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Autore: Kaliy    14/11/2014    1 recensioni
Non ho la forza di ribellarmi.
Non ho la forza di combattere.
Né di protestare, Né di dire di no.
Lui è l'incarnazione di tutto ciò da cui io ho sempre cercato di scappare.
Lui mi sta distruggendo piano piano, parola dopo parola,bacio dopo bacio.
Sono stanca e voglio che questa situazione finisca eppure non faccio nulla perché ciò accada.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Entro in classe e tutti puntano gli occhi su di me.

Senza salutare o scusarmi mi dirigo verso il mio banco.

Mi siedo, porto le gambe al petto abbracciandole e poso la testa sulle ginocchia.

Questa posizione fetale mi fa sentire protetta, mi fa sentire piccola, mi fa sentire invisibile come se da un momento al altro potessi sparire.

La professoressa mi guarda ostile ma non dice nulla, ricomincia a spiegare.

Ormai si sono abituati al mio comportamento e al mio silenzio.

Da quel giorno non ho più parlato.

Ho paura che facendolo le lacrime prendano a scorrere sulle guance.

Ho paura di lasciarmi andare.

Non voglio che qualcuno mi vede fragile, non voglio che tutti capiscano quanto sono distrutta.

Non voglio piangere davanti a nessuno, soprattutto non davanti a lui.

 

Per questo motivo varie volte sono uscita dall'aula, al improvviso, senza dire nulla, accompagnata dalle urla dei docenti irritai.

Nell'ultima settimana sono finita dalla preside almeno una decina di volte.

Lei puntualmente mi chiede il motivo per cui mi comporto così ma come faccio a dirle la verità. Come faccio a dirle che nel silenzio comincio a ricordare, che le sue parole tornano alla mente, che quella sensazione d'impotenza mi soffoca.

Come faccio a spiegarle che in quei momenti devo sfogarmi, devo piangere e urlare, devo colpire e rompere qualcosa,devo sentirmi libera e padrona di me.

Non posso farlo, non riuscirebbe a capirlo.

Così rimango in silenzio, la testa bassa e gli occhi persi ne vuoto.

 

Nel silenzio, un silenzio iniziato nella sua macchina.

Quel pomeriggio non mi accompagno subito a casa.

Vagò per strade e stradine a me ignote, per una buona mezzora il silenzio la fece da padrone.

«Scusi, ma io dovrei già essere a casa. Penso che lei abbia sbagliato strada.»Dissi con voce incerta.

Lui si voltò a guardarmi con un sorriso poco rassicurante«Non preoccuparti piccola, non ho sbagliato strada. Siamo esattamente dove dovremmo essere.»

A queste parole il mio respiro si fece irregolare, la paura prese il sopravento ,raccolsi le gambe al petto nascondendo il viso con il cappuccio. Persa nei miei pensieri mi immobilizzai così, guardarlo avrebbe solo aumentato l'ansia.

Pensai ad una via di fuga ma non né trovai, lui era più forte e veloce, inoltre non conoscevo il luogo.

Cercai di immaginai ciò che potesse volere da me, non ero ricca e neanche benestante, non ero bella tutto alto e non mi sembrava di essere stata così scortese da farlo arrabbiare.

Allora cosa voleva?

Ancora oggi non capisco il perché.

In quel momento capì che tutti i miei sforzi di non apparire, di essere invisibile, di non dare nel occhio erano stati inutili.

 

Ho sempre avuto paura di vivere, di affrontare le persone e i problemi che si portano dietro.

Ho sempre avuto paura di perdere il controllo della mia vita, di essere imprigionata, di essere alla mercé di qualcuno.

Per diciotto anni ho cercato di allontanare le persone, di scappare da coloro che volevano capirmi, ho cercato di non affezionarmi per non rischiare di diventare dipendente e succube delle persone.

 

Una mano si poggiò sulla mia spalla stringendola con forza e costringendomi a girarmi verso il sedile del conducente. Solo allora mi resi conto che l'auto era ferma ma non volli alzare la testa, non avevo intenzione di rendermi più vulnerabile di così.

«May, siamo arrivati.» Disse con tono gentile accarezzandomi il braccio.

«Siamo a casa mia?»Chiesi in un sussurro non muovendo alcun muscolo.

«Non preoccuparti piccola, non voglio farti male, per adesso dobbiamo solo parlare.»Affermò continuando ad accarezzarmi«dopo ti riporto a casa.»

 

Il silenzio si diffuse all'interno della vettura ma la scena rimase invariata .

Immobile con la faccia nascosta sentivo le sue carezze,il suo tocco era leggero e percorreva tutto il mio corpo. Iniziava la sua corsa dalla testa, scendeva lungo la spalla, percorreva il profilo della schiena ricurva e successivamente delle gambe flesse. Una volta arrivato alle caviglie ripercorreva a ritroso il suo percorso.

«Ho deciso, da oggi in poi tu sei mia» affermò sicuro.

«Cosa? Cosa sta dicendo? Cosa dovrebbe significare?»Domandai con voce impaurita.

In quel momento mi sembrava di essere la protagonista di un film horror che da un momento al altro sarebbe stata squartata viva.

«Ho voglia di divertirmi, ultimamente la mia vita è diventata alquanto noiosa e tu sembri un ottimo passatempo. Sarai il mio giocattolino, farai tutto ciò che ti dirò e lo farai quando e come io vorrò.» Affermò con tono pacato. Il mio cervello non era in grado di assimilare ciò che le orecchie avevano appena ascoltato. Aveva detto che io sarei stata il suo giocattolino.

«Co...cosa? No..no..non posso averlo sentito veramente.» sussurrai incredula «non esiste, come fa anche solo a pensarlo?».

«Dai piccola, non è poi così male. Io sono perfetto,sono ricco, divertente e soprattutto bellissimo. Per te sarà come vivere in una fiaba, per un periodo avrai tutto ciò che si può desiderare ed in cambio io chiedo solo che tu mi ubbidisca senza contestare.» disse continuando a sfiorare il mio corpo che si irrigidiva ogni secondo di più.

«No»alzi la testa e lo fissai«non lo farò mai, è una cosa indecente.

Una fiaba?

Tutto ciò che si desidera?

Solo ubbidire?

Come può pretendere una cosa del genere? »affermai sicura e allo stesso tempo scandalizzata.

Lui si arrestò studiandomi per alcuni secondi«Dammi del tu non pi piacciono le relazioni formali. Tu non hai scelta. Ho già deciso. Tu sei mia.».

« No , non può succedere a me. Sto solo avendo un brutto, bruttissimo incubo.»dissi tornando a nascondere il viso. Gli occhi cominciavano a pizzicarmi, la testa martellava e mi sentivo in trappola.

Sentii il suo tocco leggero su di me, le sue dita ricominciarono il loro percorso sul mio corpo.

Rimasi in quella posizione per non so quanto tempo, tremavo e la sua presenza non aiutava.

Poi mi disse di allacciare la cintura aggiungendo« Adesso ti accompagno a casa» , mise in moto e partì. In pochi minuti il motore si spense e la sua mano mi costrinse ad alzare il viso. Aspettò che i miei occhi si posassero sulla sua figura « Ci vediamo domani mattina, ti passo a prendere»disse poggiando le labbra sulle mie. Appena allentò la presa mi scansai ricominciando a respirare. Lo fissai per alcuni secondi, non riuscivo ancora a dare un senso a tutto ciò. «Ora puoi andare, ma forse preferisci rimanere qui con me.»disse sorridendo in modo strano. A quelle parole io scattai, ripresi il controllo del mio corpo, aprì lo sportello e finalmente abbandonai il veicolo che mi aveva tenuto prigioniera per ben tre ore. L'auto partì quasi subito e io ancora scioccata entrai in casa.

 

Gli occhi ricominciano a pizzicarmi,mi alzo ed esco.

Non m'importa nulla, ho bisogno di piangere.

Tra poco lui sarà qui e io non posso permettermi di crollare, non so cosa abbia in mente oggi ,non so cosa aspettarmi.

Arrivo in bagno, mi chiudo a chiave, tolgo la sciarpa, la arrotolo e la posiziono davanti alla bocca.

Grido.

Grido fino a sentire la gola in fiamme.

Grido per sentirmi libera, per allontanare da me la rabbia e la frustrazione.

 

Sento la campanella suonare.

Lentamente apro la porta e mi dirigo in classe, ormai non c'è più nessuno.

Raccolgo le mie cose e le getto alla rinfusa nella borsa.

Mi dirigo verso il cancello come Maria-Antonietta al patibolo.

   
 
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