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Autore: emsugar    16/11/2014    3 recensioni
"Quando imparerai, Ismene, che è meglio non innamorarsi?
Soprattutto di noi. Siamo la tua gioia e la tua rovina al tempo stesso, lo sai.
Eppure continui ostinata, ogni anno con una nuova allieva. Come fa l’amore a rapirti così fulmineo ogni volta? Se ancora ti struggi per la donna che hai perso, come fai già a ricadere nella trappola di Afrodite? Questa dea ti ha torturata Ismene, renditene conto, invece che continuare a offrirle vitelli e corone di fiori nel tempio. La veneri, le affidi ogni tuo problema, ti fidi di lei, e lei ti ripaga così, uccidendoti ogni volta."
{Ispirata alle storie e alla vita di Saffo. Partecipante al contest "Buona la prima!" indetto da Lady.EFP sul forum di EFP.}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Partecipante al contest "Buona la prima!" indetto da Lady.EFP sul forum di EFP.
Storia ispirata agli scritti e alla vita di Saffo. 

Ems corner!
Buongiorno o buonasera caro popolo di efp! Ecco una ems malata che vi propone una vecchissima storia spolverata dalle cantine buie e spaventose della mia cartella "fanfiction incomplete"! 
Questa oneshot un po' deprimente - strano che io scriva cose tristi - partecipa a un contest un po' particolare: lo scopo era quello di inviare una storia non riletta e ricorretta cento volte, ma scritta di getto, in un momento di insanity - potete capire quanto mi abbia attirata una cosa del genere! 
Piccole chiarificazioni sulla schifezzuola da me composta:
 
Ismene è la maestra di un tiaso greco, il posto dove le fanciulle passavano l’adolescenza per essere educate alla vita di coppia e alle mansioni di casa. Solitamente, in questi tiasi, la formazione avveniva attraverso il rapporto di coppia tra le maestre e le allieve, secondo la più antica tradizione greca (come avveniva per gli uomini, così anche per le donne). Ismene è una donna che si arrende troppo facilmente all’amore, perché si lascia trascinare dalla passione per le sue allieve (analoga è la situazione descritta da Saffo nelle sue poesie). Ismene però è sposata con un uomo, come era bene che accadesse per tutte le donne greche: Circeide, marito fedele e instancabile, non abbandona mai la sua Ismene, nemmeno quando le sue allieve si sposano e la moglie cade in depressione. Tre sono le storie che racconto: la storia di Circeide, quella di Ismene e quella di Attis. Tre anime troppo innamorate, ma tutte della persona sbagliata. 
Buona lettura fanciullini!
 







It’s better not to fall in love.

 
Vieni
inseguimi tra i cunicoli della mia mente
tastando al buio gli spigoli acuti delle mie paure.
(Raccoglimi – Saffo)
 
 
 
 

 
Quando imparerai, Ismene, che è meglio non innamorarsi?
È meglio rimanere soli fin dall’inizio, che ritrovarsi a piangere nell’afa della propria camera, raccogliendo compassione e riattaccando i cocci delle proprie illusioni.
Sbagliando si impara, non è vero? Allora perché hai sbagliato ancora? 
Non è la prima volta che respiri questo profumo aspro di agrumi e fiori di pesco, chiusa dentro senza lasciar entrare anima viva. Perché non permetti a qualcuno di asciugarti quelle gocce di sale? O meglio ancora che queste si confondano con la tempesta calda, scivolando lontano nel vento?
E invece no. Sei testarda, Ismene. Infondo non sei mai cambiata.
Speravo saresti tornata, capendo che l’unica persona che ti ha mai amato sono io. Perché l’amore, quello vero, non è altro che resistere, sopravvivere, esserci; non è passione. A quarant’anni quello che tu chiami “brivido” non esiste più, e ammesso che esista, è solo un riflesso sbiadito di un ricordo lontano. Ma tu continui ostinatamente a sostenere che tutto ciò che non potevo darti era la passione, sebbene ti avessi già dato tutto.
Cos’altro posso darti di me? C’è davvero qualcosa che in tutti questi anni mi sia tenuto per me, negandotela? Ti ho dato affetto,  protezione, fedeltà, mentre tu hai saputo ripagare tutto ciò con una dote, pensando che i soldi avrebbero comprato la mia felicità; ma non hai comprato un bel niente, se non rimorso e rancore.
Forse avrei potuto trovare una donna per me, che si innamorasse sul serio, che mi dedicasse le giuste attenzioni e mi fosse vicina. Una donna senza problemi di cuore, crisi di identità e continui rimorsi. Una donna che, soprattutto, mi fosse fedele.
Eppure mi hai accecato. Tu e i tuoi capelli biondo grano mi avete fatto perdere la testa, mentre ti vedevo volteggiare tra le donne del tiaso; quale errore ho compiuto.
Ora sono qui, per la terza volta, dietro una porta, a pregarti di aprire almeno per lasciarti consolare. Perché ti amo troppo per lasciarti lì dentro a consumarti nelle lacrime.
Non ti meriti tutto questo amore, Ismene.  Lo sai, e ne approfitti.
Ma io sono ancora stupido, non me ne andrò. E tu non sei cambiata, e se sei la stessa, prima o poi aprirai, come sempre.
 
 

 
 
“Ti amo, Attis.”
“Non è amore, mia maestra. È solo passione.”
“L’amore è passione. Pensavo di avertelo insegnato, fiore mio.”
“Non chiamarmi così, maestra. Non sono più un fiore, la giovinezza sta svanendo lontana, attimo dopo attimo. E non sono più tua. Lo sai.”
Attis, Attis mia. Le guance rosee e gli occhi vacui tradiscono la leggerezza delle tue parole. Hai bevuto il vino delle nozze: non sei più mia.
I tuoi capelli rossi, così rari, ricadono a boccoli sulle spalle nude, impreziositi dai fiori di pesco e dalle rose bianche che stamattina ho colto per te. Il tuo viso è la visione più dolce e straziante al tempo stesso. Le tue labbra mi richiamano come l’acqua dopo l’arsura. Sei indispensabile, Attis mia.
“E’ vero, non sei mia. Ma io sono tua, Attis. Puoi avermi, adesso.”
Per l’ultima volta.
Lo vedo sul tuo volto il desiderio. C’è ancora, dopo un anno intero vedo i tuoi occhi brillare come la prima volta che ti ho toccata. Lasciati andare Attis. Fallo per me, perché sto morendo dentro.
“Ti prego, maestra.”
Sento i tuoi sospiri. Sento tutto.
Guardarti in quei due pozzi azzurri è come vederti dentro. Lo capisco che mi vuoi.
Adesso.
Prima che “lui”, quell’uomo, venga a prenderti per portarti via per sempre.
 
 

 
 
Quando imparerai, Ismene, che è meglio non innamorarsi?
Soprattutto di noi. Siamo la tua gioia e la tua rovina al tempo stesso, lo sai.
Eppure continui ostinata, ogni anno con una nuova allieva. Come fa l’amore a rapirti così fulmineo ogni volta? Se ancora ti struggi per la donna che hai perso, come fai già a ricadere nella trappola di Afrodite? Questa dea ti ha torturata Ismene, renditene conto, invece che continuare a offrirle vitelli e corone di fiori nel tempio. La veneri, le affidi ogni tuo problema, ti fidi di lei, e lei ti ripaga così, uccidendoti ogni volta.
Sono cresciuta in questo tiaso, maestra. Ho imparato a occuparmi della casa, dei sacrifici, di mio marito. Ho imparato ad amare. Sebbene amare la mia maestra non sia ciò che il Fato ha deciso per me: ora sono sposata, con un uomo valoroso, ricco e di buona famiglia, molto gentile e anche particolarmente bello. E sono felice.
Perché devi rovinare tutto, maestra mia? Mi hai educata tu per questo: mi hai insegnato cosa vuol dire essere una brava donna, una moglie fedele e una madre eccellente. E adesso sei qui, a pregarmi affinché non me ne vada. Ismene, perché?
“Non posso. Sono sposata.”
“Ti prego.”
Quanto sei bella, Ismene mia. I tuoi occhi azzurri traboccano di lacrime amare e consapevoli, mentre il tuo viso pallido sembra brillare di luce propria. La tua bocca trema, è ricolma di un desiderio profondo e malato.
Come faccio a resisterti adesso? Afrodite, trattieni le mie mani ormai esperte, perché in questo momento non riesco a controllarmi. Fai qualcosa, dea mia, tienimi ferma.
Ismene, smettila. Smettila di essere così perfetta perfino da cancellare la gioia che ho provato finora alle nozze, che adesso sembra solo una lontana bugia.
“Tu ami me, Attis. Ami me!”
Il tuo viso ha ormai preso colore, infervorato.
“Si! Si maestra, ti amo!”
Afrodite, perché non esaudisci mai le mie preghiere? Ora le mie mani scorrono affamate sul suo corpo, come non potessi sopravvivere senza il tocco della sua pelle calda e liscia.
E le sue labbra, le sue labbra carnose sanno ancora di vino dolce, ammorbidite dal sale delle lacrime.
La mia testa gira, vortica in mille spirali di vertigini mentre mi perdo dentro di lei. E i ricordi lontani della serata appena trascorsa sbiadiscono sempre di più, mentre il suo profumo aspro pervade le mie narici, inebriandomi anche più del vino appena bevuto.
Ismene, Ismene mia. Quanto mi sei mancata.
 
 

 
 
Ismene, Ismene mia. Quando smetterai di piangere? Quando ti renderai conto che è inutile ormai? Attis se n’è andata. Non tornerà, nemmeno al suono del tuo pianto disperato.
“Ismene, lasciami entrare. Ti supplico.”
Singhiozzi violenti continuano a scuoterti, mentre io muoio dentro. Mi fai soffrire come mai mi era successo.
“No!”
La tua voce mi giunge roca e indecisa. Ci siamo quasi, ancora un po’ e aprirai.
“Dai, aprimi. Lo so che hai bisogno di me.”
“Io ho bisogno di lei!”
Lo so, amore. Lo so. “Portala qui. Ti prego Circeide. Portala o vattene.”
“Non ti posso portare nessuno, lo sai. Hai solo me.”
Sospiri al di là della porta. Ti sei alzata dal letto e sei venuta qua vicino, ti sento.
“Perché sei sempre qui?”
“Perché ti amo. E ancora non l’hai capito.”
“Perché non te ne sei andato, o non mi hai scacciata? Perché mi ami così tanto? Io non so ricambiare tutto questo, lo sai.”
“Adesso non importa. Lasciami entrare.”
La chiave di ottone gira nella serratura. Finalmente posso stringerti. Sei bella come poche, amore mio: perché devi sempre rovinare il tuo dolce viso per colpa di queste lacrime traditrici?
Quando imparerai, Ismene, che è meglio non innamorarsi?



 
   
 
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