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Autore: _Connie    11/11/2014    1 recensioni
Prese dunque una tazza, ci versò latte e caffè – tanto caffè, senza il quale il suo cervello sarebbe rimasto atrofizzato per il resto della mattinata – e si sedette a tavola, iniziando ad addentare qualche biscotto. Tra un morso e l’altro, chissà perché, il suo occhio cadde sul calendario appeso proprio sul muro di fronte a lui. La data di quel giorno era segnata da tanti cuoricini e fantasmini – tutti rigorosamente rosa, ugh – e portava scritto in stampatello:
11 NOVEMBRE: COMPLEANNO DI ZORO!
Un brivido di puro terrore gli attraversò la spina dorsale.
Zoro/Sanji, Zoro/Perona, AU
Genere: Comico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara, Perona, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'You worry too much, shitty cook'
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Of Birthdays, Cakes and Puppets. (Ovvero: quando cuochi e principesse entrano in collisione)
 
 
Al suono incessante della sveglia che continuava a trapanargli i timpani, Zoro decise finalmente che era arrivato il momento di alzarsi, accompagnando il tutto con imprecazioni varie e un lancio della suddetta sveglia contro il muro, sport di cui ormai era diventato un asso. E meno male che quella l’aveva fatta rivestire di gomma, altrimenti il numero di sveglie fracassate dalla sua furia omicida mattiniera sarebbe aumentato di un’altra unità.
Sbadigliando sonoramente, si diresse verso la cucina, da dove proveniva un buon odore di caffè fresco e biscotti appena sfornati. Come al solito quel cuoco di merda si preoccupava troppo, ma in fondo era piacevole trovare tutto quel ben di dio in tavola ogni mattina, quindi non aveva di che lamentarsi. Anzi, Zoro avrebbe solo dovuto ringraziarlo per tutto quello che faceva per lui – e doveva dire che, un paio di anni prima, un mezzo ringraziamento glielo aveva dato... – ma, ovviamente, le parole tra loro due sarebbero solo risultate inutili, perciò si limitava a sedersi a tavola e mangiare tutto ciò che gli preparava «dato che, senza di lui, sarebbe morto di fame dopo nemmeno un giorno».
Il cuoco, come al solito, era già uscito da un pezzo: lavorava infatti nel ristorante più rinomato della città e non poteva assolutamente permettersi ritardi, pena una sonora strigliata di Padron Zeff – e, Zoro lo doveva ammettere, le sue strigliate erano a dir poco terrificanti.
Prese dunque una tazza, ci versò latte e caffè – tanto caffè, senza il quale il suo cervello sarebbe rimasto atrofizzato per il resto della mattinata – e si sedette a tavola, iniziando ad addentare qualche biscotto. Tra un morso e l’altro, chissà perché, il suo occhio cadde sul calendario appeso proprio sul muro di fronte a lui. La data di quel giorno era segnata da tanti cuoricini e fantasmini – tutti rigorosamente rosa, ugh – e portava scritto in stampatello:
 
11 NOVEMBRE: COMPLEANNO DI ZORO!
 
Un brivido di puro terrore gli attraversò la spina dorsale. Non ebbe nemmeno il tempo di formulare un qualche pensiero, però, che le sue orecchie furono trapanate dalla voce stridula e acuta della sua coinquilina.
«Zoro-kun! Finalmente ti sei svegliato!»
Zoro si voltò. In piedi sulla soglia della porta che conduceva al corridoio, c’era Perona. Era una ragazza alta, con capelli rosa raccolti in due code laterali e con indosso un’uniforme scolastica – opportunamente modificata con lunghe calze a righe rosse e nere e una cintura dello stesso colore, stile gotico.
Zoro non sapeva perché, ma il tono di voce melenso e il sorriso solare della ragazza non gli dicevano nulla di buono. Decise comunque di far finta di nulla e di comportarsi come al solito. «Che vuoi?» sbottò, infatti.
«Oggi è il tuo compleanno!» disse l’altra, facendo finta che quello scimmione del suo coinquilino le avesse risposto con un gentile e pacato «buongiorno». Lo sentì sbuffare sonoramente.
«E quindi?»
La ragazza, di tutta risposta, gli saltò addosso senza tanti complimenti, facendolo quasi cadere dalla sedia e scoccandogli un bacio sulla guancia. Zoro rimase letteralmente pietrificato per una frazione di secondo – e con ogni probabilità in quel lasso di tempo il suo colorito era passato attraverso tutte le sfumature, dal bianco cadaverico al violaceo – ma poi si riprese e se la scollò di dosso in malo modo.
«Non lo fare mai più, chiaro?» ringhiò, ricevendo come risposta solo una linguaccia. Quella tizia era solita fare sdolcinatezze del genere, e in un certo senso ormai si era abituato. Ciononostante, quando quella se ne usciva con certe cose ci rimaneva secco ogni volta, diventando rosso dall’imbarazzo – sì, proprio lui, e non sapeva spiegarsi nemmeno il perché. Sarà che di solito le ragazze non lo calcolavano minimamente – oppure era il contrario? – e quindi il comportamento di quella ragazzina era per lui completamente imprevedibile.
Perona, con stampata in faccia un’espressione di estrema soddisfazione, afferrò come se nulla fosse il proprio zainetto e si diresse verso l’ingresso. Prima di uscire dalla cucina, però, si voltò verso Zoro e, con un sorriso che al ragazzo sembrò piuttosto un ghigno che preannunciava catastrofi e disgrazie per le prossime 24 ore, gli disse: «Stasera ci sarà una bella sorpresa per te!»
Mentre sentiva la porta di casa chiudersi con un cigolio sinistro, Zoro si convinse sempre più che quella sarebbe stata una giornata da dimenticare assolutamente.
 
Sanji affrettò il passo mentre saliva le scale del palazzo. Arrivò al terzo piano, si fermò davanti a una porta e l’aprì con la chiave che aveva in tasca. Dentro era tutto buio: non c’era nessuno. Zoro era ovviamente andato al dojo di cui era sensei e non sarebbe tornato prima di sera, dato che ne approfittava per allenarsi lui stesso, lasciandogli via libera. La cosa strana, però, era l’assenza di Perona – della dolce Perona-chan! – che, a quell’ora del pomeriggio, avrebbe già dovuto essere tornata a casa da un pezzo. Con ogni probabilità era andata a casa di Cindry-chan, la sua migliore amica, quindi decise di non preoccuparsi troppo – anche se avrebbe tanto voluto passare un intero pomeriggio con lei!
Accese le luci e si diresse in cucina: poggiò sul tavolo le buste della spesa, indossò il suo grembiule della Doskoi Panda e si rimboccò le maniche. Lui, Usopp, Rufy e la dolce Nami-san avevano deciso di fare una festa di compleanno a sorpresa per quel marimo deficiente, dato che altrimenti quel cretino avrebbe sicuramente passato la serata stravaccato sul divano a scolare lattine di birra. Naturalmente il compito di preparare la torta era stato affidato a lui, ed era proprio per questo che quel giorno era riuscito per chissà quale miracolo divino a farsi dare da Padron Zeff mezza giornata libera.
Mentre rompeva le uova in una ciotola, gli venne improvvisamente in mente il fatto che, da qualche anno a questa parte, era sempre stato lui a fare la torta di compleanno per il marimo – mai una volta che la comprassero o la facesse qualcun altro – tanto che era diventata una specie di tradizione, quella. E forse era proprio per questo che lui stesso ci teneva così tanto a farla con le sue mani: era sempre felice di vedere i suoi amici apprezzare la sua cucina – Rufy avrebbe con ogni probabilità voluto averlo come cuoco personale, tanto la adorava – e poi quelli erano i pochi momenti in cui Zoro non rimaneva impassibile di fronte ai suoi manicaretti, ma, anzi, riservava loro un sorrisetto compiaciuto.
Era iniziato tutto esattamente cinque anni fa. All’epoca Zoro era poco più di un ragazzino, eppure aveva dovuto affrontare tutto da solo l’improvvisa perdita dei suoi genitori, morti in un incidente stradale poche settimane prima del suo compleanno. Aveva finito per richiudersi in se stesso, cercava il più possibile di non vedere nessuno – neppure loro – e spesso spariva anche per giorni interi, andando chissà dove. Ma ciò che più aveva colpito Sanji era che Zoro, fino ad allora, non aveva ancora versato nemmeno una lacrima. Nemmeno una. Non aveva pianto durante la corsa in ospedale, non aveva pianto quando i medici avevano ormai perso ogni speranza e non aveva pianto nemmeno durante il funerale, di fronte alle bare dei suoi genitori.
Certo, Zoro era quel tipo di persona che odia mostrarsi debole agli occhi degli altri, ma Sanji era sicuro che far finta di star bene e di essere forte in seguito ad una tragedia del genere avrebbe solo peggiorato la situazione.
Lui e gli altri avevano deciso, comunque, di andarlo a trovare almeno nel giorno del suo compleanno per cercare di tirarlo un po’ su di morale: per l’occasione, Sanji aveva preparato anche una semplice torta al cioccolato, perché non sapeva proprio come avrebbe dovuto comportarsi in un momento simile e quella era stata l’unica cosa che gli era venuta in mente di fare.
Erano andati a casa sua, senza preavviso, e quando Zoro aveva aperto loro la porta era rimasto pietrificato sul posto, senza riuscire a parlare o a fare qualsiasi altra cosa all’infuori di guardarli uno ad uno con tanto d’occhi. «Cosa ci fate qui?» aveva detto, dopo qualche secondo di assoluto silenzio.
Rufy, di tutta risposta, gli aveva sorriso dolcemente. «Ma come? Oggi è il tuo compleanno, siamo venuti per festeggiare!»
Per un momento Zoro aveva assunto un’espressione – se possibile – ancora più stupita di prima. Ma dopo aver visto come tutti loro avevano continuato a fissarlo incerti – non sapevano proprio che fare, ma in fondo allora erano ancora dei ragazzini – aveva sollevato un angolo della bocca, a mo’ di sorriso.
A quel punto l’atmosfera tesa si era decisamente allentata ed erano entrati in casa, dato il via a una piccola festicciola: Usopp aveva portato pistole spara-coriandoli fatte da lui stesso, Nami si era occupata delle bibite – una mezza dozzina di lattine di birra – e lui, Sanji, aveva portato ovviamente la torta. Si erano divertiti un mondo, cosa che non accadeva da un bel po’ di tempo, e anche Zoro – un po’ brillo, a dirla tutta – si era lasciato andare e aveva riso più volte di gusto.
Dopo un paio d’ore o poco più, però, la festa di compleanno era giunta al termine: a casa di Zoro era rimasto solo Sanji, che stava dando una mano al marimo a pulire e rendere presentabile la casa ormai piena di disordine – gli altri se n’erano già andati, dato che vivevano in un’altra città e rischiavano di perdere l’ultimo treno della giornata.
Erano rimasti per parecchi minuti in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri e occupato a fare la propria parte di pulizie. Sanji, da parte sua, si era sentito come un pesce fuor d’acqua: dopo che la festa era finita e gli altri se n’erano andati, infatti, l’atmosfera era tornata a farsi palpabilmente più pesante e lui continuava a non aver idea di cosa fare. Avrebbe dovuto far finta di nulla e comportarsi normalmente, come loro solito? Ma così avrebbe solo fatto la figura dell’insensibile e del menefreghista – cosa che non era perché, checché dicesse di solito, lui al marimo ci teneva e voleva seriamente aiutarlo.
Si era dunque lasciato andare ad un sospiro di frustrazione e si era deciso a rimanere, almeno per il momento, in silenzio, cercando però di ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto lasciare Zoro per evitare di farlo rimanere per troppo tempo solo in quella casa piena di fantasmi del passato.
Per quanto c’avesse provato, però, il momento di andarsene era alla fine giunto.
Sanji aveva quindi sistemato gli ultimi cuscini sui divani e si era avviato – pur se controvoglia – verso la porta.
«Zoro, allora io… Zoro?»
Il cuoco aveva sgranato gli occhi. Nel momento stesso in cui si era voltato per salutare il marimo, aveva immediatamente notato che qualcosa non andava. L’altro teneva i pugni chiusi – con le nocche completamente sbiancate – intorno ad una spada, mentre il suo corpo pareva scosso improvvisamente da forti tremiti.
«Zoro?» aveva provato a chiamarlo il cuoco, ma l’altro pareva quasi non averlo nemmeno sentito.
«Questa spada…» Una pausa. «Questa spada me l’avevano regalata i miei genitori come regalo di compleanno, l’anno scorso.»
Sanji si era sentito contorcere le viscere.
L’attimo dopo, Zoro aveva poggiato delicatamente la spada sulla mensola a cui apparteneva e si era voltato. E Sanji le aveva viste.
Lacrime.
Sì, quelle avevano iniziato a rigare le guance di Zoro erano proprio lacrime. Il marimo si era poi lasciato cadere a terra, le mani a coprire il viso e il corpo scosso da violenti singhiozzi. Ed era stato a quel punto, solo a quel punto, con davanti ai propri occhi quello spadaccino forte e fiero ridotto ad un ragazzino terrorizzato e dilaniato dal dolore – cosa che effettivamente era, e la scoperta lo aveva lasciato paralizzato per un istante – ma fu solo per un singolo istante, perché era stato a quel punto che Sanji se ne era fregato di tutto e di tutti e aveva deciso di fare, finalmente, la cosa giusta.
Si era avvicinato all’altro ragazzo – che ancora stava tentando di tenere sotto controllo le proprie lacrime, maledetto idiota – si era inginocchiato di fronte a lui e l’aveva stretto tra le sue braccia, maledicendo i propri occhi che avevano iniziato a pizzicare. Aveva sentito il corpo dell’altro irrigidirsi all’istante, sicuramente per la sorpresa di venir improvvisamente abbracciato dalla persona con la quale hai litigato per ogni singolo giorno di quella che ormai sembrava una vita, ma di questo a Sanji in quel momento non glien’era fregato un accidente e si era semplicemente lasciato andare, lasciando che le emozioni e l’istinto prendessero il sopravvento su quella maschera di orgoglio che entrambi indossavano quando si trattava del loro rapporto. Zoro si era quindi rilassato, aveva stretto la sua maglietta tra i pugni come se fosse stata l’unica ancora che ancora lo teneva legato a questo mondo e aveva affondato il viso nell’incavo del suo collo, dando finalmente libero sfogo alle lacrime che aveva soppresso per tutti quei giorni.
Sanji non ricordava bene il resto dei particolari: sapeva solo che era rimasto a casa del marimo per tutta la notte e che in seguito non avevano mai neppure accennato a ciò che era accaduto, ma il loro rapporto non era mai stato più lo stesso. Certo, litigavano e si pestavano come sempre, ma era stata da quella notte che Sanji aveva iniziato a far visita sempre più spesso a Zoro, aveva iniziato a fare la spesa e a cucinare per lui – aveva anche iniziato a provare qualcosa per quel bastardo, dannazione, era inutile negarlo, prima si metteva il cuore in pace meglio era – e da lì aveva anche avuto origine la tradizione della torta di compleanno fatta personalmente da Sanji.
Il cuoco scrollò il capo, dando poi un’occhiata all’orologio: non rimaneva molto tempo prima che gli altri arrivassero e portassero il necessario per addobbare la casa. Si rimboccò le maniche e si mise al lavoro.
 
Zoro salì le scale a due a due, con il suo zaino porta-spade in spalla. Quel giorno era rimasto ad allenarsi ne dojo più del previsto ed ora non desiderava altro che fiondarsi nel letto e farsi una bella dormita – chi se ne frega se non si sarebbe tolto manco i vestiti di dosso. Era stanco morto.
Fece quindi il più velocemente possibile, mandando nella fretta quasi all’aria la vecchietta del piano di sopra che stava con ogni probabilità portando giù la spazzatura e che non si risparmiò nel lanciargli contro qualche bell’insulto colorito – ma tanto ormai era diventata una prassi, quella vecchiaccia non la smetteva di lamentarsi e di sbraitare contro chiunque avesse la sfortuna di imbattersi in lei. Rispose quindi col suo solito sbuffo infastidito e continuò a salire le scale senza badarle.
Fu solo quando inserì le chiavi nella serratura che il suo cervello iniziò a mettersi in funzione e ad avere la sensazione di star dimenticando qualcosa, e pure qualcosa di piuttosto importante, ma proprio non riusciva a ricordare cosa. Mah, meglio lasciar perdere, pensò, girando le chiavi nella toppa.
Una volta aperta la porta, però, fu investito da una cacofonia di voci e di colori che gli urlarono chiaramente contro ciò che aveva dimenticato.
«Auguri, Zoro!»
Ah, giusto. Era il suo compleanno. Come diavolo avesse fatto a dimenticarlo di nuovo, poi, e per giunta nella stessa giornata, era un mistero. Meno male che c’erano quegli scalmanati dei suoi amici a fargli da promemoria.
Non gli diedero nemmeno il tempo di formulare una qualche tipo di risposta coerente, ovviamente, che si vide trascinato da Rufy, Nami, Usopp, quella cavolo di principessina gotica e quel deficiente d’un cuoco in cucina, di fronte ad un’enorme torta di compleanno a due piani. Ognuno di loro prese poi in mano una lattina di birra e, al grido dell’ennesimo «tanti auguri a Zoro!», le fecero cozzare tra loro a mo’ di brindisi.
A quel punto iniziò la vera festa, fatta di divertimento, birra a volontà e cibo a tonnellate – perché ovviamente il cuoco non si era mica limitato alla semplice torta, no! Doveva fare sempre le cose in grande – ma in fondo doveva ammettere di adorare i manicaretti di quel damerino. E a proposito del suddetto damerino: non aveva smesso di sorridere e di essere di buon umore dall’inizio della serata, e anche in un certo qual modo più rilassato del solito, quasi come se, almeno per quell’occasione, si fosse liberato d’un peso opprimente. E, chissà perché, aveva l’impressione che quel peso fosse in qualche modo legato a lui.
Dannato cuoco. Si preoccupa sempre troppo.
Però doveva ammettere che vedere tutti i suoi amici lì con lui – Nami che gli stava facendo concorrenza in fatto di resistenza all’alcool, Usopp che non la finiva di raccontare storie strampalate, Rufy che gli dava corda, il cuoco che continuava a sorridere come un deficiente e la principessina che continuava a ronzargli intorno – insomma, tutto quello lo faceva sentire decisamente meglio.
Era quindi perso nei suoi pensieri quando si accorse improvvisamente che la principessina su menzionata si era piantata proprio di fronte a lui, con un sorriso enorme stampato in faccia e le mani nascoste dietro la schiena.
Oh merda. Ecco che arrivava l’Apocalisse.
«Ehi, Zoro-kun! Ho un regalo per te!»
Oh. Merda.
Un regalo? E cosa sarebbe potuto essere? Non avrebbe mica tentato di mettergli in testa una delle sue solite e orripilanti orecchie da gatto, o fargli indossare un vomitevole vestito da coniglio come il mese precedente, o...
Invece, quello che la ragazza gli pose tra le mani si rivelò essere un semplice pupazzo di pezza, con le fattezze di una tigre provvista di panciera verde, bandana e tre spade alla cintola.
«So che le tigri sono i tuoi animali preferiti, quindi ho pensato di farti un pupazzo su misura. Ti piace?»
Sarà stata l’atmosfera di festa, il fatto che per una volta quella scema non aveva pensato solo a se stessa, o anche il fatto che quel regalo gli era piaciuto per davvero, ma resta il fatto che Zoro non riuscì a trattenere un sorriso e a risponderle con uno dei suoi rari «grazie».
Non l’avesse mai fatto.
L’altra sembrava sul punto di mettersi a saltare dalla felicità. «Ma allora ti piace sul serio? Quando vuoi sai essere così carino!» Detto questo, gli buttò le braccia al collo senza tanti complimenti, facendogli quasi perdere l’equilibrio e scoccandogli un bacio a stampo.
Zoro sentì i capelli rizzarglisi dietro la nuca, ma non fu capace di capire se quella reazione fosse dovuta ad una qualche sorta di eccitazione o al suo istinto che gli urlava di mettersi in guardia da un pericolo imminente, che sentì un calcio del cuoco piantarglisi dritto dietro la schiena, mozzandogli il fiato.
«Pervertito d’un marimo! Che diavolo pensi di fare molestando la povera Perona-chan, eh?»
Nell’udire quelle parole, Zoro s’era ripreso in men che non si dica, già pronto a fare un po’ di sane botte. «Io sarei il pervertito, cuoco di merda? Ma ti vedi?»
«Io di certo non mi metto a baciare la gente a destra e manca come se nulla fosse!»
«Ma se è stata lei a saltarmi addosso!»
«E non cercare di incolpare Perona-chan, spadaccino del cazzo!»
Uhm. Ora che ci faceva caso, quella non era una delle loro solite finte litigate in cui si stuzzicavano a vicenda solo per il puro piacere di infastidire l’altro e spingerlo a ribattere, no. Il cuoco sembrava davvero incazzato con lui per il bacio. Quasi fosse stato...
«…Cuoco, non sarai mica geloso
Il rossore d’imbarazzo che si andò a posare sulle guance dell’altro fu una risposta più che sufficiente. Dopo un momento di smarrimento, però, il cuoco seppe ricomporsi subito. «C-certo che sono geloso, idiota! Avrei voluto poter baciare io Perona-chan!»
«Sanji, non ci provare neppure!» urlò accusatoria la ragazza tirata in causa. «Zoro è mio, quindi non osare toccarlo!»
«M-ma, Perona-chan… Non penserai mica che io voglia…»
«Come se non me ne fossi mai accorta! Non sono mica una stupida.»
«Ma io…»
Zoro sentì il proprio braccio venir stretto in una morsa. «Lui è mio! Non è vero, Zoro-kun?»
E fu in quel preciso istante, intrappolato in mezzo ad una principessina che continuava a martoriargli il braccio ed un cuoco che probabilmente avrebbe voluto con tutto il cuore poterlo fulminare con lo sguardo, che Zoro capì che lui, da quel compleanno, non sarebbe riuscito ad uscirne vivo.
 
 


[Angolo dell’autrice]
Finalmente sono riuscita a scrivere una Perona/Zoro/Sanji! Era un secolo che volevo farlo!
Anyway, questa one-shot dedicata al compleanno del caro marimo è venuta fuori un po’ più lunga del previsto, anche perché mica all’inizio ci doveva essere la parte angst, no! Ma è più forte di me, non ci posso fare nulla. u_u
In più non doveva nemmeno uscir fuori come sequel di Ringraziamento., ma, ecco, è uscita fuori così. Sì, le mie storie se ne vanno per i fatti loro e non mi stanno mai a sentire. Vogliono chiedere l’indipendenza come le sopracciglia del Dottore QUALCUNO MI FERMI.
 Spero che vi sia piaciuta, comunque! Commenti e critiche varie sono sempre i ben venuti ^^
  
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