Giaceva a terra una volta.
Raccolse le gambe con le braccia.
Le strinse fino a quando non arrivò a causarsi dolore con il loro solo calore.
Gli occhi sgranati guardavano impotenti quelle ginocchia.
Tremava.
Ma non era un tremolio normale, come causato dal freddo.
Non era nemmeno paura.
La carne si lamentava. Si lamentava per lo strazio di quel corpo.
Strinse più forte ancora le braccia alle gambe.
Le mani si inarcavano stringendo la pelle. Le unghie cercavano l’epidermide.
Se le conficcò in modo che non potesse sfuggire dal suo abbraccio.
Abbassò la testa, cercando il suo tepore.
Forzava le palpebre alla chiusura.
Non ci riusciva.
Grate di ferro. Le pupille palpitavano.
Gli scivolò una lacrima.
Si era ripromesso che non avrebbe pianto.
Si infilò un dito nel occhio e allo stesso tempo morse la lingua fino a farla sanguinare per bloccare il dolore della promessa infranta.
Cavò via la falange dall’occhio, tremante e ricoperta di sangue.
Rimise la mano nelle esatte ferite causate dalle sue unghie.
Non aveva più il controllo sul suo corpo.
Aveva un desiderio troppo forte di alzarsi e di correre via dimenticandosi di tutto.
Iniziò quindi a strapparsi la pelle delle gambe.
Le martoriò ,ma almeno non avrebbe urlato per la lingua mozzata che aveva mandato giù assieme al sangue che sgorgava dalla ferita.
Buttò le braccia a terra e si mise seduto.
Non più tremante.
Aveva superato quella fase.
Si tappo le orecchie ed incominciò ad urlare.
Ed urlava
Urlava
URLAVA
Attorno a lui niente.
Solo buio.
Buio che scaturiva dal suo cuore.
Dal suo cuore spaccato
Nella sua mente una voce.
Parole di tela facili da ri-dipingere.
Voce femminile. Voce dolce. Voce che lo uccideva.
“io sono il tuo demone”
“ho guardato”
“ho visto te”
“ho visto ME”