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Autore: PaladinaBianca    12/11/2014    0 recensioni
Questa è una di quelle storie che vorreste leggere in soffitta.
Immersi nel silenzio, una tazza da tè in mano; fuori piove.
Nell'aria profumo d'incenso, intorno a voi candele accese.
Tossicchiate per la polvere e continuate a leggere, sorridendo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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D(r)ied.


A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri.
Stanno su per anni, poi senza che accada nulla,
ma nulla dico, fran, giù, cadono.
(...)
Non c'è una ragione.

(A. Baricco - Novecento)



Quel vagone solitario, nel dimenticatoio che era il vecchio magazzino, aveva molte storie da raccontare.
Storie sepolte nel tempo, incastrate tra biglietti scaduti e sedili rattoppati. 
Favole dalle pagine imbevute d'olio, immerse fra cigolii spenti e malinconici. 
Racconti brevi, poche frasi accartocciate l'una sull'altra, sacchetti di patatine ormai vuoti, gettati al vento.
Leggende racchiuse in quel mondo infinito, vicino ed irraggiungibile, celato al di là di ogni finestrino; dietro quei vetri incrostati.
Storie, dicevo. Storie di quelle ultime corse nel vento d'estate; e di quella fine, che fanno in tanti, invischiati nell'inutilità.
La fine di chi smette di correre. Di chi appende al chiodo tutte le faticose conquiste di una vita.
Piccole vittorie, ormai distanti; relegate in un passato da chiudere per sempre in soffitta.
La fine di chi subisce gli sguardi compassionevoli dei giovani, sospesi tra il dovere di andare avanti ed il senso di colpa.
Quel vagone solitario, nel dimenticatoio che era il vecchio magazzino, era destinato alla rottamazione.
La morte immobile di un pezzo di metallo, in bilico sul filo del tempo, si attardava in quell'antro polveroso.


C'è chi smette di correre, e chi non ha la forza per iniziare a camminare.
Lei non aveva primi passi da ricordare; sorrisi di genitori ai suoi primi gattoni. 
Fino a quel momento, si era abbandonata al volo; il suo rifugio instabile. 
L'avevano vista in molti, nella gabbia di quella sua cosciente fermezza.
In molti l'avevano guardata da lontano; molti occhi si erano soffermati sulla sua pelle.
Così pallida, senza rughe; così immobile, intoccabile.
Una bambola di porcellana, vitrea. Il suo respiro impercettibile aveva l'intensità di un uragano.
Il mondo sopravviveva intorno a lei, senza sfiorarla. 
Come l'istante sospeso di una giravolta, il fiato trattenuto del pubblico pagante. 
In quel giramento della testa della vita, lei aveva paura.
Al centro delle esistenze di chi incontrava; vi entrava di prepotenza, involontariamente.
E cambiava le parsone.
Donava le parole giuste, il coraggio di chiedere scusa, e la voglia di deglutire il rospo. 
Incantati dal suo sguardo, gli spettatori l'ammiravano di sfuggita.
Su quel treno cigolante, madido di biglietti scaduti, che correva nel vento d'estate.
Il moto perpetuo di una trottola intorno al suo asse; quell'asse che sai che c'è, eppure non lo vedi.
Quell'asse che percepisci, che deve trovarsi al suo posto; ma che, in fondo, un posto fisso non ce l'ha. 
Ed era dietro il finestrino, nascosto nel mare, che lo sguardo di lei si perdeva.


Triste e sola; abbandonata.
Doveva sentirsi così, quella ragazza dagli occhi spenti.
Eppure sei così bella.
Dovevano averlo pensato in molti, tra i pendolari ed i viaggiatori occasionali.
Quel corpicino esile, che tentava invano di sprofondare completamente nel sedile consunto.
E quei capelli mossi, guidati dal vento, unico movimento consentito in quello spazio congelato.
Il gelo di un'anima sola, incompresa, alla ricerca di se stessa.
Un diario aperto sulle ginocchia, scritto fitto; il ricordo di un fiore, essiccato fra le pagine ingiallite.
E, nella testa, sempre le stesse parole; sussurrate in quel pomeriggio d'aprile, all'alba dei suoi diciott'anni. 


Dovresti guardare al futuro, piccola mia.
Perché il passato è una candela spenta; solo cera. 
Ma se tu ancora vedi quell'alone di fumo, perdersi nell'aria.
E ci leggi una vita, lì dentro; passi affrettati, strade sbagliate.
Come puoi sperare di riuscire a partire?
Pensare di ricominciare a vivere, senza aver dimenticato la morte?
Quel passato che hai spento, forse non se n'è andato.
E se non l'ha fatto, sai, allora non è mai stato tale.
Hai soffiato tu verso quella fiamma?
O è stata la vita, ingrata, a strapparti un presente ammaccato dalle mani?
Ti senti vuota; senti il dolore crescere, dirompente, nel tuo petto.



E lei lo sentiva ancora, questo peso.
Anche ora che era tardi; fuori era buio, e la luna non c'era.
Soltanto nubi scure, mangiatrici di stelle.
In quel magazzino, il legno del tetto era ormai marcio. 
Due travi cadute, un lucernario artigianale; nascosto nel finestrino, tutto il suo mondo.
Non era mai scesa da quel treno.
Un treno che aveva girato il mondo intero, senza mai partire.
I suoi occhi spenti avevano visto valli, colline, praterie; e quel mare, scuro.
Avevano conosciuto uomini d'affari e madri disperate.
Avevano assistito al corso della vita, senza esserne coinvolti direttamente.
Non invecchia l'uomo che non sopravvive alla vita.
Eppure, di partire, non se n'era mai parlato.
In quella sera di settembre, qualcosa stava cambiando.


Perché partire, piccola mia; sai quanto coraggio ci vuole a compiere un passo?
Sai quanta forza di volontà accompagna la decisione di solcare un frammento di universo?
Partire non significa dimenticare il passato.
Partire significa guardarlo in faccia, sorridergli, e smettere di guardarlo vivere.
Significa accettare di aver sbagliato strada.
Significa accoglierlo come un presente da abbandonare; come una strada chiusa.
Finché lo sentirai vicino, significa che non sarà ancora passato.
Avrai lasciato aperta una porta, in fondo al tuo cuore; una speranza flebile.
Leggera come la fiamma di quella candela che mai hai avuto la volontà di spegnere.



Era tempo di spegnere la candela.
Una ragazza scendeva da un vecchio treno, quella notte.
Aveva vissuto mille anni in un minuto; e li aveva condensati in quel diario.
Volti, voci, pensieri; l'incessante confusione tornò a riempirle il cervello.
Riprendeva a trascinarla con sé, il fiume della vita.
Chiuse il diario, gettò il fiore da parte; salutò il vecchio, cigolante, amico di un tempo.
E decise di prenderne uno vero, di treno.
Una ragazza saliva su un vagone solitario, quello notte.
Piccolo, confortevole; che avrebbe avuto molte storie da raccontare.
Un sorriso sul viso, perso nel cielo autunnale, incatenato al vetro del finestrino.


Ed una stella tornò visibile, nel cielo. 
   
 
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