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Autore: ValeryJackson    11/11/2014    8 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Katie Gardner odorava di corteccia di ciliegio e mandorle.
Portava lo stesso profumo da quando aveva dieci anni, quindi più o meno da quando aveva messo piede al Campo. Lo portava anche quel pomeriggio al lago, e aveva invaso le narici di Travis quando lei, con gli occhi imperlati di lacrime, lo accusava di non aver capito ciò che c’era da capire.
Le era rimasta una cicatrice sul polso, un graffio che si era fatta arrampicandosi su un albero quando aveva undici anni. Era stata colpa di Travis. A quel tempo era un po’ meno femminile e lui l’aveva convinta (o per la precisione sfidata) a chi arrivava prima in cima ad uno degli alberi della Baia di Zefiro. Aveva vinto lui.
Katie aveva una tremenda paura del buio, era allergica ai molluschi e il suo colore preferito era il giallo.
Amava le margherite, e per quanto si sforzasse, era del tutto incapace di cantare.
Però sapeva ballare. E sarebbe stata in grado di divorare un’intera crostata di fragole, se le si fosse presentata l’occasione.
Come faceva Travis a sapere tutte quelle cose? Semplice.
Katie aveva attratto la sua attenzione dal primo istante. Da quando, in quel pomeriggio d’estate di sei anni prima, aveva fatto il suo ingresso al Campo Mezzosangue, con le sue due trecce color nocciola e la sua camicetta a fiori.
Spesso Travis si chiedeva che fine avesse fatto, quella camicetta. Sperava che non l’avesse buttata, perché lui l’adorava, e in ogni caso a lei stava benissimo.
Il figlio di Ermes ricordava perfettamente l’indifferenza che all’inizio la ragazza aveva nei suoi confronti. E forse era anche per questo motivo che aveva cominciato a farle degli scherzi.
Voleva attirare la sua attenzione, voleva vedere le sue tenere sopracciglia aggrottarsi e i suoi occhi caramellati posarsi su di lui, pronti a fulminarlo con lo sguardo.
Ogni bravo maestro conosce la sua vittima, e lui aveva imparato ogni dettaglio della sua fin da subito.
«Così i nostri scherzi saranno perfetti!» spiegava sempre a Connor, ogni volta che il fratello lo guardava con un sopracciglio inarcato.
Ed era di questo che si era convinto per ben sei anni, ogni volta che si riscopriva a pensare a lei.
Non si rendeva conto, invece, di essersi affezionato alla sua Kity-Kat più di quanto volesse dare a vedere. Non fino a quella sera, perlomeno, quando aveva sentito il suo cuore perdere un battito alla consapevolezza di averla fatta soffrire.
Desiderava il suo perdono più di ogni altra cosa, per questo aveva seguito i consigli di Melanie, e le aveva porto le sue scuse in una lettera, che aveva lasciato accanto ad un mazzo di margherite davanti la porta della Casa Quattro.
Era stato paziente, proprio come la bionda figlia di Demetra gli aveva suggerito. Aveva aspettato ben due giorni, prima di incamminarsi verso la sua Cabina pronto a parlarle.
Ma ora era arrivato il momento.
Travis si sfregò i sudati palmi delle mani contro i jeans, mentre si dirigeva con finto passo sicuro alla Capanna dei figli di Demetra. Aveva preferito non prepararsi un discorso, né tantomeno qualche frase persuasiva da dire.
Sarebbe semplicemente andato lì, e avrebbe detto a Katie tutto ciò che gli avrebbe attraversato la mente, fidandosi del suo istinto.
Forse non era il migliore dei piani, ma era stanco di vedere tutti i suoi progetti andare a rotoli. E poi, ‘la fortuna aiuta gli audaci’, no?
Vide un gruppetto di ragazzi davanti a sé, mentre si dirigevano nella direzione opposta alla sua. Tra loro vi riconobbe Melanie, e non appena la ragazza lo notò lui le si avvicinò, con passo esitante.
«Melanie» la salutò lui, al ché lei l’osservò con fare interrogativo. «Katie è in casa?»
La figlia di Demetra prese fiato per parlare, ma inizialmente non ne uscì alcun suono. Sembrava a disagio, e Travis non riusciva a capirne il motivo. «Sì» mormorò poi, con voce insicura. «Però…»
«Grazie!» la interruppe Travis, raggiante, per poi proseguire con passo sempre più deciso verso la sua meta.
«No, Travis! Aspetta!» tentò di fermarlo la ragazza, ma invano. «Lei è…»
Il figlio di Ermes non seppe mai cosa Melanie stava per dirgli, già troppo lontano perché le sue parole non si perdessero nell’aria.
Arrivò davanti la Cabina Quattro con un po’ di fiatone, non essendosi neanche reso conto di aver accelerato il passo a tal punto da aver iniziato a correre. Prese due grandi respiri, tentando di far tornare di nuovo regolare il battito del proprio cuore.
Poi bussò alla porta.
«Katie, sei in casa?» domandò, ma a dispetto di quanto aveva immaginato non ricevette alcuna risposta.
Posò la mano sul pomello, aggrottando lievemente la fronte, per poi far cigolare il cardine.
Non appena varcò la soglia, due paia di occhi si voltarono a guardarlo, sorpresi.
Due paia di occhi.
Katie non era sola. Accanto a lei c’era Mark Wallace, figlio diciassettenne di Atena. Era poco più alto di Travis, con degli ondulati capelli biondi e degli attenti occhi chiari. Aveva alcuni fogli di un progetto stretti in una mano, e li stava mostrando a Katie, poco prima che il figlio di Ermes li interrompesse.
Travis avvertì una morsa anomala serrargli la bocca dello stomaco, seguito da un lieve e insolito senso di nausea. Guardò prima Katie, poi Mark. Infine si schiarì la gola.
«Disturbo?» chiese, con un tono più tagliente di quanto avrebbe voluto.
La ragazza lanciò una fugace occhiata a Mark, per poi tornare a guardarlo. Fece spallucce, abbozzando un sorriso. «Oh, no, stavamo solo chiacchierando.»
Travis si ritrovò a stringere con forza il pomello della porta, infastidito da ciò che quel ‘chiacchierando’ poteva significare, poco prima che Katie lo soppesasse con lo sguardo.
«Che ci fai qui?» domandò, trascinando lentamente le parole.
«Oh, ehm…» Il figlio di Ermes si grattò la nuca, imbarazzato. «Ho bisogno di parlarti.» Fissò lo sguardo truce sul figlio di Atena. «Da solo» puntualizzò.
La ragazza sembrò sorpresa, ci mise qualche attimo per sforzarsi di metabolizzare la cosa, per poi mormorare un lieve «Okay» visibilmente incerto. Dopo di ché si voltò di nuovo verso Mark, dando a Travis le spalle.
«Ti dispiace lasciarci qualche secondo soli?» chiese, con gentilezza, al ché lui annuì.
«Certo, nessun problema» consentì, per poi afferrarle giocosamente la mano e lasciarle un goliardico bacio sul dorso, strappandole un risolino. «A dopo» le disse, con un occhiolino.
La ragazza si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito, e Travis sentì un groppo invadergli la gola quando notò il sorriso civettuolo che aveva sul volto. Katie stava… flirtando?
Non lì, non con lui. Non la sua Kity-Kat.
«A dopo.» La figlia di Demetra salutò il figlio di Atena, mentre quest’ultimo si dirigeva riluttante fuori dalla Cabina, non prima di scambiarsi un’occhiataccia con Travis, ancora fermo sulla soglia.
La porta si chiuse alle sue spalle, e la casa piombò nel silenzio.  
Travis si guardò intorno, imbarazzato, percependo perforante lo sguardo inquisitore di Katie sulla pelle, che lo squadrava nel tentativo di capire che cosa ci facesse lì.
Il figlio di Ermes studiò la stanza, facendo vagare velocemente le sue iridi scure da un letto all’altro, finché qualcosa non attirò la sua attenzione.
Sul comodino accanto a quello che era il letto di Katie Gardner c’era un mazzo di fiori. Il suo mazzo di fiori.
Era deposto accuratamente in un vaso d’acqua, i petali di un bianco più candido di quanto Travis ricordasse.
Sul volto del ragazzo si dipinse un sorriso sghembo, mentre indicava il proprio regalo con un cenno.
«Vedo che hai ricevuto i miei fiori.»
Katie seguì la direzione del suo sguardo, per poi arrossire leggermente. «Oh, ah, ehm… sì» balbettò, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio. Incrociò le braccia, stringendosi nelle spalle. «Sono molto belli. E poi io amo le margherite.»
Lo so, pensò Travis, ma si trattenne bene dal dirlo ad alta voce. Fece invece un passo verso di lei, cercando, invano, il suo sguardo.
«Voglio scusarmi con te» le disse, e percepì chiaramente la sua irritazione, mentre sospirava rumorosamente e faceva roteare gli occhi con disappunto.
«No, Katie, mi devi ascoltare» la pregò allora lui, andandole incontro. «So di essere stato un cretino, okay? Me ne sono reso conto. Ti ho fatto soffrire, e mi dispiace, ma posso assicurarti che non era mia intenzione. Se solo mi lasciassi spiegare, capiresti che io…»
Le parole gli morirono in gola nel momento esatto in cui la mano di lei si posò sulla sua guancia, in uno schiaffo che lo costrinse a voltare il capo.
«Questo è per come mi hai trattata, per come mi hai umiliata e per come mi hai ingannata» spiegò lei con voce tagliente, puntandogli un dito al petto con fare accusatorio.
Travis sospirò, affranto. «Katie, se provassi anche solo ad ascoltarmi, io…»
Ma la ragazza lo interruppe di nuovo, stavolta però in un modo che lo lasciò decisamente più interdetto. Si alzò sulle punte, per far sì che si ritrovassero alla stessa altezza, e gli posò un dolce bacio sulla guancia, lasciando lì le sue labbra qualche secondo in più del necessario.
Poi lo guardò negli occhi, e Travis sentì il suo stomaco contorcersi, il punto in cui l’aveva baciato scottare.
«E questo» affermò lei, con un tono deciso a poco più di un sussurro. «È per la tua lettera, e per i fiori. E anche per aver trovato il coraggio di chiedermi scusa di persona. Lo apprezzo davvero molto.»
Travis non riuscì a credere alle proprie orecchie. Era stato davvero così facile? Aveva davvero funzionato?
Ebbene sì, e c’era il fantasma delle labbra di lei fermo lì sulla sua guancia a ricordarglielo.
Un sorriso felice e incredulo gli increspò lentamente le labbra, mentre sentiva il sollievo invadergli il petto. «Quindi posso ritenermi perdonato?» domandò con cautela, e si sentì ancora meglio quando lei annuì.
«Sì, puoi ritenerti perdonato.»
Stavolta fu un sorriso malandrino a dipingersi sul suo volto. «E posso anche riprendere a farti degli scherzi, come ad esempio quello delle uova nel cuscino?» la provocò, divertito.
La ragazza strinse gli occhi a due fessure. «Tu provaci» lo minacciò. «E stavolta non mi farò davvero alcuno scrupolo, ad ucciderti.»
Travis ridacchiò, rallegrato. Poi i suoi occhi si incastrarono quasi inaspettatamente a quelli autunnali di lei. Si guardarono per qualche secondo, incerti entrambi sul da farsi, finché lui decise di non nascondere più i suoi pensieri, ricordando ciò che si era imposto prima di giungere da lei.
«Mi sei mancata, Kity-Kat» ammise, e c’era sincerità, nella sua voce. C’era un sentimento vero.
Un angolo della bocca di Katie si sollevò in un sorriso, mentre lentamente annuiva a sua volta. «Mi sei mancato anche tu.»
Travis ci mise qualche secondo prima di decidersi ad avvolgerle i fianchi ed abbracciarla. La strinse a sé, avvertendo le sue braccia che gli cingevano il collo, e si lasciò cullare dal dolce torpore del proprio corpo accanto al suo, inesplorato fino a quel momento.
Era la prima volta che si abbracciavano, da quando si conoscevano. E Travis dovette ammettere che era la sensazione più bella che avesse mai sperimentato. Si sentiva al sicuro, tra le braccia di lei. Si sentiva nel posto giusto.
Nascose il volto nell’incavo del suo collo, inspirando a fondo quel suo odore di corteccia di ciliegio e di mandorle.
Se avesse potuto, sarebbe rimasto così per altri cento anni. Ma poi quasi in un muto accordo i due si separarono, guardandosi nuovamente negli occhi.
E Katie lo sorprese ancora, tirandogli un forte pugno sul braccio.
«Ahi!» si lamentò il figlio di Ermes, fissandola confuso. «E adesso che cosa ho fatto?»
«Oh, niente» minimizzò lei. «Ma finalmente ho l’occasione giusta per poterti prendere a pugni, e non voglio sprecarla senza prima essermi tolta qualche soddisfazione» affermò poi, colpendolo di nuovo sul petto. Faceva davvero male, per essere così mingherlina.
«Ehi!» esclamò allora Travis, indignato. La ragazza tentò di dargli un altro pugno, ma lui riuscì ad intercettarlo, afferrandola per entrambi e polsi e bloccandole le braccia dietro la schiena.
«No» l’ammonì, al ché lei rise, divertita.
Poi i loro nasi si sfiorarono, e Travis si sentì invadere dal panico, rendendosi improvvisamente conto di quanto i loro volti fossero vicini, e di quanto fossero invitanti quelle labbra a pochi centimetri dalle proprie.
«I-io…» balbettò imbarazzato, ma le parole gli morirono in gola, e così le sue capacità di ragionare.
I suoi occhi vagarono rapidamente dalle labbra di lei, al suo naso alle sue iridi caramellate.
Poi il ragazzo fece un passo indietro, visibilmente a disagio.
«M-mi… mi dispiace» ciangottò, avvampando fino a far raggiungere al proprio volto i toni del magenta. «I-io…» Impacciato, urtò accidentalmente il piede di uno dei tanti letti con lo stinco, rischiando per poco di cadere a terra.
Katie si portò una mano alla bocca, a trattenere una risata.
«Scusa!» esclamò allora lui, rimettendo poi il letto alla meno peggio nella sua posizione iniziale e grattandosi la nuca. «Sarà meglio che vada» mormorò poi, dirigendosi verso la porta.
«Ci vediamo stasera al falò» si congedò poi, al ché lei annuì, salutandolo con un cenno della mano. «Noi…» Travis non riuscì a dire altro, perché colpì senza volerlo un vaso di primule con il gomito, riuscendo con grande e maldestra fatica a non farlo cadere.
Katie inarcò le sopracciglia, osservandolo perplessa, finché lui non le rivolse un sorriso di scuse, mentre cercava tastoni il pomello della porta alle sue spalle.
Non appena lo trovò, sentì uno strano sollievo rilassargli il muscoli. «A stasera» disse velocemente, varcando la soglia senza neanche ascoltare una probabile risposta della ragazza.
Inspirò a pieni polmoni l’aria estiva che dominava il Campo, per poi ributtarla fuori con un lungo e rumoroso sbuffo. Si grattò il naso, allontanandosi frastornato dalla Casa Quattro.
Cos’era successo, lì dentro, non riusciva a capirlo nemmeno lui. Ma di una cosa era sicuro.
Aveva ritrovato la sua Kity-Kat. Era riuscito a scusarsi con lei, e lei l’aveva perdonato assicurandogli con un semplice sguardo che il loro rapporto era tornato esattamente com’era prima, e che più nulla avrebbe potuto cambiarlo.
A meno che quel nulla non avesse i capelli biondi e gli occhi chiari.
Quando Mark gli tagliò la strada, diretto nuovamente dalla figlia di Demetra, Travis fu invaso dal forte impulso di prendere a pungi quel bel faccino che si ritrovava.
Non era sicuro del perché lo odiasse, sapeva solo che era così, e che non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi anche solo di un passo alla sua Kity-Kat.
Aveva appena trovato la prossima vittima ai suoi scherzi.
 
Ω Ω Ω
 
Leo sollevò con fatica una scatola piena di arnesi da terra, per poi trasportarla fino ad uno scaffale dall’altro lato della stanza con la fronte madida di sudore.
Si trovava nella fucina da più di due ore, intento a rimettere in ordine il casino che i suoi fratelli avevano lasciato.
Cosa insolita, per un disordinato come lui. Ma ultimamente si era riscoperto più volte a fare che cose che mai nella vita avrebbe immaginato anche solo di pensare.
Come rifarsi il letto, per esempio. Oppure ripensare incessantemente agli occhi di una ragazza.
Non le curve, o il seno, o il profumo, ma gli occhi. L’ultima cosa che credeva in grado di contorcergli la bocca dello stomaco.
Raccolse un’altra serie di armi da terra, riportandole nei loro rispettivi posti.
Gli piaceva stare nella fucina quando tutti gli altri erano via. Era rilassante, e poi si sentiva libero di pensare e fare quello che voleva, senza doversi preoccupare della propria maschera, o di come appariva il proprio sorriso, o del fatto che Skyler e Microft sarebbero stati in grado si scorgere la tempesta nelle sue iridi scure.
Stare da solo gli consentiva di pensare per una volta a sé stesso, senza dare peso agli altri.
Si piegò per prendere da terra un’altra scatola stavolta piena di progetti. Armi da fuoco, spazzole-spada, coltelli reclinabili… erano tutte cose che aveva disegnato lui, o che gli altri semidei gli avevano affidato affinché le realizzasse per loro.
Come l’anello-lancia di Andrew Goode.
O la piuma-spada di Piper.
Ne prese distrattamente uno, osservando le linee storte che sicuro un impaziente figlio di Ares aveva riportato su carta, raffiguranti una lama di circa cinquanta centimetri. Corrucciò le sopracciglia, cestinando quel progetto come ‘stupido ma figo’, finché non si voltò, ritrovandosi davanti due occhi argentei che lo squadravano dal ciglio della porta.
Leo sussultò, preso alla sprovvista, e la scatola di cartone gli scivolò dalle mani, adagiandosi con un tonfo sul pavimento. Centinaia di fogli si riversarono ai piedi del ragazzo, che con un’imprecazione si chinò a raccoglierli.
«Aspetta, ti do una mano» si offrì Emma, allontanando la spalla dal cardine contro il quale l’aveva posata e inginocchiandosi accanto a lui.
Leo sollevò appena lo sguardo, imbarazzato. «Scusa, non ti avevo sentita arrivare» si giustificò, guardandola con la coda dell’occhio prendere in mano una decina di fogli e sbattere i loro bordi contro il piancito, nel tentativo di allinearli.
«Non importa. Anzi, scusami tu se ti ho spaventato.»
«C-che ci fai qui?» domandò lui, maledicendosi per il tremitio della sua voce. Quella ragazza era l’ultima persona che aveva voglia di vedere. L’ultima.
La figlia di Ermes fece spallucce, con un sospiro. «Cercavo Skyler, in realtà» ammise, per poi rivolgergli una fugace occhiata. «Sai per caso dove posso trovarla?»
«È uscita circa un paio d’ore fa» le disse Leo, con una scrollata di spalle. «Molto probabilmente sarà con Michael, in questo momento.»
«Ah, capisco» sorrise lei, con una punta di malizia nelle corde vocali. «Beh, se è così, non li disturbo.»
Leo si lasciò sfuggire un sorriso sghembo, mentre rinfilava alcuni fogli nella scatola, e osservava Emma fare altrettanto.
«Sono un mucchio di disegni» constatò lei, le sopracciglia inarcate dallo stupore. «Disegni di progetti. Sono tutti tuoi?»
«La maggior parte» annuì Leo, alzandosi in piedi e sollevando nuovamente la scatola da terra. Poi si diresse verso la sua postazione da lavoro, e la figlia di Ermes lo seguì subito dopo. «Gli altri sono perlopiù idee degli altri mezzosangue.»
Emma annuì distrattamente, porgendogli un altro paio di fogli che erano rimasti a terra. Leo posò il cartone sul tavolo, e fu a quel punto che l’attenzione della ragazza fu attratta da qualcosa.
«E questo?» domandò, un sopracciglio inarcato dalla curiosità. Il figlio di Efesto non capì a cosa la bionda si stesse riferendo finché lei non raccolse un foglio colorato dal fondo della scatola, con aria divertita.
Era un disegno dai tratti infantili fatto con dei pastelli a cera. Leo sorrise, passandosi una mano tra i capelli. «È un disegno che mi ha portato la piccola Catherine. Sai, la figlia di Demetra.»
Emma annuì, ricordando le trecce ramate della bambina di sette anni. Leo scosse la testa, intenerito. «Mi ha chiesto di costruirle un’altalena, un giorno, ed io, dato che ero impegnato con un altro progetto, le dissi che avevo bisogno di uno schema ben preciso da seguire, con tanto di dettagli e dimensioni. Il giorno dopo è tornata qui con questo disegno tra le mani, affermando che ora non avevo più scuse, e che dovevo costruirgliela per forza.» Si morse l’interno della guancia, seguendo le linee colorate di quell'allegro lavoro. «È successo un po’ di tempo fa, però. Dubito che se ne ricordi ancora. Ormai starà già preparando un altro dipinto per chiedermi di costruirle una rosa casa per le Barbie.»
Emma si lasciò sfuggire una sommessa risata, al ché lui si voltò a guardarla, tra il serio e il divertito. «Tu ridi, ma qui io dovrò costruirla davvero una casa di plastica!»
Questo fece scrollare il capo alla figlia di Ermes, che riuscì a far scemare la propria risata solo dopo qualche secondo. Osservò il disegno della piccola bambina, con un lieve sorriso. «È una bella idea, comunque» convenne.
Leo si strinse nelle spalle. «Chi non vorrebbe un’altalena?»
La ragazza annuì lentamente, per poi inclinare la testa di lato. «Dev’essere bello andarci, vero?»
Il figlio di Efesto sbatté più volte le palpebre, interdetto da quell’insolita domanda. «Beh, sì» rispose. «Quando inizi a dondolare, senti una risata ribollirti nella pancia.» Poi la scrutò, cercando invano il suo sguardo fisso sul foglio. «Perché me lo chiedi?»
Emma fece spallucce, con una mesta naturalezza. «Non sono mai salita su un’altalena» spiegò.
Leo strabuzzò gli occhi, scioccato. «Tu cosa?»
«Non guardarmi così!» l’accusò lei, al ché lui richiuse la bocca, sorpreso. «Non sono mai salita su un’altalena perché non ho mai avuto nessuno che mi ci portasse. Il parco giochi più vicino a casa mia era a circa mezz’ora di macchina, e l’unica persona che si sarebbe mai presa la briga di portarmi lì era mio nonno.» Gli lanciò una rapida occhiata, con il timore di svelare troppi particolari. «Però lui è morto quando avevo solo tre anni, e così non ci sono mai andata.»
«E tua madre?» volle sapere Leo, maledicendosi subito dopo per tanta imprudenza.
«Diciamo semplicemente che non era il genere di mamma che porta i figli a giocare» disse corrucciata lei, facendogli capire dal suo tono che non aveva alcuna voglia di aprire quell’argomento.
«E quando sei cresciuta?» chiese allora il ragazzo, ancora incredulo di quell’assurda confessione. «Non hai mai avuto voglia di salire su un’altalena?»
«Ovvio che sì, ma non ce n’era mai nessuna nei paraggi.» Emma si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi abbassare lo sguardo imbarazzata. «E poi non avevo il tempo materiale, per prendermi la briga di farlo» ammise, con amarezza. «Sono venuta qui quando avevo poco più di dieci anni. Sono stata costretta a crescere in fretta per poter… sai, badare a me stessa.»
Leo prese fiato per dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Immaginò un’Emma di dieci anni, sola, stanca, troppo matura per la sua giovane età, che non è mai salita su un’altalena e che non si concede neanche il lusso di porsi il problema, troppo impegnata a proteggersi dal mondo, per permettersi di esplorarlo.
All’improvviso, provò una strana compassione per lei. Una compassione mista ad un’impellente stima nei suoi confronti.
Anche lui aveva avuto un’infanzia difficile, certo, ma in un modo o nell’altro aveva sempre avuto la possibilità di scegliere il proprio destino.
Era stato lui a decidere di scappare da tutte le case famiglie alle quali veniva assegnato. Era stato lui, a volersi fidare solo di sé stesso; non era stato un qualcosa che gli era stato imposto contro la sua volontà.
Emma sospirò, e il percepire i suoi polmoni che si riempivano e si svuotavano distolse il figlio di Efesto dai suoi pensieri.
«Mi dispiace» si scusò poi lei, cogliendolo alla sprovvista.
«Ti dispiace per cosa?»
«Non volevo metterti di malumore raccontandoti la storia della mia vita» ridacchiò allora lei, con un sorriso triste ad incresparle le labbra. «È solo che… a volte mi manca, la mia infanzia. Anche se presumo che non ti possa mancare qualcosa che non è mai stata tua.» Lo guardò negli occhi, con quei suoi grandi ed intensi occhi argentati. «Vorrei solo provare a non sentirmi obbligata a crescere, sai? Vorrei solo sperimentare la sensazione di avere ancora tutto il mondo da scoprire, e di avere qualcuno con cui farlo.» Fece per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola, per cui sospirò. «Lascia stare, è stupido» disse, scrollando il capo con dolce amarezza. «Vado a cercare Skyler.»
Si diresse verso la porta, lanciando un’ultima fugace occhiata al disegno colorato sul tavolo prima di raddrizzare la schiena. Leo si sorprese nel veder rispuntare sul suo volto il suo solito sorriso. Quello del ‘non ci sono problemi’. Quello del ‘sono la persona più felice che tu abbia mai incontrato’. Quello che non nascondeva altro, se non una grande tenacia, e un forte amore per la vita, simbolo di tutto ciò che Emma aveva dovuto passare per diventare la splendida ragazza che era oggi.
«Ci vediamo, allora» salutò la figlia di Ermes, con un lieve cenno della mano.
Il ragazzo annuì lentamente. «Ci vediamo» disse di rimando, per poi osservarla risalire le scale a chiocciola dalle quali era arrivata e sparire dal suo campo visivo.
Leo si sedette alla sua postazione da lavoro, osservando con occhio critico quel disegno che apparentemente sembrava solo una malforme altalena, ma che in realtà era molto di più.
Era un simbolo di libertà, una portatrice di spensieratezza e risata.
Era tutto ciò che ogni bambino aveva il diritto di avere, e che ad Emma era sempre stato negato.
«Sono stata costretta a crescere in fretta», aveva detto. «Non sono mai salita su un’altalena».
Leo non seppe mai con esattezza in quale preciso istante afferrò la matita e cominciò a disegnare.
 
Ω Ω Ω
 
Quella mattina, Melanie non aveva incontrato John se non per qualche fugace minuto.
Non che si aspettasse di passare ore intere con lui. Dopo l’imbarazzante incidente del lago, Melanie aveva coltivato una sorta di tenero disagio nei confronti del figlio di Apollo, che si confondeva con l’impellente desiderio di scorgere il suo sorriso tra la folla di ragazzi.
Le sue emozioni erano contrastanti. Da un lato, tutto ciò che voleva era riempirsi le narici con il suo dolce profumo di menta; e massaggiarsi le orecchie con la sua splendida risata; e rimpinguarsi gli occhi con il suo sorriso gentile.
Dall’altro, però, c’era sempre il fattore normalità, che la frenava. Per quanto volesse ostinarsi a negarlo, ormai si era rassegnata all’idea che non sarebbe mai stata una ragazza come tutte le altre, ma soprattutto che non avrebbe mai potuto dare a John tutto ciò che si meritava.
Innamorarsi di lui significava rinchiuderlo in una gabbia dorata. E rinchiuderlo in una gabbia dorata significava vederlo soffrire sotto i suoi stessi occhi, e rinunciare pian piano al mondo quando il mondo non era ancora pronto a rinunciare a lui.
E poi cavolo, a lei mancava un braccio!
Come poteva sperare di progettare un futuro normale con lui, eh? Come?
Sarebbe sempre stata un peso morto che il ragazzo avrebbe dovuto coricarsi sulle spalle.
Sempre in difficoltà per fare metà delle cose, e impossibilitata di fare l’altra metà.
John meritava di più, di una ragazza come lei. E nonostante si ostinasse a negarlo, Melanie poteva giurare che anche il ragazzo era consapevole di questo.
Eppure non voleva rinunciare. Non capiva esattamente quali fossero i sentimenti di John per lei, ma sapeva che il figlio di Apollo era disposto a tutto, pur di farle capire che lui la vedeva come una persona.
Perché era questa la particolarità di John, la luce che lo faceva brillare.
Lui era stato il primo (se non l’unico) a vederla come una ragazza.
Quando la guardava, lui non si preoccupava del suo braccio mancante, o dei suoi modi bruschi, e del suo tono acido.
Nei suoi occhi verdi non c’era mai pena, o compassione.
C’era solo vitalità. Una vitalità che sperava di poterle trasmettere, e che la faceva sentire normale, anche se solo per un momento.
Quando lo guardava in quelle sue iridi estive, dimenticava il vuoto accanto a sé. Dimenticava ciò che aveva passato, e ciò che avrebbe passato.
Riusciva solo a contemplare le loro striature molto simili ai raggi del sole, e a perdervisi dentro, mentre il cuore minacciava di balzarle  fuori dal petto.
Ti aspetterò tutta la vita, le aveva scritto John. E nonostante avesse paura che potesse dire sul serio, in cuor suo era lusingata da quelle parole, perché riuscivano ad illuderla, seppur per un breve istante, che forse anche lei meritava un po’ d’amore.
Melanie e il figlio di Apollo non avevano più accennato al biglietto, dopo quella sera.
Lei, per paura di poter dire la cosa sbagliata, e di aver frainteso ciò che il ragazzo aveva intenzione di dire.
Lui, perché non aveva idea di quale fosse stata la reazione della figlia di Demetra, e perché forse, in segreto, temeva un ulteriore rifiuto.
Ciò che più sorprendeva Melanie, però, era la naturalezza con la quale evitava di parlare di quello che era successo al lago.
Come se non fosse mai avvenuto, se non in un passato remoto. Come se nulla fosse cambiato, nonostante la figlia di Demetra temeva di sì.
E dico temeva, perché dopo quella mattina, fu costretta a ricredersi.
Mentre si impegnava per colpire con la spada un malcapitato fantoccio del Campo, infatti, John le si era avvicinato, molto probabilmente consapevole delle sue difficoltà.
Melanie aveva la fronte imperlata di sudore, era stanca, e i suoi capelli erano raccolti in una disordinata coda di cavallo, eppure non si era mai sentita così bella come in quel momento, sotto lo sguardo di lui, tenero e solare.
«Senti» aveva cantilenato il ragazzo, fingendo invano noncuranza. «Ti andrebbe di incontrarci, oggi pomeriggio?» E sotto il suo sguardo basito, si era affrettato ad aggiungere: «Non per… un appuntamento, ovvio. Volevo solo… volevo solo farti fare una cosa.»
Melanie aveva inarcato un sopracciglio, scrutandolo appena. «Che cosa?»
E a quel punto il figlio di Apollo aveva sorriso, chinandosi verso di lei con aria malandrina. «Ti fidi di me?»
La ragazza aveva impiegato qualche secondo, prima di convincersi ad annuire. «Certo, che domande» aveva borbottato.
«Bene, allora ti aspetto davanti l’Arena, subito dopo gli allenamenti.» E detto questo se n’era andato, lasciando la figlia di Demetra sola con la sua coscienza che lottava contro l’indecisione. Doveva andare? O era meglio di no? Cos’aveva da perdere, dopotutto?
E così, al termine delle lezioni, era stata la prima a varcare la soglia di casa, si era precipitata in bagno e si era data una ripulita, tentando in tutti i modi di legarsi i capelli per poi decidere di lasciarli sciolti. Aveva indossato una maglia fresca di bucato, si era guardata per ben tre volte allo specchio prima di uscire (cosa insolita per lei, considerando quanto temesse il suo riflesso) e poi aveva raggiunto John, con passo esitante.
Il ragazzo la stava aspettando esattamente nel posto che le aveva annunciato, e non appena la vide stese le labbra in un radioso sorriso, molto probabilmente rincuorato dall’idea che avesse accettato l’invito.
«Sono felice di vederti» le sussurrò infatti, quando lei fu abbastanza vicina da poterlo sentire.
Melanie fece spallucce, abbassando lo sguardo imbarazzata. «Mi hai chiesto di fidarmi di te, no? Per cui eccomi qui.»
John si sentì lusingato da quelle parole, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere. Si rese conto solo dopo che la ragazza si era sollevata sulle punte, allungando il collo nel tentativo di scorgere qualcosa al di là della sua spalla.
«Allora? Che cosa volevi farmi fare?» gli domandò, al ché lui sembrò ricordare improvvisamente il vero motivo per il quale erano lì.
«Oh, sì, certo! Seguimi» le disse, incamminandosi verso l’entrata dell’immensa Arena, mentre con tono entusiasta cominciava a spiegare: «Oggi ti ho osservato durante la lezione di scherma» ammise, e la ragazza arrossì. «E ho notato che hai ancora qualche difficoltà con la spada.»
«Ho dei problemi con l’equilibrio» borbottò Melanie, rabbuiandosi.
«Lo so, e questo mi ha dato modo di pensare. Sai, mi domandavo: nel caso qualcuno ti avesse attaccato, o infastidito, o qualunque altra cosa può venirti in mente… saresti stata in grado di difenderti?»
La figlia di Demetra si morse con forza il labbro inferiore, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con aria triste. «Molto probabilmente no» convenne amaramente.
«Non ancora» la corresse allora John, con un sorriso raggiante. La bionda lo guardò con un sopracciglio inarcato, ma lui sembrò non accorgersene, o forse finse di non notarlo. «Andiamo. Ci sta già aspettando.»
«Chi?» provò a chiedere Melanie, ma il ragazzo non le rispose, continuando a camminare finché non ebbero raggiunto il centro dell’Arena.
Lì, due attenti occhi mogani li attendevano impazienti, e non appena si posarono sulla figlia di Demetra, questa sembrò sorpresa.
«Skyler?»
La figlia di Efesto le sorrise, raggiante.
Melanie spostò lo sguardo dalla mora al ragazzo, poi alla mora, e infine di nuovo al ragazzo.
«Credo di non capire.»
«È semplice» assicurò John, facendo due passi avanti per spalleggiare l’amica. «Hai assolutamente bisogno di qualche lezione di autodifesa, e Skyler è la persona perfetta per questo.»
La ragazza dagli occhi scuri sorrise, imbarazzata. «Diciamo che me la cavo abbastanza bene.»
«È fantastica» la corresse John. «E ti insegnerà tutto ciò che c’è da sapere.»
«Ma…» Melanie fece per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Lanciò una fugace occhiata al suo braccio mancante, e a quel punto Skyler sembrò capire.
«Se ti stai preoccupando del fatto che hai un braccio solo» le disse infatti, con tono deciso. «Sappi che non avrai il benché minimo problema. L’autodifesa è tutta una questione di concentrazione e bilanciamento del peso.» Poi sospirò, incrociando le braccia al petto. «Ti faccio un esempio» annunciò, prima di voltarsi verso il figlio di Apollo. «John, quanto sei alto?»
«Un metro e settantacinque» rispose lui lentamente, colto un po’ alla sprovvista.
«Perfetto. E quanto pesi?
«Sessantatré chili, credo.»
«Fantastico!» Skyler fece un incoraggiante cenno del capo in direzione di Melanie, per poi domandare ancora all’amico: «Ti dispiacerebbe attaccarmi alle spalle?»
«Eh?» John sembrava confuso.
«Coraggio! Fa finta di essere un aggressore e attaccami alle spalle!»
Il ragazzo esitò qualche secondo. «Okay» assentì, leggermente interdetto. Non era esattamente questo ciò che pensava avrebbero fatto, ma si fidava di Skyler, per cui le obbedì, cingendole con forza le spalle da dietro per bloccarle le braccia lungo i fianchi.
Melanie li osservava, attenta.
«Quando qualcuno ti attacca all’improvviso» spiegò la figlia di Efesto, con tono autoritario. «Bisogna colpire i quattro punti più delicati dell’uomo. È una rapida sequenza molto facile da ricordare, devi sono prestare attenzione.»
La figlia di Demetra strinse gli occhi a due fessure, e dal suo sguardo John capì che a dispetto di quanto aveva immaginato ci stava davvero prendendo gusto.
«Grazie per aver accettato di aiutarla» sussurrò quindi all’orecchio di Skyler, incapace di trattenere un leggero sorriso.
Le labbra della mora si incurvarono, mentre faceva schioccare la lingua con disappunto. «Aspetta a ringraziarmi» lo ammonì. E poi, rivolta a Melanie: «Pronta?»
La bionda annuì, per cui lei fece un bel respiro. «Bene, allora ricorda: stomaco» affermò, sorprendendo John con una forte gomitata in quel punto. Il ragazzo si piegò in due dal dolore.
«Alluce.» Con il tacco andò a pestargli il piede, e il biondo si afferrò la parte dolorante con una mano, protestando con un lamento.
«Naso.» Con il gomito andò a colpirgli anche il setto nasale, e il figlio di Apollo buttò la testa all’indietro, mentre delle macchie nere gli danzavano vorticose davanti agli occhi.
«Ed inguine.» E poco prima che potesse metabolizzare le parole dell’amica, lei gli sferrò un pugno proprio in quel punto, facendogli strabuzzare gli occhi mentre il fiato gli si smorzava in gola.
Poi, con una mossa repentina, si voltò verso di lui e gli afferrò il polso, storcendogli il braccio con così tanta forza da fargli fare una breve capriola a mezz’aria.
Il ragazzo atterrò di schiena a terra con un tonfo, e un mugugno indistinto sfuggì alle sue labbra mentre dolente stramazzava al suolo.
Skyler guardò Melanie con aria soddisfatta, mentre la ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite, li fissava basita.
«Visto?» sorrise la figlia di Efesto, porgendo una mano a John per aiutarlo ad alzarsi. «Niente è impossibile.»
«Non immaginavo che questo ‘possibile’ fosse così doloroso» borbottò allora John, contrariato. Melanie strinse le labbra, faticando a trattenere una risata divertita. Poi la domanda di Skyler la colpì come uno schiaffo in faccia. «Vuoi provare?»
Melanie spostò gli occhi su di lei, a disagio. «Oh, beh, ecco… io…» balbettò, spostando il peso da un piede all’altro. «Non lo so.»
«Non temere!» la rassicurò quindi lei, sorridendole incoraggiante. «John sarà ben felice di farti da cavia. Non è vero, John?»
«Eh?» Il figlio di Apollo era ancora frastornato, dopo che la sua amica aveva deciso di dargliele di santa ragione. Ma bastò una rapida occhiata in direzione di Melanie, che tratteneva il fiato speranzosa, a convincerlo che forse ne valeva la pena.
«Okay» assentì, arricciando leggermente il naso. «Ma sappiate che se alla fine di tutto questo sarò costretto a diventare un eunuco, darò la colpa a voi.»
Skyler si portò il dorso della mano alle labbra, soffocando a stento una risata, mentre Melanie fu incapace di trattenere la sua.
E non appena sentì quel suono melodioso fungergli da balsamo per i suoi timpani, John fu definitivamente sicuro che sì, ne valeva assolutamente la pena.


Angolo Scrittrice.
E siamo di nuovo in diretta tra cinque... quattro... tre... due... uno...
Buon Giorno ascoltatori di tutta Italia, state ascoltando errediess...
No, aspettate... mi sa che ho sbagliato. :s
*mette una mano sul microfono* -Dove cavolo siamo?!-
*voce fuori campo* -Oggi è martedì!-
Oh, giusto!
ahahah, salve a tutti semidei! Ebbene sì, oggi è martedì, e se pensavate che vi avrei lasciato finalmente in pace... beh, vi sbagliate di grosso! Io sono ancora qui, e ci resterò fino alla fine. u.u
Tranquilli, non era una minaccia :')
Ora sono riuscita anche ad aggiornare ad un orario più accettabile, visto? Sono fiera di me u.u
ahahah, okay, scherzi a parte, spero davvero di aver fatto bene a pubblicare. 
Questo capitolo parla di tre coppie molto diverse tra loro, non sono caratterialmente, ma anche per quanto riguarda il modo di approcciarsi.
Da un lato ci sono
Travis e Katie (oh, my Tratie! **) Loro si conoscono... beh, da quando avevano dieci anni, eppure solo in questo momento Travis si sta rendendo conto di quanto in realtà la sua Kity-Kat sia importante per lui. E non riesce proprio ad immaginarla con un altro ragazzo ;) Ma btw, la cosa importante è che ora sono riusciti a chiarirsi, e qualcuno faccia una statua a Melanie, perchè in parte è tutto merito suo.
Come potete ben leggere a inizio capitolo, il nostro figlio di Ermes sa molte cose sulla dolce Katie Gardner. Credete che sia per puro scopo informativo? Let me know.
Then, ci sono
Melanie e John. Cavolo, ragazzi, quei due sono incredibili. E nonostante vivano continuamente nell'imbarazzo e nell'incertezza, non riescono a rinunciare l'uno a l'altro. E' difficile capire come andrà a finire. Non lo so con esattezza nemmeno io, se ve lo stavate chiedendo. Ascolto solo quello che hanno da raccontarmi.
E poi last but not least,
Leo ed Emma, che non si capisce molto bene dove sono diretti né se vi sono diretti insieme. Credo che il loro rapporto sia tra i più complicati da riportare, perchè sono sempre contrastanti le emozioni che li caratterizzano. Vedremo dove vogliono andare a parare (o dove finiranno per sbaglio, questo non lo so). Nel frattempo, si accettano scommesse ed opinioni.
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e se non è così, non esitate a dirmelo. Non mi dilungherò qui a dirvi cosa ne penso io e quant'altro, perchè vi ruberei solo del tempo prezioso, e perchè forse già lo immaginate.
Sappiate solo che mi auguro di non aver deluso le aspettative di nessuno, e che spero vogliate condividere con me le vostre opinioni, belle o brutte che siano.
Ringrazio infinitamente i miei bellissimi e sempre dolcissimi Valery's Angels, che lo scorso capitolo sono riusciti a strapparmi più di un sorriso con le loro fantastiche recensioni:
Percabeth7897, Kamala_Jackson, carrots_98, Cristy98fantasy, _Krios_, martinajsd, ChiaraJacksonStone1606 e _angiu_. E scusatemi se non sono riuscita a rispondere a tutti, ma provvederò al più presto, come sempre! Parola donore!
Ora credo sia meglio andare, anche perchè ho ancora Storia da studiare D: e poi tra meno di otto giorni esce La Casa di Ade! Devo iniziare a sclerare già da subito, altrimenti quel giorno in libreria farò scappare tutti! :')
ahahah, scherzi a parte, ora vado davvero.
Un bacione enorme, e grazie a tutti anche solo per aver scelto di leggere questa storia.
Al prossimo martedì!
Sempre Vostra,

ValeryJackson

 
  
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