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Autore: difficileignorarti    13/11/2014    1 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India, magari sarebbe stato meglio.

La sua routine era molto diversa da quella che aveva quando Emmeline lo aveva lasciato in ospedale, quasi un anno prima: si alzava, beveva caffè (sempre se gli andava di prepararlo), altrimenti beveva birra, sì anche di prima mattina, fumava, andava al lavoro, si infischiava degli sguardi insistenti, fastidiosi e maliziosi che le clienti del negozio gli lanciavano, mangiava quel che  capitava, fumava, tornava al lavoro, fumava, tornava a casa, usciva, andava per locali, fumava, e non si parla di sigarette qui, tornava a casa in qualche modo e si buttava a letto, ma non dormiva, no, non ci riusciva proprio, perchè gli occhi e il viso di Emmeline erano li, pronti a tormentarlo, a dirgli che quello che stava facendo era più che sbagliato.

Era arrivato a fumare più di un pacchetto di sigarette al giorno, quasi due.

Si appoggiò alla ringhiera della terrazza, evitando che la luce del Sole potesse entrare a contatto con i suoi occhi: non la sopportava, voleva solo il buio, ma non ne poteva più di stare in quella camera da letto.

Era troppo vuota e troppo piena di ricordi.

«Non ti ho sentito tornare ieri sera» la voce di Georg gli arrivò alle orecchie, forte e chiara, facendolo spaventare a morte. «Che cazzo!» si lamentò. «Era praticamente pieno il pacchetto prima!» disse riferendosi alle sigarette, accigliandosi per un momento. «Te le sei fumate tutte?» domandò esterrefatto e lanciò uno sguardo al posacenere accanto al moro, sospirando, poi, pesantemente.

Scosse la testa, incredulo, e forse non era nemmeno l’aggettivo giusto: Tom, il vecchio Tom, non avrebbe mai fumato una decina di sigarette nel giro di poche ore.

«Che ti prende amico? Sono arrivato qui ieri e ti riconosco a malapena» aggiunse, sperando di ricevere almeno un’occhiata da parte del moro  che, però, non arrivò. «E poi si può sapere, dove diavolo è Emmeline?» chiese e al suono di quel nome, Tom scattò, rivelando, così, l’aspetto pietoso e disastroso, spostando rumorosamente la sedia, che strisciò sul pavimento.

Per colpa del movimento brusco e improvviso, il posacenere e la tazza di caffè caddero, frantumandosi in mille pezzetti, un po’ come il cuore di Tom, e sporcando ovunque sul balcone.

Georg sgranò gli occhi alla vista dell’amico: era completamente sfatto, sciupato, diverso, gli occhi rossi e languidi, le pupille dilatate, le occhiaie profonde e violacee; stentava davvero a riconoscerlo.

Chi diavolo era il ragazzo che aveva davanti?

Spostò lo sguardo su tutto il suo corpo, cercando di trovare qualche segnale, positivo o negativo, ma sembrava normale, ma sicuro che si fosse fumato qualcosa nella serata precedente, e chissà a che ora fosse tornato.

«Tom, ma di cosa diavolo ti sei fatto?» mormorò, sconvolto.

Il moro aveva i pugni chiusi lungo i fianchi, le nocche bianche, una brutta, bruttissima cera, gli sembrava di essere tornato indietro negli anni, quando era un cazzone, che andava in giro a fare a botte, prima di incontrare Emmeline, e forse era quello il problema, l’assenza della ragazza.

«Non dire di nuovo il suo nome» mormorò Tom senza nessun sentimento nella voce, facendo preoccupare Georg. «La mia vita non è affar tuo, per cui non fare domande, perché non sono in vena» sbottò, lanciandogli un’occhiataccia.

Georg aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse, senza saper cosa dire, o forse non voleva dire niente, perché non voleva beccarsi un pugno in faccia, Tom era troppo prevedibile: senza Emmeline, Tom era una bomba ad orologeria, pronta a scattare ed esplodere in ogni momento possibile, proprio com’era quando erano al liceo.

«Tom, tu hai bisogno di aiuto, non puoi cadere nel baratro, non di nuovo» sussurrò lui, senza avvicinarsi, non voleva rischiare.

«Ah no?» sbottò il moro, arrabbiandosi ulteriormente. «Emmeline non è qui, se n’è andata, mi ha abbandonato, non mi ha dato spiegazioni!» scattò, urlando in faccia a quel povero Georg che non sapeva come aiutarlo. «Lei è la mia ancóra e senza di lei sono destinato a sprofondare» continuò, asciugandosi rabbiosamente le lacrime che avevano cominciato a scendere. «Mi ha restituito gli anelli, quindi sono solo, di nuovo» crollò sul pavimento, in un pianto disperato, non preoccupandosi di come sarebbe potuto sembrare agli occhi di Georg, si sentiva nudo, ma non gli interessava, quelli erano i suoi sentimenti, la sua rabbia, e doveva, in un modo o nell’altro, esternarli.

Georg s’inginocchiò al suo fianco, stringendolo in un abbraccio amichevole, che Tom ricambiò un po’ goffamente.

Doveva chiamare Emmeline, doveva sapere perché avesse deciso di abbandonarlo in quel modo, di nuovo, proprio quando aveva bisogno di lei, dopo che la loro bambina era stata rapita.


 
***


Quando aveva buttato le lunghe ciocche dei suoi capelli nel cestino, si era pentita amaramente di averli tagliati, si sentiva stupida, perché inizialmente pensava fosse una buona idea, ma in realtà si era rivelata una puttanata di prima classe.

Si osservava allo specchio continuamente, tanto non aveva molto da fare, a parte aspettare che Liam si facesse vivo: voleva rivedere la sua bambina, voleva riabbracciarla, ne aveva bisogno.

Cosa poteva volere da lei? Non li aveva già fatti soffrire abbastanza? Perché doveva continuare con quella tortura?

Sospirò, ripensando al messaggio che Tom le aveva scritto due giorni prima, chiedendole di tornare a casa, da lui: si pentiva di non avergli risposto, ma si sentiva in dovere di non farlo, voleva provare a combattere quella battaglia da sola, ma sapeva bene che non l’avrebbe vinta senza l’aiuto di qualcuno.

Quando il telefono alla sua destra vibrò, cacciò un urlo strozzato per lo spavento, e la saliva le venne a mancare quando lesse il mittente di quella chiamata: Georg.

Lo prese con mano tremante e pigiò sul tastino verde, rompendo una delle promesse che si era fatta: non rispondere a nessuna chiamata.

«Lo so che mi stai ascoltando, Emmeline» la voce arrabbiata, ferita e preoccupata del ragazzo, le arrivò dritta alle orecchie ancor prima di poter dire qualcosa. «Perché te ne sei andata?» le chiese e la mora si morse il labbro inferiore, non rispondendo. «Emmeline, non vuoi parlarmi? Bene, allora vorrà dire che mi ascolterai e vedi di aprire bene le orecchie» la minacciò, e lo sentì imprecare un momento, prima di udire un altro rumore e un suo sospiro. «Tom non vuole che ti cerchi o che ti chiami, non vuole che ti dica che sta male, che sta cadendo in un baratro e non riuscirà ad uscirne questa volta, te lo dico io» il respirò si bloccò, e sentì un macigno enorme all’altezza della bocca dello stomaco. «Ha ripreso a bere e, solo Dio sa di cosa si fa quando sta fuori casa» a quelle parole la ragazza sgranò gli occhi: non poteva credere alle sue orecchie e un piccolo singhiozzo lasciò le sue labbra. «Ho controllato, non ha buchi sulle braccia, ma chi mi dice che non sniffi cocaina? Oppure potrebbe fumarsi semplicemente dell’erba o della marjuana» lo sentì sospirare di nuovo. «Emmeline, torna a casa ti prego, fallo per lui, ha un dannato bisogno di te!» sbottò poi, concludendo quel discorso, aspettando, probabilmente, una sua risposta.

Emmeline lasciò che le lacrime salate cominciassero a segnare il suo viso.

«Non posso, Georg, non posso tornare» mormorò in modo strozzato, chiudendo la telefonata.

Si lasciò andare in un pianto disperato, appoggiandosi al lavandino del bagno, aveva bisogno di sfogarsi e, sicuramente, non pensava di piangere e soffrire per la maggior parte del tempo, non pensava che potesse essere così difficile.

Non poteva davvero credere alle parole di Georg, non poteva credere che Tom si facesse di qualcosa, non poteva davvero credere che la disperazione lo aveva portato a cercare aiuto nell’alcol e, peggio!, addirittura, nella droga: no, non poteva davvero pensare che facesse uso di qualche sostanza stupefacente.

Era colpa sua? Sì, e la sentiva, la colpa, che stava divorando il suo stomaco, ed era orribile.

Le veniva da vomitare e lo fece, non si trattenne, perché avrebbe dovuto.

Si guardò allo specchio un’ultima volta, dopo essersi sciacquata la bocca, e avrebbe preferito morire piuttosto che vedere la sua immagine riflessa in quel pezzo di vetro, perché non era lei, non si riconosceva.

Quando uscì dal bagno, per poco non cacciò un urlo, che anche in Giappone l’avrebbero sentita, ma, forse, pensandoci bene, avrebbe preferito morire d’infarto: Liam era seduto, tranquillo e beato e con un sorrisino idiota sulle labbra, sulla poltrona scadente accanto al letto.

L’espressione del ragazzo mutò radicalmente non appena vide Emmeline e il suo stato pietoso, così si alzò velocemente, avvicinandosi a lei.

«Che ti è successo?» le chiese, prendendole il volto tra le mani, e alla mora le parve quasi preoccupato. «Che hai fatto ai capelli? E perché stai piangendo?» continuò con il suo interrogatorio.

La giovane si liberò velocemente del suo tocco e delle sue mani, lasciandosi cadere sul bordo del letto, sfinita e distrutta.

«È una domanda retorica, Liam?» mormorò piano, senza guardarlo in faccia, fissando un punto indefinito sotto di lei. «Perché piango? Credo che la maggior parte della colpa sia tua, come sempre» continuò, cominciando a giocare con le sue dita. «Mi stai distruggendo, hai preso la mia vita, la mia esistenza e la stai accartocciando, strappandola in mille pezzi» alzò lo sguardo su di lui e lo vide con le sopracciglia aggrottate. «Mi hai sempre detto che mi amavi, che volevi vedermi felice, che avresti fatto di tutto per vedermi così, e allora perché mi stai uccidendo?» soffiò, fissandolo, anche se per colpa delle lacrime che scendevano incontrollate, non vedeva molto.

«Emmeline, io…» si bloccò, passandosi una mano tra i capelli e sedendosi sul pavimento, davanti a lei. «Volevo e voglio che tu sia felice con me, e basta» disse semplicemente, alzando le spalle: ogni traccia di rabbia, odio, cattiveria, sembrava sparita dai suoi occhi. «Lo vedo che soffri, e lo so che sono io la causa» il biondo deglutì, chiudendo gli occhi un momento. «Lo so che vorresti essere a casa tua, a Los Angeles, al caldo, a festeggiare il Natale, con il tuo fidanzato e vostra figlia, lo so, ma sono troppo egoista per permettertelo» la ragazza, riabbassò lo sguardo, non voleva più guardarlo in faccia.

«Sono stanca, Liam, di tutto, di questa situazione» borbottò, asciugandosi le lacrime in malo modo, sotto lo sguardo attento del ragazzo. «Hai cercato di uccidere Tom, di portarmi via l’uomo che amo, sei finito in carcere, ti hanno dato una misera pena, sei evaso e hai rapito mia figlia, a solo un giorno dalla nascita» ricominciò a piangere, ripensando al viso dolce e innocento della sua piccola Arabella e si alzò, cominciando a riprovare quell’odio e quel disprezzo nei confronti di Liam. «Come puoi essere così cattivo? È come se me l’avessi strappata dalle braccia, mi hai portato via la mia fonte di gioia, la mia vita!» urlò, e nel momento in cui lui si alzò di nuovo in piedi, Emmeline cominciò a prenderlo a pugni sul petto, liberandosi però della sua stretta, ogni volta che cercava di stringerla. «Tu devi morirci in quel carcere!» sibilò.

Liam non l’aveva mai vista così: lui conosceva la ragazza dolce e innocente che era, non si era mai accorto di come lei, invece, fosse cambiata negli anni, anche grazie a Tom, e ora vederla distrutta, a pezzi, e per colpa sua, si riusciva a vedere come un mostro, ma non per quello che era veramente: stava cercando di mettersi nei panni della ragazza, e provava a capire come si sentisse la mora, senza la sua bambina e l’uomo che amava.

Era egoista, la voleva per sé, ma sapeva di non poter esaudire quella sua voglia.

«Emmeline, io voglio che tua figlia torni tra le tue braccia, perché è lì che deve stare, ma voglio anche che provi a essere, un minimo, felice, con me, qui a San Francisco» la buttò li, come se fosse facile e come se fosse la stessa cosa che volesse Emmeline.

«Io non voglio stare con te, non sarò mai felice con uno come te, non dopo tutto quello che mi hai fatto» sputò con odio e acidità. «La polizia ti sta cercando e non credo proprio che sia così stupida da non pensarti qui a San Francisco, e spero tanto che ti riportino in cella, e che buttino via la chiave» si avvicinò di qualche passo, osservandolo dal basso. «Voglio che tu marcisca in prigione, che ti torturino e che, magari, ti condannassero alla pena di morte, non mi sentirei in colpa, forse riuscirei a essere di nuovo felice» disse e lo vide deglutire.

«Emmeline, modera le parole» la mise in guardia, tornando ad avere la cattiveria di sempre.

Forse soffriva di bipolarismo, si ritrovò a pensare la mora.

«Altrimenti? Vuoi uccidermi? O magari vuoi uccidere Arabella? O forse vuoi riprovarci con Tom?» lo provocò, sapendo bene di riuscirci e lo vide diventare più spigoloso, la mascella tesa, le vene del collo sporgenti, i pugni chiusi.

«Non farei niente del genere, né a te né a tua figlia» mormorò con durezza. «Mi farò vivo io uno di questi giorni, tu vedi di calmarti» la congedò con quelle parole, prima di uscire da quella stanza di motel.

Voleva sapere com’era riuscito a evadere. Voleva sapere perché la polizia, in due mesi, non era ancora riuscita ad arrestarlo. Voleva sapere chi lo aveva aiutato a portare via la sua bambina indisturbato. E, soprattutto, voleva sapere, da se stessa, perché era scappata via senza parlare di quel fottuto biglietto che aveva ricevuto, confidandogli tutti i pensieri e le opinioni.

Aveva fatto di testa sua, di nuovo, e avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualcuno per vincere quella battaglia con Liam e lo avrebbe fatto, ma aveva paura.

Il telefono che aveva in tasca cominciò a vibrare insistentemente, così lo tirò fuori, e il suo cuore perse diversi battiti quando lesse il nome dell’uomo che amava: la stava chiamando davvero?

Smise di vibrare qualche secondo dopo, e altre lacrime cominciarono a rigarle nuovamente il volto: le faceva così male sapere che lui la stava ancora aspettando, sapeva che voleva convincerla a tornare a casa.

Il telefono le vibrò ancora tra le mani, ma quella volta era un messaggio, ma il mittente era sempre lo stesso.

 
Non mi rispondi nemmeno più? Em, sono sempre io, il ragazzo che ami, quello che ti ama e che ha bisogno di te.
 
 
Lo so.

 
Lo sai? Per quale cazzo di motivo te ne sei andata? Ti ricordi che hanno rapito nostra figlia, uhm? Tu sai che ho bisogno di te, sai quanto per me sia stato difficile, esattamente per come lo è per te, insieme possiamo farcela, noi due insieme, come abbiamo sempre fatto. Torna a casa, piccola, per favore.
 

Quel messaggio la fece piangere ancora di più: crollò sul letto, stringendosi al cuscino, cercando di nascondere i singhiozzi, ma con scarsi risultati.

 
È proprio per lei che me ne sono andata, Tom.

 
Che stai dicendo, Em? Sei coinvolta anche tu in questa storia, Emmeline Evans? Sei, per caso, complice di Liam?

 
Non gli rispose: quelle parole le fecero male.

Non aveva mai pensato che Tom potesse arrivare a pensare quelle cose, non poteva credere davvero che fosse complice di Liam, non poteva!

 
Prenderò questo tuo silenzio come un sì, Emmeline. Non volevo pensarlo davvero, ma è una cosa che mi frulla in mente da qualche giorno e, cazzo, Emmeline, non sai quanto vorrei urlarti in faccia in questo momento! In tutti questi anni, c’è stato un momento in cui mi hai amato veramente? O mi hai preso per il culo tutto il tempo? Anzi, non voglio nemmeno sapere la risposta, non voglio sapere più niente di te. È finita. Definitivamente.
 

Lesse quelle parole più volte, incredula: lo credeva veramente.

Decise di non rispondere più, era inutile, Tom non avrebbe mai cambiato idea, almeno non al telefono, sarebbe dovuta tornare a casa, a Los Angeles, con la piccola Arabella.

Tirò il telefono contro il muro e lo vide distruggersi in mille pezzi.



 
*********


Buonasera bella gente! Sono così contenta che sia giovedì per poter condividere con voi un nuovo capitolo!
Ed eccolo qui! Cosa ne pensate? La situazione sta degenerando, non trovate? So di essere cattiva, lo so c.c
Che ne dite di lasciarmi un piccolo commento/recensione/opinione? :D

un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


 


ps. nel prossimo capitolo tornerà un personaggio a voi molto caro, ne sono sicura ;) (piccolo spoiler)
   
 
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