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Autore: Arisu95    10/11/2014    1 recensioni
Il piccolo Ludwig non é Sacro Romano Impero, eppure, la loro somiglianza è impressionante. Così impressionante, che tutti rivedono nei suoi occhi quelli del giovane Impero defunto. Nascendo e crescendo, tra strumenti musicali ed armi da fuoco, i ricordi di una vita mai vissuta lo perseguitano, ora dolci, ora inquietanti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11. Vile Sparare
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Ludwig si era fatto uomo.
Ludwig si era fatto Nazione.
Ludwig si era fatto Impero.

Gilbert gli mise in testa una corona.
Ludwig osservò la stanza inchinarsi al suo cospetto, per ammirazione o ipocrisia.
Vide i volti stranieri di terre lontane.
Vide i volti degli antichi regni che occupavano un tempo le sue terre.
Gli stessi che vide, da bambino, osservarlo con nostalgia nel primo incontro che ebbe con il mondo.

Il suo sguardo si posò su Roderich, e per un attimo il fanciullo che era in lui fu colto da un senso di colpa.
Gli occhi dell'austriaco erano sfuggenti, malinconici, e il tedesco non seppe comprendere se l'altro provasse più orgoglio o tristezza.
Stringeva tra le labbra un sorriso troppo timido per mostrarsi al mondo.
Stringeva negli occhi lacrime troppo amare da versare.

Gilbert aveva poggiato una mano sulla spalla del giovane Ludwig.
Gli annuì con un sorriso raccolto e pieno di orgoglio per lui.
Gli annuì con due occhi grandi d'ammirazione, come quelli di un padre che vede il figlio alzarsi finalmente in volo, nella sua grandiosa unicità.

Poi, l'albino abbassò lentamente lo sguardo, fino a piegare la testa verso terra e lasciare in una carezza il profilo del braccio dell'altro.
Piegò le gambe.
Si inchinò.
Si inchinò al cospetto di Ludwig.

 
"Ehre sei dir, o Deutsches Reich!"
 

Si udì l'eco di un'esplosione.
Un'altra.
Il vento trascinava con sé un odore di polvere da sparo misto a carne bruciata.
Un pensiero andò ai corpi inermi e dilaniati.
Uno sguardo a quelli morti giorni prima, ancora ammassati nella trincea.
Sembravano non accettare la sorte.
Sembrava che volessero combattere anche da morti.

Si era fatto grande troppo in fretta, forse, il piccolo Ludwig.
Con un occhio vedeva ancora draghi e tesori nascosti.
Con l'altro non vedeva che sangue, bombe, cadaveri.
Un piede si muoveva leggero tra erba, fiori, lenzuola, cuscini.
L'altro calpestava denti, ossa, lacrime, vomito.

Non è questa la guerra.
Non è questa la guerra.
Dove sono le spade?
Dove il valore?
Dov'è la lealtà nel nascondersi sottoterra?
Dov'è la lealtà nell'uccidere alla cieca, senza neppure guardare negli occhi il nemico?
Viltà.
Questa è viltà.
Vile ingiustizia.
Una guerra stupida e vile.
Lo zimbello di tutte le guerre.


Germania sentiva una voce ronzargli tra timpani e tempie.
Era forse la sua coscienza?
Ma lui non aveva conosciuto altra guerra all'infuori di questa.
Come poteva, la sua anima, disprezzarla a tal punto, senza termini validi di paragone?

Cento, mille, duemila, centomila uomini impugnavano la spada.
C'era sangue, tanto sangue.
Le lame erano sporche di sangue.
La terra era impregnata di sangue.
Le armature, le divise, macchiati di sangue.

Gli uomini morivano, ma morivano contenti.
C'era un sorriso inquietante, sulle loro labbra secche.
Sorridevano lieti, felici di lasciare questa Terra.
Sorridevano orgogliosi, raccoglievano le ultime forze e tendevano le mani al cielo.


 
"Gloria alla Patria! Per la nostra Grande Patria!"
 

Gridavano fieri, mentre brandivano la spada e mentre si rifugiavano dietro lo scudo.
Gridavano fieri, mentre uccidevano e mentre venivano uccisi.
C'era talvolta ammirazione per il nemico - ammirazione! - persino ammirazione, mentre la spada penetrava i corpi e fendeva le viscere.

Si moriva.
C'era sangue.
I morenti di una bandiera, alzavano moribondi lo sguardo.
Vedevano altri morenti, altrettando moribondi, di stemma diverso.
Le fazioni si guardavano, si compativano.
Gli occhi stanchi fissavano altri occhi stanchi.
'Vinceremo noi' - sembravano dirsi.
'Che tu possa riposare in pace' - sembravano dirsi.
'Siamo figli di Dio. Lo siamo entrambi' - sembravano dirsi.


I ricordi di una guerra mai vissuta si fecero immagine davanti agli occhi del tedesco.
Stava sbagliando?
No.
Non stava sbagliando.
Stava mettendo in pratica tutto ciò che aveva imparato.
Non aveva colpa.
La sua spietatezza era ingenua ed innocente.

Ordinò il contrattacco.
Lanciò una granata.
La sentì esplodere sul campo nemico.

Per un attimo si chiese quale cuore avesse colpito.
Quello del poeta, o del contadino?
Del nobile, o del pezzente?
Del marito, o dell'amante?
Del padre, o del figlio?

Attese immobile.
Silenzio.
Forse la guerra aveva concesso un attimo di tregua.

Ludwig ne approfittò per prendere in mano una lettera.
Era un resoconto, un bollettino di guerra non ufficiale.
Glielo mandava Austria.
Roderich, in persona.
 
Il fronte alpino è sottocontrollo.
Quello orientale è prossimo a sciogliersi, ne sono certo.
Russia ha intenzione di ritirarsi, mi dicono.

L'embargo sta diventando un problema serio, come saprai.
Le nazioni dell'Impero si stanno ribellando.
Bisogna sbrigarsi.
America arriverà troppo presto.

Hai ragione.
Dobbiamo azzardare.
O si rischia, o si crolla.

 

Persino Roderich aveva perso la sua fame di perfezione.
La sua calligrafia, di solito impeccabile, era imprecisa e frettolosa.
La sintassi povera, troppo povera per lui.
Nessun giro di parole, nessun termine difficile, nessuna intestazione.

Sembrava un biglietto scritto di fretta, in piedi.
Magari con spari ed esplosioni in sottofondo.
Roderich odiava la trincea.
Roderich odiava le note sofferenti degli spari.
Morivano i Sol, morivano i Mi, morivano i Do.
Roderich voleva solo suonare il suo pianoforte.

Ma era la Patria.
La Patria fattasi uomo.
Non poteva dissociarsi.
Non poteva ignorare.
Così, spesso non poteva fare altro che starsene sul fronte.
All'altezza dei morti, in compagnia dei vivi.
Chiudeva gli occhi e sparava.
Chiamava l'Italia, con rabbia e lacrime.
E sparava di nuovo.

 
Ancora un'esplosione.
 

Ludwig ripose la breve lettera di Roderich.
Si preparò al contrattacco.
Incitò i soldati stanchi, disillusi, distrutti.
Alcuni si rifiutarono di obbedire, altri erano già pronti a sparare.
Il tedesco guardò di fronte a sé, e non vide i nemici.
Una parte di sé ne sentì la mancanza, mentre nuove bombe brillavano nel cielo.

Si sentiva solo.
Sperava che Gilbert tornasse presto dal fronte orientale.
Aveva bisogno della sua voce, del suo volto.
Aveva bisogno di qualcuno che sapesse guardare in faccia la morte e fare una risata.
Ludwig ancora non ci riusciva.
Era grande, ma ancora piccolo.
Dentro di lui, un bambino impaurito ancora trasaliva ad ogni botto.

Sentì del sangue bagnargli il braccio.
Era stato ferito.
Il dolore improvviso lo fece accasciare a terra.
Era ancora piccolo.

Strinse forte la mano attorno alla ferita profonda, per bloccare la perdita di sangue.
Sentì la testa girargli un poco e chiuse gli occhi.
Rimase immobile nel dolore, serrando i denti.
Pensò a Gilbert.

Per un istante, gli tornò infine alla mente la fanciulla che troppo spesso continuava a sognare e dimenticare.

 
Aveva un bell'abito color smeraldo.
Aveva dei fiori tra i capelli, sul grembiule, attorno a lei.
Sembrava una piccola divinità primaverile.

 
E il suo sorriso ... Ah, com'era dolce il suo sorriso!

 
_______________________________________

Fine.

 
 

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Note. ... Dopo secoli, finalmente pubblico l'ultimo capitolo. Chiedo perdono! ç.ç Beh ... Che dire? Sono molto felice di aver scritto questa fanfiction, sento che mi ha lasciato dentro qualcosa, mi ha spinta a riflettere su alcuni argomenti che spesso Himaruya non approfondisce molto, e mi ha anche aiutata a comprendere meglio (o, per meglio dire, interpretare) il personaggio di Germania, che tra l'altro non è proprio tra i miei preferiti. 
... Eppure trovo che si presti bene alla scrittura, soprattutto alle fanfic storiche!
Spero che la storia vi sia piaciuta e, se volete, lasciate una recensione. :)

A presto ♥


~ Arisu95.
  
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