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Autore: Mikirise    11/11/2014    1 recensioni
Qualsiasi cosa succeda, segui il piano, Peeta. Ricorda:
Punto Uno: Trova la Ragazza dagli Occhi Grigi.
Punto Due: Mantienila in salvo finché non incontrerete un Posto Sicuro
Punto Tre: Portala sana e salva al Posto Sicuro.
E se tra il Punto Due e il Punto Tre la Ragazza dagli Occhi Grigi si fosse innamorata di lui… Peeta non fingerà di non aver pensato tutto nei minimo particolari.
Ma quello che sulla carta è semplice, beh, nella vita non è esattamente così semplice.
E questo è così frustrante!
[AU!PercyJackson]
{Storia partecipante a "AU Contest- Wherever we are" di Emmastarr}
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: M I K I (Su Efp), MichiGR (sul Forum)
Fandom: Hunger Games
Titolo: Sembrava veramente molto più semplice
Rating: Verde
Personaggi: Peeta Mellark, Katniss Everdeen
Genere/Avvertimenti: Avventura, Romantico
NdA: Avrei voluto far passare cinque mesi per questo. Beh, scherzo.


 

Sembrava veramente molto più semplice

E lo sarebbe stato se non ci fossero di mezzo profezie, papà divini impiccioni, satiri ubriaconi e fratellastri narcisisti



Un ringraziamento speciale a Mary-chan, che mi ha fornito la giusta dose di autostima e, come sempre, alle mie sorelline, che penso siano le mie fan numero uno (in due, sì, è spiritualmente possibile)

 

Capitolo 2


“Non stare nello stesso posto per troppo tempo. Era l'unico modo per stare lontano dalla tristezza.
~Eroi dell'Olimpo, L'Eroe Perduto




Viaggiava da cinque mesi.

Cinque mesi interi, dormendo poco o niente sui sedili della vecchia Ford rossa datagli dal padre.

Peeta aveva studiato storia antica e mitologia greca. Conosceva Pegaso, che era il cavallo alato più bello e veloce di tutta la mitologia. Sapeva che, tempo prima, Zeus aveva avuto un figlio che, sfruttando le correnti dei venti, riusciva a volare; Ade aveva avuto un figlio che poteva viaggiare attraverso le ombre e Poseidone aveva avuto un figlio capace di parlare coi cavalli e gli esseri marini. Il biondo mangiucchiava le penne, che gli aveva regalato Apollo, pensando che il suo unico talento consisteva nel maledire poveri mortali affinché potessero parlare solo in rima. Era così che aveva dovuto sorbirsi per una settimana intera suo fratello maggiore gridare "I tuoi biscotti mi devi dare, / o come sempre ti dovrò pestare!" e roba del genere, che faceva apparire gli haiku di Apollo come oro letterario.

Una maledizione del genere, comunque, non era molto utile contro nessun mostro che aveva incontrato, anche se aveva provato a colpire con quella l'Arpia. Tentar non nuoce, no?

In quei cinque mesi Peeta ebbe a che fare con tutti i tipi di mostri, dai segugi infernali a ciclopi mangia-uomini; giurava di essere finito nelle mani di alcune sirene, per qualche giorno, e che le Amazzoni avessero provato a convincerlo di rimanere con loro, però nessun mostro, nessuno, era stato così insistente come l'Arpia.

Seguiva il suo odore, era assetata del suo sangue e Peeta non capiva il perché. Aveva qualche sospetto che suo padre l'avesse fatta inalberare, per usare termini che le driadi tanto amavano.

Le driadi.

Ci aveva messo settimane a convincerle che, pur essendo figlio di Apollo, non voleva spiarle mentre facevano il bagno, o costringerle a diventare alloro -continuavano a ripetergli frasi come "Pensi che io mi chiami Dafne? Mi vedi faccia da Dafne? Perché io non sono Dafne!"-. Eppure furono proprio le driadi, col loro chiacchiericcio continuo e la loro abitudine di pizzicare le guancie del semidio, a dargli l'unico indizio che lo avrebbe portato alla ragazza dalla treccia laterale.

Peeta era stato mesi interi ad ascoltare i capricci degli dèi, ma questi sembravano più intenzionati a prenderlo in giro, piuttosto che ad aiutarlo: Ermes voleva che corresse a lasciare un messaggio ad una sua amante -dal sorriso divertito che aveva stampato in viso mentre correva sul posto, il biondo capì che stava dandogli quel compito solo per dargli fastidio-; Demetra voleva che si prendesse cura del suo orto per qualche giorno, mentre andava a prendere dalle orecchie sua figlia, dall'Oltretomba -"Non so se lo sai, ma Ade non dà molti cereali ai suoi figli. Male male. Dovrebbero essere tutti forti come te, e invece! L'ultimo suo figlio, piccolo bastardello, era piccolo e magro come il ramoscello di grano. Fossero stati figli miei!"-; Era, che era riuscita a catturare di nuovo un'amante di Zeus, come era capitato con Europa, e trasformarla in una vacca, voleva che la custodisse per una settimana intera, visto che Argo era irreperibile, per quello che diceva -Peeta era stato per una settimana a guardare la mucca, mentre quella muggiva tristemente. Già era difficile per una ragazza essere chiamata vacca, ma addirittura esserci trasformata... Peeta le carezzava il muso e quando il re degli dèi lo contattò con un messaggio Iris perché la liberasse, fu felice di scappare con lei, anche se Era gli giurò eterno odio-; Ecate, dea della magia, gli chiese di andare a raccogliere per lei il Fiore delle Anime -fiore facile da trovare; si noti il sarcasmo, prego. Peeta era quasi morto, avventurandosi nella grotta più profonda che mortale avesse mai visitato, attaccato da Spiriti di non si sa che genere, irritati dal fatto che lui fosse così "insolente da disturbarli durante il loro riposo". E questi dèi non erano stati gli unici a contattarlo.

Sembrava avessero fatto un accordo per fare in modo che il ragazzino non potesse conoscere neanche il nome della sua meta in fretta, come se volessero rallentarlo, tenendolo lontano dalla parte Nord del paese.

Poi, mentre Peeta si curava dalle ferite inflitte dalla missione per Ecate, grazie alle driadi ed alcune naiadi, che continuavano a ripetere quanto fosse "carino e dolce" quel biondino che era capitato trai loro rami, arrivò il nome del percorso che il ragazzino doveva seguire.

Alcune ninfe stavano dibattendo su quanto carino potesse essere Peeta -cosa che lo faceva arrossire non poco, scatenando un ulteriore rafforzamento delle parole di quelle-, riflettendo sul fatto che, una volta cresciuto, sarebbe stato un ottimo partito, quando una di loro disse più che convinta "Non quanto Narciso, però! Non potrà mai essere bello quanto lui". Si era quindi alzato un mormorio di approvazione, con alcuni sospiri sognanti.

Una ninfa, timidamente, disse che, per quanto bello potesse essere Narciso, a volte, ripensava a quel ragazzino messicano, simile ad un elfo, che aveva osato sfidarlo e metterlo in ridicolo. Rise, dicendo di esser parte del Team Leo.

Peeta non capì le sue parole, ma ci fu un cambio di argomento piuttosto brusco.

Se prima si parlava di cotte per celebrità, di amori platonici, l'aver parlato di quel Leo -Peeta si appuntò il nome nella testa- portò le ninfe a voler parlare di relazioni amorose più concrete e raggiungibili. Quando una di loro si girò verso il biondino, che era preso a controllare le sue bende, chiedendogli entusiasta "Avrai anche tu una cotta segreta", dando leggere gomitate sulle costole doloranti del ragazzino, Peeta non aveva dubitato a dire "Sto cercando una ragazza dagli occhi grigi. L'ho sognata quando avevo cinque anni e..."

Le ninfe fecero gli stessi versi che le ragazze del vecchio quartiere del ragazzino facevano, quando vedevano il cucciolo di un cane o di un gatto. Alcune lanciarono un gridolino, mormorando "Forse..."; sembravano piuttosto eccitate. Peeta piegò la testa di lato, con fare interrogativo.

"Johanna" mormorò una delle ninfe, con un sorriso che andava da un'orecchia all'altra. Un'altra ninfa annuì convinta, muovendo la sua veste leggera come il vento, che si mimetizzava con l'ambiente circostante.

"È il nome di...?"

"No, no" rise un'altra ninfa ancora, come se Peeta stesse per fare una domanda stupidissima. Lo sguardo del ragazzino rimbalzava da una parte all'altra del bosco, cercando gli occhi della ninfa che parlava. Stava iniziando ad essere difficile, avere tante interlocutrici "Johanna è una nostra sorella". La ninfa che parlava era seduta su una pietra, accanto al fiumiciattolo artificiale creato per il parco. "Lei è... speciale"

"Ha deciso d'imparare a lottare e vegliare su un pezzo di terra, accanto Charlotte, la città" terminò un'altra con lo sguardo disgustato.

"A noi ninfe non piace lottare"

"Ma sembra essere d'aiuto a molti semidei"

"Ci è arrivata voce che adesso ne stia costudendo una"

"È una semidea non riconosciuta..."

"Certo, Johanna può aiutare nei limiti del possibile. Le driadi non si possono allontanare troppo dal loro albero..."

"E sembra che questa ragazzina sia piuttosto problematica" la ninfa si avvicinò a Peeta, con in mano delle fasce dorate che aveva intenzione di usare per curare la gamba destra del ragazzino. "È un brutto taglio, sai?"

Il biondo alzò le spalle, cercando di togliere importanza alla ferita della gamba. Sorrise "Grazie mille per le informazioni e... per tutto", disse, indicandosi le bende e lo zaino arancione pieno di frutta.

Le ninfe saltellarono allegramente sul posto, emettendo strani versi "Ti prego, se riesci a diventare adulto, torna qua a visitarci!"

Peeta aveva promesso, con un sorriso amaro, che fece arrossire gli spiriti della natura.

Appena vide il sole sorgere ad est, il biondo salutò con la mano le ninfe, ripetendo la promessa di tornare, e s'infilò nella sua Ford rossa.

La macchina era sopravvisuta ad innumerevoli incidenti stradali, causati dal ragazzino che, dopo aver investito tronchi di molti alberi -anche per questo gli era stato difficile farsi accettare dalle driadi, in un principio-, aveva iniziato a prendere la mano -ed il piede- con l'automobile.

Peeta aveva 12 anni, 5 mesi, 2 settimane e 3 giorni, era un miracolo che fosse ancora vivo e, se la sua vita, che gli era stato preannunciato sarebbe stata piuttosto breve, sarebbe giunta al termine prima dei suoi 16 anni, dovette ammettere che si era almeno tolto lo sfizio di guidare una macchina tutta sua.

Il ragazzino, approfittando del fatto di non essere inseguito da nessun mostro, si era fermato ed aveva iniziato a curiosare nella Ford, cosa che non era riuscito a fare fino a quel momento. C'erano dei dettagli che urlavano al mondo quanto quella macchina fosse stata donata da un dio: c'erano un sacco di lettere greche, a cui Peeta non aveva fatto granché caso, riuscendole a decifrare senza problemi, dei bottoni che non sembravano avere molto senso, in quanto davano indicazioni come "Viaggio sottoterra", o "Corri dai Venti", ed infine al posto delle normali luci interne c'erano innumerevoli specchietti, che puntavano dritti verso il guidatore, quindi Peeta riusciva ad osservarsi da tutte le angolazioni. Il ragazzino alzò gli occhi al cielo.

Apollo, nessun dio può essere più innamorato di se stesso.

Scuotendo la testa, accese la macchina, sbuffando sonoramente. Tempo prima, insieme a suo fratello maggiore aveva visto un film, con un ragazzo con degli occhiali tondi e una cicatrice sulla fronte. In quel film, il suo migliore amico, un ragazzino dai capelli rossi, lo era andato a salvare da degli arresti domiciliari con una macchina volante.

Ora, quella macchina, azzurro-vecchio, era molto più brutta della sua Ford, rosso-neanche-cinque-mesi-fa-ero-nuova, ma probabilmente molto più veloce ed utile, per chi, come lui, non poteva perder tempo "Se pure questa macchina potesse volare...” si ritrovò a sospirare mentre correva al massimo della velocità su un'autostrada, girando solo all'ultimo secondo davanti ad un ostacolo e salutando con la mano tutti gli automobilisti che gli lanciavano occhiataccie e gesti non molto cordiali.

Mentre sorpassava il medesimo vecchietto, sperando che non gli venisse un infarto a vedere un dodicenne alla guida, iniziò a premere tasti a caso, cercando di accendere la radio. Non ci aveva mai provato in quei cinque mesi, perché solitamente non aveva il tempo nemmeno di dire A, prima che o un mostro, o un dio, lo inseguissero.

Non sapeva se fosse peggio essere trovato da un dio o dall'Arpia.

Si aspettava di trovare canali come Dj Musa, o, chissà, Radio Olimpo, invece si ritrovò una voce femminile, con un leggero accento tra l'irlandese e l'indiano, piuttosto buffo "Pronto? Pronto?" iniziò la voce "Oggi è il 3 Marzo, sono le 6:39 del mattino, sereno, poco nuvoloso, i venti sembrano essere andati in vacanza in Alaska, questa settimana, e le uniche presenze saranno le Aurae; la temperatura varierà dai 5 ai 12 gradi Celtius..."

"Celtius?"

"Preferisci in gradi Fahrenheit?"

"Mi hai appena risposto, vero?"

"È buona educazione rispondere ad una domanda, mi pare"

Peeta girò il volante bruscamente a destra, evitando per un pelo una driade, che lo guardava minacciosa. Ispirò profondamente, cercando di calmarsi, senza dare in escandescenze. "Mi sembra giusto" balbettò alla fine, annuendo per autoconvincersi.

"Sono Portia, ti accompagnerò per tutti i viaggi in cui mi vorrai" squittì felicemente la voce della radio.

"Sono Peeta, il figlio di..." iniziò Peeta, cercando di tenere gli occhi sulla strada. Uno scoiattolo corse in mezzo alla strada, rincorrendo una piccola ghianda. Di nuovo il ragazzino girò il volante, evitando l'animaletto che, terrorizzato, corse immediatamente lontano dalla strada.

"Per favore!" tagliò corto Portia "So esattamente chi sei. Ho giurato sul fiume Stige che ti avrei protetto. Altrimenti che ci farebbe una Aura dentro una macchina?"

Peeta alzò le spalle. "Non ne so molto in proposito. Pensavo le Aurae fossero brezze leggere. Nessuno può intrappolare una brezza!"

La risata di Portia si propagò per tutta l'auto "Non sono qua perché sono intrappolata, mio caro. Sono qui per aiutarti. Io sono l'ultimo aiuto di tuo padre"

"Ma tu non sei la macchina" chiarì Peeta.

Portia rise di nuovo "Noi due possiamo comunicare attraverso la macchina" nel sedile del co-pilota si materializzò una donna abbastanza giovane, con la pelle scura, dei capelli azzurri come il cielo e degli occhi castani "Attraverso la radio posso raggiungerti ovunque"

"Ecco, così va meglio. Preferisco parlare con una persona, piuttosto che con una voce" borbottò il ragazzino, tamburellando un dito sul volante. Si tenne per sé il dubbio del perché una Aura fosse di colore. Probabilmente neanche gli Antichi Greci erano razzisti e non faceva differenza se le forze della natura fossero bianche o di colore. Quello che importava era che, in quel momento, Portia, gli sembrò qualcosa di molto simile ad una vecchia amica, il che non guastava.

"Devi imparare ad usarla meglio questa macchina" sbuffò la donna.

"Ho dodici anni" lasciò chiaro Peeta.

"Tuo padre alla tua età guidava il carro del Sole" ribattè Portia, studiandosi le unghie delle mani. "Ed il carro volava"

"Questa roba non vola" borbottò Peeta, poi, vedendo con la coda dell'occhio il sorriso di Portia, si morse il labbro inferiore "Questa roba vola" sospirò "giusto?"

"Con un piccolo aiutino..." sorrise Portia, diventando della stessa sostanza dell'aria. La sua voce iniziò a propagarsi, di nuovo, dalla radio "Ricercare Johanna Mason, giusto? Driade, intorno a Charlotte, velocità media 354 chilometri orari... Trovata. Arrivo a destinazione in dieci minuti. Promemoria: Cercare dei vestiti decenti al povero Peeta; Apollo non ha mai avuto gusto. Più brillantini e meno rosso."

Il ragazzino rabbrividì, mentre le ruote della macchina si staccavano da terra "No! Brillantini no!" fu l'unica frase che riuscì a scandire, chiudendo gli occhi e lasciando che Portia lo guidasse.


💬💭🌳


Katniss roteò gli occhi, guardando Johanna frugare nella credenza ed afferrare pacchetti di biscotti, patatine e miele, infilandoli nello zaino verde. Portò il dito indice davanti alle labbra, invitandola a prendere le provviste in maniera più silenziosa, a meno che non volesse che sua madre e sua sorella si svegliassero.

Johanna aveva alzato le spalle, con fare indifferente, continuando ad infilarsi cibo nelle tasche dei pantaloni e del giacchetto. Poi aveva fatto segno a Katniss di muoversi, fuori dalla casa.

La ragazzina si morse le labbra, cercando di ricacciare negli occhi le lacrime di tristezza "Siamo sicuri che Prim non possa venire con noi, eh?"

La driade sospirò frustrata, pestando un piede a terra "Qui l'unica semidea sei tu". Iniziò a muovere le mani freneticamente, segnalando la porta, finché Katniss, con una smorfia mal celata, seguì le sue indicazioni ed uscì da casa sua.

L'unica casa che l'avesse mai vista nascere. L'unica casa che l'avesse mai vista crescere. L'unica casa che l'avrebbe mai vista felice. Chiuso il portone, si sentì orfana e sola, nello stesso modo in cui si era sentita quando aveva scoperto di non essere figlia del padre di Prim; si sentì persa, come se non appartenesse a nessun posto in particolare. Prima apparteneva a sua sorella. Adesso, per sua sorella, doveva abbandonare la sua appartenenza, per fare in modo che nessun mostro la attaccasse. Doveva allontanarsi da lei per il suo bene, il che le faceva male. Molto male.

Probabilmente, se non fosse stato per Johanna, sarebbe rimasta per le vie di Charlotte, custodendo sua sorella e, in questo modo, mettendola ulteriormente in pericolo, vittima di mostri che lei non avrebbe neppure potuto vedere. Si sarebbe crogiolata nel dolore, come una ragazzina piagnucolona, con la consapevolezza di dover star lontana da casa, senza però il coraggio di abbandonare sua sorella.

Invece la driade le gettò lo zaino, perché lo acchiappasse, ed iniziò a studiare il quartiere della semidea.

Johanna sembrava fiutare l'aria, come un cane.

Katniss aveva capito che era una tipa speciale anche tra le ninfe; le sue sorelle driadi la guardavano con diffidenza, gli spiriti del vento la deridevano, passando. Alla semidea tutto ciò non importava. Johanna aveva salvato sua sorella e questo le dava la sua fiducia completa. Era in debito con lei ed avrebbe fatto di tutto per ripagarla. Anche se, in quel momento, si stava indebitando ancora di più con lei.

La driade prese un pacchetto di patatine dalla tasca, aprendolo ed iniziando a mangiucchiarne una manciata "Dobbiamo andare di là" disse con decisione "Troveremo un satiro custode e ti lascerò a lui. Con te in giro non si vive più, con tutti quei mostri" continuò a borbottare, avanzando verso sud.

Katniss era nuova a tutta quella storia di dèi dell'Olimpo, eroi, satiri, centauri e ninfe. A dirla tutta, sembrava una cosa piuttosto forte... per dei nerd psicopatici. Madge Undersee, lei, sarebbe stata contentissima di essere la figlia di qualche dio dimenticato, avrebbe infilato una fragola nel cioccolato sciolto ed avrebbe detto "Figlia di Demetra. So far crescere le fragole con un solo gesto del dito, tu cosa sapresti fare?" schioccando le dita, come facevano quelle donne steriotipate di colore. Sarebbe stata felice, una bulletta rompiscatole e felice.

Quello che voleva Katniss era starsene a casa sua, con sua sorella. Portarla a mangiare da McDonald's, scegliere per lei un fiocco da intrecciare trai suoi bei capelli biondi e gridare contro sua madre di essere una vera mamma, piuttosto che rimanere a guardare la finestra, internata nel suo mondo di fantasia.

Adesso che conosceva i suoi natali, Katniss si chiese se quel mondo di cui le parlava sua madre non fosse solo il rifugio dal suo lavoro soffocante, che la portava via dalle sue figlie per la metà del tempo, ma la realtà. Forse, quando era piccola e sua madre le diceva di nascondersi sotto il letto perchè delle donne-serpente erano venute a prenderla, non era un gioco, ma la pura verità, filtrata dalla Foschia nella sua mente.

Johanna continuava a sgranocchiare patatine, parlando di una Collina Mezzosangue a cui doveva arrivare. Diceva che erano giorni che cercava di contattare un centauro perché le mandasse un satiro, attraverso un arcobaleno, ma non riceveva risposta. Era piuttosto preoccupata, però, perché quella mattina, mentre andava a prenderla a casa sua, aveva avvistato un cigno. Un cigno a Charlotte! Era ovviamente un messaggio da parte di Apollo. "Sia chiaro: già una ragazzina da portarmi dietro è tanto, non me ne accollo un altro" la driade mosse l'indice da destra a sinistra, scuotendo la testa "Un figlio di Apolloon, poi! Ne ho già accompagnato uno fino al mio limite massimo! Sono così..."

"Apollo" disse Katniss, riponendo il pugnale, che aveva trovato quella mattina sul suo comodino, ai lati dei suoi pantaloni. Johanna si girò verso di lei, alzando un sopracciglio "Hai detto Apolloon. È Apollo, no?"

La ninfa ringhiò, girandosi di nuovo e continuando a camminare "Romani" disse semplicemente. Katniss pensò che da quella semplice parola doveva dedurre il perché del modo strano in cui lei pronunciava il nome del dio "A noi ninfe Apolloon piace” continuò Johanna “Facciamo finta di no, ma la verità è che lo adoriamo. Tutte le mie sorelle morirebbero per lui e perché dedicasse loro un poemetto, o un haiku... sono quelli che gli piacciono, ultimamente, no?"

Katniss annuì, registrando le informazioni che derivavano dalla ninfa "Cosa sono i figli di Apollo? "

Johanna si grattò la guancia, indicandole un parchetto davanti a loro "Sono..." ancora non aveva abbassato l'indice, quando entrambe videro una macchina rossa volare sugli alberi, cadendo in picchiata nel mezzo del boschetto. La driade sospirò più che irritata. Un cigno prese a volare verso nord. "Sono problematici" terminò la frase, facendo cenno alla ragazzina di seguirla, verso il luogo dell'incidente.



🌳🔆💬💭



"Portia?" chiese Peeta, massaggiandosi la testa.

"Sei arrivato a destinazione!" squittì la voce della donna dalla radio.

"Mi hai quasi ucciso!" borbottò il ragazzino, poggiando la schiena sul sedile, chiudendo gli occhi, stanco.

"Se guardi a destra, ci sarà la persona che cerchi. Chiamami quando hai di nuovo bisogno di me, frequenza 333.90."

"Mi hai quasi ucciso" ripeté il biondo.

Portia si materializzò accanto a lui e gli scompigliò i capelli con una carezza dolce "Ma sei ancora vivo", ridacchiò, prima di scomparire di nuovo "Devo cercarti vestiti nuovi!"

Peeta si slacciò la cintura di sicurezza, ed aprì le portiere, costatando d'essere caduto esattamente in mezzo ad un parchetto. La Ford, nonostante fosse caduta da molti metri d'altezza, non sembrava essere danneggiata, anzi, se possibile, sembrava essere diventata nuova, cosa impossibile, ovviamente, ma, essendo stata costruita da un dio, il ragazzino non si fece troppi problemi. Il fatto della benzina doveva ancora chiederla, però. Era impossibile che sull'Olimpo gli dèi se ne andassero alla ricerca di un benzinaio, o no?

Prese lo zaino dai sedili posteriori, pronto per una ricognizione del campo.

Secondo Portia la persona che stava cercando era alla sua destra. Alla sua destra non c'era altro che betulle. Scrollò le spalle. Anche se quell'Aura sembrava seriamente intenzionata ad aiutarlo nella sua ricerca della driade Johanna, era di fatto un po' stramba. Anche un po' svampita, visto che a causa sua aveva rischiato di morire.

Peeta si stirò la schiena, pigramente.

"Senti, adesso, quelli lì potrebbero essere i tipi più affascinanti del mondo, davvero," sentì dire da una voce squillante, poco lontano dagli alberi "tutte le mortali gli muoiono dietro, quando cantano, o dipingono, o fanno quella roba con le mani... sono veramente odiosi. Tutti uguali. Arroganti, palloni gonfiati" Peeta si piegò a sinistra, cercando la persona proprietaria della voce "Come si chiamava quello che ho aiutato? Adesso quanti anni avrà? Diciassette? Trenta? Mi avesse mai mandato un messaggio Iris!"

"Messaggio Iris?" chiese la ragazzina dietro di lei, attenta a dove metteva i piedi, facendo in modo che i suoi passi fosse inudibili.

Peeta si porse in avanti, cercando di guardare meglio la figura della seconda ragazza. Non appena vide gli occhi grigi di Katniss, alzò le mani, in segno di resa, con un sorriso rassicurante sulle labbra. Era ovviamente e volutamente inoffensivo, mentre avanzava verso la ragazzina, intenzionato almeno a presentarsi.

Katniss non riuscì a pensare, però, in balia della sua iperattività, pensando di essere in pericolo, lo prese per il braccio, piegandoglielo all'indietro e facendo che sbattesse la testa sul tronco dell'albero. Lo fece cadere a terra, privo di sensi. Doveva essere molto stanco, in effetti.

Johanna lo studiò con fare diffidente e, muovendo un bastone in aria, disse "Ed ecco a voi un figlio del grande dio del Sole".

Katniss si accovacciò accanto al biondo. "Mi aspettavo di meglio" borbottò, nascondendo i sensi di colpa per aver colpito una persona senza ragione.

Johanna sospirò "Spero il vostro satiro custode arrivi presto"

 
  
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