Quando
arrivò in cortile, Stefano scorse in lontananza il sopraggiungere dei nemici,
vide poi gli altri uomini che si consultavano per decidere la strategia.
Il
ragazzo si avvicinò e sentì Serventi dire: “Allora, Jacopo, tu creerai l’illusione
che il nostro numero sia enorme, non tale da spingerli a chiedere rinforzi, ma
abbastanza per disperdere le loro energie, facendoli scontrare con le
illusioni.”
“Uff, che noia, io volevo uccidere!” si lamentò il fantasma
“Non
essere egoista, non siamo qui per divertirci. Puoi sempre sgozzarli col tuo
pugnale, se riesci a farlo, mantenendo l’illusione.”
“Certo
che ci riesco!”
“Molto
bene.” continuò Bonifacio “Gabriel e Isaia, voi prendetevi il tempo necessario
per fare appello a tutto il vostro potere e, poi, agite seguendo l’istinto:
andrete benissimo. Io, i miei figli e il Franco Giudice vi daremo il tempo
necessario, li tratteremo finché non sarete pronti, poi vi seguiremo.”
“Io
che cosa faccio?” domandò Stefano.
Bonifacio
si voltò verso di lui e lo guardò come per dire: ah, ci sei anche tu?!
Poi disse: “Tu fa come noi e cerca di non farti ammazzare.”
Bonifacio,
poi, disse telepaticamente ai suoi figli: Tenetelo d’occhio; può anche
essere ferito, ma deve uscirne vivo.
Aveva
quasi la tentazione di dare qualche istruzione a Stefano per provocare gravi
malattie, fulminanti, negli avversari, ma poi si disse che non voleva che il
ragazzo fosse troppo consapevole di sé.
Gli
aggressori erano a mezzo chilometro, erano già entrati nel cortile.
Serventi
era molto scuro in volto; non aveva paura di essere sconfitto, anzi era molto
sicuro della propria vittoria, tuttavia sapeva di dover affrontare la questione
con profonda serietà, senza lasciarsi traviare dalla spavalderia o altro.
“Gabriel,
Isaia, concentratevi.” li esortò di nuovo Bonifacio “Jacopo, inizia a popolare
questo giardino. Noialtri, sbizzarriamoci.”
L’uomo,
i suoi figli e il Franco Giudice (rimasto lì dalla notte prima) avanzarono
verso il nemico, senza timore, mentre Stefano li seguiva, tentennante. Annibale
e Temistocle andarono in direzioni opposte, poi, uno di fronte all’altro,
posarono le mani sul terreno e aprirono uno squarcio, tipo fossato, largo tre
metri, per rallentare l’avanzata dei nemici. I due fratelli divennero come
invisibili agli occhi dei nemici e rimasero in attesa che i templari e gli
altri cavalieri iniziassero ad attraversare quel canale, per poterli
bersagliare con più tranquillità con dei fulmini o delle fiamme. Evocare
elementi naturali con la magia, era una delle operazioni più complesse e
difficili, accessibile a pochissimi e, comunque, richiedente un tale sforzo da
potervi ricorrere solo in casi estremi.
I
cavalieri, giunti a quel punto, sorpresero tutti quanti: con balzi
stupefacenti, iniziarono a saltare il fosso senza problemi, esattamente come i
demoni legionari che li accompagnavano.
Annibale
e Temistocle, allora, si sforzarono per colmare il fosso con dell’acqua, dopo
di che presero a tramortire con scariche elettriche quelli che saltavano, in modo
tale da farli cade in acqua e lasciarli affogare.
Molti
templari, tuttavia, riuscivano a passare l’ostacolo.
Le
illusioni di Jacopo, per fortuna, erano efficaci e quindi i nemici si
concentravano ad attaccare avversari inesistenti. Con grande stupore di tutti,
il saltare tre metri in lungo senza difficoltà, non era l’unica insospettata
abilità dei cavalieri: in generale le loro capacità fisiche erano molto
migliorate e, in più, potevano lanciare raggi di morte dalle mani. Quest’ultima
cosa la notarono, per fortuna, quando, grazie alle allucinazioni, un templare
era stato colpito da un suo alleato.
Bonifacio
allertò tutti telepaticamente: sono stati potenziati dalla verga di Mosè,
sono più pericolosi del previsto, ma non temete, presto Gabriel e i Isaia ci
libereranno di loro.
Serventi,
poi, continuò ad aggirarsi con nonchalance tra i nemici, toccandoli con
disinvolta decisione nei punti giusti e lasciandoli cadere morti alle proprie
spalle.
Stefano,
vedendolo agire così, pensò: lui ha studiato alla scuola di Hokuto.
Il
giovane aveva iniziato a seguire la stessa tattica, utilizzata quando con
Giuditta aveva difeso i Sikh. Il Franco Giudice collaborava con lui, in quanto
si avventava sugli azzoppati e li sgozzava, poiché il seminarista non aveva
l’animo di uccidere.
Temistocle
e Annibale, esaurita la gente da scaraventare nel fossato, si erano gettati
nella mischia e puntavano ad immobilizzare o stordire con ultrasuoni i templari
e, poi, ucciderli. Si trovarono, tuttavia, presto impegnati a dover far fronte a
un paio di demoni delle legioni, contro i quali le loro possibilità erano molto
scarse.
Antinori
e Morganti erano assorti in se stessi.
Isaia
non aveva idea di avere o non avere trovato completamente il proprio potere,
sapeva solo che sentiva il dovere di agire: non ce la faceva più a restarsene
lì, fermo; non gli importava se non era ancora pronto del tutto, doveva
combattere.
Rivestito
della propria energia, con le ali e la spada d’oro, Isaia si scagliò contro i
demoni. Con fendenti eleganti e non violenti, riusciva facilmente a uccidere i
legionari.
Vedendo
l’amico in azione, Gabriel si disse che non poteva rimanersene ancora fermo. Si
gettò nella mischia anche lui, i suoi occhi rossi dardeggiavano i nemici: col
suo sguardo poteva indebolire i nemici e lui poteva uccidere col fuoco
elettrico delle sue mani. Pure la sua forza fisica era smisuratamente
aumentata, il che gli permetteva, con un semplice schiaffo, di scaraventare a
decine e decine di metri una persona, oppure di sfondare il torace a qualcuno con
un solo pugno.
Bonifacio
aveva avuto assolutamente ragione: l’intervento dei due arcangeli era stato
sufficiente per annichilire i nemici in pochi minuti.
“Le
mie congratulazioni.” disse, infatti, Serventi, a scontro concluso “Avete
dimostrato di essere pronti per affrontare quel che c’è là fuori.”
Gabriel
si sentiva inebriato, estremamente soddisfatto di quel che aveva fatto,
rimproverandosi di non aver voluto conoscere prima il proprio potere.
“È
stato un onore, vedervi all’opera.” disse, invece, il Franco Giudice, piuttosto
malconcio, poiché un demone era riuscito ad artigliarlo un paio di volte.
“Addirittura?”
domandò Isaia, perplesso.
“Certo,
perché voi siete …” l’uomo si interruppe, si stupì e domandò: “Non sapete chi
siete?”
“Io
sono l’Eletto!” esclamò Gabriel, contento.
“Sì;
e sai chi è esattamente l’Eletto?” domandò ancora il Franco Giudice.
“IO!”
rispose di nuovo Antinori.
“No,
intendevo dire …”
Non
si seppe mai che cosa intendesse dire, poiché l’uomo cadde a terra, morto.
Gabriel e Isaia pensarono fosse colpa dei profondi tagli causati dagli artigli
di demone. Stefano, invece, era certo fosse colpa di Bonifacio che non voleva
che loro sapessero degli arcangeli. Il ragazzo, quindi, decise che era meglio
rivelare la verità ai due amici: “Intendeva dire che tu, Gabriel, sei
l’arcangelo Gabriele, mentre Isaia è Michele.”
“Che
cosa?!” domandarono all’unisono i due amici, assolutamente spiazzati.
Bonifacio
guardò torvamente il ragazzo, poi si rivolse agli altri due, con tono
diplomatico: “Dice il vero. Quello che noi chiamiamo Eletto, i cattolici lo
chiamano arcangelo Gabriele, tua madre lo sapeva ed è per questo che ti ha dato
il tuo nome. Il Princeps, invece, è l’arcangelo
Michele, pensavo fosse esplicito il riferimento al princeps
militiae caelesti. Nomi
diversi, medesima cosa. Io parlo in termini esoterici, non cattolici, inoltre,
il parlare di arcangeli, probabilmente, vi avrebbe spaventato ancora di più.
L’importante è che abbiate acquisito dimestichezza coi vostri poteri, un nome
piuttosto che un altro, non ha rilevanza.”
“Tu
come lo sapevi?” domandò Isaia, scrutando Stefano.
Il
ragazzo si sentì in difficoltà: rivelare o no di essere il terzo arcangelo?
Il
dubbio si rivelò del tutto inutile.
“Lui
è l’arcangelo Raffaele.” spiegò Bonifacio.
Non
era stato contento che il ragazzo rivelasse la verità agli altri due, poiché
pensava di poterli controllare più facilmente, se ignari; comunque, era
contento che Stefano fosse consapevole di sé, così da non dover essere lui a
spiegarglielo e poter, quindi, affrettare i progetti.
L’affermazione
di Serventi non rispondeva alla domanda di come mai il giovane avesse quelle
informazioni, tuttavia mise gli animi in pace.
“Che
cosa faremo, adesso?” domandò Gabriel “Hai detto che siamo pronti per
affrontare quello che c’è fuori, questo vuol dire che correremo in difesa dei
perseguitati, finalmente?”
“In
un certo senso …” rispose Bonifacio “Non andrete in giro a litigare con i pesci
piccoli come quelli di oggi: bisogna estirpare il problema alla radice. La
forza dei nostri nemici sta in quelle tre reliquie. Gabriel, solo tu puoi
distruggere la verga di Mosè, mentre solo Isaia può fare lo stesso con l’anello
di Salomone.” il suo tono era grave “Per quanto riguarda l’Arca …” lasciò
volutamente la frase in sospeso.
“È
compito mio?” domandò Stefano, consapevole e fermo.
“Precisamente.”
“Come
dobbiamo fare?” chiese Isaia.
“Voi
due affronterete chi, ora, sta utilizzando verga e anello, una volta sconfitti,
potrete usare il vostro potere sulle reliquie e distruggerle. L’Arca, invece,
necessita di qualcosa di diverso.”
“Che
cosa?” incalzò Stefano.
“Andiamo
in casa e riposiamo.” propose Bonifacio “Tu, ragazzo, pensa a ciò che sai e
scoprirai come agire.”
“Non
è più semplice se me lo dici?”
“Io
non lo so. Solo tu puoi capirlo.”
Bonifacio
si rivolse a Gabriel: “Dal momento che le reliquie sono custodite in Vaticano e
l’unico modo per arrivarci è volare, poiché certo non potete passare dalla
caverna del giudizio, ti consiglio di imparare a farti spuntare le ali, mentre
lui pensa a come distruggere l’Arca.”
Detto
ciò, Serventi si avviò per rientrare in villa e gli altri lo seguirono;
rimasero indietro solo Temistocle e Annibale che si dovevano occupare di
eliminare i cadaveri.
Stefano
era rimasto parecchio turbato per quel che gli aveva detto Serventi. Non
immaginava che ci fosse una corrispondenza tra arcangeli e reliquie; lo
destabilizza parecchio, poi, la consapevolezza che a lui sarebbe toccato affrontare
l’Arca dell’Alleanza, forse l’oggetto più mistico e pericoloso della storia.
Nemmeno aveva idea di come poter fare.
Era
parecchio turbato e confuso e l’unica certezza che aveva era quella di voler
parlare con Giuditta. Lei lo aveva sempre consigliato per il meglio, lo aveva
aiutato a superare molte difficoltà e, quindi, era certo che anche in
quell’occasione il confidarsi con lei sarebbe stato utile e piacevole.
Certo,
però, lei non era più la stessa … Beh, no, la stessa lo era, l’aveva constato
quando erano “evasi” dalla villa; tuttavia non era certo che, con quella
amnesia, lei potesse confortarlo e consigliarlo come una volta.
Come una
volta???
Buffo pensiero, come se fossero amici da una vita. No, si conoscevano da pochi
mesi … eppure a lui sembrava di conoscerla da sempre. Non solo le voleva un
bene infinito, ma anche sentiva estremamente profondo il legame che aveva con
lei, gli sembrava saldo, indistruttibile e … indispensabile, quasi. Già, che
strano, se si soffermava ad immaginare il proprio futuro, vedeva lei presente …
Che strano … Cioè, non che lui immaginasse una vita da dividere con lei, no,
non era questo a cui pensava. Sapeva, però, che desiderava avere la certezza di
poterle parlare sempre, che la loro amicizia durasse …
Via,
non sapeva nemmeno se ci sarebbe stato un futuro!
Già,
se non trovava una soluzione per come sconfiggere l’Arca dell’Alleanza, se così
si poteva dire, non ci sarebbero state molte speranze per gli anni a venire.
Basta,
aveva deciso di consultarsi con Giuditta: che lei avesse o non avesse una
proposta non gli importava; era certo che il parlare con lei lo avrebbe almeno
rasserenato e lui avrebbe potuto pensare meglio.
Non
sapeva, però, dove si trovasse la ragazza, decise di iniziare a cercarla in
biblioteca e, infatti, la trovò lì ma, purtroppo per lui, c’era anche Gaspare.
I due erano accomodati sul divano: lei composta, lui mezzo sdraiato, con la
testa adagiata sul seno della donna. L’uomo teneva in mano un libro che leggeva
ad alta voce: Apocalisse di Giovanni;
tuttavia, interrupe la lettura, quando vide entrare il ragazzo.
“Tu
guarda che coincidenza! Sono giorni che ti dico di venire in biblioteca e non
mi ascolti e, quando ti decidi a farlo, è proprio mentre mi sto godendo un
momento con la mia Giudittina.”
“Non
l’ho fatta apposta …” replicò Stefano.
“Coincidenze?
Io non credo.”
“Stavo
cercando Giuditta, sì, ma non volevo disturbare.”
“Ogni
volta che ti avvicini a lei, disturbi.”
La
donna provò ad intervenire: “Veramente a me …”
“Alt!”
Gaspare la interruppe all’istante “Lui ti ha fatto rischiare la vita, io ti ho
salvato.”
“Scusa
…” disse lei, chinando lo sguardo.
Stefano
avrebbe voluto sbottare, dicendo che era intollerabile vederla così triste, che
non era naturale che il suo presunto fidanzato la facesse sentire così male.
Scelse, però, di tacere al riguardo, poiché era consapevole che una simile
constatazione gli sarebbe costata l’allontanamento dalla stanza; mentre lui era
intenzionato a rimanere lì, nonostante la presenza di Gaspare.
“Che
cosa sei venuto a fare?” gli domandò l’uomo.
“Beh,
speravo di trovare qualche suggerimento, nei libri, circa il come distruggere
l’Arca, anche se non so da cosa iniziare.”
“Si
inizia dalla fine.” replicò Gaspare, enigmatico.
“Che
cosa intendi?”
“La
fine è un inizio. Il mondo e i suoi cicli cosmici, i corsi e ricorsi della
storia, sono una fenice che nasce, cresce, invecchia, prende fuoco e
ricomincia. Ora siamo nella fase della distruzione e, quindi, ogni buona idea
sul da farsi puoi trovarla nel libro sulla fine dei tempi. Apocalisse. La stavamo giusto leggendo.”
“Va
beh, ho capito che vedete nei templari la bestia, mascherata da Cristo; i
quattro ordini cavallereschi saranno anche i cavalieri dell’Apocalisse, carino,
ma le analogie si fermano qua.”
“Tu
credi?” ridacchiò Gaspare “Isaia che salva Claudia partoriente è pari, pari
all’arcangelo Michele che combatte il drago rosso per proteggere la donna
vestita di Sole.”
“Non
ci avevo pensato …” rifletté Stefano.
“Stavamo
leggendo il cantico innalzato dai cori angelici appena dopo la battaglia. Vuoi
ascoltare? Magari trovi ispirazione.”
Il
ragazzo fu stupito dalla cortesia dell’uomo, ma accettò.
“Ora è venuta la salvezza e la potenza, il
regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù
l'accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti
al nostro Dio. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello, e con
la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi
l'hanno esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in
essi! Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso verso di voi con
gran furore, sapendo di aver poco tempo.”
… essi lo hanno
vinto per mezzo del sangue dell'Agnello, e con la parola della loro
testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l'hanno esposta alla morte
…
Queste
parole rimbombarono nella testa di Stefano. D’improvviso ricordò tutto ciò che
aveva letto della filosofia di Basilio Albrisio,
quando aveva fatto quelle ricerche con Giuditta. La sua missione era di essere
un capro espiatorio, caricarsi dei peccati dell’umanità e offrirsi all’Arca per
placarla. Ne era certo! Quello era ciò che doveva fare!
Inoltre,
l’eretico, sosteneva che il suo amico, un tale di nome Angelo Gabriele, sarebbe
poi diventato il papa angelico, luce per la nuova umanità. In quel momento,
chi, meglio di Antinori, avrebbe potuto ricoprire tale ruolo? Questo combaciava
perfettamente con quanto sempre sostenuto da Bonifacio: Gabriel era l’Eletto e
avrebbe guidato il nuovo mondo. Lui, Stefano, così legato ai fantasmi e alle
loro espiazioni, doveva sacrificarsi. Ne era sicuro.
Il
giovane, pur essendo convinto della sua intuizione, non era certo tranquillo,
anzi, la consapevolezza lo aveva fatto impallidire e il suo animo era diviso
tra il senso di responsabilità e il non volere quella sorte. Sapeva cos’era
giusto fare, ma non lo sentiva come un onore. Ora capiva perfettamente perché
Gabriel per mesi e mesi aveva rifiutato il proprio destino: il saper di dover
fare qualcosa che non ci piacerà era un peso tremendo, nemmeno il sapere che
era per un bene superiore lo rincuorava. Perché lui? Perché il fato gli
imponeva ciò? Perché si doveva predestinare una persona, anziché cercare un
volontario?
Stefano
era piuttosto scosso e pensò fosse meglio allontanarsi.
“Scusate
…” disse; poi, malinconico, guardò Giuditta a lungo. Quante cose avrebbe voluto
dirle! Quanto avrebbe voluto riavere la sua amica al proprio fianco, in quel
frangente! Inoltre, pensò con tristezza al fatto che, sacrificandosi, avrebbe
lasciato lei completamente e definitivamente nelle mani di Gaspare.
“Pigolo,
che hai da fissare così la mia donna?” lo rimproverò l’uomo dopo alcuni lunghi
istanti.
“Nulla,
nulla …” rispose mestamente lui “Tolgo il disturbo.”
“Sarà
meglio.”
Stefano
uscì, mogiamente e pensò di cercare Gabriel per parlargli, ma poi si rese conto
che il suo maestro non gli avrebbe mai permesso di sacrificarsi, per cui era
meglio non confidarsi. Non avrebbe detto a nessuno la verità, non voleva
rattristarli; sarebbe stato sincero solo con Serventi. Sì, gli avrebbe parlato
subito, cosicché non avrebbe potuto avere ripensamenti.
Cercò
il padrone di casa e lo trovò seduto in veranda. Fu breve, rapido, conciso. Non
attese risposte o repliche e se ne andò subito: aveva bisogno di un po’ di
solitudine, per accettare il proprio destino.
Bonifacio
era rimasto imperturbabile, anzi aveva accennato una vaga espressione di
meraviglia. Attese che il ragazzo si fosse allontanato, poi si alzò e andò in
biblioteca, dove era certo di trovare il figlio.
“Ottimo
lavoro, Gaspare.” si complimentò Serventi “Il ragazzo è appena venuto a dirmi
che sa che il suo ruolo, in questa faccenda, è di sacrificarsi.”
“Cosa?!”
esclamò Giuditta.
“Zitta,
tu!” la mise subito in riga Gaspare, senza nemmeno guardarla, mettendosi in
piedi.
“Sei
stato rapidissimo nello svolgere questo compito.” continuò il padre “Come hai
fatto?”
“Oh,
nulla di particolare: ho solo letto i giusti versetti.” Gaspare sogghignò.
“Fin
troppo semplice, allora. Molto bene, presto questa parte del nostro piano avrà
compimento. Per ora, concentrati solo sull’evitare che lui cambi idea.” dicendo
ciò, Bonifacio accennò vagamente col capo verso la donna.
Gaspare
deglutì, annuì col capo e rassicurò il genitore.
Appena
Serventi fu uscito, Giuditta si mise in piedi per chiedere, con un certo
disappunto, che cosa stesse accadendo. Non fece quasi in tempo ad aprire bocca,
che l’uomo nuovamente la zittì e con fare brusco, ordinò perentoriamente: “Te
lo dirò una volta sola, bambina, poi passerò ai provvedimenti. Pigolo morirà,
punto. Non provare a dissuaderlo o a fare alcunché per evitarlo. Ti garantisco
che una tua disobbedienza, avrà conseguenze gravi, come ancora non hai
provato.”
Giuditta
fece cenno di avere capito, ma le sue intenzioni erano parecchio differenti.
Non sollevò l’argomento, si comportò con tranquillità come sempre e aspettò che
Gaspare la congedasse; una volta rimasta sola, si mise a cercare Stefano e lo
trovò in cortile, seduto sotto un albero, abbastanza distante dall’edificio.
“Stefano
…” lo chiamò lei, mestamente.
Aveva
paura per ciò che le aveva minacciato Gaspare, ma sapeva che non era giusto e
dovuto che il ragazzo si sacrificasse e, quindi, voleva dirglielo. Inoltre,
sentiva affetto verso di lui. Stranamente, da quando lui le aveva parlato,
convincendola ad andare fuori dalla villa, Giuditta si sentiva molto legata a
quel ragazzo, sentiva di volergli bene … forse quell’avventura aveva stimolato
l’amicizia assopita che si era risvegliata, nonostante l’assenza di ricordi.
Stefano
si voltò: era stupito e contento di vederla, ma la consapevolezza del
sacrificio era più forte e il suo sguardo rimase triste e rassegnato.
“Ciao
…”
Giuditta
immaginava come dovesse sentirsi il giovane e provò compassione; gli chiese
quasi timidamente: “Posso sedermi?”
“Prego
…” rispose lui, si sentiva che era come disinteressato a tutto, ora che
percepiva la morte imminente.
Mentre
la ragazza si sedeva a terra accanto a lui, però, Stefano cercò ancora di
punzecchiarla per indurla a scuotersi dallo stato in cui si trovava: “Gaspare
ti ha accordato il permesso di parlarmi?”
“No,
ma voglio e devo parlarti.”
Il
volto di Stefano si illuminò, come se quella frase lo avesse salvato.
Sorridendo, la incoraggiò: “Dimmi tutto!”
“So
che pensi di doverti sacrificare, ma non è vero.”
“Cosa?!”
Il
ragazzo non sapeva se si era più stupito per il fatto che lei fosse a
conoscenza della sua risoluzione o del fatto di essersi sbagliato.
“Non
so perché ti vogliano morto, ma certo questa non è l’unica strada.”
“E
cosa dovrei fare, allora? Tu lo sai?!” il giovane la incalzò, piuttosto
speranzoso.
“Beh,
come agli altri due arcangeli può bastare il loro potere per distruggere questi
artefatti, così anche tu potresti neutralizzare l’Arca. Tu sei la Guida!”
esclamò con trasporto e, istintivamente,
prese la mani del ragazzo “Tu devi condurre il nuovo mondo, non puoi morire!”
Stefano
guardò negli occhi l’amica, era commosso, ma ancora non tranquillo circa il
proprio dovere. Si scrutarono pupille nelle pupille per diversi istanti.
Entrambi ebbero l’impressione di starsi dicendo qualcosa, anche se non capivano
cosa.
“Io
non so ancora usare davvero il mio potere, non posso competere con l’Arca!” disse
infine Stefano, spezzando il silenzio.
“Allora
non combatterla, ma cerca di farla ragionare.”
“Ragionare
con un’arca?” rimase perplesso il giovane.
“Sì,
in fondo è animata da un frammento del Creatore … la tua mente può entrare in
contatto con essa e farla ragionare, persuaderla che non debba distruggere.
Devi convincerla a perdonare l’umanità.”
“Esigerà
un sacrificio, lo sappiamo entrambi.”
Giuditta
pensò un poco e, poi, si fece coraggio per dire: “Ora, non prendermi per
blasfema ma … in fondo anche Gesù si è offerto in sacrificio e poi è risorto.
Cristo ha sconfitto la morte e ha dato la possibilità a tutti noi di vincerla.
Adesso, io non dico che devi ripetere quello che è successo a Gesù, tuttavia …”
“Che
cosa accade qui?!” tuonò d’improvviso la vece di Gaspare.
I
due ragazzi si voltarono e videro l’uomo fulminarli con lo sguardo: il suo
volto era terribile.
Gaspare
non aggiunse altro, non diede tempo di rispondere; afferrò l’avambraccio della
donna e la strattonò per farla alzare e, senza dire nulla, la trascinò via.
Stefano
guardava, impotente.
Gaspare
portò Giuditta nella sua stanza, chiuse a chiave la porta, la guardò furente,
ma le parlò con calma apparente: “Io, davvero, non so più che cosa fare con
te... Come puoi permetterti di fare una cosa del genere??? Ribellarti a me!!!
Dannazione, devi esser diventata completamente pazza, viziata d'una
ragazzina... Dopo tutti quei giorni spesi a cercare di farti diventare qualcosa
che contasse, dopo tutto quello che ho fatto per te, mi ripaghi così, ingrata?”
Il
tono delle ultime parole era macchiato d’ira; Gaspare afferrò per le braccia
della donna appena sotto le spalle, immobilizzandola.
Lei
provò dolore per la stretta, comunque cercò di ignorare il male e rispose:
“Volete mandare a morte un mio amico, come puoi credere che lo accetti?”
“Non
puoi fare niente per lui. Noi abbiamo un piano, tu ci sei dentro e anche lui,
sebbene stia per esaurire la sua funzione. Tu, ormai, mi appartieni. Per
fartela breve: sei dei nostri e cambiare fazione significherebbe porre fine
alla tua vita.” alzò le mani “A te la scelta, comunque.”
L’uomo
stava bluffando: non poteva permettere che lei morisse, era solo per
spaventarla, per farla rientrare nei ranghi.
“Gaspare,
ti prego, c’è un altro modo! Perché non può fare parte anche Stefano del nuovo
mondo? Lui è la Guida, lui dovrebbe condurre la nuova era, lo sai anche tu, lo
sapete tutti!”
L’uomo
scoppiò a ridere fragorosamente e bofonchiò: “Pigolo nel nuovo mondo... Questa
sì che è bella, me la devo segnare...! Stai scherzando vero?! Assolutamente no.
La Guida dev’essere eliminata: questo ha deciso mio
padre e così sarà.”
Giuditta
si sentì ribollire e, inviperita, replicò: “Allora non voglio arrivarci nemmeno
io nel nuovo mondo!”
Gaspare
scosse il capo, poi afferrò di nuovo la donna e le disse: “Non è così che
funziona: tu sei troppo importante affinché il piano di mio padre vada in
porto. Se tu muori o te ne vai, o se Pigolo sopravvive, mio padre uccide me.
Non esiste che morirò per mano sua, per colpa dei tuoi capricci, cara mia!”
Giuditta
non lo sapeva, non lo sospettava neppure. Aveva le lacrime agli occhi, perché
si rendeva conto che qualcuno a cui teneva doveva per forza morire; piangente,
mormorò: “Scusami, Gaspare, io non lo immaginavo ... Io non voglio che ti
accada nulla, ma voglio bene anche a Stefano …”
Gaspare
sospirò, mutò la sua stretta in un abbraccio amorevole, le carezzò i capelli e
le disse: “Lo so che gli vuoi bene; l’hai sempre dimostrato. Lui non ti ha mai
fatto nulla di male; io l’ho cancellato dalla tua memoria, perché non volevo
che tu soffrissi, arrivati a questo punto.” attese qualche momento, prima di
proseguire: “Comunque, non preoccuparti: non potevi saperlo, che mio padre
punisce in questo modo chi lo contraddice o lo delude o disobbedisce.”
Giuditta
era molto triste: sapeva che l’uomo era irremovibile, quando decideva qualcosa,
tuttavia provò ancora ad insistere: “Gaspare, ti prego, prova a parlare con tuo
padre, cerca di fargli capire che Stefano non è un pericolo!”
Gaspare
rimase in silenzio e per una frazione di secondo ragionò circa se fosse meglio
fingere di assecondare la ragazza, oppure arrabbiarsi e mostrarsi seccato per
tutte le attenzioni che lei stava dando al giovane.
Infine
rispose: “Sarà molto difficile che mio padre possa cambiare idea, tuttavia gli
parlerò. Tu, però, devi promettermi che farai la brava e starai buona e
tranquilla.”
“Non
lo sono già?” chiese lei con amarezza.
“Mi
hai disobbedito gravemente due volte, questa settimana: ti sembra di starti
comportando bene?”
Giuditta
abbassò lo sguardo e mormorò: “No … scusa …”
“So
che vuoi bene al tuo amico, e cercherò di salvarlo.” bugia “Ma tu devi
smetterla di lasciarti influenzare da lui, che finisce sempre col metterti nei
guai! Sono io che, al pari di tuo fratello, ti voglio bene più di tutti, tu
devi avere fiducia in me. Se mi ami, affidati a me e sii sicura che ciò che
faccio è per il nostro bene, il nostro futuro.”
Stefano
era rimasto di nuovo solo a pensare, questa volta si interrogava su che cosa
volesse dirgli l’amica, prima che fossero così bruscamente interrotti. Ebbe
un’epifania e tutto gli fu chiaro.