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Autore: thelightonmyeyes    11/11/2014    2 recensioni
"Non lasciare che la morte o i dolori ti rubino i ricordi gioiosi.
Tieniti stretta questa tua felicità che hai conosciuto, che hai condiviso.
Non andrà mai persa."
(Pam Brown)
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Dedicato a tutte le persone insoddisfatte, che possa questo racconto aiutarvi ad andare avanti) 

L’albero davanti a me è grande e possente e ha delle foglie talmente verdi che potrebbero essere finte. Sorrido debolmente perché mi ora mi sembra che tutto sia molto tranquillo. Forse qualche anno fa non l’avrei pensata in questa maniera, ma gli anni passano e io cambio.
Dopo poco, si siede vicino a me un anziano signore, e io lo guardo fisso, incredula. Quel signore lo conosco molto bene, ed ero convinta di non poterlo più rivedere.
Mi sorride, si avvicina e mi stringe la mano come se fossimo due adolescenti. Una lacrima mi scende e so che è per la gioia immensa di poterlo rivedere dopo tutti questi anni rimasta da sola.
Continuo a guardare l’albero, che ora comincia a perdere le foglie. Il vento soffia leggermente anche se non sento freddo. Siamo immersi nel silenzio, nel silenzio più totale e vorrei che questo silenzio non finisse mai, perché questa è pace.
Mentre la mia testa ricade dolcemente sulla spalla dell’uomo seduto di fianco a me vedo avvicinarsi un ragazzo sui trent’anni, con un aspetto alquanto trasandato, rovinato anche se troppo giovane per conoscere la vera rovina. Ovviamente so chi è, e questa volta la lacrima che mi scende è per il dolore.
Lui non dovrebbe essere lì, era troppo giovane, troppo bravo, troppo buono, ma forse anche troppo debole per resistere in un modo pieno di cattiverie.
Sul suo collo si vedono ancora i segni della corda che piano piano gli ha tolto il respiro. Le mie dita, inconsapevolmente, li sfiorano cercando nella memoria l’ultimo momento in cui l’ho visto veramente felice, ma è un momento troppo lontano per potermelo ricordare.
In grembo tengo una borsetta di quelle che andavano di moda tanti, tanti anni fa, anche se non sono mai riuscita a separarmene. Con una mano tremante la apro e  dentro ci trovo solo un piccolo specchio, di quelli tascabili.
Quando mi specchio mi ritrovo a guardare una bambina, una dolce e innocente bambina dai capelli a caschetto. Non sorride, non è felice. So cosa prova, lo sento nel petto e nel corpo, un dolore forte e muto e inspiegabile. È il dolore di chi è solo, di chi è nato solo e che ha solo conosciuto la solitudine.
So che le cose cambieranno per lei, povera dolce bambina, ma so anche che per tutti gli anni per cui vivrà non dimenticherà mai quell’epoca buia e tempestosa, dove niente pareva avere un colore, un sapore, una forma. Nei suoi sogni i suoi lividi si trasformano in piccole farfalle che volano via, lontano dalla sua pelle liscia, e le persone che li hanno creati semplicemente vanno via, polverizzandosi. È tutto quello che lei sogna, è tutto quello che lei vuole. Vuole che la realtà, quando si sveglierà, si trasformi come nei suoi sogni e sa che è impossibile. Il male le penetra nella pelle, le scorre nel sangue e lei non sa cosa fare, è triste e sola, da sempre (o almeno, da quando ha memoria).
L’immagine muta, si trasforma. Al posto della bambina si vede una meravigliosa sedicenne alle prese con i problemi del liceo. Sorride, sembra felice e allegra, ma non lo è. I lividi ancora le offuscano gli occhi, glieli velano di una cortina di lacrime e la bloccano, facendola sentire ancora la bambina derisa, circondata, picchiata, emarginata che, in fondo, non aveva mai fatto del male a nessuno. Si sentiva diversa, non migliore, ma peggiore, sempre peggiore di tutto il resto, di tutti gli altri. I problemi continui, non riesce a far durare una relazione, nemmeno con le amiche. Lei sorride e va avanti e sembra sempre felice e aiuta tutti, ma non è davvero felice.
Sorrido un po’ malinconica perché so perfettamente chi sono queste persone e so anche esattamente cosa provano.
L’immagine scompare per la seconda volta e ora compare una bellissima donna, con una coda di cavallo ordinata, un casco in testa, una tuta blu con attaccati abbastanza distintivi da far capire che è una persona molto importante. Sorride, è appena tornata dall’esperienza che le cambierà la vita. I suoi occhi brillano per l’emozione, lei ha visto l’universo e le stelle e tutto quello che fino  a qualche anno prima per lei erano solo sogni che non potevano avere futuro. I flash delle macchine fotografiche dei giornalisti la illuminano di una luce diversa, sicura. Lei è sicura, ha realizzato il suo sogno, con la sua determinazione. Adesso non c’è niente che potrà mai scalfirla, perché lei è grande, è potente, più di tutti quelli che le avevano fatto del male, più di tutti quelli che le avevano riso in faccia durante il suo percorso. Lei era li e niente e nessuno poteva fermarla.
L’immagine cambia ancora, e adesso compare una bellissima donna sulla quarantina, tenuta bene, in forma. Il viso comincia a presentare qualche piccolo segno del tempo. Si vede che abbraccia due ragazzi, un bellissimo ragazzo e una bambina. Le si avvicina anche il marito.
Giro la testa, riconoscendo nell’uomo seduto vicino a me i lineamenti di quell’uomo che tanto mi rese felice. Guardo anche il ragazzo, e adesso scoppio a piangere per il dolore della perdita di quel figlio tanto amato che non doveva andarsene.
Il mio sguardo ritorna sullo specchietto. Le immagini si succedono come dei fotogrammi di un film. Adesso c’è un’anziana signora, poco più giovane di me, seduta ad un tavolo. Sta scrivendo il suo testamento, sa che dovrà morire presto perché la sua ora è giunta. Non è triste e nemmeno depressa, è solo tranquilla, perché sa che sta facendo la cosa giusta.
Ora lo specchio torna un normalissimo specchio in cui sono riflessa io. Le rughe mi solcano il viso, ad avvertimento che un giorno sei una giovane adulta e il giorno dopo ti ritrovi ad essere decrepita. Lo riposo nella borsetta e rimango lì con mio marito e mio figlio per un tempo che sembra dilatarsi fino a sembrare ore, giorni, secoli.
Poi, piano piano, mio marito si alza, e allunga la mano verso di me. Ancora non ha parlato, anche se spero di risentire presto quella voce che quel giorno mi fece innamorare e che molto spesso mi ha rassicurato nelle notte buie e tempestose.
Prendo la sua mano e la stringo come se fossimo adolescenti. Anche mio figlio si avvicina e mi cinge le spalle con un braccio.
Andiamo insieme verso un puntino che diventa sempre più grande, sempre più luminoso.
So che sto per morire, eppure non sono preoccupata o triste o spaventata. Ho vissuto la mia vita al pieno delle mie possibilità. I problemi ci sono stati, eccome, ma alla fine si sono risolti.
Ora sono in pace e potrò stare di nuovo con mio marito e mio figlio per sempre.
 

 
Fine.

 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Ciao a tutti i miei (spero tanti) lettori.
Ho avuto l’idea di questa storia circa tre settimane fa, a motoria. Stavamo facendo la corsa di riscaldamento nel parco della palestra e al centro di questo parco c’è questo grande albero solo. Ho cominciato a pensare e la storia ha preso forma da sola.
Anche  se è un bel po’ tanto triste, spero vi sia piaciuta,
un bacio,
E.

 
   
 
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