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Autore: Anariel    11/11/2014    3 recensioni
Storia partecipante al concorso " ti scriverò di amicizia, di quanto sia devastante" di GioTanner.
Forze armate tedesche, in piena seconda guerra mondiale. Un soldato, sul punto di disertare, scrive l’ultima lettera a un amico e compagno d’armi, con il quale ha condiviso per anni un’opposizione segreta al regime nazista
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Monaco di Baviera, 20 ottobre 1942
 
Mio caro, carissimo Klaus!             
All’alba suonerà l’appello, ma io non risponderò.
Risponderai tu al mio posto, immaginando che io sia in ritardo nel rientrare da una delle mie solite bravate notturne.
Non questa volta, Klaus.
Chiederai di me tra i nostri commilitoni, al caffè letterario di Marienplatz, allo studio del mio amico scultore, forse persino ai deportati moldavi che lavorano alla fabbrica, ma soltanto per scoprire che questa volta non c’è nessuna ragazza che io abbia accompagnato a casa omettendo di presentarti le sue amiche, che non sono rimasto tutta la notte a suonare balli popolari russi o ad ascoltare le storie dei senzatetto ubriachi, che non ho fatto visita al ghetto per portare coperte e medicinali.
Solo allora forse comincerai a credere a questa lettera, al fatto che io me ne sia andato; e ti si gelerà il sangue nelle vene, perché, per la prima volta, sarai solo.
 
Alzerai lo sguardo sui manifesti affissi dovunque per ricordare come deve essere il perfetto soldato tedesco: intelligente, onesto e nazista; e per la prima volta ti farà davvero paura non avere nessuno con cui commentare sottovoce che al massimo si possono avere due qualità sulle tre richieste, in quanto per essere onestamente nazisti bisogna avere poco cervello, chi è intelligente può diventare nazista solo per fini molto poco onesti, e di certo una persona onesta e intelligente non sarà mai nazista. E senza di me, sarai rimasto forse l’ultimo della terza categoria.
Sarai solo in una divisa troppo stretta, a salutare una bandiera in cui non ti riconosci, ad ubbidire ad ordini che non condividi, cercando al tempo stesso di organizzare una resistenza passiva.
 
L’idea di lasciarti così mi toglie il respiro e mi annebbia la vista. L’immagine che questo specchio mi rimanda non può essere la mia. Io non sono così, Herbert, non sono uno che si tira indietro, uno che fugge, uno che abbandona gli amici. Te l’ho dimostrato infinite volte, da quando ci siamo iscritti insieme alla facoltà di Medicina a quando siamo stati inviati insieme al fronte russo. Ero con te sotto i bombardamenti e le granate, ero con te a soccorrere i feriti in prima linea davanti al fuoco nemico, ero con te nelle retrovie a tentare interventi disperati per salvare i nostri commilitoni, o più spesso a tenere loro la mano mentre morivano. Ero con te anche quando abbiamo iniziato ad uscire di nascosto dall’accampamento per incontrare e prestare assistenza medica alla popolazione locale: se ci avessero scoperti ci avrebbero fucilati per tradimento, ma ne è valsa la pena. Ricordi l’espressione di quel rabbino russo quando si è trovato davanti due soldati tedeschi in divisa, che  gli offrivano gentilmente del tabacco in cambio di una canzone tradizionale? E le ragazze che sono uscite a ballare, e i contadini che ci hanno dato ospitalità? Tra questa gente mi sono sempre sentito a casa. Quante volte ti ho detto che, quando avessi finalmente deciso di disertare, sarei andato a vivere in Russia?
E alla stessa maniera tu sei sempre stato al mio fianco, anche dopo il ritorno qui a Monaco, quando abbiamo deciso di iniziare la nostra personale resistenza contro Hitler, mi hai accompagnato alle riunioni clandestine e nelle spedizioni notturne per scrivere “Viva la libertà” sui muri. Ho speso pochi anni della mia vita con te. Ma mai codardo, mai vile, mai vigliacco sei stato nei miei confronti; abbiamo percorso insieme una strada e siamo stati uno la spalla dell’altro.
 
Ma ora questo treno corre più veloce di te. Corre lontano da questa guerra, da questo massacro inutile, da questa follia collettiva. Corre verso la libertà e un futuro di pace da costruire. Corre verso est, verso la mia amata Russia. E’ in partenza questa notte alle 03.15 dal binario 7: se indugiassi troppo nel dubbio o nel rimorso lo perderei, e non avrei mai più un’altra opportunità. Mi dispiace, Klaus, ma su questo binario le nostre strade si devono dividere definitivamente, perché io ho le carte in regola per salire sul treno, tu no.
Non mi riferisco ai documenti, ma a qualcosa che non puoi falsificare: il tuo animo da eroe. Ti conosco abbastanza bene da sapere che non potrai mai trovare la tua vera pace…Perlomeno, non via da qui, non se essa non è condivisa da tutto il tuo popolo. 
                       
Troverai il coraggio di proseguire da solo la lotta che abbiamo iniziato insieme?
Certo che lo troverai. Tra noi due sei sempre stato tu il primo a ideare iniziative folli e a lanciarti nell’azione. E se anche dovesse venire meno la tua solida audacia e spavalderia, resterebbe la disperazione a guidarti, la certezza di non poterti più limitare a  sopravvivere in un mondo disumano, ma di volere invece vivere per la libertà, con tutto te stesso, fino all’ultimo respiro, se necessario.
Per questo motivo non dubito che porterai a termine l’azione prevista per giovedì, e purtroppo neppure del fatto che rimarrai sordo al mio ultimo avviso: da quella missione non farai ritorno. E’ già abbastanza rischioso imbrattare muri di notte, ma mettersi a distribuire giornali di propaganda antigovernativa alla luce del sole è un suicidio in piena regola. Sei troppo ottimista: anche se la gente sta cominciando a interrogarsi sul senso di proseguire questa logorante guerra di conquista, non è ancora pronta per passare all’azione politica. E’ troppo presto per un gesto così decisivo, non otterrai una rivoluzione, ma un martirio. Pensaci bene: quanto ancora potresti dare al mondo e alla nostra causa! Vale davvero la pena gettare via la tua vita per ottenere in cambio un fallimento?
Mi dispiace, ma io non ho alcuna intenzione di morire con te. Non giovedì almeno, non per l’onore di un popolo che dopotutto ha voluto questo regime e ne va ancora fiero, di un popolo a cui non sento più di appartenere. Sono davvero stanco di tutto ciò. Se devo essere chiamato traditore, se devo essere catturato, voglio almeno che ciò accada alle mie regole. Ne ho diritto, e non mi interessa il tuo perdono.
 
Mi piacerebbe però, venerdì mattina, leggere i giornali e non trovare alcuna notizia al tuo riguardo.
Allora potrei proseguire la fuga con un’immensa speranza nel cuore: che tu te la sia cavata, e che forse una bella sera, tra non so quanto tempo, nel viavai dei bassifondi di non so quale villaggio di periferia, potrei essere colto di sorpresa nel sentire una mano ferma sulla spalla e una nota di rimprovero in una calda voce fraterna: “Traditore!”.
Tuo per sempre, nonostante tutto,
                                                                                                                        Herbert
  
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