il ragazzo.
- Ma è una promessa che non manterrà. E’ ovvio che non lo farà. Perché anche lui lo chiama “pazzo”, quel diamante. Lo desidera, ma gli sta lontano perché un diamante pazzo è qualcosa di bello da guardare ma che se lo tocchi... ti tagli. E fa male. –
Andrea la osservò. – E tu sei un diamante pazzo? –
Syd si mise a ridere. – Io non sono un diamante. Col cavolo. I diamanti hanno un che di bello nella loro pazzia. Io invece sono un’idiota e basta. Una pazza... senza essere un diamante. –
- E allora perché ti chiami Syd? –
Lei esitò. – Perché... perché è bello raccontarsi bugie. E perché forse sarebbe bello diventare un diamante. Ma di quelli che piacciono a me, non di quelli che piacciono agli altri. –
Andrea ricominciò a strimpellare. – Non sei male. – disse, dopo un po’.
- Beh, neanche tu. Anche se non ho ancora capito cosa ci fai all’Università visto come suoni. –
Lui scrollò le spalle. – Quando ero piccolo, tipo quattro anni, un giorno stavo camminando in centro con mia madre e a un certo punto ho sentito uno che suonava la fisarmonica. Era una specie di barbone, ma sul serio, era la cosa più bella che avessi mai sentito in vita mia, perché quello non era qualcuno che conoscevi già e che aveva iniziato a piacerti a forza di ascoltarlo. Era qualcosa che ti colpiva subito come uno schiaffo e o ti piaceva o non ti piaceva e non c’era da raccontarsi bugie. In effetti quello che hai detto tu sull’abitudine è vero. E io non voglio diventare un’abitudine. –
- Sembra... bello. – disse la ragazza. Esitò. – Ok, ammetto che avrei dovuto parlarti prima. –
Lui sorrise. – Già, non sarebbe stato male. – Il suo stomaco brontolò. – Cena? –
- Ok. Tu... che fai stasera? –
- Lavoro. – rispose lui. – Anche perché se non lo faccio io qui ho chiuso. –
- Sei dentro con una borsa di studio? –
- Sono dentro perché i miei pagano. Stavo per vincerla, ma poi me l’ha fottuta una tizia. Mi chiedo come abbiano fatto a dargliela visto che a vederla almeno dalle foto sembra una drogata del cazzo, però fatto sta che lei l’ha presa e io no. Comunque l’affitto me lo devo pagare se voglio restare qui. Non è che siamo messi bene, a soldi. – rispose Andrea, poi si avviò verso il frigo. – Ramen? –
- Ah-ah. Dov’è che lavori, quindi? –
- In un pub qui vicino. Inizio alle dieci e finisco a mezzanotte. Poi c’è anche un turno fino alle due, ma se dormo così poco io poi la mattina non mi alzo. – spiegò il ragazzo, tirando fuori degli spaghetti cinesi da una ciotola di cartone e versandoli in due piatti. – Anatra? –
- Mettici tutto quello che trovi. – rispose Syd. – Ti dispiace se vado a fare una doccia prima? –
- Beh, in realtà sì se non posso venire con te. – ribatté lui, ironico.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. – Ci vorranno ancora un bel po’ di canzoni prima che ti faccia venire a letto con me, idiota. –
Mentre si infilava in bagno lo sentì gridarle dietro. – Mi darò da fare! –
Sorrise.
-
Quella sera il locale era piuttosto affollato. Sul minuscolo palco suonacchiavano quattro ragazzi dall’aria annoiata, e nell’aria regnava una musica svogliata e deprimente. Kurt sbuffò. Sembrava che venire lì non fosse stata una buona idea, o almeno non così presto. Però aveva voglia di cambiare aria. Lavorare sempre nel solito locale iniziava ad essere noioso.
Sbadigliò e in quel momento sentì una voce. – Ehi, sei sola? –
Si girò. C’era un ragazzino sui sedici anni – se li aveva – dall’aria sufficientemente spaurita. Lei scrollò le spalle. – Sì, ma purtroppo per te sono anche una puttana. Anche se vedendo quanto sembri sfigato potrei anche solo farmi pagare da bere in cambio. Così magari puoi raccontare ai tuoi amici una notte di sesso bollente. –
Il ragazzino arrossì fino alla punta delle orecchie. “Ecco.” pensò Kurt. “Adesso esiti, pensi di andartene, ci ripensi e mi compri qualcosa.”
Lui deglutì. – Ehm... cosa vuoi da bere? –
“Bingo.”
-
Quando Andrea finì il turno era stanco morto. Il giorno dopo aveva lezione alle otto e aveva voglia di dormire almeno dodici ore, nonostante ne avesse molte meno a disposizione. “Non esiste una maniera per allungare il tempo?” pensò, sconsolato. Si infilò nello spogliatoio per cambiarsi, e in quel momento notò che il marsupio con cellulare e portafogli era scomparso. “Cazzo.
Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care...
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. –
Andrea la squadrò da capo a piedi. Non era tanto alta, con i capelli multicolore, vestita con una gonna di pelle nera con una cerniera sul davanti, un paio di calze strappate e anfibi al ginocchio sporchi di fango, il tutto corredato da una giacca di pelle indossata direttamente sul reggiseno di pizzo nero. Aspetta. Ma quella era... – Tu sei la troietta che ha vinto la borsa di studio. –
Lei fece finta di pensarci su. – Beh, in effetti la descrizione corrisponde. Sono una troia e ho vinto una borsa di studio. Però in realtà io non ho idea di chi sia tu, quindi ti dispiacerebbe illuminarmi? –
Il ragazzo scrollò le spalle. – Nessuno. E non vedo perché ti sia disturbata a parlare con me. –
- Beh, stavo solo cercando di aiutarti. – Lei sorrise. – Sono felice di vedere che mi odi a morte, visto che anche se non so perché mi fa sempre piacere sapere di non essere indifferente agli idioti. Però non sarebbe male se mi spiegassi che problemi hai. –
- Stavi cercando di aiutarmi suggerendomi di diventare Gesù. – osservò Andrea. – Sinceramente, non è uno dei consigli più brillanti che io abbia mai ricevuto. –
- Veramente è estremamente intelligente come consiglio, ma tu in questo momento non hai voglia di capire oppure proprio non sei capace. Però non mi sembri stupido, quindi dire che non hai voglia e basta. Comunque, cazzi tuoi. Invece sono fatti miei se mi odi, quindi ti faccio notare che non mi hai ancora risposto. –
Andrea aveva voglia di darle un pugno. – Beh, sono incazzato perché una borsa di studio è andata a una puttana che se ne sbatte altamente invece che a uno che l’avrebbe usata sul serio. – rispose. – Tutto qui. –
- Cosa ti dice che io non la stia usando? – ribatté lei. – Comunque, in effetti, immagino che volendo potrei sbattermene. Ma non ne ho voglia, quindi per il momento mi sto interessando a quello che faccio. Anche se non ci crederai. –
- Mi fa pensare che tu non la stia usando il fatto che sei una prostituta che bazzica locali schifosi. –
- E tu cosa sei? Un idiota che bazzica gli stessi locali, e per lo stesso motivo. Ognuno ha il suo modo per guadagnarsi da vivere, solo che devi ammettere che il mio è estremamente più divertente. – rispose la ragazza.
Andrea si ritrovò a non sapere cosa ribattere. Lei ghignò e gli porse la mano. – Kurt. –
- Kurt? –
- Sì, sai, tipo Kurt Cobain. Il cantante dei Nirvana, hai presente? –
- Sì, ho presente, ma è un nome da maschio. –
- Embé? Ho fatto cose peggiori di darmi un nome da maschio. – Sorrise. Stava dicendo la verità, ovviamente. – Comunque se proprio ti da fastidio puoi chiamarmi St. Jimmy. –
- St... Quello di American Idiot? – domandò lui.
- Sì, lui. –
- E perché? –
Il sorriso divertito della ragazza si incupì per un secondo, così velocemente che Andrea quasi non se ne accorse, poi tornò. – E’ una storia lunga. Comunque ti conviene stare attento, Jesus. Sembra che a quelli come te porti male avere attorno quelli come me. Detto questo... non è che per caso hai un posto dove dormire? La metropolitana è ok, ma ultimamente fa freddino là sotto. –
Andrea era paralizzato. Quella ragazza sembrava completamente partita di testa, ma qualcosa gli diceva che non lo era affatto, e questo faceva ancora più paura. – Se vuoi un posto dove dormire perché quell’avvertimento? –
- Un po’ per principio. Ma è una storia lunga, te l’ho detto. – La ragazza scrollò le spalle. – Dicevamo, ce l’hai un posto dove potrei stare? –
- Tu puoi pagarmi? –
- Dipende come vuoi essere pagato. –
Lui alzò gli occhi al cielo. Era stufo di quelle risposte che non significavano niente. Però... però quella troia gli piaceva, in un certo senso. Così alla fine disse: - Ok. –
-
La metropolitana a mezzanotte e passa era quasi deserta. Andrea sbadigliò, seduto su un sedile del treno in corsa. Erano passati a prendere le cose di Kurt, o St. Jimmy, come aveva detto di chiamarsi, ovvero due valigie vecchie e mezze distrutte e la custodia di quello che sembrava un violino.
Le stazioni si susseguivano, tutte uguali. St. Jimmy fumava uno spinello, e intanto Andrea pensava.
Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi.
E in quel momento un’idea gli attraversò la mente. “E perché no?”
Si stupì da solo di quell’idea, eppure... beh, forse lei, St. Jimmy, aveva ragione. Poteva trovare la maniera di bastarsi. Di diventare almeno per se stesso il sostituto di Gesù, perché a quanto pareva... Sweet Jesus doesn’t care. “E allora vaffanculo. Tanto a quanto pare bisogna cavarsela da soli.”
Il treno superò l’ennesima stazione, uno sprazzo di luce a metà del buio delle gallerie. Non c’era niente tranne il rumore del treno, eppure ad Andrea sembrò di sentire una canzone nell’aria.
 
I’m the son of rage and love,
the Jesus of Suburbia,
from the bible of “none of the above”...
 
Guardò la ragazza accanto a lui. Lei lo osservò. Gli porse la canna, e Andrea la prese facendo una tirata.
 
...on a steady diet of soda pop and ritalin.
No one ever died for my sins in hell
as far as I can tell
at least the ones I got away with...
 
“Sì, e comunque a un certo punto chi se ne frega?”
Si stupì di averlo pensato. Però solo in quel momento si rendeva conto di tutta la rabbia che aveva avuto dentro. La rabbia di non avere mai abbastanza soldi, di non avere o poter fare mai abbastanza. E iniziava a pensare che non ci fosse niente di sbagliato.
 
...But there’s nothing wrong with me,
this is how I’m supposed to be
in a land of make believe
that don’t believe in me.
 
Guardò St. Jimmy. Pazza era pazza, ma forse... capiva. Lei lo guardò con un mezzo ghigno. – Vedi, era un consiglio intelligente. – disse, quasi gli avesse letto nel pensiero.
Andrea si morse il labbro. “Benvenuto... Jesus of Suburbia.”
  
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