Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: sapphire     16/11/2014    5 recensioni
Sherlock guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
-Me l’hai promesso John-
-Promesso cosa?-
-Che saresti stato felice-
-Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice-
-Era implicito con Mary-
John scosse la testa -Non posso-
-Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male-
-Come lo sai?-
-Lo so-
Ultimo episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Johnlock
3 capitoli completa
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Amanda 2 Note: ce l’ho fatta, non ci posso credere. Questo secondo capitolo sancisce l’evoluzione della rinascita di John. Spero vivamente di non essere uscita dallo OC e che vi piaccia leggerlo come a me è piaciuto scriverlo!
Buona lettura
Desclimer: come prima, niente è mio nulla mi appartiene, la storie è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro. Peace!
 
Amanda
 
 
SECONDA PARTE
 
 
Aprile
 
Sebastian Moran era stato ammanettato da due eleganti energumeni dell’MI6 e trascinato via, dentro un furgone blindato. I capelli biondi mossi dalla brezza mattutina gli conferivano un aspetto sconvolto e trasandato. Aveva gli abiti sporchi del suo stesso sangue e la bocca, storta in un sorriso folle, tumefatta di lividi. Sì, ci era andato giù pesante, ma sapeva bene che quella bocca non gli sarebbe più servita. Moran non avrebbe mai fatto la spia su nessuno: era un soldato, addestrato a ricevere ordini ed eseguirli in silenzio. Uccideva in silenzio, comunicava in silenzio e guardava il mondo senza empatia. Psicopatico era la parola che forse si avvicinava di più a descrivere la sua personalità e lui aveva impiegato settimane a studiarla.
Sherlock osservò il suo volto emaciato e il ghigno compiaciuto sparire dietro le porte nere.
All’improvviso sentì il suo corpo cedere sotto il peso di quei lunghi mesi spesi a dare la caccia a improbabili fantasmi dormendo e mangiando lo stretto necessario.
John si sarebbe arrabbiamo molto con lui.
<< E’ finita fratello >> sussurrò Mycroft di fianco a lui appoggiato al suo ombrello nero ed elegante.
<< No. Non sarà finita finché non parlerà. Devo sapere se è vivo >>
<< Non credo che lo sia >>
<< Devo saperlo >> ripeté duramente << Non parlerà facilmente. Lo so bene >>
<< Chiamerò a rapporto gli agenti migliori del paese. Parlerà >>
Sherlock annuì.
<< Hai intenzione di restare in mezzo alla strada per tanto, Sherlock? >> si scambiarono un’occhiataccia << un’auto ti sta attendendo >>
<< Prenderò il treno >> tagliò corto << non ho bisogno delle tue balie, Mycroft >>
<< Un grazie sarebbe più che gradito, Sherlock >>
<< Per cosa? >>
<< Per tutto … in fin dei conti Sebastian Moran ti avrebbe ucciso se io non fossi intervenuto … >>
Sherlock scrollò le spalle e si voltò << Porta i miei saluti a John. Vi raggiungerò molto presto >>  aggiunse con un sorriso, osservandolo sparire alla volta della metropolitana.
 
 
 
 
John non ebbe il tempo nemmeno di fare colazione quella mattina perché Amanda si era svegliata prima di lui e pretendeva attenzioni e cibo.
Violet Holmes gli sorrise divertita e gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla prima di anticiparlo e dire: << Resta seduto, caro. Vado io … >>
<< Signora Holmes non ha ringrazierò mai abbastanza per quello che sta facendo >> ammise sinceramente.
<< E’ un piacere John. Ora fai colazione e non preoccuparti >>
John annuì e sbadigliò chiudendo gli occhi davanti alla tazza di caffè nero che aveva smesso di svolgere la sua funzione tre settimane prima quando Amanda aveva cominciato a scambiare la notte con il giorno. Non c’era più tè o caffè che riuscisse a svegliarlo di mattina dopo una notti passate insonni con una figlia che invece di dormire rideva e si agitava.
 
Essere accolto dalla famiglia Holmes era stata una benedizione per John, ancora in lutto per la morte di Mary, preoccupato per Sherlock e insonne per la figlia. Sieger e Violet erano gentili, premurosi e trattavano Amanda come una nipote capricciosa e adorabile, regalandole peluche ad ogni occasione, carillon con le musiche più belle, vezzeggiandola ad ogni lamento emesso.
John sorseggiò il suo caffè meditando di mettersi al lavoro per aiutare Sieger Holmes con i cavalli. Nonostante nessuno gli chiedesse mai niente, John non riusciva a stare fermo per più di un minuto e si sentiva in debito verso di loro tanto da svolgere qualsiasi mansione fosse necessaria per la cura di quella tenuta in campagna , dal taglio della legna al cibo per i cavalli o alla spesa della signora Holmes.
Trascorreva così le giornate, fra passeggiate con Amanda e piccoli lavoretti, scacciando di tanto in tanto il pensiero di Sherlock probabilmente in pericolo o annoiato e intossicato dalle sigarette.
Gli mandava, da tre mesi a questa parte, un messaggio al giorno, sempre uguale lapidario e breve per fargli sapere che era vivo e non in pericolo. “Sto bene” scriveva per poi ignorare tutti quelli che John gli spediva e tutte le chiamate che tentava di fare.
Era frustrante avere a che fare con lui in quel periodo e il restare fermo e in disparte non lo stava aiutando a mantenersi lucido.
Tornerò. Si ma quando? Sono già passati tre mesi razza di idiota! Pensi di stare via ancora a lungo? E per qualche diavolo di motivo né tu né quel pomposo di tuo fratello vi degnate di rispondermi?
John emise un sospiro di pura frustrazione e sorseggiò il caffè bollente udendo la trillante risata della signora Holmes al piano di sopra. Dall’altra parte della casa Amanda stava ridendo con lei: John poteva sentirla e immaginarla come l’avesse di fronte, con gli occhi blu brillanti e i corti capelli biondi pinzati da una fascetta rosa. Mary l’avrebbe trovata adorabile.
Abbandonò il caffè con lo stomaco improvvisamente chiuso dal senso di colpa e sistemò la cucina prima di mettersi al lavoro.
Il suo cellulare squillò nella tasca dei suo jeans e John lo tirò fuori leggendone il messaggio con stupore.
“E’ finita” SH.
John rilesse quelle tre parole altre dieci volte prima di riuscire a sospirare sollevato.
                                                        ***
 
 
 
Alle undici e mezza di sera la casa era silenziosa, avvolta nel buio.
John cercò di rilassarsi sotto le coperte, ma come al solito prima di riuscire ad addormentarsi il suo cervello cominciava a pensare a tutte quelle cose che di giorno riusciva a sfuggire: ripensò a Mary e al posto dove ora si trovava. Al fatto che da tre mesi stava dormendo nella camera di Sherlock, una camera normale con un letto normale e arredamento normale, con scaffali ricolmi di libri di chimica ordinati per anno nella grande libreria, e vecchi microscopi giocattolo. Pensò ad Amanda che per il momento stava dormendo a due metri di distanza da lui. Pensò al futuro che gli si sarebbe prospettato una volta tornato a Londra, alle decisioni che avrebbe dovuto prendere e poi ancora a Sherlock che dopo quel messaggio criptico non si era più fatto sentire.
Pensò anche a Violet e Sieger che ronfavano in fondo al corridoio e al modo in cui si erano affezionati a sua figlia e agli stratagemmi che avevano ideato per dare a lui modo per riprendersi dallo shock dell’ultimo anno appena trascorso.
Si voltò verso la finestra e chiuse gli occhi infreddolito dalla solitudine.
John emise un gemito di frustrazione quando, dopo appena pochi minuti fra il sonno e la veglia, Amanda singhiozzò nella sua culla bianca sbattendo un sonaglino contro il legno laccato.
Sospirò incredulo e cercò di ignorarla perché sapeva benissimo che quelli non erano altro che capricci e perché doveva insegnarle che non poteva essere sempre presa in braccio ogni qualvolta si lamentava. Doveva essere un buon padre, autorevole e sicuro di sé perché, maledizione, era solo e lo sarebbe sempre stato e Amanda era una sua esclusiva responsabilità.
Dopo essere stata ignorata per dieci minuti John sperò smettesse e lo lasciasse dormire, ma così non fu perché ad un certo punto strillò più forte costringendolo a rassegnarsi.
Stava per alzarsi, pronto per una dose notturna di coccole ,quando all’improvviso cessò di piangere.
John dentro di sé esultò udendo solo dei vaghi fruscii provenire dalla culla.
Era appena accaduto un miracolo.
John si mise seduto e scrutò nel buio la figura alta e longilinea appostata vicino al lettino e il suo cuore sprofondò in una sensazione prima di terrore poi di sorpresa.
Accese di scatto la luce rischiarando la stanza di un tenue arancione, ferendosi gli occhi stanchi.
Sherlock Holmes lo guardò come fosse impazzito.
<< Sher … Sherlock? >> balbettò incredulo con il fiato mozzato dalla gioia e dalla paura. Era davvero lì, vivo?
<< John >> sussurrò lui con voce roca. Solo allora si accorse che Sherlock stava sorreggendo Amanda fra le braccia.
John ne rimase ancora più sorpreso.
<< Non ci … posso credere … >> esalò alzandosi in piedi di scatto, il freddo improvvisamente scomparso da quella stanza.
<< Ti avevo mandato un messaggio >> si giustificò << Ho preso il treno appena mi sono liberato dei leccapiedi di Mycroft >>
John si passò una mano fra i capelli e un sorriso sincero si dipinse sul suo volto.
<< Tu non hai idea di come sono felice di saperti salvo. Hai fatto ammattire tutti negli ultimi tre mesi! >>
<< Shht … i miei genitori non lo sanno ancora >>
John gli scoccò un’occhiataccia << E cosa stai aspettando a dirglielo? >>
<< L’ora di colazione >>
Amanda rise e John osservò la scena totalmente meravigliato.
<< Come hai fatto? >> domandò incredulo << No sul serio Sherlock, come? >>
<< Credo sia tutta una questione di odori. Ci farò uno studio a riguardo >> e sorrise << è cresciuta parecchio >>
<< Ha compiuto tre mesi ieri … sì è cresciuta e non dorme mai, ma credo che tua madre sia abituata a questo, vero? Sono solo io prossimo ad crollo nervoso >> e sospirò guardandolo ancora, incredulo dal rivederlo dopo così tanto tempo.
<< Sei dimagrito >> lo accusò.
<< E tu hai l’aria di uno investito da un tir >> lo schernì.
<< Sono padre di una figlia capricciosa >>
<< Solo annoiata, temo … quelle stupide api che hai appeso alla sua culla John , sono deleterie per il suo sistema nervoso centrale >>
John aggrottò la fronte perplesso << Il suo … cosa? Ha tre mesi Sherlock. Cosa dovevo appendere? Formule chimiche e fotografie di cadaveri? >>
<< Aiuterebbe >>
L’attimo dopo scoppiarono a ridere.
Sherlock con un’attenzione che a John parve assurda – assurda se paragonata all’immagine mentale che aveva del detective- sistemò di nuovo la bambina dentro la culla finalmente addormentata  e silente.
Qualche minuto dopo si ritrovarono uno di fronte all’altro, seri in volto, silenziosi pronti a catturare ogni minimo accenno di cambiamento nel corpo e nello sguardo dell’altro.
<< Sebastian Moran >> esordì Sherlock.
<< Come? >>
<< Il nome del responsabile del video. Sebastian Moran. Ha tentato di prendere  il posto di Moriarty e rifondare l’organizzazione >>
<< Sì, ma perché quel video? >>
<< Per sviare la nostra attenzione. Ha disseminato indizi in modo che credessimo Moriarty vivo mentre progettava un attacco terroristico al ministero degli esteri. Un attacco simbolico, oserei dire. Probabilmente voleva dimostrare le sue capacità. Mycroft lo starà già interrogando … >>
<< E Moriarty? E’ vivo o … >>
Sherlock scollò le spalle infastidito << No. Non lo è.  Ora non c’è più pericolo >>
John annuì fra sé e si stropicciò il viso con le mani.
<< Tre mesi Sherlock … >>
<< Lo so >> mormorò con tono dispiaciuto.
<< E mi hai fatto prendere un colpo! >>
<< So anche questo >>
<< Lo speravi >>
<< Vero >>
John scoppiò a ridere di gusto incredulo di poterlo ancora fare insieme a lui.
Non ammise ad alta voce che gli era mancato come l’aria, che la mano era tornata a tremargli e che aveva pensato più a lui che a Mary in quei lunghi tre mesi.
Non lo ammise perché non era ancora capace di realizzare di aver messo Sherlock al centro dei suoi pensieri quotidiani più di quanto fosse accettabile.
 
 
Alle nove del mattino uno Sherlock visibilmente irritato e a disagio dopo essersi beccato un sonoro schiaffo sulla guancia venne vezzeggiato Violet Holmes per averla fatta preoccupare per mesi: quel gesto spiazzò John più degli abbracci che la donna elargiva al figlio reticente.
Sieger rimase fermo, in mezzo alla cucina, sorridente, aspettando il suo turno con dignitosa calma.
John si sentì di troppo in quel momento: essere partecipe della vita famigliare del proprio migliore amico di ritorno da una battaglia era difficile. Così restò in disparte, a disagio, con Amanda fra le braccia che lo guardava incuriosita mordendosi le dita della mano con veemenza.
Sherlock si accorse del suo imbarazzo e ruotò gli occhi al cielo tentando nel contempo di allontanare sua madre senza essere troppo rude.
 
Quel pomeriggio stesso Mycroft sarebbe arrivato per riportarli a casa, o almeno così aveva recepito Sherlock il giorno prima mentre ignorava ciò che la gente gli stava comunicando, e John all’improvviso si rese conto di non sapere cosa fare una volta tornato a Londra.
La campagna inglese  unita alla compagnia dei coniugi Holmes era stata una manna per il suo spirito e gli avevano concesso di riprendere fiato e riorganizzare i pensieri del suo incasinato cervello, ma a Londra? Cosa sarebbe successo?
Non era mai stato così insicuro, nemmeno dopo l’incidente in Afghanistan prima che fosse riportato in Inghilterra. Allora si  era sentito troppo distrutto e dolorante per poter pensare al futuro, ma ora c’era Amanda e lei aveva bisogno di attenzioni e pianificazioni.
Come avrebbe fatto?
Doveva lavorare, ma questo significava lasciare Amanda in un asilo nido. Poteva farlo? Se la sentiva? O ancor peggio, poteva starle lontano per ore ed ore?
Doveva ancora comprare i mobili e … la casa? La casa era ancora lì dove l’aveva lasciata, ma poteva prendersene cura? Era così lontana dal centro, così lontana da tutto e da Sherlock …
Lo guardò mentre parlottava con suo padre a bassa voce.
Sarebbe ancora stato in grado di seguire i casi con lui? Amanda veniva prima di tutto, si concesse, ma le mani che tremavano erano un sintomo grave del suo bisogno di azione. Poteva essere così egoista da continuare il loro lavoro contro il crimine oppure doveva mollare tutto e sopportare per il resto della sua vita un bisogno che non sarebbe mai scomparso?
Poteva lasciare Sherlock da solo?
Poteva vivere senza la sua continua presenza nella sua vita?
No, fu la lapidaria risposta che la sua mente formulò appena si concesse di pensarla.
Non poteva dire no, di nuovo, ad una vita senza Sherlock, senza casi e adrenalina, senza i suoi maledetti esperimenti e il suo violino suonato alle quattro del mattino perché “John, mi aiuta a pensare”. No, non poteva.
Ma c’era anche Amanda.
John strinse il suo corpicino prendendo un respiro profondo.
Adesso la sua vita era solo un grandissimo punto interrogativo e tornare a Londra quello stesso pomeriggio non lo avrebbe aiutato a decidere.
L’unica idea che gli era venuta in mente era vendere la casa in periferia e trasferirsi il più velocemente possibile in centro con Amanda, vicino a Sherlock e alla vita che voleva.
Sì, era un ottimo punto di partenza.
                                                       
***
 
John si rese conto di quando fosse diventata indispensabile la presenza di Violet Holmes nella sua vita una volta superata la soglia di casa sua, una casa che non lo rispecchiava più e che in un certo senso odiava, carica di ricordi recenti e già lontani.
Mary era ovunque lì eppure non provò più dolore nel ricordarla: erano stati belli i primi momenti insieme e il suo caldo sorriso rimaneva impresso nei suoi pensieri così come la sua risata e il modo strano in cui pronunciava il suo nome: queste erano le cose che voleva ricordarsi. Non voleva più ripensare alle sue menzogne, all’aggressione di Sherlock, alla ferita sanguinante che gli aveva causato, alla gravidanza finita male e alla sua incapacità di perdonarla. Voleva solo ricordare Mary Morstan come una moglie, una madre morta prematuramente e che aveva amato. Era l’unico modo per sopportare il dolore.
 
Sherlock lo accompagnò a casa fermandosi sulla soglia dell’ingresso con le braccia conserte dietro la schiena e uno sguardo turbato. Ruppe il silenzio solo quando Amanda fu riposta nel passeggino, osando muovere un passo verso il salotto. Non conosceva bene quella casa, ma sapeva che non rispecchiava il John che conosceva ed era ricca di ricordi tutt’altro che piacevoli.
<< Mycroft si è volontariamente offerto di mandare qualcuno per le cose di Amanda >>
<< Non ce n’è bisogno … >> rispose John prendendo un profondo respiro << Non ho intenzione di restare qui molto … Dio, odio questa casa >> confessò prendendosi la testa fra le mani << Pesavo … pensavo che dopo tutti questi mesi potessi … andare avanti, ma … >>

<< I vicini sembrano silenziosi >>
John gli scoccò un’occhiata dubbiosa: << Non è per i vicini Sherlock. Per i ricordi. Non posso vivere qui, non ci riesco … Mary è ovunque in questa casa e … >>
<< Ti senti in colpa? >> dedusse Sherlock incerto.
<< Sì … principalmente sì. La verità è che mi manca la donna che credevo di conoscere e mi sento in colpa nei confronti di quella che non sono riuscito a perdonare >>
Sherlock annuì e si guardò attorno analizzando l’ambiente, i colori caldi delle tinte alle pareti e i suppellettili sui mobili: tutto in quella casa urlava “famiglia” quando una famiglia in realtà non esisteva più da tre mesi.
<< Cosa farai ora? >> gli chiese il detective trovando posto accanto ad una credenza.
<< Venderò questa casa. Ho messo un po’ di soldi da parte quando tu … >> si interruppe e respirò << eri morto. Cercherò qualcosa in centro … >>
Sherlock annuì pensieroso << Ti consiglierei una casa prossima a Regent’s Park. Ottime scuole ed è vicino alla clinica >>
John sgranò gli occhi, sorpreso << Sì e poi magari mi prendo un cane e nel tempo libero mi dedico al golf! >> ribatté acido nascondendo col sarcasmo il suo bisogno di sfogarsi e Sherlock gliene stava offrendo l’occasione blaterando di case davanti al parco e scuole, come se fosse quello il motivo del suo incomodo.
Scuole, parchi e cuccioli rappresentavano ora la sua vita? E’ questo che stava insinuando Sherlock? Ma come al solito lui non capì.
<< Pensavo ti piacesse il rugby … >>
John si mise le mani fra i capelli << Sherlock! Ero sarcastico! Okay? Sarcastico! In questo momento non me ne frega un cazzo di scuole, parchi e – oddio- hobby vari! In questo momento voglio solo andare via di qui e ricominciare d’accapo con Amanda >>
<< Sì >> pronunciò << Ho capito >> mentì infine senza comprendere perché stessero litigando e soprattutto su cosa.
Si voltò deducendo che fosse meglio lasciare a John i suoi spazi e tornare a Baker Street, prima che fosse sera, per salutare Mrs Hudson e chiamare Lestrade, ma il dottore lo fermò bruscamente afferrando un lembo del suo cappotto, come se improvvisamente gli fosse stato tolto il dono della parola. Sherlock osservò quella mano stringere convulsamente la stoffa e poi guardò John senza riuscire a riconoscerlo per quello che era stato in passato: quel John aveva gli occhi lucidi di dolore e rimpianto, ma erano anche spaventati e insicuri. E lui questa volta non poteva aiutarlo perché l’unico modo che conosceva per far tornare in sé John era mettere la sua vita in pericolo e ciò non doveva più accadere perché c’era una bambina di appena tre mesi che dormiva in un passeggino a pochi metri da loro. Quando John aveva sposato Mary aveva accettato di dividerlo con quella donna, di restare da solo facendo segretamente tesoro delle brevi avventure che riuscivano a vivere sul filo del pericolo, ne aveva preso atto, ma persino la sua diagnosticata sociopatia si ritraeva davanti al nuovo John Watson. Non poteva mettere il padre di Amanda in pericolo di vita. Non più. E se ne rese dolorosamente conto in quel momento.
Aveva fatto una promessa a Mary e non poteva venir meno a ciò che aveva giurato di fare per il resto della sua vita: prendersi cura di John e Amanda.
Tenerli al sicuro.
Basta casi, basta omicidi, basta pericolo.
Basta John.
<< Sono diventato banale, vero? >>
<< John … >>
<< Patetico? Con una vita piatta? Insignificante ai tuoi occhi, giusto? Le mie mani tremano e ho gli incubi, non riesco a dormire e sono tornato esattamente l’inutile individuo che ero prima di incontrarti! Cristo, non ho potuto nemmeno aiutarti a sbattere in cella quel maledetto figlio di puttana! >>
<< John >> lo chiamò ancora liberandosi dalla sua presa con gentilezza << Hai Amanda ora. Ed io non sono una persona adatta ad una bambina >>
John sgranò gli occhi e storse le labbra in una smorfia disgustata << E’ questo il problema? >>
<< No … Amanda non è un problema. Ma c’è e sei suo padre. Lei ha bisogno di te più di quanto tu abbia bisogno di me >> analizzò freddamente guardando tutto tranne che l’espressione sconvolta di John.
<< Sherlock … >> e sembrò quasi una minaccia il modo in cui lo chiamò << Amanda è mia figlia. È sempre al primo posto, ma tu … >>
<< Hai vissuto due anni senza di me John! >> esclamò incredulo dal dover affrontare proprio con un padre un argomento del genere; perché non ci arrivava da solo? << Come hai fatto? Mh? Mi pare tu sia sopravvissuto. Ti sei fidanzato, ti sei trasferito qui! Nessuno ti ha costretto >>
<< Hai ragione! >> lo interruppe con un viso l’espressione più furente che avesse mai visto, peggiore di quella con cui l’aveva accolto al suo ritorno << hai perfettamente ragione Sherlock. Sono sopravvissuto e mi sono fidanzato con una donna che ha contribuito a farmi resuscitare dopo la tua morte e mi sono trasferito qui e sai perché? >> sibilò con i pugni serrati e frementi di rabbia << perché non c’era un fottuto posto di Londra che non mi ricordasse te! >>
Sherlock immobile, lo guardò a lungo, sconvolto dalle sue parole e dall’intensità con cui le aveva pronunciate. Le analizzò, sillaba per sillaba ricercando un significato recondito che forse intravedeva solo lui.
Cosa stava cercando di dirgli realmente?
<< Sherlock >> disse John ingoiando saliva e saliva prima di poter parlare con fluidità << ti ho perdonato, ma non credo tu abbia capito quando la scelta idiota di fingerti morto mi abbia distrutto. Ho rivisto la tua caduta nella mia testa ogni singola notte della mia vita! Ogni singola notte. Poi sei tornato e credimi quando ti dico che prenderti a pugni non mi è bastato. Ho sposato Mary perché l’amavo, perché volevo una famiglia e volevo un angolo di pace da quella che consideravo la mia vera e magnifica vita accanto ad un eccentrico e sociopatico individuo che per vivere risolve crimini mettendo in pericolo la sua vita senza troppi ripensamenti. Volevo questa vita. Volevo vivere in periferia sapendo di poter tornare a Baker Street per seguirti ovunque decidessi di andare, volevo una vita monotona sapendo di poter trovare il pericolo solamente parlandoti, volevo una vita spezzata in due, mi sarebbe andata bene >> prese fiato e non smise di guardarlo negli occhi per un secondo << Volevo te nella mia vita, nonostante tutto, e la voglio ancora, ma tu non lo capisci e ti metti a blaterare di scuole, parchi e hobby! Non lo voglio un hobby! Non voglio vivere in funzione di scuole e parchi giochi! Non solo almeno! Voglio crescere mia figlia nei migliori dei modi perché è la cosa più bella che mi sia capitata nella mia vita e non hai idea di quanto la ami, ma voglio anche te nella mia vita. Perché sei il mio migliore amico, l’uomo più straordinario che abbia mai incontrato e perché so che senza la tua presenza nella mia vita vado alla deriva >>
E tornò il silenzio, carico di aspettativa e respiri veloci.
John inchiodò gli occhi di Sherlock ai suoi e aspettò, aspettò e aspettò che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Invece, sorprendendolo chiuse gli occhi, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si voltò uscendo in silenzio da quella casa.
John abbandonò il capo contro il muro e si lasciò scivolare a terra con l’animo distrutto e gli occhi carichi di lacrime.
Quella stessa notte, alle tre e cinquanta del mattino gli arrivò un messaggio che a John suscitò più domande di quante non ne avesse già.
Mi dispiace, SH .
Ti dispiace per cosa? Per non aver capito prima? Per aver frainteso, per esserti amico, mi dispiace di essere andato via? Ti dispiace per cosa?
Non importa, gli rispose troppo stanco per continuare a porsi inutili interrogativi. Sherlock rimaneva un mistero così come lo erano le  loro litigate.
Sul serio John, mi dispiace che tu non possa capire SH
A quel punto si svegliò completamente rileggendo cinque volte quella frase: altre domande senza risposta.
Capire cosa?
Non gli rispose più.
 
 
 
Maggio
 
Sherlock, quella mattina, minacciò testualmente Lestrade, mentre saliva i diciassette gradini per tornare nel suo appartamento, scrivendo che se si fosse azzardato a disturbarlo di nuovo con un banale caso da due avrebbe dato il suo nome alla stampa accompagnato a quello di una escort scelta a caso.
Con i nervi a fior di pelle e un bisogno impellente di intossicarsi i polmoni con una sigaretta notò solo una volta arrivato all'ultimo gradino la presenza di un ospite a Baker Street.
Spalancò la porta nascondendo un sorriso di pura gratificazione quando scorse la
figura del suo migliore amico, John Watson, steso sul divano con un braccio a coprire gli occhi e l'altro abbandonato mollemente sullo stomaco. Lo osservò a lungo prima di palesare la sua presenza con un mugugno di disapprovazione.
John si scoprì la faccia mostrandosi in tutta la sua immensa  stanchezza.
<< Ombre attorno agli occhi, respiro accelerato, spalle ricurve e tremore alle gambe. Hai bisogno di dormire >> elencò con velato sarcasmo.
<< Ottima deduzione Sherlock >> esclamò stancamente prendendo un respiro per  poter tornare seduto cercando di ritrovare un minimo di decenza.
<< Amanda crede da un paio di giorni che le due del mattino sia l'ora ideale per ridere e chiacchierare con il carillon >> Sherlock sorrise e lasciò
ricadere il giornale sulla scrivania.
<< Come va la ricerca della casa? >>
<< Non hai bisogno di chiedere, lo sai. Comunque male è la risposta >>
Sherlock si sedette sulla sua poltrona e tornò serio << Amanda? >>
<< Di sotto... la signora Hudson ha avuto pietà di me quando
mi ha visto arrivare >> e si lasciò andare ad una risata isterica.
<< È così buona durante il giorno. Ieri mi ha sorriso! Ha sorriso proprio a me, ci credi? È stato... bellissimo... poi di notte si trasforma peggio di un gramlin! >> Sherlock aggrottò la fronte ignorando cosa fosse un gramlin << Lascia perdere >>
<< Forse dovresti prendere in considerazione l'idea di riportare quelle api carillon da dove le hai prese, John >>
<< Forse >> borbottò stropicciandosi gli occhi con le dita << Al lavoro mi hanno concesso altre due settimane di permesso, ma prima o poi dovrò tornare >>
<< Quel lavoro è noioso >>
<< Credi che non lo sappia? >> sbottò tirandosi in piedi di scatto e vedendo Sherlock aggrottare la fronte per la sorpresa: si scusò abbassando la testa.
Si dispiaceva quando a fare le spese dei suoi problemi era Sherlock, ma era altrettanto facile prendersela con lui. Troppo facile.
<< Mi dispiace. Sono solo stanco e … >>
<< Mycroft potrebbe trovarti una casa in pochi minuti se mi permettessi di chiamarlo >>
John scosse la testa con una smorfia << Non voglio mettere in mezzo tuo fratello. E’ un mio problema, non suo. Ho visto una casa a due minuti da qui, ma l’attuale inquilina è reticente a vendere a gente con figli >>
Sherlock annuì e strinse con forza i braccioli della sua poltrona.
<< Puoi … puoi restare qui >> asserì proseguendo a spiegarsi prima che John fraintendesse << per qualche giorno. La camera di sopra è ancora tua >>
John prese un respiro e ignorò quella voce dentro la sua testa che gli urlava di accettare subito.
<< Sherlock … >>
<< Amanda non occupa molto spazio. Non credo potrebbero sorgere problemi >>

<< Potrebbero sorgere? >> ridacchiò incredulo << Sherlock sopporti a fatica il genere umano che tenta di approcciarsi a te e vorresti in casa una bambina che passa la notte a ridere e piangere? Sii serio >>
Sherlock strinse le labbra, offeso da quelle parole.
Si alzò con grazia dalla poltrona e marciò sicuro verso la cucina senza rivolgere a John un solo sguardo.
<< Amanda non è “il genere umano”. E’ Amanda Watson e piange solamente a causa di quelle stupide api che insisti a far ruotare sopra la sua culla! >> sbottò ritirandosi velocemente nella sua stanza, sbattendo la porta con veemenza.
John sgranò gli occhi stupefatto e lo inseguì prima ancora di rendersi conto di farlo, bussando con le nocche contro il legno una due tre volte prima che potesse udire qualche suono.
Non aveva pensato di poter offendere Sherlock Holmes con una simile – e veritiera- insinuazione.
Sì sentì un immenso idiota ad aver insultato i sentimenti dell’amico, un immenso idiota ed egoista per aver pensato solo a sé stesso, surclassando i pensieri dell’altro. Sì, stava male, la sua vita era un casino, ma non si era mai preoccupato del caos nella vita di Sherlock e della minaccia sfiorata dopo il suo ritorno a Londra. Aveva provato paura in quei tre mesi? Dolore? Era stato male? Si era annoiato o peggio, aveva di nuovo fatto ricorso ai suoi istinti suicidi?
Non se lo era mai chiesto, totalmente coinvolto dalla sua vita e dal suo lento processo di guarigione emotiva. Come amico era pessimo, riconobbe.
Dopo le nocche John incominciò a battere la fronte contro la porta, frustrato e dispiaciuto.
<< Sherlock … >> lo chiamò << Sherlock mi dispiace … la mia vita è un gran casino in questo momento e … Dio esci di lì! Odio parlare con una porta! >>
L’uscio si spalancò all’improvviso rivelando il viso astioso del detective.
<< Hai detto di volermi nella tua vita ebbene io sono nella tua vita, John! >> esclamò arpionando lo stipite con le lunghe dita.
John si morse le labbra ancor più amareggiato << So cosa ho detto Sherlock. Ma non posso pensare di importi anche una bambina di quattro mesi >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente prima di scansarlo e uscire dalla sua stanza con movenze melodrammatiche.
Si fermò in cucina sedendosi davanti al suo microscopio.
<< Tu non mi stai imponendo nulla >> esordì qualche minuto dopo << Amanda non è un’imposizione. E sì, sopporto a fatica il resto dell’umanità, ma pensavo di averti pienamente dimostrato di essere in grado di - >> ma fu interrotto perché un detective ispettore di Scotland Yard visibilmente trafelato fece ingresso nell’appartamento rivolgendo un’occhiata disperata a Sherlock.
<< Che c’è ancora Lestrade? >> sbottò il consulente << pensavo di essere stato sufficientemente chiaro quando ti ho detto di non tediarmi con i tuoi stupidi casi da due! >>
<< Questo è diverso >> spiegò Greg rivolgendo un lieve cenno a John << un caso di rapimento vecchio di quindici anni. Sono sorti nuovi indizi proprio oggi. Una telefonata anonima ci ha indicato una zona fuori Londra e abbiamo trovato il cadavere >>
Sherlock aggrottò la fronte e cominciò a ragionare dimenticandosi della discussione avvenuta pochi minuti prima, ma non John che era rimasto basito davanti a quell’uomo che palesava emozioni e si offendeva se non ritenuto capace di amare.
Dov’era finito il detective algido e totalmente avverso ai sentimenti?
Era stato lui a cambiarlo così o gli avvenimenti degli ultimi anni lo avevano trasformato irrimediabilmente?
<< Accetti il caso? >> incalzò Lestrade.
<< Sì >>
<< Grazie >> sospirò << la scientifica è già sul posto >>
Sherlock si alzò << Mandami l’indirizzo via messaggio >>
John osservò la scena con interesse e una parte di lui stava già per cercare la giacca e seguirlo quando si ricordò, d’improvviso, con un fastidioso colpo allo stomaco, che c’era Amanda al piano di sotto e che lui era un genitore.
<< Puoi restare quanto vuoi John >> gli comunicò il detective infilandosi cappotto e sciarpa.
<< Come? >>
<< Resta >> ripeté.
<< Non vuoi che venga con te? >>
Scrollò le spalle << Lestrade sembra divertirsi a tediarmi con casi da due in questo periodo. Lo sarà anche questo >>
<< No, non è vero o non avresti fatto quella faccia >>
<< Quale faccia? >> si stupì.
<< La tua faccia contenta quando hai tra le mani un caso da otto >>
<< Io non … >>
<< Voglio venire con te. Ho bisogno di venire con te >>
Sherlock parve rifletterci spostando più volte gli occhi da John alle scale << Non vuoi più che ti segua nei casi? >>
<< Pensavo … avessi bisogno di tempo >> azzardò a ipotizzare scandagliando l’espressione del medico.
<< Quello di cui ho bisogno è di sentirmi vivo >>
<< E Amanda? >>
John sospirò e con un sorriso sghembo corse giù dalle scale in cerca della signora Hudson e la trovò in cucina, intenta a giocherellare con la bambina.
<< Signora Hudson? Posso chiederle  un immenso favore? >>
<< Certo caro >> gli rispose allegra fiera di far sorridere in quel modo la piccola fra le sue braccia.
<< Potrei chiederle di tenere Amanda un paio d’ore? Se non le crea disturbo ovviamente … è solo che … >>
La signora Hudson cambiò sorriso e divenne improvvisamente complice del suo bisogno di fuga << Io e Amanda ci divertiremo molto John caro, non devi preoccuparti e poi è un angioletto >> asserì facendola sobbalzare fra le sue braccia.
John trasse un sospiro di sollievo << Non so come ringraziarla >>
<< Oh non dirlo neanche. Divertitevi! >>
Quando andò verso la porta trovò Sherlock serio e preoccupato che lo stava aspettando.
<< Sicuro? >>
<< Sicuro >> e sorrise emozionato.
 
 
 
 
All’una di notte le strade di Londra erano deserte e il traffico scorreva.
Il cadavere che avevano rinvenuto quella mattina apparteneva ad una ragazzina di tredici anni soffocata a causa di una stretta forte attorno al collo. Era morta da almeno quindici anni ed era stata lasciata marcire sotto un cumulo di terra e fango alla periferia di un parco faunistico a due ore dalla città.
Un sequestro finito male, fu la lapidaria sentenza di Sherlock una volta identificata la vittima, ora restava solo sapere chi fosse l’artefice di quel brutale omicidio.
John, in taxi, guardò l’ora sul cellulare sospirando pesantemente, devastato dal senso di colpa: aveva lasciato tutto il giorno sua figlia a Baker Street nelle mani dell’anziana signora Hudson per seguire Sherlock sulla scena del crimine e poi a Scotland Yard.
Ma cosa accidenti gli era preso?
Era l’una, l’una di notte maledizione!
Come aveva potuto dare una simile responsabilità a quella povera donna mentre lui … già, lui cosa? Cosa stava facendo?
Forse Sherlock aveva avuto ragione: doveva trovarsi un hobby e comprare un cane e smettere di sentirsi in colpa.
Sherlock accanto a lui stava navigando senza sosta su internet alla ricerca dei quotidiani che quindici anni prima avevano trattato il caso.
John era sicuro non sapesse nemmeno che ora fosse, ma lui purtroppo ne aveva cognizione.
<< Un caso da sette, lo ammetto >> commentò il detective con un sorriso appena evidente sulla labbra.
<< E’ l’una di notte >>
<< Già >>
<< Ho lasciato Amanda dalla signora Hudson per quattordici ore! >> precisò.

<< Amanda è al sicuro >>
<< Lo so, ma non posso fare a meno di pensare di essere un pessimo padre >>
<< Non lo sei … è al sicuro >> ribadì senza distogliere gli occhi dallo schermo del telefono << perché ora? >> domandò di colpo facendo sorgere dei dubbi al dottore sul cambio improvviso di argomento << perché denunciare ora il luogo del seppellimento. Perché dopo quindici anni? >>
<< Senso di colpa? >> borbottò John scrollando le spalle << posso capirlo >>

<< O qualcosa gli ha impedito di parlare prima, magari un compenso in denaro affinché tacesse >>
John aggrottò la fronte e Sherlock sospirò frustrato nel doversi spiegare: << Il rapimento è stato organizzato da almeno tre persone. Uno distraeva con una scusa banale i genitori, uno aspettava in auto pronto a scappare e un terzo forzava la serratura della finestra per entrare in casa e rapire Jane McGregor.
Qualcosa è andato storto e dopo lo scambio in denaro hanno ucciso la ragazza. Se la loro intenzione era di ucciderla comunque, non le avrebbero coperto gli occhi come dimostra il video che i rapitori mandarono alla famiglia. Ho bisogno di analizzare i vecchi fascicoli >>
 
John entrò in casa quasi di corsa, superando la porta della cucina del piccolo appartamento della signora Hudson, trovandola addormentata sulla sua poltrona preferita con una tazza di tè accanto oramai fredda. Prese un profondo sospiro di sollievo lasciandosi finalmente andare ad un sorriso divertito quando constatò che invece Amanda era più che sveglia e rideva, agitandosi dentro il passeggino.
John la guardò e la prese fra le braccia sentendola emettere un risolino soddisfatto.
<< Hai fatto crollare la povera signora Hudson. Cosa devo fare con te? >>
Amanda si appoggiò al suo petto e chiuse gli occhi e John si intenerì a tal punto da non voler più lasciarla andare. Aveva di nuovo perso un’altra battaglia senza nemmeno provare a combattere.
Lasciò la stanza in silenzio, per non svegliare la donna, salendo le scale in punta di piedi fino al salotto dove Sherlock stava già lavorando al caso con il naso immerso nel computer.
Indeciso, John restò sulla soglia aspettandosi da lui qualsiasi segnale di disagio che invece non arrivò.
L'idea di dormire sul divano con Amanda fra le braccia lo sfiorò più volte mentre aspettava che il detective uscisse dal suo mind palace , perché era troppo strano pensare di utilizzare la vecchia camera da letto al piano di sopra.
Gli sembrava di tornare indietro nel tempo, alle notti prima della caduta, prima di andarsene, prima di Mary.
Era strano e aleggiava una sensazione di malinconia nell'aria e John invece di ignorarla né inalò l'odore: sapeva di polvere, reagenti chimici, shampoo e tè.
Chiuse gli occhi e comprese quanto gli fosse mancato tutto questo negli ultimi mesi ... no negli ultimi tre anni.
Sherlock era ancora seduto davanti al computer. Gli occhi saettavano veloci e John si prese qualche secondo per guardarlo e ricordarsi com'era prima: fastidioso, irritante, coinvolgente, fantastico. Unico.
Gli aveva salvato dal dolore utilizzando metodi non ortodossi, lo aveva costretto a riprendere in mano la sua vita, era andato contro tutto ciò in cui credeva facendogli da testimone e  gli era stato vicino nel momento più difficile della sua vita.
Come poteva ripagarlo per tutto questo?
<< Grazie >>
Di esistere.
<< Per tutto >> disse, ma ovviamente non ottenne risposta.
Si voltò e un buonanotte appena sussurrato lo fece sorridere.
 
Aprì la porta della sua vecchia camera trovandola esattamente come l'aveva lasciata - abiti a parte perché quelli erano ancora stipati nell’armadio della sua attuale  casa in periferia- ed era strano notare come nulla fosse stato toccato o spostato: Sherlock era solito occupare qualsiasi superficie orizzontale per i suoi benedetti esperimenti e John non avrebbe mai pensato di ritrovarla integra e sgombra , come se fosse stata lasciata intonsa per un suo eventuale ritorno.
Da qualche parte nella sua testa un voce gli disse che Sherlock gli era mancata la sua presenza manifestandola nell’unico modo che conosceva.
Smise di pensare e si adagiò sul letto con Amanda addormentata sul suo petto.
John sbuffò un sorriso << Basta poco per farti contenta >> coprì entrambi con una coperta di lana e si rilassò al suono del respiro dolce della figlia.
<< Crescerai viziata... lo so. Ma sai che ti dico? Non importa. Non potrei mai dirti di no... Non ci sono mai riuscito, nemmeno con Sherlock >>
La piccola mano di Amanda si posò sulla sua guancia, involontaria.
<< La mia bambina >> sussurrò chiudendo gli occhi.
 
 
Il sole colpì i suoi occhi ad un'ora imprecisata del mattino e la prima cosa che fece John fu tastare il suo petto alla ricerca del peso caldo di Amanda.
Si alzò di scatto quando si rese conto di non trovarla. Pensò fosse caduta o peggio ma prima ancora di essere soffocato da un'onda di panico udì i borbottii della bambina, uniti al parlare di Sherlock, provenienti dal piano inferiore.
Non si diede il tempo di mettersi le scarpe e corse giù aprendo la porta con premura scoprendo così una scena a dir poco singolare: Sherlock seduto in poltrona con un libro posato sulle ginocchia leggeva ad alta voce la composizione chimica del sangue ad Amanda ascoltava curiosa adagiata contro il suo petto.
John sgranò gli occhi stupefatto e rimase immobile godendosi quel momento senza ricercare stonature in quell’immagine di perfezione. Perché sì, in effetti c’era qualcosa di strano nel trovare Sherlock con in braccio una bambina.
<< John >> si interruppe il detective << gradirei del tè se non ti è di troppo disturbo >>
<< Io … Sherlock che cosa … >>
Il detective alzò gli occhi dal libro incrociando i suoi più che sorpresi << E’ ovvio che stiamo leggendo >>
<< State? >>
<< Io leggo lei ascolta. E’ molto interessata alla chimica >> spiegò senza nascondere  una punta di orgoglio nel tono di voce.
<< Non alla chimica. Alla tua voce >>
<< Ah … credi? >> domandò piegando il viso di lato per guardare Amanda che nel frattempo aveva cominciato a stritolare fra le dita le pagine del libro.
<< Sherlock perché? >>
<< Perché cosa? >>
<< Perché l’hai portata qui? >>
<< Ti dà fastidio? >>
<< Certo che no! >> esclamò << Sono solo … sorpreso, ecco >>
Sherlock sospirò e lasciò cadere il libro a terra con sonoro disappunto di Amanda che intanto aveva preso a giocherellare con la stoffa della vestaglia del detective << Era l’alba e tu dormivi. Amanda stava per svegliarti. E’ una bambina molto rumorosa, John, te lo concedo. L’ho portata qui e si è dimostrata molto interessata ai miei libri così le ho letto un volume base di chimica molecolare, suppongo però che non sappia ancora quale sia la funzione di un vetrino perché li ha lasciati cadere a terra prima che tu arrivassi >> spiegò placidamente inchiodandolo con uno sguardo profondo e conturbante << Ora, tè se non ti dispiace >>
<< Sì. Va bene. E … grazie Sherlock >>
<< Mi hai già ringraziato ieri sera >>

<< No … cioè, sì. Grazie per avermi lasciato dormire … ne avevo bisogno >>
Il detective scollò le spalle e tornò ad osservare Amanda e John tornò indietro.
<< Grazie di avermi lasciato venire con te ieri, grazie di aver lasciato che restassimo, grazie per tutto >> aggiunse.
<< John >>
<< No, sul serio. Non credo di averti mai ringraziato per ciò che hai fatto nell’ultimo anno … sono stato così preso dalla mia vita, da Amanda e ho dimenticato di dirtelo … perciò grazie >>
Sherlock annuì senza ribadire e John sentì di aver abbandonato un peso opprimente al cuore in quel salotto. Andò in cucina e preparò il tè in silenzio perdendosi nei ricordi.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo meglio, ma i discorsi non erano mai stati il suo forte.
Tornò in salotto porgendo la tazza a Sherlock.
<< Quindi, il caso? >> esordì sedendosi sulla sua vecchia poltrona sgangherata.
<< Stiamo aspettando che Lestrade ci porti i fascicoli da oramai due ore. Non riesco proprio a capire cosa ci sia di così difficile nel prendere uno scatolone e portarlo qui >>
<< State aspettando? Tu e chi? >>
<< Io e Amanda ovvio >> sottolineò soffiando aria sul bordo della tazzina.
<< Amanda? >> si stupì guardandola mentre gorgogliava sorrisi e commenti.
<< Sì. Pensa che Lestrade sia un’idiota a farmi aspettare così tanto per un paio di documenti >>
John trattenne  una risata << E come te l’ha detto esattamente, sono curioso >>
Sherlock alzò gli occhi dal tè e lo fissò annoiato. Posò la tazzina sul vassoio e sistemò Amanda sulle sue gambe << guardala John. Non ha l’aria di una bambina profondamente annoiata dall’inettitudine degli agenti di Scotland Yard? >>
Amanda si guardò attorno poi decise di provare a mettersi in bocca un piede fallendo nel tentativo tornando ad agitarsi poco soddisfatta.
John rischiò di strozzarsi nel trattenere un’altra risata << Oh sì, molto annoiata >>
<< Lestrade ci avrà sulla coscienza >>
<< Povero Greg >>
<< Greg? Gli ho mandato un messaggio tre ore fa, John! Tre! >> Si alzò di scatto depositando la bambina fra le braccia del padre << Amanda, spiegagli quanto io sia disgustato da questo nuovo esempio di inefficienza dimostrato da Lestrade >>
Amanda guardò John scoccandogli un sorriso empio e sdentato poi si infilò il piccolo pugno in bocca e dichiarò chiuso il dibattito.
Perfetto, si disse, non bastavano gli strani comportamenti recenti, ora Sherlock si metteva a chiacchierare con una bambina di crimini e molecole del sangue.
Cosa gli era successo?
John si alzò e osservò l’entrata in scena di un affaticato Lestrade che trasportando due scatoloni ricolmi di documenti si dovette sorbire anche la predica del detective.
<< John. E’ davvero confortante rivederti >> sdrammatizzò l’amico posando le scatole a terra << ieri non ho avuto tempo di chiederti come stai >>
<< Bene … meglio >> rispose.
<< Ne sono felice. Amanda è davvero bella … è cresciuta molto >>
<< Sì ed è molto reticente nel dormire la notte >> spiegò con un sorriso << Saluta Greg, Amanda >> aggiunse muovendo una mano della bambina affinché sembrasse salutare l’ispettore.
<< Ciao Amanda. Come sei diventata grande … >>
<< Sì, sì, sì! E’ cresciuta, è bella ed è tutto meraviglioso! Ora puoi anche andare, la tua presenza mi distrae >> sbottò acido.
<< Sherlock! >>
<< No, è tutto a posto. Ci sono abituato, John. E vedi di tenermi informato Sherlock perché non ho intenzione di chiamarti sei volte al giorno per avere notizie sul caso >>
Sherlock non rispose già intento a spulciare documenti all’interno della prima scatola.
<< Ti accompagno >> disse seguendo Greg giù dalle scale. Solo quando arrivarono alla porta d’ingresso John tornò a parlare << Credi che Sherlock si stia comportando in modo strano? >>
<< Lui è strano >> precisò l’ispettore.
<< Intendo più strano del solito. E’ come se … fosse – non so- cambiato. Come se avesse smussato gli angoli del suo carattere impossibile diventando più … umano >>
Greg aggrottò la fronte perplesso << Beh … sì è cambiato da quando sei nella sua vita. Non si può negare >>
<< No. Questo lo so, intendo negli ultimi mesi. Io credo che si stia affezionando ad Amanda in un modo che non credevo possibile >>
L’ispettore annuì serio << Sì, lo penso anche  io. Quando è nata ha passato due interi giorni davanti alla nursery a controllarla e guardarla da dietro un vetro. Ha aspettato finché non arrivasti a prendertene cura >>
 John respirò un singulto << Già … me lo ricordo >>

<< Quindi sì penso stia cambiando e, credimi, non aspettavo altro. Te l’avevo detto che, se fossimo stati fortunati, oltre che fantastico sarebbe diventato anche un brav’uomo >>
John rimuginò sopra quelle parole e dovette dar ragione all’amico.
<< Magari quel giorno è arrivato. Insomma … sarà sempre l’acido e insopportabile bastardo so tutto io che conosciamo, ma con qualche altro pregio in mezzo >>
John sorrise incredulo << Ciao Amanda, è stato un piacere rivederti. Posso sperare, John, di rivederti al pub qualche sera? >>
<< Se trovassi una baby-sitter, forse >>
<< Ne hai una al piano di sopra che spulcia documenti >> e rise di gusto uscendo in strada.
John richiuse la porta ridendo come un matto.
In quel momento credette di essere di nuovo felice. Per almeno cinque minuti.
 
***
 
 
Era davvero difficile medicare la ferita di Sherlock al solo chiarore di qualche lampione mentre i lampeggianti della polizia rossi e blu non facevano altro che distrarlo. Inoltre le sue mani stavano tremando a causa del nervoso.
<< E’ solo una ferita superficiale. Non avrai bisogno di punti. Sei stato molto fortunato >> asserì John chiudendo con una fascia l’avambraccio del detective.
Poco distante, due uomini dall’aria turpe, venivano trascinati fuori dall’edificio dagli agenti di Scotland Yard per essere interrogati. Ma gli indizi che Sherlock aveva trovato contro di loro non avrebbero necessitato di una confessione ai fini del processo. Thomas e Neil Adams, fratelli con vari precedenti alle spalle, erano colpevoli dell’omicidio della tredicenne Jane e del suo sequestro a fine di riscatto, complici della cameriera di casa McGregor.
Una settimana di indagini per arrivare ad arrestarli e Sherlock, per non vanificare gli sforzi fatti, si era introdotto in quella casa senza aspettare nessuno ricevendo in cambio una crivellata di colpi che per fortuna evitò finendo in ambulanza con un solo graffio al braccio sinistro. Un vero colpo di fortuna.
John lo guardò adirato mentre lo aiutava a rinfilarsi la camicia e il cappotto e Lestrade ci pensò ben due volte prima di osare avvicinarsi a loro.
<< Ti rendi conto del rischio che hai corso? >> gli urlò addosso l’ispettore prendendosi la testa fra le mani << per la miseria Sherlock! >>
<< John è stato sufficientemente chiaro qualche secondo fa. Come mi hai definito? Un folle idiota individuo dal cervello pieno solo di ego e istinti suicidi. Mi complimento per la fantasia >>
Lo scappellotto gli arrivò, doloroso e rapido sulla sua nuca.
<< Cretino! >> sibilò il dottore << sei un cretino! Potevi farti ammazzare! >>
Sherlock sospirò annoiato << I rischi del mestiere! >>
<< Sei un consulente Sherlock! Fare irruzione è un compito della polizia, lo vuoi capire? Cristo, ma perché perdo tempo ancora a sgolarmi inutilmente? >>
Greg sgranò gli occhi insieme a Sherlock, molto sorpreso da quel nuovo attacco d’ira e si ammutolì aspettando che si calmasse.
<< Okay >> titubò Greg indietreggiando << Io vado ad arrestare la cameriera di casa McGregor. Tu vai a casa e riposati. Ti chiamo domani mattina così parliamo di ciò che hai fatto >> e detto ciò tornò verso la sua auto lasciando i due litiganti a continuare con le loro beghe.
 
 
John sbatté la porta di casa così forte quando tornarono a Baker Street che svegliò la bambina che a sua volta allarmò la signor Hudson la quale si sporse dalla cucina trafelata prima di richiudersi dentro, notando l’espressione furiosa di John.
Il dottore sbatté anche la porta del salotto solo per ribadire quanto fosse arrabbiato e Sherlock lo lasciò fare prendendo posto sulla sua poltrona.
<< Tu sei incredibile! Davvero! Hai rischiato di farti ammazzare! Di nuovo! Come puoi farmi questo? >> a quel punto il detective alzò gli occhi verso John << Come puoi buttarti a capofitto in un covo di criminali dopo tutto quello che ti è successo? Eh? >>
<< John … >>
<< No, John un cazzo! Tu ora mi spieghi perché! >>
Sherlock sospirò stancamente << Ho dovuto farlo >>
<< Tu devi sempre fare qualcosa, vero? John non puoi capire. John ho dovuto fingermi morto, John ho dovuto prendermi una pallottola, John ho dovuto uccidere Magnussen, John ho dovuto rischiare di farmi ammazzare! Hai sempre una scusa per i tuoi atti suicidi, vero? >>
Sherlock si immobilizzò, sicuro che se avesse avuto un coltello in mano lo avrebbe pugnalato.
Lo strillo acuto di Amanda lo distrasse in tempo prima che potesse urlare di nuovo.
Uscì dalla stanza tornando al piano inferiore lasciando il detective solo a pensare alle ultime ore appena passate.
Tornò in salotto dopo quasi un’ora con Amanda addormentata fra le braccia e un’espressione stanca in viso.
Sherlock non si era mosso di un millimetro chiuso nel suo mind palace, teso a riorganizzare alcuni ricordi,  ridestandosi solo quando sentì i suoi passi dalle scale.
<< Mi hai fatto spaventare a morte >> gli comunicò con tono di voce più basso e calmo.
<< John … siediti >> e John lo fece accomodandosi sulla sua poltrona, spostando Amanda sulla sua spalla per non farla svegliare.
<< Stai cercando di scusarti? >>
<< Non sono pentito di quello che ho fatto. E’ il mio lavoro e tu lo sai, ne sei stato partecipe per due anni prima che me ne andassi e dopo, quando sono tornato.

Sai che corro pericoli e sai che non mi importa di farlo. Non mi sono mai preoccupato per me, ma questo era prima … di te, prima di Mary e prima di Amanda. >> disse guardando altrove con una nota di fastidio nel tono di voce <<
Ho fatto una promessa John >>
Il dottore annuì aspettando che si spiegasse.
Sherlock spostò lo sguardo verso il camino prima di parlare e sembrò costargli molto formulare quelle frasi: << Ho promesso a Mary che vi avrei protetti. Le ho promesso che sareste stati al sicuro e che non vi sarebbe mai accaduto niente. Le ho promesso di prendermi cura di Amanda come meglio sarei riuscito. La mia vita, il mio lavoro contraddicono tutte le promesse che le ho fatto. Quindi capisci perché non voglio più che tu mi segua? >>
John trattenne il fiato, sconvolto.
<< Qu-qundo le hai … >>
<< Venne da me un mattino, sicura di morire. Voleva salvare Amanda a dispetto della sua vita >> confessò.
<< Perché non - >>
<< Mi ha fatto promettere di non dirti niente >> lo interruppe ancora, imperscrutabile.
John prese un respiro profondo e un fremito sfuggì al suo controllo.
<< Lei ti ha chiesto di … proteggermi? >> ripeté incredulo accarezzando inconsciamente la schiena calda della bambina.
<< Lo capisci ora, John? >>
<< Ti sei messo in pericolo solo per dimostrarmi che la vecchia vita non fa più per me ? >>
<< Anche. I fratelli Adams dovevano essere fermati prima che fuggissero nelle fogne e raggiungessero il fiume >> spiegò altero e orgoglioso.
John socchiuse gli occhi immaginando Mary in quella stessa stanza, decisa e consapevole nel parlare del futuro all’unica persona di cui potesse fidarsi. E nello stesso tempo faticò a credere che avesse messo la cosa più preziosa nelle mani di Sherlock << Non posso pensare che ti abbia chiesto  una cosa del genere >>
<< Voleva assicurarsi che fossi al sicuro >>
<< Sherlock … >> sussurrò << Non dovresti farlo … >>
<< Voglio farlo >> chiarì spostando di nuovo lo sguardo verso il caminetto spento.
<< Non è compito tuo >> continuò John titubante << Amanda è … non devi farlo se non vuoi. Lo capisco. Non devi prenderti una simile responsabilità solo perché … >>
<< Lo avrei fatto comunque, John >> lo interruppe bruscamente diventando improvvisamente algido e cupo.
<< Tu tieni ad Amanda >>
<< Certo che sì. E’ tua figlia >>
John percepì un brivido corrergli lungo la spina dorsale e si concesse qualche minuto per pensare alla portata di quella confessione.
Lo osservò con attenzione e ripensò a ciò che aveva detto Greg, all’evidente cambiamento emotivo che il detective aveva subito, al compito che si era assunto volontariamente, al modo in cui guardava Amanda.
Tutto era cambiato in lui rimanendo lo stesso Sherlock di sempre, intelligente, folle, algido e velenoso con il resto del mondo nascondendo la sua altra magnifica personalità, mostrandosi solo a lui.
<< Mi hai salvato molteplici volte, hai reso la mia vita un’avventura e mi hai permesso di tornare l’uomo che ero un tempo. E ora questo … questa promessa.
Sherlock, chi sei tu veramente? >>
L’uomo piegò il viso di lato << Un consulente investigativo >>

John sorrise e si sporse verso di lui << Non posso credere che tu sia così. Sei un uomo straordinario Sherlock e fingi di non esserlo >>
<< John, smettila subito! >>
John scosse la testa con un altro sorriso << Non ci penso proprio. Hai appena dimostrato di essere un uomo ricco di sentimenti nascosti e non un robot senz’anima >>

Sherlock gli scoccò un’occhiataccia << Mi rimangio tutto >>
<< Non puoi. È troppo tardi >>
<< Posso farlo >>
<< No invece. Ho memorizzato ogni singola parola >>
Sherlock sbuffò pentito dall’aver parlato e si arrese rannicchiandosi sulla poltrona, portandosi le gambe al petto, mostrandosi imbronciato.
John gli sorrise divertito finché non gli si aprì una voragine al centro del petto.
Ogni cosa che aveva fatto Sherlock negli ultimi mesi le aveva fatte per lui e per Amanda, ogni singola cosa, panificando e sorprendendolo come nel rimettere a posto la sua poltrona o fargli trovare il suo tè preferito in credenza.
Percepì sua figlia muoversi sopra la sua spalla e lasciarsi andare ad un piccolo mugolio sommesso e pensò a quanto fosse importante avere un angelo custode come Sherlock nella sua vita e la immaginò ad imparare a parlare e dire parole assurde grazie a lui, a leggere formule chimiche prima di andare alle elementari, a dedurre la vita delle persone e giocare al piccolo chimico sotto i sui occhi preoccupati.
All’improvviso John respirò di sollievo a quelle immagini sentendo un grande peso dissolversi al centro del suo petto.
Amanda era così fortunata che quasi la invidiò, ma poi capì quanto lo fosse anche lui ad avere Sherlock Holmes nella sua vita e benedì il giorno in cui Mike gli disse “sei la seconda persona che me lo dice, oggi” suscitando in lui una scintilla di curiosità.
<< Mi sento meglio ora >> esordì allora dopo molto silenzio << Sapere che se mi succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, Amanda avrebbe qualcuno su cui contare, no lasciami finire, qualcuno a cui voler bene, qualcuno che le voglia bene. Ho una famiglia disastrata e Harry non sarebbe un buon esempio genitoriale, ma tu … sei straordinario. Quindi sì, grazie e rassegnati, non smetterò mai di ripetertelo >>
<< Grazie di cosa? >> mugugnò fra le ginocchia.
<< Di essere tu >>
Sherlock alzò gli occhi verso di lui e lo osservò mentre si alzava sporgendosi per abbracciarlo con un solo arto e Amanda in mezzo a loro che dormiva. Sgranò gli occhi e perse il fiato finché John non si rialzò con un sorriso sereno in volto.
 
                  
                                                        ***
 
Successe senza che John potesse accorgersene.
Amanda cominciò a mettere i denti e John smise involontariamente di cercare una casa.
I vestiti che aveva erano stati lentamente – due capi alla volta- riportati nell’armadio al piano di sopra e piccoli oggetti di John erano tornati ad occupare alcune superfici della casa, come un mazzo di chiavi, un paio di occhiali, dei guanti, una tazza colorata e alcuni libri.
Amanda aveva portato con sé alcuni sonaglini e due bambole di pezza, un peluche a forma di scimmia e le tutine colorate, regalo di Molly.
La casa in periferia non venne più menzionata una volta venduta e nessuno si preoccupò di sgombrarla dai mobili: John portò via solo tre scatoloni con dentro i suoi restanti oggetti personali e le fotografie, chiudendo i ricordi lì dentro.
Sherlock non accennò più l’argomento casa né sembrò volerlo allontanare da Baker Street.
Amanda era diventata gradualmente più silenziosa grazie a Sherlock il quale suonava ogni sera per lei una composizione armoniosa e ipnotica rendendo tranquillo il suo sonno.
Il salotto si era animato di nuovo dalle loro discussioni sui casi. John era stato irremovibile su questo punto: nei limiti del possibile lo avrebbe seguito e non c’era nulla che Sherlock potesse escogitare per fermarlo. Si doveva semplicemente rassegnare ritrattare quella parte della promessa.
Amanda riempiva gli attimi vuoti della loro vita, quelli prima noiosi e tranquilli, e rideva, rideva sempre attratta da tutto ciò che si muoveva e qualunque cliente disperato usciva da lì con il sorriso alla vista di una bambina, adagiata su una trapunta, che gorgheggiava rivolta  al soffitto.
La signora Hudson le aveva ricamato una coperta lilla e quella stessa ora era stata piegata all’interno di un lettino bianco che qualcuno aveva portato in camera sua la sera prima.
Stava tornando a vivere a Baker Street senza rendersene  conto.
E’ una situazione temporanea, si giustificò, un giorno Amanda avrà bisogno di una stanza sua; non può dormire con me per sempre. Troverò una casa qui vicino.
La verità è che non poteva nemmeno pensare di andarsene senza piombare di nuovo in quello stato di apatia in cui era caduto, di vivere senza il violino di Sherlock suonato alle tre del mattino per addormentare Amanda o per pensare e al microscopio lasciato sempre al centro del tavolo della cucina.
Sherlock, Sherlock era il centro dei suoi pensieri.
Come aveva fatto prima?
Come aveva fatto a non sentirne la mancanza quando viveva con Mary, come aveva potuto ritenerlo fastidioso?
<< John! Un caso da sette! Prendi la giacca! >> gli urlò dalle scale e un sorriso spontaneo apparve sul suo volto.
 
 
 
Luglio
 
 
 
Corse a perdifiato lungo il vicolo buio.
Vide la sagoma della sua preda a pochi metri di distanza che scavalcava un muretto con estrema goffaggine e accelerò sicuro di prenderlo: nessun omicida di centoventi chili poteva competere con John Watson, soldato ferito in guerra e tornato dall’inferno più di una volta.
L’uomo rovinò a terra e si rialzò perdendo due metri di vantaggio.
John poteva sentirlo rantolare mentre arrancava sempre più claudicante fra le mura delle case e si pregustò il momento in cui gli avrebbe messo le mani addosso per farlo pentire di aver ucciso due quindicenni. Oh, l’avrebbe pagata cara.
Si sentì vivo, energico e felice nonostante la situazione. Felice di essere vivo. Felice di essere di nuovo felice.
Scattò in avanti e con un ghigno di vittoria lo raggiunse afferrandolo per un lembo del maglione. L’uomo cadde a terra, stordito e sorpreso e ciò non gli permise di reagire quando comprese di aver appena guadagnato un biglietto di sola andata per il carcere a vita. 
John lo tenne fermo, furente, ignorando le vane lamentele di quell’abominevole  individuo.
<< John? John?! Lo hai preso? >>
<< Sì! È a terra! >> urlò il dottore in risposta osservando la sagoma di Sherlock avvicinarsi. Aveva il fiato corto e un sorriso soddisfatto in volto, le mani già strette attorno al cellulare.
<< Lestrade, vicolo sulla destra. John lo ha preso >> comunicò con una rapida chiamata, la voce incrinata di orgoglio. Lo guardò a lungo accorgendosi che quel sorriso era tutto per lui.
Si rialzò solo quando Sally Donovan assicurò l’omicida alle manette consegnandolo a due agenti in divisa mentre Lestrade, con le mani sui fianchi, osservava la scena compiaciuto.
<< Come hai fatto ad arrivare a lui? >> domandò quest’ultimo rivolto al detective.
Sherlock morì ancora più d’orgoglio << Un’unghia >> disse.
<< Cioè? >>
<< La vittima numero due aveva un’ pezzo di unghia spezzata fra i denti. L’ho analizzata: conteneva relative tracce di trucco resistente all’acqua. Era troppo spessa per appartenere ad una donna, ingiallita dal fumo. Quale uomo porta trucco resistente all’acqua? >>

John fulminò con un’occhiataccia chiunque stesse osando fare battute << l’impronta quarantacinque vicino alla vittima numero due e le scene del crimine disordinate  mi ha portato a dedurre le caratteristiche di un uomo alto, grasso con problemi di fumo e alcol, basso QI e un impiego nel circo itinerante che casualmente è situato a due minuti di distanza dalle scene del crimine. Un clown quindi. Gli era relativamente facile attirare giovani ragazze senza essere notato. E’ bastato poi infiltrasti nel- >>
<< Okay! Basta, abbiamo capito, Sherlock. Grazie >> lo interruppe Lestrade troppo stanco per sopportare gli infiniti sproloqui del detective << Una cattura davvero formidabile John >> continuò rivolto all’amico.
John respirò ansante << Eh! Era lento >>
Lestrade sorrise << Bentornato >> e detto ciò diede a tutti la buonanotte salendo sulla sua auto di servizio.
Bentornato. Che suono meraviglioso aveva quella parola nella sua mente.
Sherlock ruppe il silenzio << Fame? >>
<< Muoio di fame in verità >> asserì << e credo che la signora Hudson non ne possa più di badare ad Amanda. Sono le undici di sera >>
<< C’è sempre il take-away >> e detto ciò raggiunsero insieme la strada principale fermando un taxi in corsa e sempre in silenzio vi salirono ancora adrenalinici per l’assurda giornata appena trascorsa: prima le deduzioni di Sherlock, poi il circo con quegli inquietanti pagliacci ed infine la corsa a perdifiato lungo mezza Londra all’inseguimento di un ometto tarchiato ma che scattava come una lepre fra i vicoli.
John sospirò contento lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto.
Erano anni che non si sentiva così vitale.
<< Ricordami di impedire ad Amanda di andare a vedere in futuro uno di quegli spettacoli >>
<< Abominevoli oserei dire >> finì per lui Sherlock << non mi sono mai piaciuti di clown >>
<< Nemmeno a me. Ma c’è davvero qualcuno a cui piacciono? >>
<< Suppongo di sì >> mormorò per poi guardare la strada bagnata da un’improvvisa pioggerellina estiva << Sei stato … bravo >> John aggrottò la fronte << avrebbe potuto sfuggirci nonostante la mole. Sei stato davvero bravo >>
<< Grazie >> rispose lievemente commosso.
Sherlock sorrise << Sarei perso senza il mio blogger >> recitò ricordandogli di quel lontano giorno in cui lo aveva coinvolto nel caso che aveva cambiato la loro vita.
<< Sarei perso senza di te >> sussurrò John con un filo di voce, il naso contro il finestrino e le guancie rosse dall’imbarazzo per quella confessione.
Il taxi si fermò davanti al 221B e scesero dopo aver pagato la corsa ignorandosi a vicenda, ignorando le loro ultime parole, come accadeva oramai da qualche settimana. John cominciava a sentirsi vagamente frustrato.
Si sussurravano confessioni criptiche e impalpabili da un angolo all’altro della casa poi fingevano che nessuno avesse parlato. E tutto ricominciava d’accapo.
 
 
Sherlock lo amava.
Non era  un genio della deduzione, ma lo aveva capito con estrema facilità una volta levata dagli occhi quella benda nera dietro cui si era trincerato al mondo per mesi.
Sherlock lo amava e lui lo sapeva e da quando lo aveva capito non c’era stato un solo momento in cui avesse reputato la cosa sbagliata, strana o disgustosa.
E quel sorriso orgoglioso e luminoso in quel vicolo buio ne era stata l’ennesima prova.
Nonostante l’ultimo disastroso anno John si sentì un uomo fortunato perché un essere straordinario come Sherlock lo aveva scelto e fatto entrare nella sua vita, una vita meravigliosa, e si stava lasciando finalmente andare, aspettandolo paziente affinché facesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Sherlock si era gettato da un palazzo per lui, aveva sopportato il suo rancore, finto di non provare nulla, si era occupato del suo matrimonio -e John non voleva davvero pensare a quanto dolore questo gli avesse procurato e quanto cieco fosse stato lui nel non capire- gli aveva chiesto di essere il suo testimone inconsapevole del suo silente sentimento e gli aveva detto sì, lo aveva spinto a perdonare Mary solo per vederlo di nuovo felice, lo aveva sorretto il giorno della sua morte riservando nella sua vita un posto speciale per Amanda e lo aveva protetto contro Moran ed ora era ancora lì a spronarlo con metodi bizzarri a tornare alla vita, alla sua vita.
Come poteva meritarsi tutto quello?
Mary era un fantasma rinchiuso in un cassetto che qualche notte John apriva per poterla rivedere e scusarsi ancora, ma aveva smesso di dirle che l’amava, che le mancava.
Il dolore per quella perdita era ancora palpabile, ma sempre più labile. Era diventata un ricordo, un ricordo che s’imponeva di associare a momenti felici e sereni dimenticando, quando riusciva, le bugie che lo avevano fatto smette di amarla e desiderarla.
Sherlock invece era una presenza costante, un cassetto sempre aperto che la notte lo faceva sobbalzare dalla sorpresa, ricolmo di sensazioni sopite, ignorate e fraintese anni e anni prima. E si rese conto che l’atroce dolore provato al funerale di Mary non era stato nulla rispetto a quello subito dopo la perdita di Sherlock, nulla. E quando ogni cosa nella sua vita si era trasformata in “senza Sherlock” – la spesa senza Sherlock, discorsi senza Sherlock, stanze senza Sherlock, silenzi senza Sherlock – tutto era diventato ancor più doloroso e buio.
Rabbia, paura, angoscia, solitudine, emozioni che aveva rivissuto in ospedale mentre aspettava che i medici gli dicessero che era ancora vivo, che l’emorragia non lo aveva ucciso.
Aveva sposato Mary perché la amava, perché era stata una donna meravigliosa, capace di fargli dimenticare in parte il suo dolore, ma Sherlock … Sherlock era tutt’altro tipo di amore, un amore assoluto e indissolubile, deleterio e galvanizzante al tempo stesso. Un amore unico nel suo genere.
 
 
Sherlock una volta in casa, si fiondò al computer e John invece nella sua camera da letto dove Amanda dormiva controllata da un baby monitor installato al piano di sotto.
Si sporse e osservò la figlia respirare profondamente e agitare lentamente i piedi al ritmo di un sogno. Le sfiorò una guancia con il dorso della mano meravigliandosi di quanto fosse bella.
Le augurò di fare sogni belli e colorati e le baciò una manina paffuta abbandonata lungo il cuscino, poi si rialzò e chiuse di nuovo il cassetto Mary dentro la sua testa sapendo che avrebbe capito; era stata lei a chiedere a Sherlock di proteggerli. Lei sapeva tutto prima ancora che ci fosse arrivato lui stesso. Sapeva che la sua vita sarebbe ricominciata solo grazie a Sherlock. Lo sapeva e lo avrebbe perdonato per ciò che stava per fare.
 
 
Uscì silenziosamente dalla stanza e socchiuse la porta scendendo gli scalini due alla volta.
Lo trovò chino sul suo computer, vicino alla scrivania, gli occhi che saettavano da parola in parola con entusiasmo. Ma si fermò nell’esatto momento in cui John attraversò il salotto.
 Aspettò in silenzio e finalmente trovò il coraggio per parlare.
Rimandava quel discorso da settimane e Dio, era così difficile affrontarlo ed affrontare anche sé stessi.
<< Da quanto? >> gli chiese con un sussurro.
Sherlock si raddrizzò e spostò gli occhi di ghiaccio incontrando i suoi scuri e determinati. Esitò più volte, trattenendo il respiro, rilasciandolo di colpo, trattenendolo ancora.
<< Da quanto, Sherlock? >>
<< Da sempre >> mormorò a voce così bassa da risultare inudibile. Solo i muri parvero sentirlo.
John chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
<< Vieni qui >> ordinò con un altro sussurro e Sherlock gli obbedì. Si alzò in piedi e due passi dopo era davanti a lui in attesa di qualsiasi cosa sarebbe successa, gli occhi fissi sui suoi, le braccia tese e una vena scura rigida lungo il collo, esposta.
John ingoiò il groppo che gli chiudeva la gola e osò guardarlo in viso sperando di non arrossire, di non svenire e non perdersi nei suoi occhi profondi ed elettrici.
Sherlock aspettava, emblema della paura e dell’incertezza.
<< Quando ti ho conosciuto ho pensato fossi un egoista bastardo che si divertiva a giocare con le vite e i sentimenti degli altri. Forse lo eri davvero o forse nascondevi il tuo vero Io dietro un muro di ghiaccio, ma Dio se mi ero sbagliato >>
<< John >>
<< Zitto. Ogni cosa che hai fatto negli ultimi mesi – che dico, anni- l’hai fatta per me, per Amanda, per vederci felici. Ogni singola cosa >>
<< Mary mi ha chies- >>
<< Balle >> lo interruppe << Un uomo non farebbe mai così tante pazzie senza essere matto o follemente innamorato >> e a quel punto Sherlock sgranò gli occhi, terrorizzato e stupito nello stesso tempo << Forse sei entrambe le cose >>
<< John io non- >>
<< Mi dispiace Sherlock >> aggiunse senza smettere di guardarlo << mi dispiace di aver sposato Mary, mi dispiace di averti chiesto di essere il mio testimone, mi dispiace di aver sempre ignorato i segnali. Mi dispiace di non essermi fidato di te, mi dispiace di averti odiato e di aver provato a dimenticarti >>
<< Perché ti stai scusando? >> gli chiese con l’animo confuso.
<< Perché credo che in quest’ultimo anno tu abbia sofferto tanto quanto soffrii io mentre ti fingevi morto >>
Sherlock abbassò lo sguardo, ma John gli impedì di allontanarsi, sfiorando il suo mento con due dita.
<< Ho bisogno di tempo e sarà difficile all’inizio, lo so. La mia vita è un gran casino al momento, ma non ho intenzione di perderti di nuovo >>
<< Non è necessario che tu mi prometta  niente John. Io posso - >>
<< Aspettarmi? Io no. Sherlock, posso vivere senza una moglie per la quale mi sento ancora in colpa di non aver perdonato, posso vivere senza amici e crimini, posso vivere senza case con giardini e parchi gioco, ma non posso vivere senza di te, lo capisci? E mi dispiace, mi dispiace di non averlo capito prima >> ammise con un unico fiato stringendo fra le dita i risvolti della giacca del detective.
Sherlock boccheggiò e posò le mani su quelle di John.
<< Non osare mai più allontanarmi da te >> sbottò infine carezzando una guancia pallida e rigida di paura.
Tutto quello era troppo, troppo in un colpo solo e John lo capì lasciandolo andare.
<< Non osare mai più nascondermi niente, niente capito? Che sia un suicidio programmato o un omicidio oppure un sentimento di qualsiasi genere >>
Sherlock annuì e i suoi occhi tornarono vividi e presenti.
Scacciò dalla sua mente il ricordo di Mary e osservò le sue labbra morbide e perfette socchiuse dallo stupore e si chiese da quando tempo gli piacesse guardarle.
Non si odiò per aver sempre detto di non essere gay: non lo era, ma Sherlock era diverso da qualsiasi altro essere umano, unico nel suo genere e quelle labbra erano perfette da baciare.
Ma non lo fece, per quello ci sarebbe stato tempo e in quel momento entrambi erano sul filo di una crisi isterica: lui troppo provato  e Sherlock troppo sconvolto per fare qualsiasi cosa.
Accettò quelle parole e le sue carezze e qualche secondo dopo erano entrambi sul divano, John con le braccia a circondare il corpo di Sherlock e lui stretto, rannicchiato addosso con il viso affondato nel suo maglioncino estivo.
<< Mai più >> promise il detective con un mormorio e John sorrise.
Mai più segreti, mai più dolore, mai più addii.
Mai più soli.
 

Note:
Credete sia finita? Ebbene, no! Ci sarà l’epilogo in cui sbroglierò definitivamente la matassa sentimentale dei nostri due amatissimi John e Sherlock.
Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato una recensione, le vostre parole sono state bellissime, grazie di cuore e sono contenta che questo parto letterario vi piaccia! Appena avrò tempo risponderò singolarmente.
Una grazie va anche a chi ha letto la ff  e a JJ la mia caaara amica di mail che sopporta le mie crisi isteriche e sa come risolverle.
Mi auguro di non aver commesso errori madornali di grammatica ma purtroppo è auto corretta quindi non ho idea di quali strafalcioni potrei aver commesso. Se così fosse fatemelo sapere e li correggerò =)
Mi auguro di postare prima di Domenica ma ahime sono una studentessa universitaria e i libri di diritto non si studiano da soli … purtroppo =(
Ah già dimenticavo.
Biscotti per tutti!!
 
 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: sapphire