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Autore: Anmami    09/11/2014    2 recensioni
Dopo l'arrivo a Terminus il gruppo si trova rinchiuso in un vagone. Questa storia è la mia versione della quinta stagione vista con gli occhi di Daryl. Tra amicizia, battaglie per la sopravvivenza ed un amore difficile da ammettere anche a se stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Step by step'
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Ciao! Capitolo tenerello anche se forse il finale vi deluderà un po'. XD Come sempre, ringrazio tantissimo chi mi segue e chi recensisce! A prestooo!
 



Capitolo 18
Eravamo in macchina da ore. La strada davanti a noi sembrava essere infinita. 
Ero tornato ad occupare il sedile posteriore con accanto Beth e la sua vicinanza mi procurava un certo imbarazzo, forse a causa della conversazione avuta nel bosco.
Voltandomi verso di lei, la vidi addormentata con la testa poggiata al mio braccio destro e questo contatto inaspettato mi provocò uno strano formicolio alla schiena, una specie di brivido che mi percorse la spina dorsale, provai con tutto me stesso ad ignorare quella sensazione, cercando di non muovermi di un centimetro per evitare di disturbare il suo sonno.
Nell'abitacolo regnava la quiete più totale, ma all'improvviso quel silenzio fu rotto da un'esclamazione di Carl.
"Cos'è quello?" chiese indicando qualcosa.
Rick rallentò ed il resto della carovana fece lo stesso.
Imboccammo una stradina secondaria collegata alla principale e, dopo averla percorsa tutta, arrivammo davanti ad un edificio circondato da un'alta recinzione decorata.
Ci dirigemmo tutti verso il cancello principale e lo trovammo aperto.
Rick fece cenno al resto del gruppo di aspettare in macchina pronti a scappare in caso di pericolo e chiese a me, Tyreese, Abraham e Glenn di accompagnarlo all'interno per controllare che il posto fosse libero.
L'edificio era una grande villa su cinque piani con decorazioni sfarzose. Aveva due grandi terrazze con vistose balaustre in marmo. Sulla facciata c'erano i resti di quella che sembrava essere un'insegna.
Molto lentamente ci avviammo dentro la struttura.
All'interno il tempo sembrava essersi fermato, la reception, i carrelli per i bagagli, le riviste sul bancone e i resti di una pianta dentro un vaso.
Da quello che potevamo vedere quel posto doveva essere stato un hotel un tempo, uno di quelli di lusso dove erano solite soggiornare le celebrità.
Con calma ispezionammo tutto l'edificio e vi trovammo solo una decina di erranti che riuscimmo ad eliminare senza troppo sforzo.
Prima di entrare eravamo convinti che quel posto fosse stato invaso, come poteva un edificio del genere essere stato ignorato? Forse lo stesso dubbio aveva fatto desistere le altre persone dall'avvicinarsi ad esso per paura di trovare, tra quelle quattro mura, una morte pressoché certa. Tuttavia, per una volta, la fortuna sembrò essere dalla nostra parte. Soddisfatti per quella nuova conquista tornammo dagli altri per comunicare ciò che avevamo scoperto.
L'entusiasmo era alle stelle, un hotel voleva dire camere con letti comodi e la recinzione forniva la sicurezza di cui avevamo bisogno.
Entrammo nel cortile, chiudemmo accuratamente il cancello, parcheggiammo i mezzi, pronti per partire in caso di necessità e ci dirigemmo tutti dentro l'albergo per guardarci intorno e prendere possesso delle stanze.
Occupammo tutte e trenta le camere, decidendo all'unanimità che la suite più grande sarebbe toccata a Rick ed i suoi figli. Lui subito cercò di rifiutarsi, ma alla fine dovette cedere.
Quella sera cenammo tutti insieme nella sala da pranzo dell'hotel, illuminati dalla luce di mille candele.
Quel posto funzionò come un'iniezione di fiducia e sollevò il morale di tutti.
Quando Carol tornò dalla cantina con una cassa di champagne la situazione migliorò ulteriormente.
Il clima spensierato che si respirava quella sera ci fece dimenticare per qualche ora della situazione in cui ci trovavamo.
Dopo cena, Charles e Glenn si posizionarono sulla terrazza per iniziare il turno di guardia ed io presi una coperta e decisi di uscire sull'altra a fumare una sigaretta.
Tutta quella leggerezza non era adatta a me, non ero abituato a rilassarmi, non ero abituato a lasciarmi andare, non ero abituato ad essere felice.
Mi accomodai su una sdraio un po' malconcia, ma che sembrava reggere il mio peso, appoggiando la coperta sulle mie gambe e mi accesi una sigaretta.
Sollevai la testa, rivolgendo lo sguardo verso il cielo e restai incantato a guardare le stelle. Per molto tempo erano state le mie uniche compagne, mi erano state fedeli e fui molto felice di constatare che continuassero ad esserlo.
"Ehi... sei qui." disse Beth sedendosi sulla sdraio accanto alla mia e riportandomi sulla Terra.
"Avevo voglia di fumarmi una sigaretta." risposi aspirando il fumo a pieni polmoni.
"Bella serata non è vero?" fece lei stringendosi le braccia al corpo.
Notando il suo gesto tolsi la coperta da sopra le mie gambe, mi alzai e la poggiai sopra di lei ritornando a sedermi al mio posto.
"Grazie..." disse lei imbarazzata portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Avevi freddo." feci io non trovando nulla di meglio da dire.
"Ora però sei tu ad aver freddo." disse sorridendomi.
Risposi con un'alzata di spalle e continuai a fumare la mia sigaretta.
Poco dopo la sentii muoversi e avvicinarsi a me.
"Dai, fammi posto. Possiamo dividerci la coperta."
D'istinto, mi spostai facendole spazio sulla sdraio e lei, dopo essersi seduta accanto a me, stese la coperta in modo tale che coprisse entrambe.
"Sei magra." dissi  dando l'ultimo tiro alla sigaretta e spegnendola sul pavimento.
"Dovrebbe essere un complimento?" chiese lei confusa e divertita.
"No, cioè... intendevo dire che sei più magra di come ti ricordassi. Devi mangiare di più. Ti darò metà della mia razione domani." dissi rendendomi conto troppo tardi di quello che avevo detto.
"Ma in questo modo tu avrai solo mezza razione ed io una e mezza. Non mi sembra corretto." 
Di nuovo non risposi e mi limitai ad alzare le spalle.
Eravamo seduti vicinissimi, condividendo una coperta su una terrazza bellissima in una notte stellata e la situazione rischiava di sfuggirmi di mano. 
Lei si appoggiò a me ed io, senza riflettere troppo sulle mie azioni, le cinsi le spalle con un braccio.
Restammo così per un po' fino a quando non mi voltai verso di lei e le annusai i capelli. A quel mio gesto lei strofinò la sua fronte sul mio naso e si strinse ancora di più nel mio abbraccio.
Abbassai lo sguardo verso di lei e mi accorsi che mi stava fissando. La distanza tra noi era davvero minima e l'imbarazzo era ben visibile nei suoi occhi.
"Sei molto bello, te l'hanno mai detto?" sussurrò guardandomi intensamente. Io non risposi, come se in quel momento fossi stato incapace di articolare una qualsiasi frase di senso compiuto.
Notando il mio silenzio, lei cercò di diminuire il più possibile la distanza tra di noi e disse:
"Questo era un complimento signor Dixon, ascolta e impara."
Il calore che emanava il suo corpo mi fece venire i brividi e lei sembrò accorgersene, perché tirò fuori un braccio da sotto la coperta e mi passò una mano sul viso.
Visti da fuori, sembravamo in tutto e per tutto una di quelle coppiette dei film sdolcinati che piacciono tanto alle ragazzine. A quel punto il protagonista avrebbe preso tra le mani il volto della ragazza e l'avrebbe baciata con il sottofondo di un crescendo di mille violini.
Immaginai la scena. Le mie labbra sulle sue, il contatto delle nostre lingue, il suo respiro sulla mia pelle. Scossi la testa e quel pensiero mi fece tornare in me. Scusandomi, mi scansai e rientrai dirigendomi nella mia stanza intenzionato a dimenticare quei pensieri, o almeno a tentare di farlo. 
Dovevo ricordarmi chi ero io. Dovevo ricordarmi chi era lei.

  
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