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Autore: imnotadirectioner    12/11/2014    1 recensioni
- all I need's a whisper in a world that only shouts.
__________
In fondo Dillon non ha mai avuto nulla, quindi non è che gli rimanga molto da perdere.
[...]
E poi è arrivata Gemma e Dillon la vuole, dannazione. La vuole come non ha mai voluto nient’altro.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“’Giorno, Winston Blue, per favore”
Dillon alza lo sguardo di scatto, poi si dà del coglione. Passa le sigarette alla ragazza bionda ossigenata di fronte a lui, prende i soldi, saluta e torna a sbuffare nel suo angolo.
“Buon Dio, ragazzo, si può sapere che hai?”
E’ tutta la mattina che Lydia lo tartassa di domande e non è proprio il massimo dato il dopo sbronza che gli sta stritolando il cervello. 
“Niente, Ly. Ho bevuto troppo ieri sera.”
“E’ per tua madre? – domanda la donna, prima di rendersi conto di aver toccato un argomento tabù e diventare rossa quasi quanto i propri capelli – Mi dispiace, caro, è solo che mi sembri giù, e...”
“Sto bene” risponde Dillon, forse un po’ troppo bruscamente perché Lydia non dice più una parola e si allontana per andare a riordinare il reparto surgelati.
Lui sbuffa per l’ennesima volta. Sa di non essere stato gentile, per un attimo vorrebbe andare a scusarsi con lei, ma Dillon non è fatto così. L’unica volta in cui si è scusato con qualcuno è stato con Thomas, dopo avergli spaccato il labbro una sera che era talmente fatto da non capire nemmeno più chi erano gli amici e chi i nemici. Non riesce a chiedere scusa al resto della gente e di solito è perché non gliene importa abbastanza, quindi l’unica cosa che sente di poter fare è starsene lì seduto dietro la cassa a dispiacersi per come ha trattato Lydia ma senza l’intenzione di alzare il culo per andare a rimediare. Capirà – si dice tra sé – Lydia capisce sempre.

Già, come ha capito che Dillon ha qualcosa che non va quando nemmeno lui vuole ammetterlo a se stesso.
Sono cinque giorni che è irritabile – più del solito s’intende -, cinque giorni che ha il dopo sbronza, cinque sere che si beve il fegato davanti alla tv. Cinque giorni in cui ha sobbalzato e alzato lo sguardo di scatto ogni volta in cui una voce femminile chiedeva delle Winston Blue. Fino a cinque giorni fa a malapena guardava chi gli capitava davanti e ora all’improvviso tutto il mondo ha deciso di fumare quella marca di sigarette. E lui ogni volta ci spera, ogni volta cerca quegli occhi marroni, e ogni volta resta deluso per poi darsi del coglione; perché lui non è fatto così e questa situazione non gli va affatto a genio.
Gemma non gli va a genio. Lei e il suo sguardo di sfida, il suo dito medio alzato nella sua direzione, il primo vero rifiuto che Dillon abbia mai ricevuto da una ragazza dai tempi dell’asilo. Ed è stupido – si ripete – continuare a pensarci, avere i pensieri costantemente impigliati su di lei, a rimuginare i motivi che l’hanno spinta a reagire in quel modo e cosa avrebbe dovuto o potuto fare lui per evitare quel fine serata troncato di netto sul più bello. È stupido, lo sa, ma sono cinque giorni che Dillon non fa altro che analizzare i ricordi di quella sera ed è questo più di tutto il resto a renderlo così irritabile e di malumore.

“Ho chiesto le Rothmans blu, non le Winston.”
Dillon sbatte le palpebre e fissa il muratore ricoperto di polvere di fronte a sé. Poi ricollega il cervello e cambia le sigarette sul banco.
Fanculo’ è tutto quello che si concede di pensare.



Sono le 8 e finalmente Dillon esce dalle porte automatiche di Tesco, respira l’aria fresca di pioggia che c’è fuori e saluta Thomas con una pacca sulla spalla.
L’amico è appoggiato al palo della luce, sta digitando rabbiosamente sul telefono e non c’è bisogno di sbirciare per intuire che è l’ennesima litigata con Louise a renderlo così nervoso.
“Qual è il problema stavolta?”
“E’ quello che sto cercando di capire, cazzo” sbotta Thomas, bloccando il telefono e infilandolo nella tasca del giubbino.
“Pub?”
E non c’è altro da aggiungere.

Il Barn Owl non è esattamente il pub preferito di Dillon - più che altro perché è proprio attaccato a Tesco – ma nessuno dei due ha voglia di allontanarsi troppo da casa, Dillon è stanco e Thomas non è il massimo alla guida quando è impegnato a litigare con Louise via messaggio, quindi la scelta è molto ristretta.
Entrano e si stravaccano sul primo tavolo libero che vedono.
“Oh, e dai! – sbuffa Thomas fissando ancora il telefono – E’ per quello?”
“Cosa?”
Thomas blocca il proprio iPhone e lo lancia sul tavolo, butta la schiena all’indietro e incrocia le braccia al petto. “Non ne posso più, ora mi rompe le palle anche se gioco all’Xbox quando torno da lavoro...”
“E’ una donna – dice Dillon, con il tono di chi sta sottolineando l’ovvio – Che ti aspetti?”
“Una Foster ghiacciata, ecco cosa mi aspetto” e detto ciò si alza per andare al bancone ad ordinare per entrambi. 
Dillon si appoggia allo schienale del divanetto, le mani infilate in tasca si guarda attorno annoiato. 
Deve di nuovo pulire casa, è tornata ad essere uno schifo indecente e lui si è ripromesso anni fa che non avrebbe più vissuto come un animale solo perché sua madre è troppo pigra per prendere uno straccio in mano. Deve anche ricordarsi le bollette o rischia di nuovo che gli stacchino la corrente; ma non c’è problema, ha venduto praticamente tutta la cocaina e l’MDMA e gran parte dell’erba che aveva da parte, quindi almeno per un paio di mesi dovrebbe essere a posto.
Sua mamma è entrata di nuovo in una fase più o meno serena, ogni tanto si sposta dal letto al divano in salotto. Non che faccia molta differenza, continua per lo più a fumare e guardare la tv, ma del resto Dillon non si aspetta nulla di diverso. Continua a comprarle le sigarette, a cucinarle qualche pasto ogni tanto, a non riuscire a guardarla negli occhi certe volte e a incazzarsi con lei il resto del tempo.
Sospira guardando fuori dalla finestra.
Un paio di uomini stanno in piedi vicino alla porta sul retro, fumano e parlano agitando i propri boccali di birra. Un gatto bianco e nero è balzato sulla staccionata di legno che recinta il giardino con i tavoli rotondi del Barn Owl, zampetta in equilibrio perfetto e poi sparisce con un balzo nell’oscurità. C’è una ragazza seduta all’ultimo tavolo nell’angolo di destra, raggomitolata in un cappotto enorme, che legge un libro alla luce arancione del lampione sulla strada lì di fronte. Dillon si sofferma su di lei e sospira di nuovo. Non riesce a impedirsi di pensare che la tipa gli ricorda molto Gemma.
Thomas è tornato e gli appoggia una pinta di Foster davanti, ma Dillon non ci fa nemmeno caso. La ragazza là fuori legge e fuma, il viso appena visibile tra la cuffia nera calcata sulla testa e una pesante sciarpa grigia a coprirle il resto della faccia. C’è qualcosa nel suo modo di tenere la sigaretta che a Dillon risulta familiare.
“... Di? Mi stai ascoltando?”
Dillon sbatte le palpebre e torna a guardare Thomas, quasi sorpreso di trovarselo davanti. “Eh?, certo, certo...”
Ma l’attimo dopo è di nuovo concentrato sulla ragazza là fuori e ora sa perché. Lei si è appena voltata un poco nella sua direzione per bere un sorso della birra che ha poggiata di fianco a sé sul tavolo e prima di rendersene conto Dillon è balzato in piedi.
“Ma che cazz...”
“Scusa, amico, torno subito... sigaretta...” mugugna, avviandosi alla porta che dà sul retro, lasciandosi alle spalle un Thomas alquanto confuso. Esce in giardino senza staccare gli occhi dalla figura raggomitolata in quel cappotto troppo grande, si fa da parte per lasciar passare i due uomini di prima che hanno finito le loro sigarette e ora stanno rientrando, e si avvicina lentamente alla ragazza.
Gemma è talmente assorta nella lettura che non sente i passi alle sue spalle, come al solito il mondo potrebbe andare a fuoco che lei non se ne renderebbe conto. È solo dopo un minuto buono che si accorge della presenza silenziosa dietro di sé e si volta di scatto con un sobbalzo.
“Mi hai spaventa!... Oh – si blocca poi – sei tu.”
“Già.”
Dillon non sa cosa fare, improvvisamente prende coscienza del fatto che la sua mente è completamente vuota, sa di non sapere cosa dirle e nemmeno sa spiegarsi perché si sia avvicinato a lei dopo il modo tutt’altro che amichevole in cui si sono lasciati sabato sera. Che ci sta facendo lì fuori?, dovrebbe essere dentro a scolarsi la prima pinta della serata con Tom, che ci fa qui con...
“Gemma” dice alla fine.
Lei alza un sopracciglio. “Vedo che ti ricordi il mio nome” risponde sarcastica.
Lui annuisce. “Come stai?”
Lei lo guarda incredula ed esasperata. “Da non crederci” borbotta, mentre chiude di scatto il libro e inizia a raccattare il pacchetto di sigarette e l’accendino sparsi sul tavolo.
“Dove vai?” e Dillon si chiede disperato quanto ancora durerà questa paralisi cerebrale che gli impedisce di elaborare delle frasi appropriate alla situazione anziché il paio di domande fuori luogo che ha tirato fuori fino ad ora.
“A casa – lo informa Gemma, infilando il libro in borsa – Tanto avevo finito.”
“Hai ancora della birra nel...” ma non fa in tempo a finire la frase che lei si è scolata il resto del bicchiere.
“Bé, allora ci vediamo, eh.”
“Aspetta!”
Dillon fa un respiro profondo e vorrebbe che il suo cervello tornasse a funzionare. Vorrebbe che lei non lo guardasse con quello sguardo pieno di disprezzo, vorrebbe tornarsene dentro che qui fuori si gela, vorrebbe che nella sua voce non si fosse sentita chiara e forte quella nota di disperazione che la pregava di non andarsene.
Lei lo guarda in attesa. “Allora?”
“Solo... Aspetta un attimo.”
“Sto aspettando, Dillon.”
“Scusami.”
E l’attimo dopo averlo detto gli viene quasi da ridere, perché è una parola che difficilmente esce dalle sue labbra. Lei lo fissa indecisa e non lo sa che delle scuse spontanee da parte di Dillon Thorley non sono roba da tutti i giorni, però resta lì ferma lo stesso, in attesa di un seguito.
“Esattamente per cosa dovrei scusarti?” domanda alla fine.
“Per... per essere stato un cazzone l’altra sera” sputa fuori lui e gli ci vuole qualche secondo prima di capire che per la prima volta in vita sua non si sente debole ad ammettere i propri sbagli ad alta voce.
Gemma sbuffa alzando gli occhi al cielo. “Cazzone è riduttivo” dice. Poi però il suo sguardo si incastra in quello azzurro ghiaccio di Dillon e sente una stretta al cuore, e – dannazione! – se lui non fosse così carino forse sarebbe più semplice mandarlo a cagare una seconda volta...
“Non ti preoccupare - dice alla fine – E’ acqua passata.”
“Davvero?” domanda Dillon sorpreso.
Lei annuisce. “Bé, allora buona serata...”
“Aspetta!”
Di nuovo Dillon ha parlato prima di pensare e ora non sa come continuare. Aspetta perché?, aspetta che cosa?, non lo sa, sa solo che non vuole che lei se ne vada.
“Cosa?” chiede Gemma e sbuffa spazientita. Inizia a farla innervosire il fatto che lui se ne stia lì imbambolato a fissarla senza spiccicare...
“Cosa?” domanda ancora, perché Dillon ha mormorato qualcosa ma a voce talmente bassa che non è riuscita ad afferrare le parole.
“Il mio amico Thomas – ripete lui un po’ più forte – E’ dentro con la mia birra.”
Gemma alza di nuovo un sopracciglio e non sa decidere se lui la sta prendendo giro o è davvero un po’ tardo. “Buon per te. Vai a berla, allora.”
“Ti va di unirti a noi? Non è come pensi – aggiunge Dillon frettoloso, interpretando l’espressione di lei – Non sto cercando di provarci. È solo che sei simpatica e vorrei farmi perdonare per sabato sera offrendoti una pinta.”
Lei ci pensa su, non è sicura che lui sia sincero. Però non ha nemmeno voglia di tornare a casa così presto e in fondo non conosce ancora nessuno nell’area, questa potrebbe essere una buona occasione per iniziare a farsi amici nel quartiere.
“D’accordo – acconsente alla fine – Solo una pinta, però.”


'La pinta' è diventata 'due pinte' e infine 'quattro pinte'; il cervello di Dillon funziona di nuovo correttamente, Thomas non sta più pensando a Louise e Gemma è più ubriaca di quanto voglia ammettere.
Sono le 10.30, il pub si è riempito di gente, intorno al loro tavolo c’è un continuo via vai di gente che esce a fumare e camerieri con piatti fumanti di agnello e patatine.
Gemma indossa un maglioncino bordeaux che la fascia aderente e le sta infinitamente meglio del cappotto pesante di prima. Dillon si era quasi dimenticato quanto gli piace la sua risata e il marrone caldo dei suoi occhi. Le sbircia un paio di volte il seno e quando lei si alza per andare ad ordinare un quarto giro ringrazia che nessuno possa leggergli nel pensiero mentre la guarda camminare fino al bancone.
“Ehi, è davvero simpatica – osserva Thomas, sporgendosi verso l’amico – E molto carina. Hai intenzione di...?”
Dillon scuote la testa. “Ci ho già provato. Niente da fare.”
Thomas sembra impressionato. “Questo che è interessante” dice e sembra rifletterci seriamente. “Bé – conclude alla fine – Vorrà dire che se la prenderà qualcun altro.”
“Suppongo di sì” commenta Dillon, cercando di nascondere il moto di fastidio che gli ha stritolato le budella al solo pensiero che qualche coglione tipo Rich possa avvicinarsi a Gemma e provarci. 
Thomas lo guarda attraverso il bicchiere vuoto mentre scola le ultime gocce della propria Foster. Dillon non è mai riuscito a capire il motivo per cui lui si intestardisce così tanto a far funzionare le cose con Louise perché non ha mai avuto paura di perdere qualcuno. E Thomas sorride dietro il boccale perché ha la sensazione che questo sia sul punto di cambiare per sempre.



Salve a tutti (?)
posto di frettissima il nuovo capitolo e ringrazio tutti quanti perché le visite aumentano ogni giorno anche se questa storia non ha né capo né coda.

 
xxx

   
 
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