Capitolo 17
Io e
Mastro Kenway rientrammo a Fort George per cena. Dopo
aver finito la birra aveva insistito per fare un giro per la città, ancora
incredulo che fosse liberata dall’assedio delle aragoste di sua Maestà. Non
avevo rifiutato, mi aveva fatto chiaramente capire di aver bisogno di camminare
su qualcosa di solito. Quei mesi in
mare dovevano averlo stravolto.
Una volta
rientrati avevamo trovato il ragazzo fissare imbarazzato Miss Scott
apparecchiare la tavola, compito che effettivamente non le apparteneva.
Era
strano, molto strano, dividere l’enorme tavolo della sala di Fort George con altre due persone oltre ad Haytham. Al ragazzo indiano avevo quasi fatto l’abitudine,
ma i pasti con lui comunque li inquadravo in situazioni ben precise, in cui gli
unici ad occupare posto eravamo noi due. Sapere di averlo accanto mi suscitava
un fastidiosissimo prurito a tutta la parte destra del corpo, quasi come la sua
eccessiva vicinanza mi creasse allergia.
Di
tanto in tanto alzavo gli occhi dal piatto in direzione di Mastro Kenway, curioso di captare qualche smorfia contrariata per
il modo rozzo di mangiare del figlio o per i discorsi della sorella. La guardavo
spesso, Miss Jennifer.
Così
composta ed educata, chiaramente aristocratica. Alternavo lo sguardo da lei al
fratello, come a simulare interesse per la loro conversazione, ma la realtà era
un’altra. Era una scusa bella e buona per poterla guardare senza destare
sospetti, e poter osservare ogni dettaglio del suo viso, ogni espressione,
qualsiasi cosa. Mi stupii di me stesso per ciò che pensai. Bella. Era bella, diavolo. Non le si trovava un difetto in viso
neanche a volerlo.
Bella.
Le calzava a pennello.
Sembrava
che l’avessero pensato per lei, quell’aggettivo.
Un
dolore piacevole in mezzo alle gambe mi scaldò il basso ventre, costringendomi
a serrare i denti, deglutire e abbassare immediatamente lo sguardo sul mio
piatto. Merda, merda, così non va affatto
bene. Contrassi i muscoli delle gambe, ringraziando che il lembo della
tovaglia eccessivamente lunga mi coprisse tutta la zona del pube. Già mi
immaginavo la scena, col ragazzo che interrompeva i discorsi di Haytham per uscirsene con un “ehi, Lee, perché hai un
pugnale nei calzoni?”. Avrei potuto dire addio alla mia reputazione e
suicidarmi senza se e senza ma.
«…
Vero, Charles?»
Per
poco non mi strozzai col vino «Cosa, Mastro Kenway?»
Mi
guardò perplesso, sicuro che non avessi perso una sola sillaba dei loro
discorsoni «Stavo raccontando a mia sorella come sei entrato a far parte dell’Ordine»
annuii «… E sulla vocazione dell’eroe qui presente» lanciò un’occhiata sarcastica
a Connor, intento a mangiare e ignorare le
frecciatine di suo padre.
«Se
avete domande specifiche potete chiedere, Miss Scott» mi sorrise, poggiando con
delicatezza il bicchiere.
«Non
preoccupatevi, Signor Lee, volevo più che altro parlare con… Connor, giusto?» Haytham la
guardò male e non colsi il motivo. Ingoiai un altro boccone e l’accompagnai con
due sorsi di vino, cercando di capire cosa mai volesse Jennifer dal nipote
mezzosangue.
«Il
mio nome è Ratonhnhaké:ton, significa “vita
piena di graffi”, ma puoi chiamarmi Connor» non un sorriso,
non un’emozione. Mi chiesi spesso che diavolo avesse nel petto quel ragazzo. In
testa si sapeva già: segatura. O merda, ma propendevo più per la prima.
«Allora dimmi, Connor, come mai hai
deciso di unirti agli Assassini?» E per la seconda volta in cinque minuti, rischiai di
soffocare ancora con il vino. Lei sapeva di Assassini e Templari? Lo sospettavo,
nel profondo, aveva comunque vissuto a contatto con questa realtà, ma non
credevo fosse così interessata e informata al riguardo.
Mastro Kenway batté un palmo sul
tavolo «Questa la so: per la
libertà!» Trattenni una risata più
che altro per non fare brutta figura con Jennifer, della sensibilità del
ragazzo mi importava ben poco.
«Ha ragione» si limitò a dire, posò la forchetta e si pulì le labbra col
tovagliolo, scimmiottando spudoratamente e goffamente le mie movenze. Era chiaro
che lo stava facendo per la prima volta. «Principalmente miro alla libertà. Alla libertà del mio
popolo e degli innocenti, degli indifesi. Voglio un Paese giusto, che
garantisca gli stessi diritti per tutti e che assicuri protezione. Confido
nella bontà d’animo dell’uomo»
Mastro Kenway sbuffò «Cristo, sembrano parole da chierico» bevve e riposò il calice. «Cercherò di essere breve, figliolo, e non lo ripeterò più,
quindi ascoltami bene. Alla speranza ci si può affidare per altre cose, come
alla guerra, per esempio, visto che, oltre alla bravura e alla preparazione dei
soldati e del comandante –frecciatina
a George- è necessaria anche una buona
dose di fortuna. Questo ragionamento non puoi farlo per l’uomo, perché così è e
così resta. La guerra la vinci o la perdi, l’essere umano non lo cambi, capisci
che intendo?» Guardai il
ragazzo con la coda dell’occhio; non sembrava capirci molto «Tu vuoi fermare noi, vuoi impedire che ci sia ordine,
controllo, controllo non come lo intendi tu. Non vogliamo comandare nessuno, lo
capisci? Vogliamo garantire esattamente quello che hai detto prima»
«Ne abbiamo già parlato, Haytham. Non
siamo d’accordo»
«Togli il potere ad un uomo e automaticamente ce ne sarà un
altro che vorrà sostituirlo. Uccidine uno e preparati ad ucciderne un altro. Ti
diverte? Perché rimediare ai sintomi ammazzando chi sbaglia e non estirpare il
problema alla radice?» Il discorso non
faceva una piega.
«Quindi ti autoproclami capo per evitare che qualcun altro
tenti di prendere il potere? Chi ti dà questo diritto?»
Haytham sospirò,
stava perdendo la pazienza «Non io, nessuno di noi, Connor. L’Ordine.
Tutti noi garantiremo la giustizia»
«Haytham» intervenne Miss Sott, stavolta «Basta così, dai. Non voglio discussioni per queste
sciocchezze, non vi metterete mai d’accordo. È come nostro padre» lo vidi serrare la mascella, irritato per quel paragone. Non
compresi di cosa stessero parlando, sapevo poco e niente della vita di Mastro Kenway, e mai mi ero azzardato a chiedere, immaginando che
se poco ne parlava, poco gradiva che si domandasse.
«Non dire eresie, per favore, abbiamo parlato anche di
questo.»
«Che diavolo significa? Cosa c’entra suo padre?» Cristo, erano forse questi i modi di rivolgersi ad una
signora? Non gli mollai un ceffone per non far finire in rissa la serata.
«Un po’ di educazione quando ti rivolgi a Miss Scott,
ragazzino» oh, sì, questo mi avrebbe
fatto guadagnare un bel po’ di punti «Achille non t’ha insegnato come ci si rivolge ad una donna?» Mi ignorò bellamente, il selvaggio, ma in tutta onestà ero
interessato anche io alla questione.
Miss Jennifer scostò lo sguardo dal fratello, fissando Connor con attenzione, forse per trovare le parole adatte
per essere sintetica e allo stesso tempo chiara.
«Tuo nonno, Edward J. Kenway,
faceva parte della Confraternita.» Sgranai gli occhi per la leggerezza con cui l’aveva
annunciato. Guardai Haytham, rassegnato alla realtà
dei fatti e ignorando lo sguardo pesante del figlio, che lo fissava come fosse
la vergogna della famiglia.
«Perché non me l’hai mai detto?»
«Che avrei dovuto fare? Parlarti di mio padre senza nessun
motivo solo per informarti che indossavate le stesse ridicole vesti?» Schioccò la lingua e fulminò la sorella, colpevole di aver
tirato fuori il discorso. Ero sconvolto anche io, tutto avrei immaginato, ma mai
che il padre del Gran Maestro fosse stato un Assassino. Che la lama celata che
portava fosse appartenuta a questo Edward James Kenway?
Il ragazzo mostrò i denti «Perché non hai seguito le sue orme? Perché gli sei andato
contro? Non ti ha addestrato?»
Stava esagerando, lo intuii dalle nocche bianche
del pugni sinistro di Mastro Kenway, così serrato da
impedire la circolazione del sangue.
«Sta’ zitto. Non sai nulla»
«Certo che non lo so, non me ne parli»
Haytham afferrò il
calice, rovesciando in faccia al ragazzo il vino che gli era avanzato. Connor annaspò per qualche secondo, tossendo per il liquido
entratogli nel naso e negli occhi senza preavviso.
«Ma sei impazzito?» Strillò Jennifer.
«Non osare.» La ignorò bellamente «Non osare mai più parlare di cose che non sai, sono stato
chiaro?» Non l’avevo mai visto
perdere le staffe in quel modo, mai l’avevo sentito urlare così. Nemmeno contro
l’indiano.
Lo guardai attentamente, non lo riconobbi. Quello non era l’Haytham che conoscevo io, i suoi occhi erano strani, diversi. Incutevano
terrore.
Strisciò rumorosamente la sedia all’indietro e si alzò,
raggiungendo l’uscita con poche falcate. Calò il gelo, mi schiarii la gola per
spezzare quel silenzio insopportabile, attirando su di me lo sguardo di Miss
Scott.
«Lasciatelo solo, gli farà bene. Ha bisogno di calmarsi» annuì colpevole, abbassando lo sguardo e riprendendo a
mangiare.
Buonasera :3
Ebbene sì, Charles inizia a sentire gli
effetti della presenza femminile di Jenny, lol, tenerello. Ma che cena di famiglia è se non scoppia in
rissa, eh? Esatto, non lo è. Non mi dilungo, oggi sono già abbastanza in ritardo,
ewe.
Ringrazio chi segue, preferisce, legge e un
biscottino caldo a chi recensisce.
See you soon.