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Autore: Ormhaxan    11/11/2014    5 recensioni
Inghilterra, 2013. Dexter Freeman è uno scrittore da cinquanta milioni di copie, o almeno lo era prima dell'uscita del suo ultimo romanzo, - quello che è stato definito un "Fiasco" da pubblico e critica - prima del divorzio e prima dell'alcool. Disilluso e oppresso da quella grande metropoli che è Londra, Dexter decide di rimettere insieme i pezzi della sua vita e tornare a Richmond, nello Yorkshire, dove tutto ha avuto inizio. Qui, in una città apparentemente ostile, cerca di liberarsi dai propri demoni, primo tra tutti l'alcool, e ritrova una vecchia amicizia - la sorella di quello che un tempo è stato il suo migliore amico - che gli stravolgerà la vita e, forse, gli farà ritrovare quella passione per la scrittura e la poesia che sembra aver perso.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Charlotte Harrison sedeva nell’ultimo banco della chiesa da quello che sembrava essere un eternità e passava il tempo a mangiucchiarsi distrattamente le unghie – da quanto aveva iniziato con quell’orribile vizio che aveva sempre trovato disgustoso e poco igienico?, si chiese continuando a fantasticare con la mente.
Per tutto il tempo della funzione continuò a fissare un punto della bianca architettura senza prestare la minima attenzione a quel prete di mezza età e con qualche chilo di troppo che blaterava sulla fratellanza, l’amore e la santità della Chiesa, di Dio, Gesù e chissà quanta gente che lei aveva sempre trovato poco interessante. Sin dall’infanzia, sua madre – donna pudica, rispettata dalla comunità e soprattutto cattolica modello – l’aveva trascinata ogni domenica mattina presso la parrocchia di famiglia per ascoltare la messa domenicale, nel tentativo di inculcarle la parola del Signore e trasformarla in una cattolica modello proprio come lei, ottenendo in compenso una figlia agnostica, – no, non atea, poiché Charlotte sapeva che qualcosa ci doveva essere là sopra, da qualche parte; una qualche divinità senza nome o volto che, un giorno, avrebbe preso a calci in culo e che avrebbe dovuto offrirle molto più che una stretta di mano,una pacca sulla spalla, per avere il suo perdono – appassionata di musica rock, delle tragedie di Shakespeare, e di tutto ciò che comportasse viaggiare, andare mille miglia lontano da quella città che era Richmond.
Di sicuro, l’indomani mattina la sua strizzacervelli avrebbe voluto un resoconto dettagliato della giornata, delle sue sensazioni e di tutte quelle stronzate di cui era stanca di parlare. Stanca, ecco come si sentiva Charlotte da un anno a quella parte: stanca come uno dei vecchi alberi di quercia che crescevano da anni nel bosco vicino Richmond e che, da ormai cento e cento anni, osservavano le stagioni susseguirsi, l’inverno diventare estate, gli anni passare uno dopo l’altro inesorabili, lenti, privi di qualsiasi interesse. Era passato un anno – già un anno – dalla morte di Mattew, eppure nulla sembrava cambiato: sua madre continuava a sfornare torte che vendeva al mercatino domenicale della parrocchia, aiutava i poveri, mentre suo padre, all’età di 65 anni, continuava ad alzarsi alle quattro di mattina e andare tutti i giorni nella sua edicola di paese ad aspettare l’arrivo da Londra e non solo dei quotidiani e di altre riviste di cui lei ignorava l’esistenza.
Solo lei, solo Charlotte, sembrava essere cambiata, e non per il meglio: un tempo, solo due anni prima, aveva creduto di essere in cima, schifosamente felice insieme al suo bel professore francese conosciuto a Parigi, nella stessa università dov’era stata presa come sua assistente, e il futuro sembrava roseo, ricco di promesse. Poi, però, tutto era cambiato nel giro di qualche settimana: la vita aveva presentato il conto, la verità l’aveva colpita con la forza di uno schiaffo in pieno viso e lei era stata costretta a lasciare Parigi, il suo lavoro, il suo amante e tornare a Richmond dalla sua famiglia, da suo fratello Matt che le aveva offerto un posto sicuro nella pasticceria aperta in città solo sei mesi prima e una spalla su cui piangere tutte le lacrime.
 
“Sappi che il tuo atteggiamento è stato poco consono, signorina! – esclamò piccata Mrs. Harrison, seduta dal lato passeggero, guardandola con disappunto – Era la funzione per l’anniversario della morte di tuo fratello, e non hai fatto altro che startene in disparte, come un asociale, a mangiarti le unghie e pensare a chissà cosa. Mi, ci hai fatto vergognare!”
“Patty, lasciala stare.” Intervenne Mr. Harrison nel vano tentativo di calmare sua moglie e proteggere la sua bambina.
“E non che non la lascio stare, no! Siamo stati fin troppo pazienti, Charles, fin troppo, e se lei pensa di essere la sola ad aver perso… - la voce di Mrs. Harrison si incrinò, la donna portò gli occhi al cielo e si impose di mantenere il controllo, di non piangere – Domani sai cosa dirà la Dottoressa di tutto questo, vero? Non ne sarà felice, affatto felice!”
“Quello che dirò e che dirà la Dottoressa non è affar tuo, e ora se volete fermare questo dannato mostro su ruote, io vorrei scendere: ho una pasticceria da gestire e tra due ore arriva un furgone da York con i rifornimenti.” concluse, tornando a guardare fuori dal finestrino in attesa che la macchina di suo padre accostasse.
Una volta fermata, senza indugiare oltre Charlotte aprì la portiera e, dopo un veloce e freddo saluto ai suoi genitori, la richiuse senza prestare ascolto a qualche insulsa protesta di sua madre riguardante il farsi sentire più spesso e il non scomparire come suo solito.


“E con queste sono cinque casse, bimba!” Cole, pasticcere del negozietto gestito da Charlotte, scaricò anche l’ultima cassa di farina dal furgone e, preso un respiro profondo, le sorrise ammiccante: “A volte mi chiedo come faresti senza di me, piccola.”
“Troverei un altro giovane e aitante pasticcere disposto ad aiutarmi e farsi schiavizzare per seicento sterline al mese, piccolo.” lo sbeffeggiò, ridendo sorniona e dandogli un paio di pacche leggere sulla spalla muscolosa.
Cole era un bravo diavolo, un vecchio amico di suo fratello, e Charlotte era fortunata ad averlo: non si lamentava mai, lui, era sempre pronto a dare una mano. Era affabile, ci sapeva fare con la gente, e nelle notti solitarie in cui aveva avuto bisogno di parlare, di sfogarsi o semplicemente di qualcuno con cui staccare la mente o scaldare il suo letto da troppo tempo freddo, era stato il più dolce degli amanti, il compagno perfetto.
“Non vuoi parlare della funzione? – chiese, offrendosi ancora una volta come suo personale confessore – Sai che se vuoi…”
“Lo so, lo so, ma non mi va. La funzione è stata lo schifo di sempre, non c’è molto da dire, e mia madre ha subito approfittato per mettere bocca in cose che non la riguardano, dare giudizi a situazioni che non capisce e non capirà mai, rinfacciandomi che non sono la sola ad aver perso qualcuno di caro.”
“Mi dispiace, piccola. Davvero non capisco perché quella donna debba essere sempre così insopportabile: dopo tutto, tu sei l’unica figlia che le rimane e dovrebbe tentare di capirti di più, starti accanto.”
“E chi ti dice che io la voglia accanto, eh? - Charlotte strinse le labbra, aggrottò la fronte e sospirò - Lasciamo perdere, te ne prego. Non sono dell’umore e poi il locale non si pulirà da solo, tantomeno queste casse si svuoteranno come per magia, quindi alza quel bel culo sodo che ti ritrovi e mettiti al lavoro.”
“Agli ordini, mio solo ed unico Capitano!”


 
**
 

“Dexter Freeman, si può sapere cosa stai facendo sotto il mio portico a quest’ora della sera?”
Mrs. Freeman, sbigottita nel trovarsi davanti suo figlio maggiore che non vedeva da quasi un anno, allungò il passo e in un attimo percorse il vialetto di mattoni e raggiunse il portico.
“Mi sei mancata anche tu, mamma. – canzonò Dex, sorridendo sghembo e abbracciando la madre – Non sei contenta di vedermi?”
“Avrei preferito una telefonata, un qualsiasi avviso a dire la verità, ma… - lasciò intenzionalmente la frase in sospeso, squadrò il figlio e con disappunto increspò le labbra – Santo Cielo, ragazzo mio, sei pelle e ossa: cosa ti danno da mangiare a Londra, aria?”
“Mamma, non iniziare ti prego…”
“Io ho sempre detto che c’è gente strana in quella città, ma ora non devi preoccuparti di nulla: stasera ti preparerò dei deliziosi manicaretti e in men che non si dica quella faccia emaciata sparirà completamente.”
Dex portò gli occhi al cielo, scosse la testa ridendo e arrendevole seguì sua madre all’interno della modesta casa dai mattoni rossi in cui era cresciuto, respirando dopo tanto, troppo tempo l’odore familiare del camino da poco spento, dei libri impilati perfettamente nella libreria del salotto, dei manicaretti di sua madre, beandosi dell’atmosfera che rendeva quel posto unico al mondo, il suo porto sicuro, la sua casa.
 
“Allora, mi spieghi cosa ci fai a Richmond? – riprese sua madre, una volta seduti a tavola – Ti credevo a Londra, alle prese con un nuovo romanzo.”
“Non credo che ci sarà un nuovo romanzo, non nel prossimo futuro almeno. – informò Dex, tenendo lo sguardo fisso sulla cena – L’ultimo è stato un tale fiasco che… quello che voglio dire è che mi sono preso una pausa.”
“Una pausa? E hai deciso di tornare a Richmond per prenderti una pausa? – la donna non poteva credere alle sue orecchie, la notizia aveva dell’incredibile – Tra tutti i posti del mondo, ragazzo mio, sei tornato a Richmond?”
“Avevo, ho bisogno di rimettere insieme i pezzi, e in ogni libro che si rispetti il protagonista torna sempre a casa, dove tutto è iniziato.”
“E Margaret come l’ha presa? Spocchiosa com’è non si trasferirà di certo qui, presumo. Non ce la vedo proprio in questa città, vestita di tutto punto con le sue scarpe firmate, le sue borse firmate e Dio sa che altro.”
“Margaret non è un problema, mamma: ci siamo lasciati, è andata via di casa e probabilmente in questo momento sarà ai Caraibi, sulla barca di qualche ricco imprenditore a sorseggiare champagne e mangiare ostriche.”
“Oh! – Mrs. Freeman fu sinceramente stupita da una tale rivelazione: non aveva mai approvato quella donna troppo frivola per lei, troppo diversa da suo figlio, ma un divorzio era l’ultima cosa che avrebbe voluto per lui – Mio caro, mi dispiace così tanto.” disse, allungando una mano e posandola su quello del ragazzo.
“Non esserlo, va tutto bene: sto bene, me ne sono fatto una ragione. Il nostro amore, se così può essere definito, non ha mai avuto vere possibilità e solo ora lo capisco. Siamo troppo diversi e il nostro è stato un matrimonio affrettato, un passo azzardato compiuto in un attimo di follia, quando pensavamo di essere in un idillio e sulla vetta del successo. Io, almeno, pensavo di esserlo…”
“E ora cosa farai?” chiese ancora, una domanda a cui neanche Dex aveva una risposta.
“Non lo so – rispose sinceramente, scrollando le spalle – Vivrò la vita giorno per giorno, cercherò di rimettere insieme i pezzi e rialzarmi. Me la caverò, come sempre, e in qualche modo supererò anche questa.”
 

**
 

In una stanza anonima situata al terzo piano di in un edificio grigio altrettanto anonimo, un gruppo di ragazzi e ragazze erano seduti in cerchio e stavano presenziando alla solita riunione settimanale. Charlotte era ormai una habituè di suddette riunioni, e con il passare delle settimane l’imbarazzo iniziale provato nell’avere tutti quegli occhi addosso – occhi di persone sconosciute o conoscenti, tutti obbligati al silenzio – era svanito. Arrivò il suo turno di parlare, e preso un respiro profondo e lisciata la gonna a fantasia scozzese che indossava quel giorno si alzò e, sorridendo ai presenti, disse:
“Ciao a tutti! Mi chiamo Charlotte, ho 27 anni e sono un alcolista.”



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Angolo Autrice: Salve, gente! Eccomi nuovamente con il secondo capitolo, in cui conosciamo - iniziamo a conoscere - la protagonista femminile, Charlotte. Come avrete ben capito anche lei non ha una vita esattamente facile, e con il procedere della storia capiremo cosa l'ha portata alla dipendenza. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio immensamente coloro che hanno recensito lo scorso capitolo e chi ha messo la storia tra le seguite. Se vi va, invito come sempre a lasciarmi una recensione.
Alla prossima,
V.
  
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