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Autore: Hi Fis    16/11/2014    0 recensioni
Cronaca della fine della Seconda Guerra Elfica, così come io l'ho immaginata. Ambientata dopo gli eventi di Skyrim, con la vittoria dell'impero sui Manto della Tempesta, è legata alle mie storie precedenti sul Sangue di Drago, specialmente Le Tre Spade e Tabula Rasa, che contengono elementi necessari per comprendere a fondo questa raccolta.
Genere: Avventura, Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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"Anche per voi dunque fu amore a prima vista, lady Maryon?"
"Non esattamente, imperatrice: per noi ci volle un poco più di tempo."
"Come successe allora?"
"...Posso solo dire che mi è impossibile ignorare qualcuno che mi sorride dopo essere stato trasformato in vari animali e poi riportato alla sua forma originaria."
Conversazioni - Maestà Imperiale Silandra Blacksap
 
"Ti piace?" chiese Zenosha, mostrando a Kaan il pendente che di solito teneva nascosto sotto la sua corazza.
Un ciondolo piuttosto misero, fatto di rame brunito e di nessun vero valore. Un semplice contenitore in effetti, come scoprì la bambina aprendolo: all'interno c'era una ciocca di capelli neri, tenuta assieme da un laccio di seta.
L'elfa era sorpresa da come restare da sola con Kaan la facesse sentire: non che avrebbe mancato al suo compito comunque, le era ben chiaro cosa dovesse fare, ma si scoprì ad abbassare le sue difese. Niente l'obbligava a condividere con Kaan il suo unico tesoro: semplicemente Zenosha aveva sentito il desiderio di farlo, mentre entrambe rimanevano chiuse negli alloggi del cancelliere supremo. Seduta sull'unica sedia della stanza, Kaan si era annoiata presto di scalciare il vuoto e forse per questo l'elfa aveva deciso di placare la sua monotonia: quando la bambina accostò la ciocca di capelli ai suoi, verificando che erano dello stesso colore, Zenosha non poté evitare al più piccolo dei sorrisi di affacciarsi sul suo volto.
"Sì." confermò l'elfa: "Un ricordo di mio padre."
Curvando la testa con aria interrogativa, Kaan sembrò guardarla dal basso, ponderando attentamente qualcosa nel suo muto silenzio, poi, prima che Zenosha potesse fermarla, la bambina si afferrò una delle piume che aveva sulla testa e se la tirò con violenza fino a strapparsela: la sua radice era ben più spessa di quella dei capelli e Kaan non poté impedire ad una buffa smorfia di affacciarsi sul suo volto.
"Perché...?" cominciò a chiedere l'elfa, prima di ricordarsi quanto fosse inutile.
Kaan era muta, ed era impossibile capire quanto davvero comprendesse della situazione che stava vivendo, ma non sembrava che la bambina provasse particolare paura o disagio: eppure non pareva che la magia che aveva ereditato dai suoi genitori le avesse toccato la mente, eventualità tutt'altro che remota. Certo, c'erano stati dei momenti, quando Zenosha l'aveva presa dalle grinfie di Quattro o quando il cancelliere supremo aveva ucciso con la magia Tuinden; in cui Kaan si era spaventata e l'ombra delle lacrime si era affacciata nei suoi occhi azzurri, ma erano stati attimi di breve durata: da quello che ricordava di se stessa, Kaan stava mostrando più coraggio di Zenosha nelle stesse situazioni.
Senza poter rispondere, la bambina intrecciò in un nodo la sua piuma, l'elfa le aveva tolto le manette, unendola poi assieme a quella nera di suo padre e porgendogliele entrambe: quando Zenosha si attardò a riprenderle in mano, la bambina saltò giù dalla sedia con un lieve sbuffo divertito, mettendo assieme entrambe le ciocche e richiudendo il medaglione. L'elfa non pensò nemmeno a fermarla, ma ogni domanda nella sua mente venne spazzata via da un quieto bussare alle porte: Zenosha fece solo in tempo a nascondere il medaglione di nuovo sotto la corazza, prima che un nuovo elfo entrasse nella stanza.
Casualmente, Kaan si era seduta allo stesso tempo sul pavimento, a giocare con i nodi del tappeto.
"Ennario, che cosa ci fate qui?" chiese Zenosha con la sua voce monocorde.
Il giovane elfo dai capelli d'argento sorrise lievemente alla sua superiore: Ennario era una rarità tra gli Altmer, perché a differenza di molti altri, portava le sue emozioni sul volto. L'arte della sottigliezza e dell'inganno erano sprecate su di lui, e allo stesso modo, la divisa di inquisitore Thalmor sembrava sempre essergli un po' troppo larga. Il giovane elfo era anche, assieme ai molti altri come lui, uno degli specchi del suo tempo: l'unico bene che una guerra possa produrre sono gli orfani e come il cancelliere supremo aveva realizzato da tempo, i suoi migliori agenti erano sempre quelli che venivano indottrinati da giovani. Le loro storie erano sempre uguali: a volte era il fervore dei loro genitori a portarli nelle mani dei Thalmor, a volte la morte dei loro parenti per mani nemiche, e altre volte... a giovani particolarmente promettenti o che potevano essere utili non veniva lasciata altra scelta.
Di Ennario, cresciuto in un orfanotrofio dei Thalmor, i suoi genitori si erano liberati non potendolo crescere, ricevendone in cambio il peso in monete: un povero scambio, dato quanto il giovane elfo fosse sempre stato magro.
"... Speravo di poterle essere utile." disse timidamente: perfino il suo nome significa "ultimo" nella lingua degli elfi alti, eppure questo non gli aveva impedito di scalare i ranghi della gerarchia Thalmor.
"A badare ad una prigioniera? Quale stima avete di me, Vice Inquisitore."
L'elfo si grattò la nuca imbarazzato e un lieve rossore si diffuse sulle sue guance: Zenosha sapeva il vero motivo per cui il giovane era venuto, ma aveva sempre fatto finta di non capire. Era più semplice, per entrambi.
"...Ah no, perdonate, mi sono espresso male, non volevo dire questo."
"E che cosa volevate dire, Vice Inquisitore?" Negli anni, Zenosha aveva perfezionato l'arte di rimuovere ogni intonazione dalla sua voce, rendendola il più possibile piatta e priva di intenzioni. Una dote a cui doveva la sua stessa sopravvivenza.
"...Ecco, a costo di sembrarvi sfrontato, penso che questo incarico non sia degno di voi. Occuparvi di qualcosa come quella..." disse l'elfo indicando Kaan, "Volevo sapere se potevo fare qualcosa per alleviarlo: potrei prendermi cura io della creatura..."
"Vice Inquisitore Ennario." l'interruppe Zenosha.
"Sì?"
"Nessun compito datomi dal lord cancelliere è mai troppo gravoso o troppo umile. Sua eccellenza mi ha dato un ordine: badare all'ibrido fino a quando notizie di vittoria non giungeranno in questa stanza. O sopprimerla, se le porte di Alinor dovessero cadere. Mi state chiedendo di disobbedire ai suoi ordini?"
"No! Certo che no... volevo solo sapere se potevo esservi d'aiuto o almeno... di compagnia." disse infine Ennario: l'ultima frase gli sfuggì di bocca e l'elfo abbassò lo sguardo a terra, cercando di nascondere il rossore sulle sue guance. Una cotta: ecco cos'era. Una stupida infatuazione. Eppure Zenosha non riuscì a chiudere il suo animo a quell'esistenza, per quanto giovane fosse: l'elfa non era mai stata abbastanza forte per quello.
"Vice Inquisitore?" gli chiese invece, cercando ancora di appiattire il più possibile la sua voce.
"S- Sì?" balbettò Ennario.
"Voi siete fedele ai Thalmor?"
"Ma certo... !" Zenosha lo interruppe con un gesto della mano:
"Non è mia intenzione mettere alla prova la nostra fede, Vice Inquisitore, ne il vostro onore. Desidero solo conoscervi meglio: perché dunque siete fedele ai Thalmor?"
Il giovane elfo deglutì e strabuzzò gli occhi, mentre cercava di scacciare le fantasie che desidero conoscervi meglio gli avevano causato.
"...Vice Inquisitore?"
"Perdonatemi... è solo una domanda che non mi è stata mai fatta." l'elfo dovette raccogliere le idee prima di rispondere: "Io sono convinto, anzi so, che viviamo in un mondo imperfetto: ci sono così tanti errori a Tamriel. Così tante eresie e tragedie... I Thalmor... noi, rappresentiamo la migliore possibilità per questo mondo. Lo troverà ingenuo forse..."
"Affatto, vi prego, continuate."
"... Credo, benché io stesso sia meno che perfetto, di poter essere uno strumento per la via verso la perfezione. Per la giusta ascesa di noi Altmer, il nostro diritto di nascita. I nostri mezzi sono limitati, e a volte... despicabili, ma io sono convito che il fine che Lord Naarifin e lei incarniate... valga i mezzi."
"Dunque sono certa ubbidireste a qualunque ordine vi venga dato da un vostro superiore?"
"Certamente: non è forse questa il più importante precetto di un buon Thalmor?" rispose l'elfo con un sorriso.
"E se ora vi ordinassi di prendere la spada che porto alla cintura e trafiggermi il cuore?"
La bocca di Ennario si aprì e si chiuse senza emettere alcun suono.
"...Perdonatemi Ennario: vi ho fatto una domanda crudele. Avevo detto di non voler mettere alla prova la vostra fedeltà e mi sono contraddetta." Zenosha finse un sospiro ed il giovane inquisitore reagì come si aspettava. Ennario cercò di innalzarsi al massimo della sua altezza, gonfiando il petto: era ridicolo per certi versi, ma la sua ingenuità impediva a Zenosha di trovarlo divertente.
"... Io obbedirei a qualsiasi vostro ordine, o di Lord Naarifin. Anche se non proverei piacere nell'eseguirlo, tuttavia non mancherei mai al mio compito come Thalmor."
Zenosha divette schiarirsi la gola prima di continuare:
"Una buona risposta, Vice Inquisitore. Ma come Thalmor dovrete imparare ad estirpare ogni emozione dal vostro animo: come avete detto, la nostra causa è grande, ma minacciata da ogni lato da nemici. Ed essi non ammettono pietà, ne indugi. È una fortuna che siate così giovane: avete... tempo per migliorarvi."
Le veniva così facile mentire ormai.
"Grazie, lady Zenosha." Se Ennario si fosse inchinato appena un po' di più, sarebbe senza dubbio caduto.
Fu allora che caddero le porte di Alinor.
Il rumore lontano della Voce dei Draghi riverberò fino a loro, come un vento di tempesta, portando sulle sue ali il tremito e il rimbombo di passi sempre più vicini. Zenosha ed Ennario sentirono il Palazzo di Cristallo tremare attorno a loro e l'incredulità sul volto del giovane elfo rifletteva la sua. E poi ci fu l'impatto, colossale, impossibile, come un terremoto, quando Kaarstag il gigante di ghiaccio, arrestò la sua carica contro il palazzo, sventrando il muro di cinta e schiacciando sotto la sua mole case, pietre ed elfi.
"Mia Lady!" fu l'urlo singhiozzato dai corridoi, mentre una guardia correva verso le stanze del lord cancelliere.
Da fuori, un ruggito bestiale scosse Ennario, mentre Kaarstag iniziava la sua opera di insensata distruzione.
"Le porte della città sono state sfondate!" riferì una guardia aggrappandosi allo stipite delle porte, il primo dei molti Altmer che si riunirono sulla soglia. Tutti stavano guardando Zenosha ora, perché l'impossibile era avvenuto: il Sangue di Drago aveva appena espugnato la città.
"...Cosa... che cosa sta succedendo là fuori?"
E la guardia pallidissima rispose:
"Un gigante, mia lady: ha sfondato le porte della città ed ora è alle mura est del palazzo."
"Inviate ogni soldato disponibile a ucciderlo: sua eccellenza li fermerà alle mura, noi ci occuperemo della situazione qui."
"Come comandate mia Lady."
"Va con loro, Ennario: io ho un compito a cui assolvere." disse Zenosha guardando la bambina. Neanche si accorse dell'inchino che il giovane elfo le fece.
Quando fu di nuovo sola con Kaan, Zenosha estrasse la spada, mentre nella sua mano riluceva la luce di un incantesimo...
 
***
 
Da quando hanno rapito sua figlia, Coda Spezzata, l'ultimo Sangue di Drago, ha perso se stesso nella furia: ciò che ha fatto e sta facendo ad Alinor non è guidato da istinti paterni o mortali, ma dalla sete di vendetta contro coloro che hanno osato prendere ciò che è suo.
Questo significa essere Sangue di Drago: se la furia della tempesta che ha evocato dovesse uccidere suo figlio e sua moglie o sua figlia, ammesso che sia ancora viva, in questo momento per lui non farebbe differenza. Se dovesse succedere, il Sangue di Drago varcherebbe le porte dell'Oblivion per riprendere le anime dei suoi cari e riportarle di nuovo a Tamriel: sarebbe un atto mostruoso, ma nella sua furia, il Dovahkiin travolge ogni cosa. Non ha rimorsi il Sangue di Drago mentre cammina per Alinor seguendo le orme di Kaarstag, e i fulmini gli cadono attorno: i suoi cari sopravvivranno alla tempesta, oppure no.
Niente può domare la sua rabbia e dove il fulmine tocca terra, tutto è incenerito e distrutto: i leggiadri palazzi di Alinor vengono scossi, mentre il vento strappa via facciate, i fulmini scoperchiano tetti e la terra inghiotte fondamenta.
Coloro che lo affrontano, disperati, sono convinti che uccidendolo quella distruzione avrà fine: Coda Spezzata non si preoccupa di educarli del contrario. La furia ormai viene dal cielo, non più da lui: per tre volte squadroni di guardie Altmer, nelle loro armature di cristallo e oro si scontrano con lui, e per tre volte la sua spada daedrica, il cui nome inciso sulla lama in rune si legge Zahkrii, fende gli schieramenti nemici senza pietà. Uomini e armature, spade e corazze, niente rimane intatto al passaggio della sua spada, mentre incantesimi di fuoco e fulmine si infrangono sulla sua armatura senza produrre effetti.
Il sangue degli elfi scorre per le strade di Alinor, prima di venire anch'esso cancellato dai fulmini che cadono dal cielo: la volontà del Sangue di Drago e che nulla rimanga della città, ed il cielo gli obbedisce.
E quando i suoi passi lo conducono davanti al Palazzo di Cristallo, perfino Karstaag, che fino a quel momento aveva fedelmente combattuto per lui, cade sotto la sua spada: Coda Spezzata lo priva di una gamba, prima di tagliargli la testa con Zahkrii, ruggendo al cielo la sua furia e la sua follia, assieme al lampo e al tuono.
Il suo contratto col gigante di ghiaccio, stipulato anni prima nell'isola di Solstheim non è ancora decaduto: due altre volte ancora Coda Spezzata potrà chiamarlo a se.
Per gli ultimi Altmer rimasti a difesa del palazzo, i sortilegi del Dovahkiin sono già troppo: fulmine e fuoco devastano le loro carni, mentre illusioni ottenebrano le loro menti facendoli cadere nell'isteria più completa, che li porta ad uccidersi fra loro. Solo di coloro che si trovano sul suo cammino, Coda Spezzata prende la testa: quando avrà demolito il Palazzo di Cristallo, l'ultima effige ancora intatta di quella città, allora il Sangue di Drago marcerà sul suo porto e darà fuoco a tutto ciò che si trova in esso.
La storia della città di Alinor, i millenni della sua eredità, scompariranno dalla memoria.
"LOK VAH KOOR."
E le nuvole sopra il Palazzo di Cristallo vennero stracciate, permettendo al sole di passare, mentre i fulmini continuarono a cadere sul resto della città.
 
***
 
Zenosha aveva provato un grande senso di liberazione quando aveva eretto attorno a se e a Kaan la barriera mistica: era l'unica arte in cui potesse dire di essere superiore a tutti gli altri Thalmor, Naarifin incluso.
Era un incantesimo che la riconnetteva al suo passato e anche un precetto assoluto, poiché fino a quando la sua spada fosse rimasta piantata nel pavimento della stanza, niente e nessuno avrebbe oltrepassato le sue porte: ne frecce, ne sortilegi, ne creature dell'Oblivion o di carne e ossa. Avrebbe potuto essere il futuro delle difese magiche dei Thalmor, se ci fosse stato il tempo di perfezionare l'incantesimo, ma Zenosha non aveva mai insegnato quel sortilegio a nessuno, anche se avrebbe potuto rendere superflue le mura di pietra di luna degli Altmer.
Il pavimento della stanza riluceva di linee sottili, che si intrecciavano formando cerchi e simboli di incantamento, rune e frasi, che si espandevano sulle pareti e sul soffitto, fortificando, unendo, negando e legando assieme. Un incantesimo che era un'altro ricordo di suo padre e l'ultimo che le rimanesse di lui.
Emozioni di nostalgia e perdita si affacciarono sul suo animo mentre Zenosha sigillava l'incantesimo con una lacrima: al suo fianco, Kaan si era aggrappata alla sua corazza.
Con gesti misurati e lenti, Zenosha si tolse l'elmo, mentre i fulmini cominciarono a cadere sulla città.
"I tuoni ti spaventano?"
Kaan negò con la testa e l'elfa si legò l'elmo alla cintura, sedendosi per terra al suo fianco. I guanti della sua corazza vennero via e l'elfa li gettò lontano.
"...A me moltissimo. Quando ero bambina, avevo così paura della tempesta che ogni volta mi nascondevo sotto il mio letto. Allora mio padre strisciava al mio fianco, e mi teneva stretta raccontandomi storie fino a quando non mi addormentavo di nuovo. E quando mi svegliavo nel mio letto, il mattino dopo, lui era ancora al mio fianco...."
L'elfa si interruppe quando Kaan la abbracciò, stringendo quanto più forte le fosse possibile:
"Vorresti farmi compagnia, mentre questa tempesta è su di noi?"
Kaan assentì con tutta se stessa:
"Grazie. Sei davvero una bambina coraggiosa."
Per la prima volta, con anni di ritardo, Zenosha poté esprimere il lutto per la perdita di suo padre.
Quando il fulmine si portò via un pezzo del muro della stanza, l'elfa non poté fare a meno di gridare: il suo incantesimo aveva retto, ma ora la sua vista spaziava su ciò che restava di Alinor.
"Mi fai male." disse una vocina sottile tra le sue braccia.
Quando Zenosha aprì le sue braccia, Kaan la stava guardando con occhi pieni di calma fiducia:
"Sai parlare..."
Kaan assentì con la testa:
"Ma non mi piace farlo: a volte succedono cose brutte quando parlo."
"Quali cose?"
La bambina indicò il paesaggio sferzato dalla tempesta aldilà della barriera magica:
"Cose come quella."
Diversi incendi si erano propagati per la città, e fulmine e fuoco rivaleggiavano per consumare Alinor: il tuono riecheggiò nella stanza anche attraverso la barriera e Zenosha ne sentì il riverbero nelle ossa. Lo sguardo di Kaan ora, era catturato dalla distruzione che cadeva sulla città:
"Questa è l'ira di mio padre." disse serenamente, quasi con una punta di orgoglio: "Fa un po' paura, non credi?"
"Sì." disse l'elfa con un filo di voce.
Qualsiasi odio lei avesse avuto per Alinor, veniva lavato via in quel momento assieme alla pioggia: nessuna città meritava una simile fine.
"...Sai perché non ho paura dei tuoni?" le chiese Kaan.
"No."
"Perché mio padre mi ha insegnato a calmare il cielo e cancellare la nebbia e il tempo inclemente." dicendo questo, Kaan lasciò andare la mano di Zenosha, avvicinandosi pericolosamente allo squarcio nel muro: di fronte alla furia del cielo e al fuoco sulla terra, cosa poteva fare una bambina così piccola?
"LOK VAH KOOR!"
Assordata da quell'Urlo, Zenosha non sentì gli strattoni e i lamenti che provenirono oltre l'uscio delle stanze.
 
***
 
Ennario correva, vagamente consapevole della sua destinazione, la mente sconvolta dal panico: stava disobbedendo agli ordini, ma cosa avrebbe potuto fare, da solo?
Non era stato il gigante a terrorizzarlo: è vero, il suo fiato era più gelido dell'inverno e la sua pelliccia impervia ad ogni sortilegio, ma Ennario l'aveva affrontato comunque, fianco a fianco con i suoi compatrioti e compagni. Anche quando il cielo aveva scatenato la sua furia, nemmeno allora, Ennario aveva indugiato: l'insegnamento di Zenosha era limpido nella sua mente, e l'elfo aveva soggiogato la sua paura, anche quando i fulmini avevano fatto scoppiare come sacchi di sangue gli elfi attorno a lui. Lo spruzzo caldo in faccia aveva appena intaccato la sua risolutezza.
Ma quando il gigante era caduto e quella... cosa aveva ruggito al cielo sul suo cadavere, macellando gli ultimi superstiti attorno a lui e lasciandolo solo, tutto solo, l'ultimo degli Altmer a difendere il Palazzo di Cristallo...
Ennario fuggiva da quell'essere: l'elfo aveva già visto dei draghi, cerature uccise dai Thalmor, ed un drago quell'essere gli era sembrato, ma non come gli altri. Un anima grigia e nera, come organi traslucidi, ricoperta da pelle di luce, screziata come l'arcobaleno, e dagli occhi rossi, così rossi e terribili...
Ennario fuggiva da lui, sapendo che quella creatura non lo avrebbe permesso, sapendo che qualcosa, non Lui, ma qualcosa, lo stava già inseguendo.
Era come trovarsi in un incubo e la consapevolezza di non poter fuggire gli attanagliava le viscere: quando le porte della stanza in cui aveva lasciato Zenosha non si aprirono di fronte a lui, Ennario poté solo continuare a spingere, fino a che...
"Hai mai sentito la storia di Mathieu Bellamont, e del grande inganno di Cheydinhal? Uccidi la madre di un ragazzo, e la vendetta avvelenerà il figlio."
Appoggiato con la schiena contro la porta, l'elfo finalmente lo vide: nella luce surreale della tempesta, attraverso i suoi occhi sporchi di sangue non suo, una figura si ergeva nel corridoio, con una lama nel pugno. Un uomo con un cappuccio che non permetteva ai suoi occhi di essere visti, col più strano dei sorrisi sul volto. Schiavo del suo panico, Ennario scagliò una palla di fuoco nel corridoio, ma la sfera di fiamma attraversò l'uomo passandogli attraverso, e dando fuoco agli arazzi con lo stemma dei Thalmor dietro di lui.
L'uomo rise, con una ricca voce di basso, una voce che non poteva essere di questo mondo:
"Vorresti uccidermi? Qualcun altro ha già avuto quell'onore." disse la figura ridendo ancora, perché egli era il fantasma di un Oratore della Fratellanza Oscura, che era stato torturato, mutilato e divorato per poi essere appeso per i piedi dai suoi stessi confratelli. Nella sua furia, il Sangue di Drago aveva evocato anche quello spettro, perché facesse dei vivi ciò che voleva.
"...Riesci a sentirlo? C'è musica di morte nell'aria. Ma non temere: non c'è dolore nel VUOTO!"
Con l'ultima parola, un grido folle e grondante di massacri ormai passati, lo spettro si gettò su Ennario, affondando la sua lama fantasma nella carne dell'elfo ancora e ancora, fino a quando il suo pugnale divenne così rosso da sembrare quasi vero, non più solo spirito. Solo allora si arrestò, passando attraverso il pavimento per cercare altre vittime, altre prede nascoste nel Palazzo di Cristallo.
Quando il Sangue di Drago arrivò sulla scena, il fuoco avvolse ciò che restava di Ennario: niente sarebbe rimasto di Alinor, nemmeno il nome o i corpi di chi l'aveva abitata.
Zahkrii, che poteva tagliare qualunque cosa, si abbatté sulla porta.
 
***
 
Zenosha lo avvertì, piuttosto che sentirlo: attraverso il sortilegio che la legava alla stanza, fu come una lama di ghiaccio dietro gli occhi. Qualcuno o qualcosa di assai potente, stava cercando di spezzare il suo incantesimo: normalmente qualcosa di simile era impossibile, eppure Zenosha aveva avvertito le linee del suo sortilegio dissiparsi e riformarsi attorno a quel tentativo di intrusione: qualunque cosa fosse, non era una comune lama quella che cercava di forzare la porta.
Dall'altro lato dell'uscio, il Dovahkiin rinfoderò Zahkrii, perché quella lama non avrebbe potuto forzare quell'incantesimo, ed estrasse Unslaad Bahlok, la spada forgiata tre volte con la quale aveva ucciso Alduin.
L'incantesimo di Zenosha cadde come se non fosse mai esistito: non fu spezzato, ma divorato, e l'elfa percepì la strana sensazione di quella scomparsa, come se fosse stata inghiottita una parte di lei. Quando l'uscio si aprì su ciò che si trovava al di là, l'ultima cosa che Zenosha si sarebbe aspettata di sentire fu:
"Bormath!" cinguettò deliziata Kaan, e la stanza tremò loro attorno per quella parola in lingua dei Draghi.
Prima che Zenosha potesse fermarla, la bambina corse da suo padre, cingendogli la corazza delle gambe e affondando il viso nel mantello di pelli di orso, per poi aprire le braccia per essere sollevata in aria, cieca all'aspetto del suo genitore.
Era amore e fiducia alimentata da esso, perché per quanto suo padre fosse capace di inaudita violenza, per quanto una parte di suo padre fosse mostruosa, Kaan sapeva che lo stesso sangue scorreva in lei e in suo fratello, per quanto in forme differenti.
Kaan era convinta che suo padre non le avrebbe mai fatto del male.
E le mani squamose di Coda Spezzata, che avevano distrutto una città e si erano sporcate col sangue di innumerevoli vite rinfoderarono Unslaad Bahlok, e trassero a se sua figlia.
L'aura di drago che lo avvolgeva si disperse come un brutto sogno, come l'inverno fa all'arrivo della primavera, mentre Coda Spezzata, che i suoi amici chiamavano Haraan e la sua famiglia Cuetzaltzin, osservava negli occhi sua figlia.
Anche Zenosha lì osservò a lungo, mentre la fronte della piccola Kaan si appoggiava al muso da coccodrillo di suo padre: l'elfa si chiese se un tempo fosse stato così anche per lei.
Fu solo dopo essersi riempito gli occhi con la sua vista, ed il naso col suo profumo, che Coda Spezzata lasciò andare sua figlia, accogliendo nella sua mano così grande quella piccola della sua bambina: scaglie nere come la notte, attorno a pelle del colore della cenere.
"Zenosha. Non ci vediamo da tempo." le disse.
"Troppo, Haaran. Davvero troppo." disse l'elfa alzandosi in piedi.
"Quel colore... non ti dona affatto." rispose l'Argoniano indicando la sua corazza d'oro: "Il nero.. ti si addiceva molto di più."
"Dopo dieci anni è la prima cosa che sai dire?" rispose Zenosha: "... ma è anche vero che non vedo l'ora di indossare qualcosa di più confortevole. Magari bianco..."
Erano passati già dieci anni dal loro primo incontro? Erano passati dieci anni da quando Zenosha aveva chiesto aiuto al Sangue di Drago, prima ancora che scoppiasse la seconda guerra elfica, per abbattere il regime Thalmor e salvare gli Altmer? O era invece passato così poco tempo da quei mesi in cui il Sangue di Drago aveva impartito a Zenosha il sapere e le conoscenze e l'addestramento necessario per rimanere nelle fila del nemico così a lungo?
L'elfa non sapeva decidersi: amicizia e stima, complicità e sollievo si mescolavano in lei, per aver portato a termine il loro comune disegno, che aveva richiesto così tanti sacrifici e rinunce personali.
Ai tempi, quando era giunta in segreto assieme alla delegazione imperiale a Solitude, mesi dopo la fine della ribellione dei Manto della Tempesta, Zenosha aveva solo un vago disegno per far cadere il regime Thalmor e lord Naarifin, e la mente e il cuore piena di vendetta: Coda Spezzata le aveva ridato equilibrio.
"Grazie Zenosha." disse improvvisamente il Dovahkiin: "Mia figlia è stata tenuta al sicuro grazie a te. Ti sei presa cura di lei, quando io non potevo farlo. Grazie."
E il Sangue di Drago, che mai prima d'ora si era inchinato di fronte a uomini o dei, quell'essere temuto da creature e da demoni, mise il ginocchio a terra di fronte a Zenosha, chinando la testa: l'elfa non gli disse di alzarsi, semplicemente gli posò le mani sulle spalle.
"E tu hai salvato il mio cuore e la mia anima quando stavano per scomparire, amico mio: con questo ho solo ripagato il debito che avevo nei tuoi confronti."
Il Sangue di Drago si alzò in piedi sotto la sua mano, guardando Zenosha negli occhi, facendo un passo indietro e prendendo Zahkrii dalla cintura e soppesandola con due mani:
"Pochi sono stati coloro che ho chiamato amici nella mia vita Zenosha, e non esiste debito in un'amicizia: questa è Zahkrii, che taglia qualunque cosa. La strada davanti a te sarà ancora difficile, regina degli elfi alti, ma questa spada potrà proteggerti lungo la via, se la imbraccerai."
Zenosha prese Zahkrii dalle mani di Coda Spezzata, soppesando la lunga spada, forgiata come una katana degli Akaviri, ma fatta di acciaio daedrico: sembrava fosse stata fatta per adattarsi non solo alla sua mano, ma a quella di chiunque l'avesse impugnata.
"Altmere Arelle." recitò Zenosha nella lingua degli elfi: "Regina degli Altmer... sono davvero la persona giusta?"
"Questo, solo tu puoi saperlo, amica mia. Per quello che vale, il trono delle isole di Summerset non potrebbe andare a persone più adatta di te: gli Altmer hanno bisogno di qualcuno che li scuota dai loro incubi."
"...Per quello che vale? Pensi forse che la tua opinione abbia così poco valore?"
"Si pensa sempre che io abbia ulteriori motivi..." disse il Sangue di Drago con un sorriso "Perché tutti voi vi affannate a cercare un intento segreto nelle mie azioni? Nessuno di voi vuole credere mai che il mio unico intento sia quello di rendere più felici le persone che ho attorno... che lo vogliano o no." finì Coda Spezzata con un sorriso da drago.
"Adesso ti riconosco amico mio... a proposito: pensi di poter fare qualcosa per la tempesta?" disse Zenosha indicando la distesa che era stata Alinor, al di là dell'occhio del ciclone creato da Kaan: un sacrificio necessario, l'ultimo, per assicurare che la mostruosità di menzogne e cadaveri e sopraffazioni che era stato il regime Thalmor non potesse risorgere dalle ceneri.
Coda Spezzata scosse la testa:
"Una volta richiamata, la furia del cielo deve fare il suo corso: non manca molto ormai."
"Papà?"
"Sì Kaan?"
"Mi sono sempre piaciuti i giorni di pioggia."
"Anche a me." rispose il Sangue di Drago sereno, scompigliandole le piume: "...Quanto sono stati difficili questi anni, Zenosha?"
Osservando la città venire rasa al suolo sotto la furia del cielo, la regina degli elfi raccontò al suo unico amico le conseguenze della sua scelta di dieci anni prima: di farsi carico della sopravvivenza degli Altmer, indossando gli odiosi panni dei Thalmor.
Fu un racconto lungo e pieno di dolore e di episodi terribili che Kaan non sentì, perché si addormentò molto in fretta in braccio a suo padre, complice un piccolo aiuto di magia: non c'era bisogno che crescesse prima del tempo. Quando l'elfa ebbe finito, Coda Spezzata avrebbe volentieri distrutto altre città: non sembrava esserci limite alla crudeltà dei mortali gli uni verso gli altri.
"Mi dispiace solo che tu abbia dato il colpo di grazia a Naarifin: avrei volentieri ornato il mio trono con la sua testa."
Senza preavviso, alle loro spalle si aprì un portale sull'Oblivion, che risputò Brelyna a Tamriel, richiudendosi subito dietro di lei: la dunmer portava con se un lungo oggetto avvolto in quelle che sembravano essere le più orribili tende che Tamriel avesse mai visto.
"....Questo desiderio potrebbe ancora essere esaudito." rispose la strega con aria cupa: la tempesta andava perdendo di forza, ma la battaglia non sembrava essere ancora pronta a finire.
  
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