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Autore: trittico    09/11/2014    0 recensioni
Il cliente si avvicinò al banco con un libro in mano, Raffaele notò il titolo, si trattava di un libro sulla repubblica di Salò, Raffaele alzò lo sguardo e quando incontrò quello dell'uomo, una scossa gli attraversò il corpo, una spiacevole sensazione di gelo che invase tutto il suo essere. Batté lo scontrino in maniera meccanica, prese il danaro che l'uomo gli porgeva, ma al solo sentire in mano quelle banconote, sentì una sorta di ribrezzo che lo lasciò ancora più interdetto.
Genere: Sovrannaturale, Storico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vendetta

 

 

Raffaele, come tutti i giorni, stava dietro il bancone ad attendere alle mille incombenze che il suo negozio di libri gli potesse presentare. In quel momento stava controllando un ordine sul computer, quando entrò un cliente, Senza alzare lo sguardo dal monitor, gli elargì un buon giorno, il nuovo arrivato bofonchiò qualcosa in risposta, poi scomparve tra gli scaffali.

Lui era abituato a una non eccessiva educazione del suo prossimo, “anzi ha pure risposto! ”, pensò mentre si accingeva a sistemare una pila di volumetti in una scatola per la spedizione.

Il cliente si avvicinò al banco con un libro in mano, Raffaele notò il titolo, si trattava di un libro sulla repubblica di Salò, Raffaele alzò lo sguardo e quando incontrò quello dell'uomo, una scossa gli attraversò il corpo, una spiacevole sensazione di gelo che invase tutto il suo essere. Batté lo scontrino in maniera meccanica, prese il danaro che l'uomo gli porgeva, ma al solo sentire in mano quelle banconote, sentì una sorta di ribrezzo che lo lasciò ancora più interdetto. Quello uscì sempre col suo borbottio incomprensibile, che doveva essere un saluto.

Questa volta Raffaele non rispose, rimanendo inebetito, preso da una strana irrequietezza.

Quella sensazione non lo abbandonò per tutta la giornata e anche quando finalmente, a sera, si sedette alla tavola per la cena con la moglie, aveva una espressione così perplessa che preoccupò anche la sua consorte che gli chiese cosa avesse. “Non lo so” rispose,”ma oggi mi è capitata una cosa strana. E' venuto in libreria un cliente che mi ha causato inspiegabilmente una sensazione spiacevole.” “Ma lo conoscevi?”, chiese lei. “No, non l'ho mai visto prima di oggi, eppure... mah, lasciamo perdere, è inutile rovinarsi la serata, amor mio, ora pensiamo ad altro”.

Eppure anche a letto, prima di dormire, non riusciva, per quanti sforzi potesse fare, a levarsi quella orribile sensazione di dosso.

Non dormì un sonno tranquillo e al mattino aveva ancora quella irrequietezza, amplificata peraltro da sogni che non riusciva a ricordare, ma che sentiva importanti.

Poi, lo scorrere dei giorni, mano a mano stemperò quella inquietudine, facendolo tornare alla vita di sempre.

Ma evidentemente il destino aveva in serbo per lui ancora qualcosa. Un giorno sentì lo stesso saluto bofonchiato, mentre stava di spalle alla porta, intento nel suo lavoro. Avvertì il corpo irrigidirsi, e la mente andare in cortocircuito, si volse e si costrinse ad osservare quell'uomo più attentamente. La sua persona, non gli evocava nulla, ma i suoi occhi, avevano una luce che aveva già visto, quando non sapeva dirlo, ma che conosceva bene.

Una luce orribile, dura, che risvegliava in lui un odio sconosciuto fino a quel momento.

Era sconcertato, da dove veniva quel sentimento così distruttivo? Dove aveva visto prima quello sguardo? Quale passato sconosciuto evocavano quegli occhi?

Non voleva avere niente a che fare con quell'essere, chiamò il commesso e con una scusa diede a lui l'incarico di servire l'uomo. Raffaele si ritirò nel magazzino e si sedette tutto tremante su uno sgabello, con una rabbia crescente che inspiegabilmente lo sconvolgeva.

Cercò di richiamare alla mente tutte le immagini che poteva, formò un'infinità di probabili situazioni in cui quello sguardo potesse essere incastonato ma dovette rinunciare, buio totale.

A casa ne parlò con la moglie per tutta la sera, cercando in lei quel conforto che solo l'amore e la comprensione può dare, e si, ne calmò i sintomi ma la causa ancora rimaneva sconosciuta e poi si sentiva in colpa nel dare quel fardello anche a lei. Come ne poteva uscire? non poteva vietare a quell'uomo di entrare nel suo negozio e poi con che scusa, che gli era antipatico?

Quella notte i sogni furono più agitati, ma più nitidi. Vide dei ragazzi, sapeva di conoscerli bene, anche se era una consapevolezza vaga. Vide delle armi e sapeva di avere un mitra tra le mani, camminavano su una strada in salita a lui vagamente nota, sentiva il loro ansimare e gli odori della campagna umida lo avvolgevano come la nebbia del mattino che gli dava poca visibilità e sapeva che questo era un bene.

Al risveglio si trovò madido di sudore e raccontò il sogno a sua moglie, “Mah, sogni!” lei aveva detto, cercando di stemperare l'inquietudine del marito, ma nel suo intimo, cominciava a temere che il significato di quelle visioni potesse avere un fondamento reale, “se non di questa, forse di un'altra vita!”, pensò con un brivido.

Era convinta che l'anima fosse tanto preziosa da non poter finire in un sospiro, con la morte, “del maiale non si butta niente, perché mai, mentre il corpo cede tutti i suoi elementi alla natura che li ha prestati, anche l'anima, i ricordi, i sentimenti, non avessero da andare persi, ma bensì rimanere integri, ma occulti, in attesa di rivivere in un'altra esistenza?”, era solita dire e Raffaele non l'aveva mai derisa per questo, anzi dopo tanti ragionamenti fatti con lei, aveva finito per reputare questa teoria possibile. Del resto che ne sapevano i piccoli insetti umani del Grande Gioco cosmico.

Si recò al lavoro sperando ardentemente che quell'uomo non si facesse vedere più e in effetti passarono giorni in cui, sebbene ad ogni apertura della porta il suo cuore perdesse un battito, non ebbe la sfortuna di quell'incontro.

Ma le notti erano segnate da sogni inquietanti e aveva assistito a scene violente, addirittura una volta si svegliò in piena notte, tutto fiero di aver sparato a degli uomini, uomini in divisa. Ne aveva visto lo sguardo terrorizzato, aveva sentito tremare l'arma tra le sue mani e l'odore acre della polvere da sparo, penetrare nelle narici. Sapeva che erano uomini malvagi e sapeva che quelle erano divise tedesche, di quelle che erano in uso durante la seconda guerra mondiale. “Ma cosa c'entro io con vicende che si sono svolte almeno settanta anni fa?”, si chiese perplesso.

Io raccontò alla moglie e lei gli ricordò il suo punto di vista e con una naturalezza sconcertante, gli aveva detto: ”ne hai fatte di cotte e di crude in passato eh! Ti ci vedo, mentre insieme a quattro scavezzacollo idealisti, con la sigaretta all'angolo della bocca, come John Wayne, con il mitra spianato, dici: “sporchi crucchi, questo è per i miei compagni!” e ta,ta,ta,ta,ta. fai cantare il mitra”.

Risero di gusto a quella mimica, ma poi nel silenzio della sua anima, lo scherzo prese un sapore amaro, “ un assassino! Io che non avrei fatto del male neanche ad una mosca!”, questo pensiero pesava come un macigno sul suo cuore.

Inoltre quei sogni nelle notti seguenti, continuavano sempre più frequenti e nitidi, cominciava a sentire familiari quei volti, a volte sorridenti a volte corrucciati, di quei ragazzi con cui evidentemente aveva avuto a che fare e forse condiviso il destino. Con loro, in sogno, aveva assaltato convogli e postazioni militari. Con loro aveva condiviso il batticuore del sentirsi braccato per boschi e vallate.

Con loro aveva condiviso il dolore che si prova quando si perde qualcuno a cui si tiene.

Per lui era cominciata una doppia vita, di giorno la calma tranquilla della libreria, di notte, l'incubo di un'esistenza altalenante di gioie e terrori, attese snervanti e fughe precipitose. Ora sapeva cosa prova la preda inseguita dal cacciatore, era una sensazione orribile.

Addirittura, una notte, sognò di essere stato colpito ad una coscia, rivisse il lungo tragitto su una barella improvvisata, rivide i volti pieni di apprensione dei suoi compagni e il volto del medico che tagliava e cuciva, e sentiva anche il dolore, tanto dolore. Da quella notte capì l'origine del fastidio proprio in quel punto che lo aveva accompagnato fin da bambino e che aveva sempre perplesso i genitori e i medici che lo avevano di volta in volta visitato, non trovando una causa plausibile per quella che chiamavano una fantasia. “Allora forse è vero, tutto questo non è un gioco della mia mente, e il tutto originato da quello sguardo! Cosa ci sarà mai dietro tutto ciò?”. Adesso era risoluto ad andare fino in fondo a quella faccenda, ma non sapeva come. Aveva provato a fare delle ricerche, aveva navigato in internet, cercando foto o articoli che avessero potuto fare luce su quegli eventi, ma nulla era emerso. Vecchie foto in bianco e nero di uomini sorridenti, armati fino ai denti e di luoghi dove si era combattuta quella assurda guerra. Ma per quanto cercasse, nulla sembrava fare luce sull'enigma. Neanche una seduta di ipnosi fatta con un suo amico aveva squarciato il velo che copriva il suo passato. Non certo per la fallacità del metodo, quanto per il fatto che Raffaele era uno di quegli individui refrattari all'ipnosi, così la seduta era finita in una cena annaffiata da un fiume di parole.

Ma il fato o chi per lui, venne in suo aiuto, una notte sognò per la prima volta quello sguardo, era di un uomo dalle fattezze molto simili a quelle del cliente. Aveva uno zaino pieno di vettovaglie e sigarette che distribuiva a piene mani ai ragazzi del gruppo. Sentiva il conforto nel cuore per quel ben di Dio, per chi vive all'addiaccio, una sigaretta o una cioccolata, era come fosse un pranzo natalizio. Poi rivide il tizio, ma il contesto era diverso, Raffaele vedeva tutta la scena, nascosto tra il fogliame di un cespuglio, nel sogno sapeva che si era infilato in quell'intrico per espletare un bisogno, i suoi compagni erano seduti per terra con le mani dietro la nuca e una decina di soldati, tra tedeschi e repubblichini li tenevano sotto tiro. Poi vide quell'uomo, si guardava attorno inquieto e aveva quel suo particolare sguardo, duro e impersonale, A Raffaele era parso lo sguardo di un felino, non c'era nulla di umano in quegli occhi. Quel tizio non era minacciato, anzi, vide quello che sembrava il capo rivolgergli un'occhiata d'intesa e quel bastardo aveva fatto una smorfia che voleva essere un sorriso, era una bocca da jena quella che lui aveva visto.

Lui era sconvolto, aveva paura persino che il suo respiro affannoso lo potesse tradire, gli tremava tutto il corpo, la sensazione era orribile.

Si svegliò con un urlo, fradicio di sudore, con il cuore che batteva all'impazzata, la moglie saltò su all'unisono con lui, si guardarono fissi “Ancora lui?” chiese, “si, ma stavolta so!” rispose lui, poi dopo essersi lavato e cambiato, andò in cucina, e mentre lei preparava il caffè, raccontò alla moglie il sogno. Lei commentò: “ah, ho capito, quello era un infame spia, vi ha venduti per i suoi trenta denari, quel giuda!”.

“Si un vero infame, se è così, ecco perché sento ribrezzo quando lo vedo”, rispose pensieroso Raffaele

“Ah allora ci credi!”, disse lei con enfasi, lui rispose :“a cosa”? E lei trionfante: “alla reincarnazione e a cosa se no!”, lui ormai era con le spalle al muro, con aria rassegnata disse: “a questo punto devo essere solidale con te, quel tizio è uguale a quello che ho visto nel sogno, questo mette tutta la faccenda sotto un'altra luce”. “Cosa vuoi dire?”, chiese perplessa la moglie. Lui, guardandola fisso negli occhi rispose: “forse si vuole qualcosa da me”. “Come nei film, dici? quei film dove il protagonista si trova a tu per tu con i fantasmi, e solo il suo provvidenziale intervento può render loro la pace eterna? Wow, romantico!” , disse lei con un sorriso. Lui riprese: “e se no, quale senso avrebbe tutta questa storia, i sogni sono cominciati subito dopo l'incontro con quell'uomo, mi hai mai visto alle prese con fantasie simili? se di fantasie si tratta! Eppure ci conosciamo da un bel po di tempo, non credi?”.

Rimasero ambedue con lo sguardo perso nel vuoto con la tazza di caffè tra le mani, mentre il vapore profumato nelle sue volute, si intrecciava con i loro pensieri vaganti chissà dove e l'alba già cominciava a tingere di rosa le nuvole a levante.

Alberto si riscosse “dai, bando alle ciance, devo prepararmi per andare al lavoro”, “ma dove vai, sciocchino, si vede che questa storia ti sta friggendo il cervello, oggi è domenica! Vieni qui e abbracciami, ci penseremo dopo ai tuoi fantasmi!”, disse lei con un bel sorriso, quel sorriso che lo aveva fatto innamorare subito, dal primo momento che l'aveva conosciuta. “Splendido che i santi numi abbiano creato la domenica”, pensò,” almeno quel giorno non correva il rischio di incontrare quello che per lui era diventato ormai un nemico.

Passarono tutto il giorno di riposo, tra abbracci e sonnellini, “che bella la vita senza paure e affanni”, si disse Raffaele, “che tempi orribili dovevano essere stati quelli in qui vissero i nostri padri!”.

Poi il lunedì si presentò con il suo carico di apprensioni, avrebbe rincontrato quell'uomo? Come avrebbe reagito lui, adesso che il tarlo del sospetto di quell'infamia, si era instillato nella sua mente? Cosa gli stava preparando il destino? Non poteva certo prendere quel tizio per il bavero della giacca e urlargli sul muso, che era una lurida spia dei nazifascisti. Quello lo avrebbe denunciato alle autorità e poi che spiegazione avrebbe potuto dare al giudice. “E' una faccenda da pazzi!”, pensò sconsolato mentre con l'automobile si avviava verso la città.

La giornata in libreria fu caratterizzata subito da un ritmo frenetico, il lunedì era spesso così. Corrieri che scaricavano pacchi, il telefono che squillava ogni momento e tanti libri da controllare e sistemare nei loro scaffali, così improvvisamente, si trovò faccia a faccia con il suo incubo. Non l'aveva visto entrare, tanto era indaffarato, rimase senza fiato , mentre l'uomo, con il suo solito bofonchìo, stava chiedendogli qualcosa. Raffaele dovette fare uno sforzo sovrumano per riuscire a decifrare le sue parole, mentre una tempesta di pensieri agitava la sua anima. Riuscì a capire solo alcune parole e con gesto meccanico lo indirizzò verso lo scaffale giusto. Si era svolto tutto così rapidamente da lasciarlo inebetito, con un libro in mano e lo sguardo perso nel vuoto. Aveva notato in quello sguardo un certo non so che, una luce diversa, quasi un'angoscia, uno smarrimento. Sentì quasi pena per quell'essere, l'espressione dei suoi occhi era cambiata dall'ultima volta che lo aveva visto, aveva perso quella durezza caratteristica e la stanchezza traspariva dal suo volto.

In un attimo di preveggenza Raffaele pensò che forse anche lui stesse passando i suoi stessi guai. “Ma no, che sciocco sono a pensare una cosa del genere, eppure... “, pensò interdetto. Lo aspettò alla cassa, voleva osservarlo meglio, si costrinse a dominare le sue emozioni, del resto era risoluto ad andare in fondo a quella storia, era stanco e in fin dei conti anche la curiosità aveva il suo peso. Quando quello si avvicinò al bancone Raffaele notò una certa titubanza nell'uomo, era sicuro che anche il tizio stava subendo sentimenti contrastanti, c'era una sorta di disagio e una consapevolezza di qualcosa di ineluttabile, qualcosa a cui non potesse sfuggire. Pagò con mani visibilmente tremanti, senza soffermare lo sguardo sul suo. Questa volta aveva preso un libro sulla resistenza, lui avrebbe voluto chiedere qualcosa a quell'uomo , ma quello, preso il resto si era defilato rapidamente.

Rincasato, raccontò alla moglie, ansiosa di notizie, l'avvenuto incontro, gli spiegò nei minimi dettagli le sue impressioni e quella candidamente gli disse: “per me, si sta ravvedendo, sai che credo nella redenzione dell'essere umano, chissà, magari il tuo uomo ha sogni simili ai tuoi, pensa se fosse vero, che inferno devono essere le sue notti! Ricordi “i ritardi della punizione divina” di Plutarco? gira gira, piano piano... come dice il cinese: “siediti sulla riva del fiume....

se è cosi, non vorrei essere nei suoi panni!” Raffaele doveva ammettere che il discorso della moglie non faceva una grinza, era molto plausibile. “Devo parlare con quell'uomo”, disse risolutamente. Mentre cercava di prender sonno, vedeva l'ineluttabile destino tirare i suoi fili, era certo che tutta quella storia stesse arrivando al suo epilogo e ne aveva il terrore. Cosa sarebbe successo? cosa doveva fare per far sì che si quietassero quelle anime irrequiete? I sogni con l'aiuto di un buono psicologo o addirittura di psicofarmaci, potevano magari svanire, ma quel viso e quello sguardo come potevano scomparire, avrebbe dovuto cambiare città, addirittura nazione, ma lui sapeva quanto piccolo fosse il mondo.

Sapeva che se anche fosse andato sulla luna sarebbe potuto sfuggire al fato!

Poi di colpo si trovò in una stanza, vide con orrore i suoi compagni, mentre venivano torturati da quelli che sapeva essere uomini della gestapo, voleva fuggire di la, ma non gli era concesso neanche di voltare lo sguardo da un'altra parte, era bloccato in quell'istante che non finiva mai! Una pena tremenda, profonda, invase tutto il suo essere. Il senso di impotenza che attanagliava il suo cuore, era come una morsa d'acciaio che stava stritolando la sua anima, Ormai conosceva bene quei cinque ragazzi e il vederli trattare in un modo tanto inumano, liberò in lui un sentimento, oscuro, travolgente, a cui non aveva mai badato, tanto profondamente era sepolto nel pozzo insondabile delle sue emozioni. Vendetta, era l'unica parola che potesse esprimere quell'impulso distruttivo. In un'istante si trovò in una piazza, la scena era orribile; i suoi amici erano appesi ad una traversa, avevano un cartello sul petto con la scritta: “BANDITO”. Il cielo era plumbeo, tutta la scena emanava un'atmosfera grigia, fredda. Gli impiccati cominciarono a fissarlo, lui era sgomento, sentiva i loro occhi, duri, profondi, puntati nei suoi che lo costringevano a prendere una decisione che la sua mente rifiutava. Ora i ragazzi erano messi in semicerchio davanti a lui, uno gli porgeva una “Luger”, lui la guardò ma non la prese, si rifiutava di dover assolvere a quell'ingrato compito, non voleva trasformarsi in una bestia assetata di vendetta, ma quegli sguardi erano come lame d'acciaio, che lo tenevano inchiodato a quel triste destino.

Vinto, prese l'arma, era pesante e fredda nella mano, come pesante e freddo fu quell'istante, che svanì di colpo, lasciando Raffaele nel buio di un sonno profondo. Si svegliò prima dell'alba, senza far rumore, per non allarmare la moglie, andò nello sgabuzzino, si arrampicò su uno sgabello e cercò con la mano tra scatole e pacchetti, trovò quello che cercava, rimise apposto quello che aveva smosso e si avviò al bagno.

Chiusa la porta, scartò il pacchetto che aveva preso, ne venne fuori la sua Luger, restò a guardarla con un senso di inquietudine profonda.

L'aveva comperata anni prima, da un collezionista, erano i tempi in cui a Raffaele piaceva andare ogni tanto al poligono a fare due tiri, ma più che altro si era innamorato delle forme dell'arma, non l'aveva mai considerata uno strumento di offesa, per lui era solo acciaio fresato e tornito, dove palese era la maestria dell'uomo. Ma adesso, averla li davanti, conscio del potere distruttivo di quell'oggetto, gli faceva venire la pelle d'oca. Cercando di far meno rumore possibile, provò ad armarla, sfilò il caricatore e con gesti lenti, quasi in trance, cominciò a riempirlo con pallottole prese da una scatoletta, un gesto che sentiva antico dentro di sé. Non sapeva proprio come sarebbe andata a finire quella storia, se avesse potuto evitarla... ma non poteva, quegli sguardi penetranti gli avevano detto chiaramente che l'unico modo per placarli sarebbe stato vendicarli. Rimise la pistola nell'involto e la infilò nella tasca del cappotto appeso all'appendiabiti, poi cercò di assumere un contegno normale e andò in camera da letto dove, con lei ancora assonnata, con un bacio si congedò, inventando una certa consegna mattutina che lo costringeva ad uscire prima, sapeva che non avrebbe potuto alla lunga non far trapelare la sua angoscia, con tutte le domande che sarebbero seguite e a cui non poteva certo rispondere.

Lungo il tragitto verso la metropoli cercò di pensare, ma la sua mente non riusciva a focalizzarsi su nulla, si sentiva un morto che vagava in un assurdo girone infernale, dove lui era una pedina di un gioco crudele fatto di tradimenti e vendette, questo collideva con tutti i suoi principi. “l'unica cosa da fare è lasciare che il destino faccia la sua parte!”, pensò rassegnato mentre parcheggiava l'auto nei pressi del negozio.

Il peso nella tasca lo accompagnò in quella mattinata di normale routine, Raffaele guardava inquieto la porta e ogni volta che la sentiva aprirsi, il suo cuore aveva un sobbalzo. Quando già, avvicinandosi l'ora di chiusura, con sollievo pensava che forse il tizio non si facesse più vedere, ecco il suono gutturale della sua voce accennare un saluto, Raffaele sentì tutte le sue fibre irrigidirsi, il momento della verità infine era arrivato. Le sue dita tremanti andarono alla pistola, sapeva che si trattava di un'impressione, ma a lui sembrava che l'arma si fosse fatta più pesante, quasi partecipasse al peso che gravava sul suo cuore.

L'uomo si avvicinò al bancone e lo guardò fisso negli occhi, ma non proferì parola, Raffaele era percorso da un tremito irrefrenabile, sapeva che il suo dovere era di estrarre l'arma e sparare a quell'uomo e sembrava che quello non si aspettasse altro da lui, i suoi occhi erano stanchi, di chi non dorme da molto tempo e a Raffaele parevano esprimere la supplica di poter essere sgravati da un peso enorme. Ricordò le parole della moglie:”chissà, magari il tuo uomo ha sogni simili ai tuoi, pensa se fosse vero, che inferno devono essere le sue notti!”, questo pensiero sembrò agire come un balsamo per il suo animo, i suoi nervi si calmarono e man mano Raffaele riacquistò calma e lucidità, tolse la mano dalla tasca, non aveva proprio voglia di fare quello che il destino gli ordinava. Quello con aria stravolta, senza una parola, girò sui tacchi e uscì dal negozio con passi lenti, a lui parve che il corpo dell'uomo fosse gravato da un peso enorme. Nei sogni lo avrebbe ucciso con piacere visto di quale colpa si era macchiato, ma li, nella realtà, sentiva solo pena per lui. Lo vedeva inseguito, senza possibilità di scampo, da incubi peggiori dei suoi e mentre quello usciva in strada, a Raffaele parve che una schiera di anime lo seguisse dappresso. ”Pover'uomo!” pensò, mentre riacquistata appieno la calma si sedeva con un sospiro di sollievo.

Sparare a quell'umo avrebbe significato per lui l'abbandono della famiglia, il carcere e l'atroce consapevolezza di essere diventato un assassino, togliere una vita per lui era compito solo del Nume Supremo.

Risolse di rimettere la pistola al suo posto, dove era stata per tanti anni e partire insieme alla sua dolce metà per un viaggio riposante e pregò di poter dimenticare tutta quella orribile storia. A casa fu forzatamente brioso, la moglie se ne accorse e fece di tutto per farlo sentire a proprio agio. Preparò una buonissima cena e poi accoccolati, videro un film romantico in tv. Si sforzarono tutti e due di sembrare tranquilli e sereni ma sapevano bene entrambi che nuvole nere si stavano addensando sempre più nel loro cielo.

Raffaele quella notte non voleva dormire, aveva il terrore di dover assistere a quei sogni orribili, così resistette un po, ma poi la stanchezza vinse e si ritrovò faccia a faccia con i suoi compagni che lo guardavano con occhi pieni di rimprovero. Il solito gli porse di nuovo la pistola, lui sgomento la guardò attentamente, non ci aveva fatto caso nell'altro sogno ma l'arma aveva un graffio profondo sulla canna e delle tacche sul calcio. Si svegliò di colpo e senza far rumore andò all'attaccapanni dove aveva lasciato il soprabito con ancora l'arma in tasca, “che leggerezza averla lasciata li, col pericolo di essere notata da sua moglie, cosa gli avrebbe detto? Quale angoscia con quella svista poteva regalare a quell'anima candida!”, tremò a quel pensiero, mentre tirava fuori l'arma, poi portatola in bagno la osservò, conosceva quel solco sulla canna e le tacche sul calcio, era la stessa del sogno!

Rimase sveglio fino al mattino, mentre dentro di lui si agitavano pensieri angoscianti sul destino che tramava alle sue spalle,

ormai sapeva bene di non poter sfuggirgli, quella storia non sarebbe svanita nel nulla, doveva affrontare quell'uomo, “costi quel che costi, non posso andare avanti così all'infinito!”, pensò riscuotendosi e così uscì assai presto, quasi scappando di casa, sperando di non essere sentito dalla moglie ancora dormiente.

Ma lei lo aveva sentito agitarsi nel sonno e la pena che sentiva per lui non gli aveva permesso di dormire, in preda all'angoscia si era alzata e guidata da un presentimento andò nello sgabuzzino dove ebbe la conferma dei suoi timori, la pistola non era al suo posto. Piano piano andò a controllare nei pantaloni ma li non c'era, la trovò nella tasca del soprabito, allibita capì cosa aveva in mante il marito. Stette un po, pensando a cosa potesse fare per aiutarlo e non trovando nulla di meglio, sfilò il caricatore ed estrasse tutte le pallottole. Almeno così, pensava, quello avrebbe pagato le sue colpe con una grande paura e suo marito non avrebbe potuto compiere un gesto che avrebbe rimpianto per tutta la vita divenendo un assassino.

Rimise l'arma nella tasca e un po sollevata si rimise a letto, riuscendo finalmente a dormire.

 

In libreria tutto filava liscio, chiunque avesse guardato Raffaele avrebbe visto un uomo calmo dedito alle sue incombenze, non sapendo quale tempesta di sentimenti si agitasse sotto quella parvenza di normalità. Lui pensava ininterrottamente alle coincidenze che si erano andate accumulando in quella vicenda e che portavano tutte al gesto terribile a cui doveva necessariamente adempiere.

Era tanto stremato da quella faccenda, che ormai non vedeva l'ora che tutto si fosse compiuto, così che potessero tutti riposare in pace, lui, il tizio e i suoi compagni. L'unica sua disperazione ormai era il pensiero di sua moglie, quella povera donna sarebbe rimasta senza un marito a cui voleva peraltro un grande bene, si sarebbero visti in parlatorio nel carcere e forse un giorno, con molti anni in più sulla schiena, sarebbe potuto uscire, sicuramente avrebbe goduto della buona condotta e con un sorriso si chiese se in carcere ci fosse una buona biblioteca, almeno non sarebbe stato proprio solo. In cuor suo sperava che l'uomo non si facesse più vedere, chissà, pensava, preso dal rimorso si sarebbe ucciso o magari il destino lo avrebbe aiutato facendolo finire sotto un tram. Intanto le ore passavano lente ma poi successe quel che ormai sentiva inevitabile, l'uomo entrò e come il giorno prima si pose davanti a lui guardandolo negli occhi. Questa volta parlò con la sua voce gutturale, “avanti, facciamola finita”. Disse questo, con aria sollevata, anch'esso doveva essere stremato e Raffaele notò che l'uomo aveva assunto un portamento più eretto, quasi fiero, come se quell'ora tremenda, gli avesse pietosamente tolto dalla schiena tutto il suo peso.

Raffaele, come in trance, lo invitò ad entrare nel magazzino, dette una voce all'aiutante pregandolo di non essere disturbato e dicendo imbarazzato: “dopo di lei”, entrarono nella stanza.

Li vi era un tavolo e due sgabelli, si sedettero. L'uomo guardava in basso, in attesa, senza proferire parola, Raffaele non sapeva cosa fare, davanti aveva un uomo rassegnato e alle sue spalle sentiva gli occhi di cinque ragazzi anche loro in attesa. Tutti si aspettavano qualcosa da lui, ma come poteva lui fare ciò che andava fatto? Con un sospiro tirò fuori la pistola e l'appoggiò sul tavolo. L'uomo la guardò e con un brivido disse: “la conosco, era mia, la vedo tutte le notti nei miei incubi. Cinque ragazzi mi guardano e mi dicono:” con questa saremo vendicati!”.

Raffaele fu colpito da questa rivelazione, stava pensando a quale gioco assurdo il destino stesse giocando con loro. Aveva comperato quell'arma anni prima, allora chi aveva guidato i suoi passi per arrivare in quell'armeria e per acquistare proprio quell'arma!, ricordò quel giorno, ne aveva viste alcune ma era stato attratto da quella e l'aveva comperata senza esitazioni, da quanto tempo questo gioco andava avanti alle sue spalle!. Ripensò alle parole di Einstein: “Dio non gioca a dadi!”, ora ne aveva avuto la prova inconfutabile,” il caso non esiste, tutto è scritto, noi siamo solo ingranaggi di un grandissimo meccanismo” disse con voce rotta dall'emozione.

“Beh, se il destino ci ha chiamato a questo momento, noi non possiamo evidentemente sottrarci ad esso, fai quello che devi fare e fallo in fretta che sono stanco, non ne posso più” l'uomo disse questo con fare risoluto, guardandolo fisso negli occhi. Raffaele non notò il minimo segno di paura in quell'anima travagliata, solo una grande stanchezza e anche lui era stanco, non ne poteva più di quella storia.

Prese la pistola dal tavolo, la soppesò e con grande sorpresa dell'uomo la rimise in tasca. “non voglio farlo” disse” sarà quel che sarà ma io non mi presterò a questa buffonata, io non sono un assassino. Tu farai i conti con la tua coscienza, io con la mia, e se i ragazzi capiranno, allora mi lasceranno in pace, non so se ciò varrà anche per te, ma sono affari tuoi io me ne tiro fuori!”. Detto questo si alzò e uscì dalla stanza, lasciando l'uomo sconvolto, con i gomiti sul tavolo e la testa fra le mani. Mentre usciva sentì dei singhiozzi, l'uomo stava piangendo.

Aveva raccontato tutto alla moglie quella sera stessa e lei con un sorriso gli aveva restituito le pallottole, lui le aveva risposto con un'occhiataccia di rimprovero ma poi la tensione era svanita all'istante e si era lasciato andare ad un pianto liberatorio fra le sue braccia.

Così per un po di tempo non ebbe brutti sogni, i ragazzi non erano più tornati a tormentarlo con i loro sguardi duri e accusatori, la sua vita aveva ripreso il suo corso. Poi una notte se li trovò davanti ma i loro volti erano sorridenti, lo avevano salutato con un cenno delle mani, si erano girati e si erano allontanati su di una strada luminosa dandosi pacche sulla schiena, Raffaele capì che finalmente era tutto era finito e al risveglio non sentì più quel peso che gravava ormai da tanti giorni sul suo cuore. Solo non sapeva capacitarsi di cosa fosse accaduto, “il tizio è morto? forse suicida!”.

Ma questi pensieri non lo tangevano più di tanto, quella faccenda gli sembrava inghiottita dal tempo come fosse accaduta secoli prima, non era più un problema suo. Poi una lettera lasciata in libreria gli svelò l'arcano, il tizio che scoprì si chiamava Gianni …... gli comunicava che aveva preso i voti, chiudendosi in un convento di Francescani e che fidava nel buon Dio per ricevere quella pace di cui era assetato, gli porgeva un grande ringraziamento e che avrebbe pregato per il resto della sua vita per lui e per quei cinque ragazzi. Raffaele lesse quelle pagine con un nodo alla gola, avvisò l'aiutante che sarebbe andato via prima e che sarebbe stato assente per qualche giorno, passò a un'agenzia di viaggi e con due biglietti aerei si diresse verso casa.

   
 
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