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Autore: Mark_JSmith    11/11/2014    0 recensioni
Finisco di fumare e dopo aver lanciato via la sigarette afferro il fucile con entrambe le mani e lo carico. Più mi inoltro nel bosco e più il silenzio in cui mi ritrovo mi fa sentire a casa. Ormai sono mesi che non incontro nessuno con delle notizie di quel che succede in città e tutto quel che so si basa su quanto mi veniva detto dai miei genitori e da quel che mi disse Dave, un profugo della città che incontrai mesi fa nei boschi. In parole povere: è un casino.
Per parlare di quel che è successo devo tornare con la mente a molti anni fa quando i miei discutevano sul da farsi. Da quanto ricordo dei loro discorsi la popolazione mondiale continuava a crescere e lo spazio sulla terra non bastava più per tutti. inizialmente i governi avevano pensato di colonizzare i pianeti dello spazio, ma l'idea fu bocciata per i costi eccessivi. Così i governi mondiali decisero di ricorrere ad una soluzione decisamente più drastica, il periodo che i miei genitori chiamavano col nome "Anno del Macello". In poche parole i governi avevano creato un virus che causasse la morte dei 5/7 della popolazione mondiale...
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Fino al momento in cui se ne sono andati, i miei genitori hanno provato in ogni modo possibile a farmi credere nell'esistenza di un'entità superiore la quale potesse spiegare il motivo per il quale ci troviamo in questo mondo, ma io non ci ho mai dato troppa importanza.
Per questo motivo mi sento quasi spaventato quando, riaprendo gli occhi, mi ritrovo in una stanza completamente bianca.
"Sono morto?" chiedo ad alta voce fra me e me
"No, ma ci sei andato veramente vicino" risponde una voce maschile alle mie spalle.
Faccio per voltarmi ma solo in quel momento mi rendo conto che ho le caviglie legate al pavimento, e le braccia legate al tavolo davanti a me, inoltre sono seduto e i miei vestiti non sono quelli con cui sono uscito, ma sono stati scambiati con una tuta e una maglietta grigia.
"E' un modo strano per accogliere un fuggitivo, non credi?" domando rivolto alla figura dietro di me.
L'uomo non risponde e decide finalmente di rivelarsi entrando nel mio campo visivo, indossa un'uniforme blu con vari stemmi attaccati al taschino, i capelli grigi sono rasati e tenuti in ordine, gli occhi sono nascosti da un paio di occhiali da sole molto scuri. Avrà all'incirca poco più di una quarantina di anni.
"Sei simpatico lo sai?" mi dice lui prendendo la sedia davanti a me sedendosi.
"Non sono in molti a dirmelo sai" rispondo ironicamente io.
Mi volto, per quanto mi è possibile, e esamino la stanza in cui mi trovo.
Un cubo formato pareti perfettamente bianche, ad eccezione di un muro che è formato da uno specchio, in cui vedo il mio riflesso che mi osserva. Ho gli occhi arrossati e i capelli in disordine. Quanto darei per potermi fare una doccia. In un angolo c'è un secchio vuoto, non c'è bisogno che mi spieghino a che serva..
"Ti ho fatto una domanda, rispondi!" mi dice in tono autoritario l'uomo davanti a me.
"Scusa, mi stavo facendo i cazzi miei" rispondo fissando i suoi occhiali nel punto in cui penso ci siano i suoi occhi. Non importa se gli risulto arrogante, e non mi importa nemmeno di usare espressioni volgari, in fondo Kyle era l'unico motivo che mi impediva di parlare come uno scaricatore di porto.
Kyle.
"Dov'è Kyle?" chiedo direttamente all'uomo seduto davanti a me.
"Chi?" risponde lui
"Kyle! Mio fratello, siamo arrivati assieme al vostro campo prima che voi decideste di spararmi per chissà quale cazzo di motivo"
L'uomo ride, poi con molta calma si toglie gli occhiali, rivelando due occhi marroni con delle borse sotto gli occhi. Deve essere parecchio che non si fa una sana dormita, penso.
"Abbiamo sparato ad un comico vedo" dice alzandosi ed avvicinandosi a me.
"Dov'è Kyle" chiedo di nuovo io.
L'uomo si posiziona alla mia sinistra e mi sussurra all'orecchio "Tu non hai il diritto di fare domande, stronzetto"
"DOVE CAZZO E' MIO FRATELLO" urlo colpendo il tavolo (quel poco che mi è permesso dalle catene) coi pugni.
Non mi sono mai sentito tanto in gabbia, ho perso mio fratello, non posso andare a cercarlo e uno stronzo mi sta facendo il terzo grado senza un apparente motivo dopo avermi incatenato ad un tavolo.
L'uomo accanto a me si alza con un sorrisetto e fa scrocchiare le nocche "Dovete sempre rendere tutto più difficile voi" poi mi colpisce violentemente lo zigomo con un pugno.
Il dolore si propaga a tutto il corpo e sento il sapore del sangue riempirmi la bocca. Sento montare in me la rabbia e la esprimo nell'unica maniera che mi è permessa, mi volto verso il mio "boia" e gli sputo un misto di saliva e sangue davanti alle scarpe. La macchia scarlatta sul pavimento è l'unico colore presente nella stanza candida oltre al blu della sua divisa.
L'uomo, stupito dal mio gesto, mi colpisce di nuovo nello stesso punto, ma stavolta deve avermi rotto il labbro, infatti il sangue comincia a scendere lentamente dal lato della bocca, poi tutto soddisfatto del suo lavoro torna a sedersi davanti a me, pulendosi le nocche sporche del mio sangue con un fazzoletto bianco che si macchia subito di rosso.
"Il tuo nome" gli dico cercando di non sputare sangue parlando "come diavolo ti chiami?"
"Io sono il comandante in carica di questo posto, il mio nome è Capitano David Colars, e ti conviene rivolgerti in maniera adeguata quando ti trovi a parlare con un uomo del mio rango" risponde
"Che si fotta il tuo rango" gli dico avvicinando la mia faccia alla sua, una cosa stupida da fare, infatti David mi colpisce ancora con un pugno, stavolta sul naso, che comincia a sanguinare a sua volta.
Mi volto verso lo specchio per vedere come sono ridotto.
Tutto il lato destro della mia faccia è ricoperto da un livido violaceo, un filo di sangue mi scende dall'estremità destra della bocca, e un rivolo di sangue esce anche dal naso. Ormai la t-shirt che mi hanno dato è macchiata in più punti dalle macchie del mio sangue. Avvicino il volto alle mani incatenate e provo a pulirmi per quanto posso, ma non ottengo alcun risultato se non quello di sporcarmi anche le mani.
"Tocca a te ora" mi dice David "Come ti chiami?"
Lo guardo fisso negli occhi e provo a mettermi in una posizione composta che non lasciasse trasparire il dolore, e la rabbia, che provavo.
"Matt" gli rispondo "Il mio nome è Matt"
"Il tuo cognome?"
"Non ho più un cognome"
"Come mai?" chiede
"Se volevi sapere la storia della mia vita avresti dovuto comprare la mia biografia" gli rispondo cercando di caricare d'odio quella frase.
David fa per alzarsi e io temo che possa colpirmi di nuovo, ma poi improvvisamente si ferma, guarda con aria scocciata verso lo specchio e si risiede.
"Abbiamo altri modi per farti parlare sai?"
"Meno male, cominciavo a pensare che questo posto manca di fantasia. Anche questa stanza guarda" dico facendo un cenno alla parete alle mie spalle "Io lì avrei messo un bel quadro" aggiungo
"Se non rispondi alle nostre domande andremo a chiederle a tuo fratello, ma non saremo gentili come lo siamo stati con te.."
"Bella gentilezza devo dire" lo interrompo
" ..a lui faremo sputare ogni cosa che sa su di te, e per farlo non penso che abbia bisogno di avere tutte le dita attaccate" aggiunge lui con uno sguardo che è un misto fra follia e disprezzo.
"Non oserete.. E' soltanto un bambino!" urlo di rimando io
"E allora non fare il bambino Matt e rispondi alle mie domande!" mi risponde lui alzando la voce "Prenditi le tue responsabilità! Sii uomo" aggiunge.
Vorrei continuare a fare resistenza, ma l'idea che questo pazzo possa fare a Kyle quello che ha fatto ora con me mi da il voltastomaco, e mi fa paura. A malavoglia decido che dovrò rispondere alle sue domande.
"Non mi ricordo il mio cognome, da quando i miei genitori sono scomparsi non ha più avuto importanza per me".
David sembra soddisfatto da quella risposta, e dopo qualche secondo di pausa si alza e si avvia verso la parete alle mie spalle, dove immagino ci sia la porta.
"Aspetta" il rumore dei passi di David si blocca dietro di me "Dov'è Kyle? Come sta?" chiedo.
"Lui sta bene" mi risponde "a differenza di te ha detto la verità, ed ora è libero"
Non faccio in tempo a riaprire bocca che il rumore di una porta che sbatte mi fa capire che sono tornato da solo nella stanza.
Passo qualche minuto legato al tavolo ripensando alla conversazione avvenuta poco prima, quando improvvisamente le catene si aprono sia sui polsi che sulle caviglie e vengono assorbite da un buco nel pavimento. Appena mi sono liberato del tutto mi alzo finalmente da quella sedia e mi massaggio i polsi. "Fanculo" dico osservando i tagli sui polsi provocati dalle catene. "FANCULO!" urlo stavolta colpendo con un calcio la sedia che va a colpire lo specchio-parete, crepandolo.
Per sgranchire le gambe comincio a camminare in tondo per la stanza, non so per quanto tempo sono stato bloccato ma le mie capacità motorie -fortunatamente- non ne hanno risentito.
La terza volta che ripercorro il cerchio immaginario che ho creato sul pavimento, mi accorgo che accanto alla porta, dalla quale è entrato e uscito David, qualcuno ha lasciato per terra uno zaino. Non avendo nulla da fare mi fiondo sul nuovo arrivato, curioso di saperne il contenuto. Appena prendo lo zaino noto che hanno rimosso la zip. Devono avere un'alta considerazione di me se pensano che potessi evadere utilizzando soltanto una zip dello zaino. Soffoco una risata, poi mi ricordo che sono da solo e allora comincio a ridere di gusto, lasciando uscire tutto quel mix di emozioni che provo. La risata improvvisamente diventa un singhiozzo e senza che me ne renda conto sto piangendo stringendo lo zaino come se fosse l'unica cosa che possa alleviare la mia sofferenza.
Piango per la mia casa ormai bruciata, piango per Kyle che è chissà dove "libero", piango per i miei genitori dei quali non so più nulla. Nello stesso modo improvviso in cui il mio pianto è cominciato, finisce, lasciando spazio a tutta la rabbia che mi ha causato l'incontro con David. Scaravento lo zaino contro lo specchio, che va a sbatterci violentemente riversando il suo contenuto a terra.
In preda alla rabbia sferro un pugno al muro.
Sono debole.
Sferro un altro pugno, stavolta più forte.
Non sono capace di proteggere Kyle.
Colpisco il muro ancora una volta sporcandolo con una macchia del mio stesso sangue.
Tiro un pugno al muro, stavolta più forte degli altri, e devo avere esagerato, infatti all'impatto non riesco a trattenere un urlo di dolore.
Credo di essermi lussato un paio di nocche. Saggiamente decido di smetterla e mi siedo a terra e, mentre mi massaggio la mano destra, il mio sguardo si posa sul contenuto dello zaino, ormai sparso sul pavimento. Una coperta, una maglietta pulita, una bottiglietta d'acqua e due panini avvolti da una carta trasparente. Appena vedo i panini sento i morsi della fame e mi chiedo da quanto tempo non mangio, così mi alzo e vado a recuperare ciò che è uscito dallo zaino, mettendolo in maniera ordinata sul tavolo. Come prima cosa decido di saziarmi, e mangio i due panini velocemente, accompagnati ogni tanto da qualche sorso d'acqua.
Finita la mia misera cena decido di cambiarmi la maglietta, mi da fastidio sapere che indosso qualcosa di sporco (mi da fastidio sapere che ho addosso qualcosa sporco del mio stesso sangue). Mi sfilo la vecchia t-shirt e la lancio nello stesso punto in cui si ritrova la sedia. Il mio sguardo indugia per qualche secondo sulla mia immagine riflessa nello specchio, una grossa macchia violacea mi ricopre gran parte della spalla sinistra, mi avvicino allo specchio per osservare meglio la ferita. Poco sopra la scapola c'è un segno, che ricorda quasi una puntura di un calabrone, dal quale si diramano per qualche centimetro delle venature in rilievo di color nero. Provo a toccare la puntura e subito mi maledico quando scopro che mi causa più dolore di quanto potessi immaginare. Do le spalle allo specchio e mi infilo la maglietta nuova, sempre dello stesso colore, poi prendo la coperta e mi sdraio sul pavimento dalla parte opposta della stanza, decidendo che forse mi conviene dormire per provare a riprendermi da quanto successo.
•••
"Svegliati principessina!" urla qualcuno toccandomi il fianco con lo scarpone. Apro subito gli occhi e mi metto seduto contro la parete, guardando l'uomo che ho davanti dritto negli occhi.
"Buongiorno anche te" gli rispondo mettendomi in piedi. La persona che ho davanti non è David, è molto più giovane (sarà più grande di me solo di 5-6 anni) ma ha lo stesso taglio di capelli e gli occhi color nocciola sono rivolti verso di me con la stessa espressione rabbiosa che David mi aveva dedicato ieri. Il ragazzo prende da dietro le spalle due paia di manette e me le lancia ai piedi. "Mettitele" mi ordina "Prima alle caviglie e poi ai polsi" osservo le manette per qualche secondo e poi torno a fissare quella che penso sia la mia guardia.
"Mi stai prendendo in giro?" chiedo colpendo le manette col piede facendole scivolare sul pavimento verso il soldato.
"Ho detto mettile!" dice rilanciandole verso di me e puntandomi la pistola al volto "o le cose si metteranno male" aggiunge.
"Mi aspettavo che almeno mi portaste la colazione in camera oggi, sai dopo il trattamento che mi avete riservato ieri, pensavo di non essere uno qualunque" non so perchè ma far arrabbiare queste persone mi fa sentire un po' meglio.
"Brutto figlio di putt.."
"FERMO" lo interrompe una voce alle sue spalle, qualcuno doveva essere entrato mentre noi stavamo parlando "Ha già fatto abbastanza il Capitano Colars ieri, non voglio passare tutto il giorno a medicarlo, ho altre cose da fare io"
La guardia arretra di qualche passo e si volta verso il medico "Non vuole mettersi le manette" dice
"Fa niente, lavoreremo senza" aggiunge "E ora fuori! Devo poter lavorare senza che voi due vi scanniate come cani rabbiosi"
La guardia fa esce dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle.
Nella stanza restiamo solo io e quello che, da quanto ho capito, dovrebbe essere il medico, che mi rendo conto solo ora essere una ragazza. Avrà all'incirca la stessa età della guardia, forse qualche anno in meno, i capelli neri sono raccolti in una treccia che le ricade sulla spalla sinistra, e gli occhi di un azzurro intenso, sono "nascosti" dietro ad un paio di occhiali da vista che fa risaltare i tratti delicati del volto, indossa un camice bianco che le arriva fin sopra la caviglia, e i bottoni sul colletto aperti sembrano quasi creare una scollatura sul suo seno voluminoso.
"Hai intenzione di fare cose stupide?" esordisce lei
"Come?" chiedo io
"Hai qualche strana idea?"
In effetti qualche strana idea me la sono fatta, ma non è nulla che voglio dirle così direttamente.
"No" rispondo io
"Allora" dice lei raccogliendo da terra le manette "Queste credo proprio che non ci serviranno" aggiunge facendo girare le manette un paio di volte attorno al dito e poggiandole poi sul tavolo.
Non so il motivo, ma ciò che è appena successo non sta facendo altro che ingigantire le "strane idee" che ho avuto prima.
"Togliti la maglietta" mi ordina lei
"Eh!?" rispondo io colto alla sprovvista dal suo ordine improvviso.
"Togliti la maglietta, devo vedere se sta guarendo la spalla"
Senza aggiungere alcuna risposta mi tolgo la maglietta e lei si avvicina subito, guardando il segno lasciatomi dal "comitato di accoglienza".
"Le venature in rilievo si sono ridotte.. e il punto di ingresso si sta sgonfiando.. bene bene... Ti fa male?" chiede lei schiacciando improvvisamente la puntura facendomi urlare per il dolore.
"Lo prendo come un si" aggiunge lei
"Puoi rivestirti ora".
Mi rimetto in fretta la maglietta, mentre lei prende dalle tasche del camice delle garze e delle pomate e le appoggia sul tavolo.
"Se sei d'accordo ora io comincerei col controllare la mano, poi passiamo alla faccia" dice voltandosi verso di me con della garza nella mano sinistra ed un tubetto nella destra.
"Come fate a sapere della mano?" chiedo
"Lo specchio" risponde lei indicandolo con un cenno dell testa "da una parte si può vedere dall'altra, come un vetro, ma dall'altra sembra uno specchio. Davvero non lo sapevi?"
"Non ne avevo proprio idea.." commento io
"Dammi la mano" mi ordina lei.
Allungo la mano verso di lei, che subito l'afferra lasciando cadere per terra la garza, e la osserva con attenzione "Sei fortunato, non c'è nulla di rotto, ma se fossi in te eviterei di ripetere questa esperienza, se così possiamo chiamarla" dice raccogliendo la garza da terra e cominciando a fasciarmi la mano.
"Da quanto sono qui?" chiedo
"Non posso rispondere a nessuna delle tue domande"
"Non posso nemmeno sapere il tuo nome?" ribatto io "In fondo tu sai il mio ma io non so il tuo, non lo trovi ingiusto?" domando ironicamente.
Lei soffoca una risata "Finito!" mi risponde "In un paio di ore dovrebbe ridursi il gonfiore sulle nocche ed entro due giorni sarà guarita del tutto" aggiunge raccogliendo le sue cose e andando verso la porta.
"Grazie mille.."
"Laura" mi interrompe lei "mi chiamo Laura Grass" aggiunge chiudendosi la porta alle spalle.
"Piacere di fare la tua conoscenza Laura" dico alla stanza ormai vuota.
•••
Che palle.
Non avrei mai immaginato che non aver nulla da fare tutto il giorno potesse essere così noioso. La mancanza di finestre non mi fa capire che ore sono, e peggio, non mi fa capire da quanto tempo sono rinchiuso qui dentro.
Dopo un'attesa che mi pare essere durata anni, ma ,per quanto ne so, potrebbe essere durata soltanto alcune ore, qualcuno apre la porta, ma non sono nè David nè Laura. Questa volta è un uomo, avrà una quarantina di anni, i capelli neri gli ricadono sopra gli occhi anch'essi neri, ma la cosa che più mi colpisce è la sua andatura, infatti zoppica.
L'uomo ha in mano dei fogli che appoggia sul tavolo prima di sedersi.
"Io sono il dottor Alan Fort, e se non ti dispiace avrei delle domande da farti, se non ti dispiace sederti" dice indicandomi la sedia ribaltata in fondo allo specchio-vetro incrinato.
Incuriosito dalle domande che deve farmi raccolgo la sedia e mi posiziono dall'altra parte del tavolo davanti a lui.
"Da come hai reagito con la dottoressa Grass ho capito che non sei un soggetto violento, quindi non ho il motivo di doverti chiedere di ammanettarti" mi dice sorridendo.
"Ci sta guardando qualcuno?" chiedo voltandomi verso lo specchio.
"Si, ma questa sarà una semplice chiacchierata, e se ti comporterai bene potrò rispondere ad alcune tue domande" risponde rivolgendomi un sorriso sincero, non so perchè ma quest'uomo mi ispira fiducia.
"Perchè sono qui?" gli chiedo.
Alan scoppia a ridere, poi appena smette mi fa cenno di no col dito
"Prima devo farti IO delle domande e POI risponderò alle tue" poi torna a guardare i fogli "Sei pronto?"
"Sì" rispondo io "Risponderò a qualsiasi domanda pur di avere delle risposte"
"Perfetto" commenta Alan "Ti chiami Matt giusto?"
"Sì"
"E' un soprannome? Un diminutivo di Matteo, Mattia, Mattew o altro?"
"No, è solo Matt"
"Perfetto.. E sei venuto fin qui con Sophie, una dei nostri, e Kyle giusto?"
"Sì, sono venuto qui con Sophie e mio fratello" rispondo
"Okay, okay.. Come ti senti Matt?" chiede Alan accavallando le gambe.
"In che senso?" chiedo io stupito da quella domanda
"Stai bene? Hai fame, sete, sonno e così via?"
"Sono disorientato" rispondo
"E come mai?"
"Sono rinchiusa in questa stanza da non so quanto senza nemmeno saperne il motivo"
"Sei qui dentro da tre giorni" mi corregge Alan
"Solo?"
"La concezione umana dello scorrere del tempo viene alterata quando questi non ha modo di poter accertare le sue ipotesi sull'effettivo susseguirsi del giorno e della notte" mi spiega lui recitando questa frase come se fosse una filastrocca.
"Che tipo di dottore sei, Alan? Laura prima era un medico, tu invece?" chiedo appoggiando i gomiti sul tavolo.
Alan scoppia a ridere. "Sicuramente non hai mai interagito con persone che non fossero Kyle giusto?" chiede lui "Sono uno psicologo" aggiunge
"Uno psicoche?" chiedo io confuso
"Uno psicologo, ovvero un dottore che studia la psiche dell'uomo, i suoi atteggiamenti e cose del genere, ma non sono qua a darti lezioni, quindi se vuoi potrai chiedermelo più avanti. Ora.." sfoglia qualche foglio, poi si ferma su uno con una grossa immagine in bianco e nero che lo ricopre quasi del tutto.
"Sai cos'è questa?" mi chiede porgendomi la foto.
L'immagine sembra quasi essere basata sul busto di una persona, solo che sono visibili tutte le ossa che compongono il petto e parte degli organi che ci sono dentro.
"Sembra essere un busto umano ma con disegnati sopra le ossa e gli organi" rispondo io.
"Quasi giusto" mi risponde Alan entusiasta "Questa è un'immagine a raggi X di una cassa toracica, pardon, della tua cassa toracica"
Mi sento più confuso che prima e il dottore deve essersene accorto "Te l'abbiamo fatta quando eri privo di sensi" mi chiarisce "Ora dimmi, sai cos'è questo" dice indicandomi una macchia scura sulla parte superiore del cuore.
"E' il cuore giusto?" non so se la mia è una domanda o una risposta.
"Quasi, ora dimmi" prende il foglio successivo e lo mette accanto alla mia cassa toracica "Ci sono delle differenze fra queste due?"
Osservo con attenzione i fogli. Quello a sinistra, il mio, sembra avere dimensioni maggiori rispetto a quello di destra, per il resto sono identici, tranne che quello di sinistra non ha la macchia nera sul cuore.
"Quello di sinistra" dico indicando col dito "sembra essere più piccolo del mio, quindi immagino che sia di una persona più magra"
"Altro?" mi domanda
"Bhè.. quello a destra è più pulito del mio, infatti non è sporco qui" aggiungo indicando il cuore sul dito.
"Perfetto!" esclama Alan alzandosi dalla sedia.
"Ora che te ne sei accorto posso andare avanti" dice venendo dalla mia parte del tavolo "Questa è la tua radiografia" dice mettendo una mano sulla foto di sinistra "Mentre questa è quella di Kyle" aggiunge mettendo una mano sulla destra.
"Ma la cosa importante che volevo notassi è questa" prende la mia foto dal tavolo e fa un cerchio col dito sopra la macchia nera.
"Questo, non è una macchia, è un dispositivo che tu hai, mentre Kyle no"
"Aspetta! Un dispositivo sul cuore? Com'è possibile!?" senza rendermene conto mi sono alzato dalla sedia e sono arretrato di qualche passo, lontano dal tavolo, lontano da quella foto che, da quanto dice, dimostra che qualcuno mi ha installato un dispositivo sul cuore.
"Matt calmati" mi dice Alan, il suo tono è calmo e pacato, ma non riesco a calmarmi.
"Calmati un cazzo Alan! Cos'è quella roba" urlo indicando la foto che lui tiene ancora in mano.
"Questo" mi dice lui alzando la voce per coprire la mia "E' il motivo per il quale sei rinchiuso qui! Questo è il motivo per cui ti hanno sedato prima che entrassi! Questo è il motivo per il quale nessuno qui si fida di te!" appena smette di urlare il silenzio cala nella stanza per qualche secondo.
"Questo è un Tèlos!" aggiunge.
"E i Tèlos sono presenti solo nelle persone che vengono dalla città!"
   
 
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