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Autore: Starishadow    14/11/2014    3 recensioni
Quando Brooklyn Mikaels smette di andare a scuola, un suo compagno in particolare si preoccupa per lei, al punto da andare a cercarla a casa sua... ma è pronto per i segreti nascosti fra quelle mura? E cosa cercano di nascondere nello scantinato?
Primissimo tentativo con una storia originale, spero che possa piacere ^^
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un suo sorriso è diventato il mio scopo
 
Nota dell'autrice: buonasera! :) è la mia prima volta che mi azzardo a pubblicare qualcosa di completamente mio e non una fanfiction, e ammetto di essere un po' agitata... ^^ Ho ritrovato questo racconto nei meandri del mio computer e... non so, ho deciso di dargli una chance, visto che ricordo bene quanto mi sono impegnata nel comporlo. Ho revisionato un po' lo stile e la grammatica, ma la storia è quella che avevo in mente all'inizio, forse potrà risultare strana, ma... ecco, mi auguro che possa essere gradevole!
Non vi trattengo oltre, spero la lettura vi risulti piacevole!
Baci,
Starishadow

I graffi sulla sua pelle diventarono sempre più numerosi, più rossi e più profondi, fino a quando, un giorno, smise di venire a scuola.
Le sue amiche la chiamarono, ma lei non rispose mai, la scuola telefonò ai genitori, ma loro ignorarono la chiamata, gli amici di suo fratello tentarono di rintracciarlo, ma il suo cellulare rimase sempre spento.
E io rimasi a fissare il suo banco ormai vuoto da una settimana, giorno dopo giorno, chiedendomi cosa le fosse successo.
 
«Avete provato ad andare a casa sua?» chiese mio fratello gemello, Skylar, stanco di vedermi seduto sul davanzale della finestra a fissare fuori il cielo grigio di Londra. Non risposi, perché a dire il vero non avevo nemmeno sentito la sua domanda.
«Gray?» mi chiamò, e stavolta fui costretto a girarmi verso di lui, imbattendomi nei suoi occhi grigi, con qualche piccola striatura azzurra, come il cielo d’estate che d’un tratto viene coperto dalle nuvole. Occhi che erano il negativo dei miei, azzurri con qualche sprazzo di grigio ad offuscare il loro colore brillante.
«Dicevi?» chiesi, restando atono, tornando a pensare a lei.
«Dicevo» sospirò sedendosi accanto a me che mi strinsi le ginocchia al petto per fargli spazio «se avete provato ad andare a casa sua»
«Sì e non ha aperto nessuno… eppure sembra che ci sia qualcuno in casa, perché si sentivano dei rumori e si vedevano ombre alle finestre» risposi sempre più triste. Sky annuì, comprensivo.
Innamorarsi di una tua compagna di classe che si è appena trasferita in città fa schifo. Specie se poi vieni a sapere che quella tua compagna di classe ha un fratello iperprotettivo che non ti permetterà mai di avvicinarti a lei. E poi magari, quelle poche volte in cui riesci a parlarci, scopri due cose: la prima è che ti piace anche più di quando ti piaceva solo per l’aspetto, la seconda è che qualsiasi cosa dica è finta.
Non perché dice cose false… è perché finge. Finge di stare bene, di essere felice, di essere come tutte le altre.
E intanto i suoi occhi urlano “aiutami”, il suo sorriso non fa che piangere di più ogni volta che si allarga… e tu non puoi fare nulla.
Ho cercato di farla ridere, ma ci riuscivo sempre per poco, il suo sorriso non faceva che spegnersi, ho cercato di farle vedere che il mondo non fa così schifo come crede, ma non sono riuscito ad accendere nessuna luce per farle vedere i suoi veri colori…
Mi sono accorto dei suoi tagli una volta, quando a ginnastica uno dei miei stupidi compagni le aveva tirato una pallonata, senza farci apposta ovviamente, ma il risultato era stato quello di farla finire a terra lo stesso, e io avevo cercato di aiutarla a rialzarsi. Nel prendermi la mano, la manica le era scivolata giù, rivelando un braccio martoriato, coperto di cicatrici più o meno recenti. La vidi inorridire e ritirare il braccio di fretta, per coprirselo subito con la manica, e sapevo di avere più o meno la sua stessa espressione.
«Scusa» mormorò alzandosi e tenendo la testa bassa, poi corse via.
Non riuscii a trattenerla, ma restai immobile a fissare il punto dove si trovava prima con gli occhi spalancati dalla sorpresa, l’orrore e la paura.
«Gray» mi voltai verso mio fratello, aggrottando le sopracciglia «tu pensi che…»
Scossi la testa. No, non lo pensavo, non pensavo che avesse tagliato definitivamente con la sua vita. Pensavo, più che altro, che si stesse nascondendo per qualche motivo.
 
«Come ci siamo finiti qui, Sky?» chiesi mentre, nascosto in un cespuglio con il mio gemello davanti alla casa della ragazza che volevo salvare dai suoi demoni, osservavo le ombre dietro le finestre muoversi.
«Quello che non capisco… Perché nemmeno suo fratello va più a scuola?» si chiese lui, prendendo il binocolo.
«Ridicolo» sospirai, senza sapere perché mi ero lasciato trascinare in quello.
«Zitto Gray» alzai gli occhi al cielo e lo lasciai fare.
Dopo un po’:
«Ho visto Ai»
Alzai le sopracciglia. Bene, almeno adesso avevo la conferma che suo fratello era veramente chiuso in casa.
«Cosa sta facendo?» tanto valeva approfittare, visto che Sky non sembrava voler smettere di spiarli.
«Qual è la sua camera, Grayson?»
“Fantastico, ora usa pure il mio nome intero… si sta esaltando troppo “ pensai rassegnato mentre dicevo di non averne idea. Non ero mica mai stato a casa sua!
«Sarà vicina a quella del fratello» mormorò lui, spostando il binocolo, io alzai gli occhi al cielo.
Ma non vedevo l’azzurro grigiastro nel guardarlo, vedevo i suoi capelli biondo platino, così chiari da sembrare raggi di luna, vedevo i suoi occhi neri e illeggibili, le sue labbra rosa e simili a petali di un fiore…
“Dove sei, Brooke, dove sei?” mi chiesi, chiudendo gli occhi.
«Uh»
Li aprii di scatto appena sentii Sky sussultare, e capii perché.
Aiden, il fratello maggiore di Brooke, era appena uscito di casa e si guardava intorno, come se controllasse che non ci fosse nessuno, poi scese gli scalini del porticato e si diresse verso la botola che portava a quello che doveva essere lo scantinato o qualcosa.
«Che ci va a fare, lì?» si chiese Sky, tentando di seguirlo con il binocolo ma senza successo.
«Magari deve prendere una lampadina nuova, Skylar?» tendevo ad usare il suo nome intero quando volevo fargli capire che esagerava.
Lui non rispose, e sbuffò quando Aiden sparì dentro la botola.
Sapevo che nella mente del mio gemello stava già comparendo l’immagine di Brooke legata e imbavagliata lì sotto, seviziata dai suoi genitori e da suo fratello mentre piangeva disperata sperando che qualcuno andasse a salvarla.
“Patetico” pensai, scuotendo la testa, ma dovetti ricredermi anch’io quando vidi Aiden ricomparire con un vassoio fra le mani che conteneva dei piatti vuoti e un bicchiere “ok questo è strano” ammisi, mentre Sky spalancava gli occhi:
«Allora, pensi ancora che io stia esagerando??» chiese, voltandosi verso di me con il binocolo ancora premuto agli occhi, io glielo tolsi e scossi la testa:
«Possono esserci ancora migliaia di spiegazioni» borbottai.
Prima che Skylar potesse dire qualcosa il nostro nascondiglio si mosse e presto ci trovammo a fissare il viso pallido e gli occhi di un celeste tanto intenso da mettermi a disagio di Aiden.
“Oh merda” mi dissi, spalancando gli occhi. Skylar, che già l’aveva inquadrato come aguzzino fratricida, era probabilmente più terrorizzato di me (che a dire il vero temevo più una denuncia per violazione di domicilio al momento).
Aiden aggrottò le sopracciglia:
«Che ci fate qui?» si limitò a chiedere, freddamente.
Per essere il più popolare della scuola, era uno che se ne fregava anche troppo di essere “umano”, e le uniche volte in cui l’avevo visto mostrare un briciolo di emozione, Brooke era sempre stata coinvolta.
«N-noi» balbettai.
«E-ecco» aggiunse Sky, tremante.
“Beh perché non dire la verità, dopotutto? È suo fratello, no?” mi dissi, e d’un tratto smisi di balbettare:
«Siamo preoccupati per Brooklyn» dissi, e Sky, da gran fifone che è, strillò e corse via, ben lontano da noi. Sospirai.
Aiden sembrava sorpreso dalla sua reazione e dalla mia affermazione, si raddrizzò e mi fece cenno di alzarmi.
«Che ti importa di Brooke?» mi chiese, duramente, io abbassai gli occhi:
«I-io… ho visto i suoi tagli un giorno, e…» mi morsi le labbra, non volevo dirgli che ero innamorato di sua sorella minore, accidenti! Mi avrebbe ammazzato seduta stante!
«Aspetta, come ti chiami?»
Alzai il viso, non aspettandomi quella domanda, a dire il vero mi aspettavo che mi cacciasse fuori, e magari liberasse dei cani per assicurarsi che me ne andassi davvero… Aiden sembrava il tipo da farlo.
«G-Grayson» balbettai confuso, i suoi occhi parvero essere attraversati da un lampo di riconoscimento, cosa impossibile perché, mentre io conoscevo lui di fama, lui non sapeva nemmeno che esistessi.
Impossibile quindi che il mio nome gli dicesse qualcosa.
«Tu sei quel ragazzo che parla con mia sorella» “Oh oh” ecco, stava per ammazzarmi, forse dovevo spiegargli che non avevo cattive intenzioni con lei… o forse dovevo prendere esempio da Sky e scappare ben lontano da lì… oddio, ormai sapeva chi ero, non ci avrebbe messo molto a trovarmi a scuola, o anche a casa se avesse chiesto alle persone giuste (ad esempio Sky, che avrebbe spifferato tutto già solo vedendolo).
«Ehm…»
«Come hai fatto?»
“Eh?” lo guardai senza capire, lui scosse la testa e, per la prima volta, i suoi lineamenti si addolcirono, rendendolo più simile alla sorella, cosa di cui non mi ero mai accorto prima.
«A farla ridere… io… sono anni che ci provo, ma non sono mai riuscito a strapparle più di un sorriso, come hai fatto a farla ridere?»
Rimasi sbalordito a fissarlo. Lui si trovava due sconosciuti in giardino, nascosti in un cespuglio a spiare lui e la sua famiglia con un binocolo e, invece di dar di matto e chiamare la polizia mi chiede come ho fatto a far ridere sua sorella?
Fu in quel momento che vidi che anche lui era preoccupato mentre parlava di lei, e realizzai anche che, se volevo avere delle risposte, quello era il momento giusto per fare le mie domande.
«Non lo so… credo che sia stato semplicemente perché voleva essere gentile e non farmi sentire un idiota che rideva alle mie battute»
Lui sorrise, aumentando anche di più la sua somiglianza con lei, anche se i suoi capelli erano neri e non color raggio di luna e i suoi occhi non erano neri come il carbone:
«Non credo che fosse solo per essere gentile. E se anche fosse, è raro che Brooke voglia essere gentile con qualcuno» disse, lasciandomi di sasso.
Stava cercando di dirmi che in qualche modo ero diverso dagli altri agli occhi di Brooklyn?
«Dov’è adesso? Perché non viene più a scuola?» chiesi,fissandolo negli occhi, e vidi che una patina di dolore scendeva su essi.
“Ti prego no” pensai, mordendomi le labbra.
Aiden non rispose, abbassò lo sguardo e strinse i pugni.
«Perché quel vassoio?» chiesi allora, e lui mi fissò sorpreso:
«Fai un sacco di domande» constatò apaticamente, come se avesse indossato di nuovo la sua solita maschera.
Io lo guardai e basta, certo che facevo un sacco di domande! Ero preoccupato per sua sorella, volevo sapere come stava, vederla, volevo…
Aiden a quel punto sospirò e mi fece strada fino allo scantinato, dove mi fece cenno di seguirlo in silenzio.
Scendemmo le scale e vidi qualcuno rannicchiato in un angolino, al buio. I peli delle braccia mi si drizzarono senza che me ne accorgessi. Qualcosa mi diceva di andarmene.
«Sei tu Ai?» chiese una voce flebile e infantile, che ebbe due effetti su di me: mi terrorizzò, perché era spaventosa a modo suo, mi tranquillizzò perché non era la sua!
«Sì Isobel, sono io» rispose Aiden, esitante, vidi che anche lui si teneva ad una certa distanza dalla persona nel buio, e mi chiesi se avesse anche lui una certa paura.
«Perché sei tornato? E chi c’è con te?» la voce parve diventare più dura, e io mi trovai a fare un passo verso Aiden, nascondendomi dietro di lui.
«Nessuno che ti farà del male, Ise. Voleva solo sapere perché ero uscito da qui con il vassoio» spiegò lui con voce dolce e rassicurante, nascondendo la sua inquietudine.
La bambina rise, una risata che metteva i brividi.
«Sono la sorellina di Ai, e ora vattene»
Devo ammettere che, se fosse stato per me, avrei obbedito immediatamente, ma poi sentii qualcosa frusciare e mi sentii afferrare il braccio, per poi trovarmi a terra in qualche modo.
Sopra di me c’era una figura piccola ed esile, ma forzuta, dei capelli mi finirono in faccia e, nella poca luce che veniva dalla botola sopra di me, vidi che erano biondi, poco più scuri di quelli di Brooke. Qualcosa iniziò a graffiarmi la faccia, puntando ai miei occhi. Urlai e tentai di coprirmi, mentre sentivo delle grida acute:
«PERCHÉ TU PUOI VEDERE E IO NO, PERCHÉ??»
Sentii anche Aiden urlarle di smettere, e lo sentii muoversi, poco dopo la persona sopra di me iniziò a divincolarsi e ad un certo punto parve essere sollevata di peso.
«Ise calmati!»
Mi alzai e corsi fuori, fermandomi ansimante solo quando fui abbastanza lontano dalla porta dello scantinato.
Aiden emerse poco dopo di me.
«Che cazzo era quella…?!» esclamai, fuori di me dalla paura.
Aiden sospirò:
«Mia sorella minore… è lei il motivo per cui Brooke ha iniziato a tagliarsi. Di solito non è pericolosa, mi dispiace che abbia reagito così. Finora l’aveva fatto solo con me un paio di volte»
Lo fissai stralunato:
«È una bambina cieca con dei problemi e voi la tenete rinchiusa in uno scantinato?!» sbraitai.
Lui si indurì:
«Non siamo stati noi. Viveva con noi, divideva la camera con Brooke fino a qualche anno fa. Poi c’è stato un incidente, di cui Brooke si sente responsabile, e lei è diventata cieca. Ha iniziato a dar di matto e a non voler stare più in casa con noi. È stata lei a volersi rinchiudere lì, noi abbiamo cercato in tutti i modi di riportarla fuori, di farla tornare con noi, ma non c’è stato verso. È già tanto che accetti che io le porti da mangiare e stia con lei ogni tanto»
Fu in quel momento che mi accorsi che aveva dei graffi vicino agli occhi, alcuni molto recenti, probabilmente quando aveva cercato di bloccare la sorella, altri più vecchi. Erano piuttosto piccoli, ma avevano l’aria dolorosa.
«Cosa c’entra con Brooklyn?» chiesi, calmandomi e guardandolo confuso, lui sospirò:
«Brooke crede di essere stata lei la causa dell’incidente di Isobel, e da allora non fa che punirsi facendosi del male. Ha smesso di venire a scuola quando Ise, una volta, è riuscita ad uscire dallo scantinato. Era notte, e nessuno si è accorto di lei che vagava per il giardino. Non so nemmeno come abbia fatto, ma è riuscita ad arrivare alla finestra della cucina, che avevamo lasciato aperta. Per entrare si è fatta male, e ha fatto un enorme casino che ci ha svegliati. Quando siamo arrivati, lei era a terra che urlava e si dimenava, ferendosi con quello che era caduto assieme a lei. Abbiamo cercato di fermarla, ma quando ha sentito la voce di Brooke è peggiorata, ha cercato di colpirla, di ferirla, alla fine mamma e papà hanno dovuto portarla via mentre io trattenevo Ise. Quella notte ha dormito in casa, per la prima volta, ma di nuovo, appena la mattina ha sentito Brooklyn, è scattata di nuovo. Brooke è corsa in camera sua e ci si è chiusa dentro a chiave, rifiutandosi di uscire. E ancora non esce. Non sono andato a scuola per restare con lei e tenere d’occhio sia lei che Isobel, mentre mamma e papà sono andati a consultare non so quanti psichiatri e strizzacervelli vari»
Vidi un’ombra muoversi dietro una finestra alle sue spalle, e lui seguì il mio sguardo, sospirando:
«Mia nonna… non fa molto per tutta la faccenda di Isobel, ma non mi dispiace averla vicino»
«Pensi che possa vedere Brooklyn?» chiesi d’istinto, lui sussultò, probabilmente chiedendosi cosa c’era di poco chiaro in “non esce dalla sua stanza da giorni”, poi sospirò sconfitto e fece spallucce:
«Forse tu ci riesci» mormorò, facendomi strada verso la porta principale.
Mi guardai intorno, realizzando per la prima volta che quella era la casa della ragazza di cui ero innamorato. Quegli scalini di marmo bianchi che stavo salendo, lei li aveva saliti mille altre volte tornando da scuola, magari salendoli a due a due per fare prima, o lentamente, persa nei suoi pensieri. Il portone massiccio dove Aiden stava infilando una chiave era quello che vedeva lei ogni giorno uscendo ed entrando, e forse chissà quante volte aveva tirato la catena che faceva da campanello perché non aveva le chiavi…
Quando entrammo rimasi sorpreso dalla casa. Eravamo in un atrio enorme, con il pavimento lucido e bianco, anche quello di marmo, e un’enorme scalinata che era formata da due rampe che poi si univano in un pianerottolo e proseguivano in un’unica rampa che portava al ballatoio su cui si affacciavano porte intarsiate. A destra una porta aperta portava ad una grande cucina, sulla sinistra si apriva un enorme salone, con un pianoforte a coda che occupava una nicchia a vetrate.
«Wow» mormorai, e sentii Aiden ridacchiare:
«Grazie» disse ironicamente, iniziando a salire le scale. Ancora preso ad ammirare l’ingresso ci misi un attimo a notarlo e a seguirlo.
Il corrimano era di ferro lavorato e con edera intrecciata ad esso. Sembrava la location di qualche film.
Aiden mi portò fino ad una porta sulla destra, in cui potevo vedere inciso il nome “Brooke” in caratteri lavorati.
«Buona fortuna» si limitò a dirmi, prima di infilarsi nella porta accanto, su cui spiccava la parola “Ai” lavorata in maniera simile a quella della sorella. Uno sguardo alla mia destra e vidi sull’ultima porta del ballatoio “Ise”, ma davanti alla porta c’era una cassettiera, come a voler impedire l’accesso. Sospirai e bussai.
«Vattene Ai»
Sebbene la sua voce fosse dura, tremante e lontana, era inequivocabilmente quella di Brooklyn, e il mio cuore non mancò di fare un piccolo salto… non mi ero mai accorto di quanto mi fosse mancata quella voce!!
«S-sono Grayson» balbettai, spaventato dalla risposta.
Silenzio.
Chiusi gli occhi, preparandomi alle parole che mi avrebbero cacciato via, invece fui accolto da altro silenzio.
«Brooke?» chiamai, piano come se parlassi ad un animale spaventato, e poi trattenni il fiato.
«Grayson?» la sua voce era flebile, un sussurro molto vicino alla porta, e dalla piccola vibrazione che sentii pensai che anche lei si era appoggiata alla porta per sentire meglio.
«Sì, sono io»
Mi ero immaginato mille volte una scena simile, in cui io la salvavo da se stessa e dai suoi demoni, ma in tutte le mie fantasie io avevo saputo cosa dire, avevo avuto le parole giuste.
Ora invece?
La mia bocca era peggio di un deserto, arida e vuota… non avevo nulla da dire alla ragazza che volevo aiutare.
«Che ci fai qui? Perché sei venuto?» chiese con voce tremante.
«Ero… preoccupato per te» ammisi.
«Preoccupato? Per me? Perché?» tutte le sue domande erano sconsolate, quasi che desse per scontato che le mie risposte non le sarebbero piaciute.
«Sì, preoccupato, preoccupato che non finissi più quel saggio su La lettera scarlatta che avevi promesso di fare per me, e preoccupato per te perché non voglio perdere l’unica persona che rida veramente alle mie battute. E, soprattutto, sono preoccupato per te perché…» “andiamo non abbandonatemi proprio adesso” implorai le mie parole capricciose, che sceglievano quando e come e se venire «… io… sono… io credo di… tu… credo che tu mi piaccia» balbettai alla fine, e sentii altro silenzio.
Proprio quando stavo per urlarle di dimenticare quello che avevo detto e correre via da quella casa, la serratura della porta scattò, e mi voltai in tempo per vederla aprirsi, rivelando quella figura che speravo di vedere da quelli che mi sembravano secoli.
I suoi capelli color luna erano scompigliati, arruffati e annodati in alcuni punti, ma ancora soffici e bellissimi. I suoi occhi neri come l’ebano erano gonfi e arrossati, la pelle attorno ad essi incrostata di lacrime non asciugate.
Indossava solo una camicia da uomo bianca, indubbiamente presa in prestito al fratello, e le mutande, e per la prima volta mi accorsi che anche la sua pelle ricordava la luna, con il suo bianco avorio che sembrava riflettere la luce.
E tutto quel bianco candido era attraversato da tagli di vario genere, alcuni più rossi e gonfi, altri ormai più chiari, che adombravano la sua bellezza e in qualche strano modo la complimentavano al tempo stesso.
«Brooklyn» sussurrai, spaventato da quanti erano i suoi tagli sulle braccia, le gambe, le spalle, le caviglie e ogni altra parte di pelle che i miei occhi riuscissero ad accarezzare. Era anche dimagrita.
Troppo dimagrita.
Mi guardò osservarla con occhi tristi, e quando i miei raggiunsero il suo sguardo sospirò:
«Hai appena constatato anche tu che sono un caso perso?» chiese, rassegnata, io scossi la testa e, prima che potesse fare qualcosa, la presi e la strinsi fra le mie braccia, delicatamente come se fosse un uccellino fragile fra le mie mani, che potevo uccidere stringendo appena, ma che poteva volare via se non lo trattenevo.
«Mi sei mancata» sussurrai vicino al suo orecchio, baciandole una guancia. Lei si mosse debolmente nel mio abbraccio, senza voler realmente scappare:
«Davvero?» chiese, confusa, io annuii convinto. I suoi occhi si ammorbidirono, le sue labbra si curvarono in un sorriso e anche lei mi abbracciò.
«Anche tu mi sei mancato» mormorò, nascondendo il viso nel mio petto.
Una parte di me voleva alzarle il volto e baciarla, ma restai fermo, immobile, lasciando che lei si trovasse a suo agio a contatto con me prima di costringerla a fare qualcosa che, magari, l’avrebbe spaventata.
Fu con i suoi tempi che, lentamente, alzò il viso, prima di poco, così che potei vedere solo i suoi occhi, poi sempre di più. Alla fine si alzò sulle punte e mi sfiorò le labbra con le sue, chiedendomi il permesso.
Permesso che fui ben felice di darle.


Il rumore del telefono che squillava ci fece svegliare di soprassalto.
«Pronto?» rispose Brooke, assonnata, mentre io guardavo l’orologio al mio polso, aggrottando le sopracciglia quando vidi che erano le tre di notte. Chi chiamava alle tre di notte?
«C-cosa? A-ai??» la voce di Brooke si spezzò, facendomi trasalire e voltare verso di lei, prendendola fra le braccia mentre iniziava a piangere «N-non… stai tranquillo… non devi sforzarti»
Non capivo di cosa stava parlando, ma sembrava quasi dare istruzioni a qualcuno…
«Non togliere il coltello, Aiden. Chi c’è a casa oltre a voi due?»
Iniziai a capire qualcosa, mentre le sfioravo le spalle e le massaggiavo la schiena, tentando di farle guadagnare la calma che le serviva.
Sembrava funzionare.
«Non dire così, Aiden! Adesso riattacca con me e chiama un’ambulanza… o vuoi che lo faccia io? … Aiden basta! Andrà tutto bene, smettila!!»
 
Ancora mezzi assonnati, io e Brooke ci sedemmo con suo padre fuori dalla sala operatoria, aspettando. Sua madre era rimasta a casa a tenere a bada Isobel.
Il papà di Brooke aveva gli occhi chiusi e la testa nascosta fra le mani, Brooke invece piangeva sommessamente appoggiata alla mia spalla.
Io ero nervoso: non volevo che succedesse qualcosa ad Aiden. Dopotutto era stato grazie a lui che tutto quello si era avverato, grazie a lui se alla fine ero davvero riuscito a salvare Brooke, a iniziare ad uscire con lei e a convincerla anche, in seguito, a convivere con me.
Aiden, in tutto quello, era rimasto dietro le quinte, aiutandoci come poteva, ma soprattutto tenendo lontana l’ombra di Isobel da noi.
Speravamo che con l’operazione qualcosa sarebbe migliorato, invece no. I suoi occhi non erano più oscurati, ma la sua mente sì.
Sempre più spesso aveva cercato di aggredire Brooke o me, e questo mi aveva convinto a portarla via di lì, e fino ad allora solo Aiden era riuscito a tenerla ferma.
Quella sera, però, nemmeno lui era bastato a fermarla, e lei aveva rivolto verso di lui la sua rabbia, colpendolo con non so quale coltello da cucina.
Brooke non mi aveva detto nient’altro, a parte il fatto che, quando l’aveva chiamata, Ai sembrava spaventato, per una volta aveva perso la sua solita mente fredda… e lei era preoccupata. Per spingere Ai a piangere e credere di non farcela, doveva esserci qualcosa di veramente sbagliato.
 
«Siete i familiari di Aiden Mikael?» chiese l’infermiera, io annuii, Brooke si nascose di più contro di me, temendo la risposta.
«L’operazione è andata a buon fine, è fuori pericolo» ci comunicò la donna sorridendo, poi si allontanò.
Il padre di Ai e Brooke sospirò un “grazie”, Brooke singhiozzò qualcosa contro la mia spalla, io la abbracciai e le baciai la testa:
«Te l’avevo detto che Aiden non si sarebbe arreso tanto facilmente» sorrisi, facendola sorridere a sua volta.
Perché, se c’era una cosa che amavo più di tutte in lei, e amo tuttora, è il suo sorriso.
Specie quello che le spunta fra le lacrime, lentamente, come non se volesse del tutto, ma allo stesso tempo non riuscisse a trattenerlo.
Se tutti abbiamo uno scopo nel mondo, il mio è di far sorridere Brooke Mikael, perché quando sorride lei, sorride tutto il mondo.

Nota finale: ecco qui... spero che non fosse tanto orribile :S se volete farmi sapere quello che ne pensate, sarò felice di leggerlo! Questo non è un genere che sono abituata a scrivere, ma mi piacerebbe migliorare, quindi se per caso aveste qualche consiglio, sentitevi liberi di farmelo avere!
Grazie per aver letto fin qui!
Buonanotte/giorno/parte della giornata a scelta!
- Starishadow

 
   
 
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