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Autore: comeundone    11/11/2014    0 recensioni
Se fosse riuscita a mantenersi lucida. Forse, senza quel whisky e quella sigaretta.
Se non avesse avuto quell’idea stupida di dirgli del concerto. Se avesse accettato le sue scuse per la colazione, e basta.
Ma anche, se lui fosse stato un altro. Non Brian, cioè. Se non avesse avuto quel modo assurdo – gelida arroganza in un involucro di perfetta cortesia – di chiedere scusa. Se non l’avesse fatto con quella voce e quello sguardo di distaccata sufficienza, e quel vezzo di scandire tutte le parole.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brian Molko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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03/11/2014, Lisbona

 

Ore 18.00 – Oceano

Il mare – vide il barone sui disegni dei geografi – era lontano.

Ma soprattutto – vide nei suoi sogni – era terribile,

esageratamente bello,

terribilmente forte – disumano e nemico – meraviglioso.

E poi era colori diversi, odori mai sentiti, suoni sconosciuti – era l'altro mondo.

Alessandro Baricco – Oceano Mare

Non voglio incontrarti, mai più.

Voglio stare con te, per sempre.

Tempo che passa, tutto si rimescola, e ogni volta è una vittoria fatua, fino al prossimo combattimento, una guerra che la sfinisce e la tiene viva. L’inscindibile binomio tra amore e dolore, dolcezza e veleno, meraviglia e squallore.

Ecco cosa sono state tutte queste settimane, prima di partire per Lisbona. Ci ha pensato continuamente, un retropensiero costante, anche se non sempre cosciente. Si direbbe che è innamorata. Invece, si sente avvelenata.

Lisbona potrebbe essere una bella città da visitare, senza quel peso dentro, che pure, la tiene con i piedi per terra e non permette alla sua mente di volare continuamente fuori dalla realtà.

Lisbona potrebbe essere bella, senza cielo grigio, e la pioggia a sprazzi che rapidamente la inzuppa, e trasforma l’acciottolato della strada che porta al mare in una roulette russa. Il profumo delle castagne arrosto, le sardine che sono ovunque, le piastrelle intarsiate sulle strade, e le salite di cui è pieno il centro.

Entra nella cattedrale, per un attimo. Che posti strani, le chiese.
Posti bui, con luci sapientemente puntate su una pedana, dove gruppi di persone mosse da fede, e qualche volta da fanatismo, sentono il bisogno di andare periodicamente, e ripetere le stesse parole migliaia di volte, e cantare, per entrare in comunione mistica tra loro, e con un uomo dai capelli lunghi, che credono dio.

Pensa tutto questo ridendo tra sé, e cammina verso il mare, mentre le offrono continuamente fumo e marijuana, e comincia a sentire sempre più forte quell’odore nauseante che viene dall’insenatura che racchiude l’Oceano.

L’Oceano. Visto dall’alto di una torre le ha per un attimo riempito il cuore di emozione e di sgomento, e dal basso è prigioniero di un porto maleodorante. Cazzo, buttate giù le banchine, i magazzini fatiscenti, eliminate tutti gli approdi, smontate navi e mercantili, e liberate l’Oceano!

 

 

Ore 22.00 – Where is my mind?

Your head will collapse
But there's nothing in it
And you'll ask yourself
Where is my mind?

 

Ormai è sera, e il vento è sempre più forte, su quella piazza antistante il porto.

E’ lunedì e sembra che non ci sia molto in giro della movida che si aspettava, perciò si dirige verso l’albergo e pensa – dio, riesce ancora a fare ragionamenti che obbediscono alla poesia della logica – pensa che forse riposare non è una cattiva idea. Domani deve essere sveglia presto, e andare a guadagnarsi la transenna, non che faccia differenza, ma deve provarci.

L’ingresso, l’arredamento della hall, e lo sguardo perplesso che le rivolge l’addetto alla reception le dicono che deve aver fatto le prenotazioni in uno stato di evidente esaltazione e sprezzo del senso della misura; d’accordo, era un albergo con ottimi giudizi e piuttosto vicino alla venue del concerto, ma avrebbe potuto evitare tutte quelle stelle. Improvvisamente pensa che sarebbe perfetto per la sosta di una notte di una rock-band che debba suonare al Coliseu, e con un sorriso più largo della sua faccia guarda fissa per 30 secondi buoni l’uomo dietro al banco, che elegantemente continua impassibile a spiegarle dettagli che non ascolta sugli orari della colazione.

Prende la chiave e si dirige verso la sua camera, un po’ divertita e molto imbarazzata; non è mai stata accompagnata da un inserviente così premuroso, che le porta la valigia e le sorride, come se uno di loro due fosse idiota. Il letto king-size le sembra fantastico, è grande più o meno come tutta la sua camera quando andava all’Università, e la finestra si affaccia sulla piazza dei Restauradores, con una balaustra ornata di eleganti arabeschi in ferro battuto.

Non spera davvero di addormentarsi, si sdraia e comincia a pensare al giorno dopo, il senso di solitudine, che si mescola alla crescente voglia di rivederlo.

Accende il tablet, e cerca qualcosa per ingannare il tempo e cercare di calmare il suo cuore, che sente scoppiare. Nella testa un pensiero strisciante, a cui non sa dare una forma, mentre le sembra di star per perdere definitivamente la forza di fermare la marea. Lo guarda nei video di un tempo in cui non lo conosceva. Canta in evidente stato di confusione, è giovane, e magrissimo, e non si regge in piedi e sbaglia le parole, gli accordi, e nonostante questo è irresistibile, salta una corda della sua chitarra e mentre lui se la avvolge intorno al collo, lei si sente soffocare.

Eccola, la domanda che non ha il coraggio di rivolgersi. Where is my mind.

 

 

04/11/2014, Lisbona

 

Ore 09.30 – The moth and the flame

L’éphémère ébloui vole vers toi, chandelle,

Crépite, flambe et dit: Bénissons ce flambeau!

Charles Baudelaire, Hymne à la beauté

 

Qualche ragazza è già seduta davanti alle porte della venue, quando arriva. Poi prende coraggio, comincia a presentarsi e scopre che alcune vengono dall’Inghilterra, altre dal concerto di Porto del giorno prima.

Si mette seduta in terra anche lei, ci sono tantissime ore davanti, e ci sono persone da conoscere e sigarette da fumare e discorsi vuoti, ma divertenti da ascoltare. Storie di colpi di fulmine e storie di teste più sballate della sua, ma come fargliene una colpa. Se c’è qualcuno che spinge al limite, è Brian. Qualche volta lo salti, e riesci comunque a non perdere l’ironia e ridere di te stesso, qualche volta no.

Man mano che passa il tempo, si sente sempre più estranea a tutte quelle persone, e forse non hanno che la musica dei Placebo, in comune. Lei non riesce ad avere niente della loro brillantezza, non è bella, né divertente, non parla in un modo che le staresti a sentire per ore. Non sa parlare l’inglese come loro, tanto in ogni caso dubita che qualcuno avrebbe voglia di ascoltare la sua vita, né quella di prima, né tantomeno quella dopo di lui.

E comunque, alla fine, i cancelli si aprono e lei si trova ancora davanti a quel microfono, una seconda fila che le permette se vuole di far finta di non essere lì.

Quando Brian entra, però, non ci sono più alibi. Si è tagliato i capelli, li tiene con il gel dietro alle orecchie e non riesce nemmeno a tenergli gli occhi addosso, quello che vorrebbe fare davvero è buttarsi sulle ginocchia, che non la tengono più. Le sembra bello come un Dio. Ma è sicura che quell’impressione è solo il riflesso nella sua testa delle migliaia di foto che ha visto, scattate quando lui era bello davvero. Lo sente cantare, e vorrebbe piangere, ma sa che quella voce è solo l’eco nelle sue orecchie, di quando nelle canzoni ci metteva l’anima e cantava per guarire sé stesso. Ed è sicura, che se ne sarebbe innamorata anche se fosse stata un uomo, perché non è possibile catalogare il fascino di quel viso e la luce di quegli occhi secondo nessuna regola prestabilita. Un fascino che è quasi tutto nel dolore di quel ragazzo, ormai uomo, che non riesce a nascondersi nei suoi occhi troppo chiari e si affaccia prepotente, un dolore che ti entra dentro e ti fa bene e male come la più bastarda delle droghe e ti attira e ti brucia, come una falena, che diventa cenere per una fiamma qualunque, credendo di fare l’amore con il sole.

 

Ore 00.20 – The crawl

Don't go and lose your face

at some stranger's place

and don't forget to breathe

and pay before you leave

 

Si gira qualche volta a guardare le ragazze che conosce, e capisce di non essere la sola vittima, quella sera.  Così, quando finisce lo spettacolo – è stato uno show grandioso, testi dimenticati e chitarre sbagliate e la solita setlist e le solite frasi di un cantante stanco, e nonostante questo, grandioso – si trattiene con loro, e aspettarli per farsi firmare qualsiasi cosa e portare a casa almeno quello, tutto il resto rimane per i sogni.

Decidono di provarci, al massimo avranno bevuto una birra di più e fumato altre mille sigarette insieme. Dopo nemmeno un’oretta, in cui ancora i loro occhi brillano per il concerto e parlano e ridono a ruota libera, una figura piccola, infagottata in una felpa grigia, con il cappuccio alzato, fa per uscire e infilarsi in una macchina. Qualcuno lo chiama, e in quei pochi secondi sta già per perderlo, perché appena capisce chi è, lui è già di spalle, pronto ad entrare nella vettura, la mano sullo sportello.

Lei non lo ha visto. Brian non l’ha vista. Brian non ha nessuna voglia di fermarsi, non ne ha motivo. Poi pensa che quella sera il concerto è stato grandioso - pieno di errori e chitarre sbagliate e la solite canzoni e le solite frasi che tutti conoscono a memoria, ma comunque, grandioso – e ha avuto da quel pubblico molto più di quanto loro abbiano avuto da lui, e si gira.

Si prepara a dare quello che a lui costa tantissimo, ma è un prezzo che non si può permettere sempre di far pagare a qualcun altro. Le ragazze si avvicinano incredule, mettono booklet e braccia da firmare e urla troppo acute e occhi scintillanti su volti pallidi sull’altare sacrificale, che lui ha preparato loro nello stesso momento in cui si è girato e ha sorriso.

Lei rimane appoggiata ad una macchina, parcheggiata sul marciapiede opposto, guarda quella bocca piegata in un sorriso che è solo di Brian, che fa venire voglia di abbracciarlo e proteggerlo, senza un motivo, mentre in effetti ti sta prendendo tutto, tutto, ma te ne accorgerai solo dopo. Cerca disperatamente di trattenere i ricordi che ha di lui in quella stanza, ma sente che sta per arrivare un uragano che la lascerà senza più niente.

“Non andare, qualunque cosa, non andare”.

Si vede camminare verso Brian come se fosse ancora lì, sul marciapiede, al sicuro, dove lui non può trovarla, non può nemmeno vederla. Si vede tirare fuori un CD e porgergli la copertina, in mezzo ad altre già tese verso le sue mani. “What’s your name?”, le dice Brian. Lei scuote la testa, e non riesce a parlare. Si mette una mano sulla bocca, mentre cominciano a scendere le lacrime più salate che ricordi, mentre deve stringere gli occhi per non perdere la faccia e farsi rubare tutta la dignità che le resta. Niente. Non le rimane niente, mentre chiude la copertina e la rimette a posto. Un’ombra passa sul volto altrimenti immobile di Brian, ma né lei né nessun’altra la notano, perché lui si è allenato tutta la vita a mettere in mostra solo quello che gli altri si aspettano, e ora tutti si aspettano che quel rituale pagano si compia senza sbavature.

Lei alza la mano e apre il palmo, dicendo che è tutto ok. Si costringe a sorridere, si gira e comincia a camminare, e poi a correre sempre più veloce, finché non gira l’angolo e non vede più quell’assurda patetica ragazza, che piange appoggiata ad un macchina.

 

 

Ore 00.50 – Hold your breath

Hold your breath and count to ten
And fall apart and start again.

 

Finalmente si ricorda di respirare. Lo fa lentamente, mentre cammina nel corridoio verso la sua camera. Ora il letto king-size non le sembra così accogliente, e sente la testa vuota mentre fa il percorso inverso e si ferma davanti all’ascensore, e lo aspetta per scendere giù a prender qualcosa da bere. Lo aspetta così tanto, che fa in tempo a darsi della stupida mille volte. Un milione di volte. Alla fine arriva, entra e continua la sua discesa nel nulla di quella serata maledetta.

Quando risale, non saprebbe dire se è ubriaca di alcool o di dolore. Ma lo è, tanto che non le sembra strano che, quando si ferma ad un piano dove è stato chiamato da qualcun altro, ci sia Brian fuori dalle porte, lo vede, ma le sembra solo un altro ospite che ha bisogno di qualcosa di forte per dormire, quella notte.

Brian che chiude gli occhi un attimo, nel vederla, ed espira profondamente. Entra, la prende per una mano, e l’aiuta ad uscire. La tiene per le spalle, mentre si scusa di qualcosa che lei non capisce. Le parla, e lei per la prima volta non riesce a capirlo. Parla veloce, a voce bassissima, e riesce a registrare solo qualche parola.

..sorry,

shame…

…lie.

 

 

Ore 02.10 – Falling free

…until the Universe is done

and the course of Time has run.

Flash.

Lenzuola arrotolate.

Uno schiaffo.

Un bacio, lungo come tutto il tempo.

Un sorriso, il solito sorriso perfetto.

Uno sguardo che la manda in pezzi.

Ferite che riprendono a sanguinare.

…so you come undone.

 

  
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