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Autore: Rubina1970    16/11/2014    5 recensioni
In questa storia cercherò di dare spazio a tutti i personaggi. Che siate fans di Abel, di Arthur o di Lowell, prometto di dare la massima attenzione a tutti loro!
Il punto è: e se Georgie, alla fine del cartone, si fosse rimessa con Lowell?
Nell'anime, non si vede mai che s'innamori di qualcun altro, e anche se torna a casa coi Butman Brothers non per questo ne sceglie uno. Questo è uno dei motivi per cui il finale dell'anime non mi soddisfa.
Spero che la mia storia vi piaccia, ci saranno baci, lacrime e risate, e paesaggi che uno non si aspetta (tipo: che ci fa Georgie in Italia?!) ... e aspetto vostri commenti!
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Altri, Arthur Butman, Georgie Gerald, Lowell Gray
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avviso per tutti voi: mi rendo conto che questo capitolo è interlocutorio, perciò il prossimo aggiornamento lo farò prima delle due settimane che sono trascorse tra il primo capitolo e questo. Potevo e volevo fare prima, veramente, ma Emerald77 mi ha chiesto se non potevo inserire un disegno ad ogni capitolo. Credo che la buona Emerald non si renda assolutamente conto di quale impresa titanica sia! Qui una fanart ci sarà e spero che vi piaccia, ma non credo che potrò assolutamente essere costante in questo!

Avviso per le fans di Abel: sento il vostro odio su di me ... ma vi assicuro che il vostro eroe avrà il suo momento d'oro, anche se ci vorrà tempo e forse non sarà come voi (e lui) se l'aspetterebbero.

E ora, buon divertimento a tutti!




L’indomani, Georgie fece colazione tardi. Ovvio, era anche rientrata tardi. I suoi fratelli avevano già finito, non li cercò e quindi non li vide. Poi, si vestì con calma, non aveva voglia di affrontare la famiglia. Alla fine, si decise ad uscire dalla sua camera e scese, proprio nel momento in cui alla porta si presentò Lowell con un gran mazzo di rose rosa. Era una domenica mattina bellissima, soprattutto per lei dal momento in cui lo vide. Si dimenticò di aver avuto dei pensieri e scese le scale di corsa per abbracciarlo di slancio, col suo antico radioso sorriso:
 
― Lowell! Sei venuto a trovarmi, che bello! Buongiorno! – , e lo baciò, mentre lui l’abbracciava felice.
 
― Buongiorno, tesoro mio! Certo che sono venuto da te, non potevo starti lontano! Mi sono ricordato che ti piacciono i fiori, ho fatto bene?
 
Naturale, che aveva fatto bene! Georgie prese i fiori e li mise istantaneamente nell’acqua, canticchiando. Suo padre e il Conte Wilson, intanto, uscirono da uno studio per vedere chi era arrivato, dal momento che avevano sentito qualcuno ma nessuno era stato annunciato. I saluti con Lowell furono cordiali, e subito dopo il ragazzo arrivò al punto:
 
― Conte Gerard, stamattina sono venuto a chiedere a Georgie di fare una passeggiata, se ne ha voglia, e magari poi di pranzare con me. Mi rendo conto che le sembrerà strano, ma ho scritto già alla Signorina Elisa Dangering per rompere il mio fidanzamento con lei, la mia famiglia è stata già informata e perciò io sono un uomo libero a tutti gli effetti. – Lowell parlava sorridendo in modo sicuro, gli occhi di Georgie brillavano d’impazienza, e suo padre non poté resistere. Infondo l’estate inglese dura così poco, bisognava che i ragazzi si godessero gli sgoccioli della bella stagione.
 
Mentre stavano uscendo, Arthur scese al pianterreno e li vide sulla porta. Non poteva nascondere la sorpresa, ma poteva almeno essere educato:
 
― Georgie, sei in piedi … Oh, buongiorno … cioè, ciao, Lowell. Non ci si vedeva da parecchio, eh?
 
― Ciao, Arthur. Eh, già! L’ultima volta che ci siamo visti ti chiamavi Cain … però ti trovo bene, hai una cera molto migliore. Mi fa piacere!
 
― Arthur, ciao! Noi usciamo, ci vediamo dopo, fratellino!
 
Georgie … con Lowell!!? Arthur dovette prendere atto dell’evidenza: Georgie usciva con Lowell, quasi di corsa, trascinandolo via mentre a lui brillavano gli occhi. Pensò ad Abel, che si perdeva sempre i momenti più importanti. E non era un bene. Ma come gli era venuto in mente Abel? a lui, Arthur, non importava che Georgie avesse ritrovato il suo primo amore? Ancora quello strano senso di vuoto …
 
I due ragazzi uscirono in strada come gli alunni l’ultimo giorno di scuola, come se avessero vinto un premio. Erano euforici, tutto li divertiva, nel sole e nel giorno di festa. Si spinsero camminando fino ad un parco pubblico, che era pieno di famigliole uscite dalla messa. Passeggiavano sottobraccio, bellissimi, ma Georgie si staccava spesso per l’emozione di cose nuove: il venditore di fiori all’angolo tra due viali (ma stavolta non spinse Lowell a comprare nulla), il laghetto coi cigni, il suonatore d’organetto col suo repertorio di storie musicali, il teatro dei burattini pieno di bambini. Era il lato del carattere di Georgie che Lowell amava di più, entusiasta, pieno di vita giovane e stupita. Ma Georgie era cresciuta: non chiedeva tutto, non voleva giocattoli, ora apprezzava la compagnia di Lowell oltre ogni cosa.
 
― Non sai, non saprai mai quanto mi sei mancato in tutto questo periodo …
 
― Anche tu, Georgie, angelo mio. Ho pregato che tu tornassi da me, che mi portassi via. Volevo andarmene, ma più di tutto volevo te. Ti amo da morire, Georgie!
 
Un bacio sotto un salice piangente, che coi suoi lunghi rami fogliati e ricadenti, verdi e fitti, li copriva. Baciarsi all’aperto, in pubblico! Ma nessuno li vedeva, e loro si amavano con tutta l’anima, dopo una lunga e dolorosa separazione. E Lowell assaporava un profumo che lo rendeva felice: i capelli di Georgie, misti a speranza.
 
Il sole trapelava attraverso le foglie di acacia, quercia, leccio. Sembrava tutto perfetto.
 
Poi, fu ora di pranzo. Georgie non voleva andare in un posto chic, e Lowell pensava che sarebbe stato meglio e più discreto andare in un locale qualunque, dove non li avrebbero riconosciuti, finché il fidanzamento non fosse stato ufficializzato. Si preoccupava per lei, novella Contessa Gerard, assolutamente non preparata alle chiacchiere malevole delle cronache mondane.
 
Trovarono un posticino dove facevano pollo e aringhe arrosto, patate (tante, in tutti i modi) e cavoli. Zuppa alla buona e tavolacci, ma pulito. È difficile spiegare quello che avvenne: Lowell non era a disagio. Per uno come lui, aveva del miracoloso!
 
― Due aringhe con patate arrosto, per me, e una bella pinta chiara. E tu, tesoro?
 
― Del pollo, patate fritte e una birra anch’io. Grazie! … Amore! – ora Georgie bisbigliava – Mi stupisci … non pensavo che ti trovassi bene in un posto così. Mi pareva che tu …
 
Si dovette fermare: quello che stava dicendo non suonava gentile, e lei non riuscì a trovare un  modo gentile di dirlo. Lowell la perdonò per averlo sottovalutato:
 
― Georgie, io ho pensato tanto a te. E ho capito che non posso portarti via dal tuo mondo. Io lo rispetto, sai? Credi in me, almeno un po’, per favore. Cercherò di essere accettato dalla gente comune, che probabilmente è molto migliore di quella che conosco io. Ma soprattutto, lo farò per non metterti a disagio come ho fatto ieri sera. Ho deciso di non farlo più.
 
Mangiarono, bevvero, risero, si tennero per mano sul tavolo guardandosi con amore e dicendosi mille sciocchezze meravigliose. Lowell era felice per vari motivi. Era con lei, soprattutto, lei che amava tanto, l’unica che avesse mai amato. E poi, Georgie aveva ritrovato suo padre, che era stato riabilitato, e aveva potuto salvare suo fratello Arthur: questi erano i due argomenti più presenti nei discorsi di lei, e la rendevano raggiante. Ed infine, Lowell aveva fatto solo un paio di colpi di tosse quella mattina e nient’altro.
 

Lowell by Rubina1970
Ma poi uscirono, e Lowell prese a tossire. Si sentì come se lo stessero svegliando bruscamente da un bel sogno. A Georgie vennero i brividi. Quando si fu ripreso, gli chiese:
 
― Lowell, ma allora stai di nuovo male!
 
― No, amore, non di nuovo. Sono sempre stato male. Se non sono ancora partito per l’Italia, è perché in marzo i medici dissero che farmi viaggiare nelle condizioni in cui stavo, sarebbe stato pericoloso. A riprendermi, tra l’intervento e tutto, ci ho messo tre mesi, poi è arrivata la bella stagione e pensavo che l’estate sarebbe stata comunque buona anche qui, e non mi sbagliavo. Però non sto bene, sai ...
 
Georgie cominciò a ragionare su quello che Lowell aveva detto: avrebbe dovuto essere già partito, e adesso arrivava l’autunno, che lui non poteva sopportare. La partenza doveva essere quasi pronta, ma poi lui aveva mandato a monte il matrimonio con Elisa. Questo lo avrebbe trattenuto in Inghilterra, col freddo? se sì, la colpa era tutta sua, di Georgie! Bisognava partire.
 
― Lowell … partiamo! Dai, sì, andiamo in Italia, partiamo subito! Andiamo dove fa caldo, anch’io ho tanta voglia di sole!... ― A Lowell s’intenerì il cuore: “Piccola Georgie, tu che una volta per curarmi hai venduto l’unica cosa preziosa che avevi, che cosa non faresti per me?”. la ragazza assunse di colpo un’espressione strana, poi continuò: ― Però … papà dice che dovremmo essere sposati …
 
Non era precisamente così che Lowell immaginava la sua proposta di matrimonio: intanto pensava che sarebbe stato lui a farla a Georgie! Non l’aveva ancora fatta perché aveva paura che lei non fosse pronta, infondo tante cose erano successe da quella notte nella grotta, quando sembrava tutto così naturale tra di loro. Dopo quella notte, lui l’aveva persa, e quell’esperienza lo spaventava ancora, non aveva voluto metterle fretta per non perderla di nuovo. Ma Georgie aveva parlato di sposarsi come niente fosse, e lui sperò con tutta l’anima di ricevere un sì:
 
― Sì, sposiamoci, alla buonora! Anzi, te lo chiedo come se fosse la prima volta, e se tu stavolta mi dirai che ti ho fatto soffrire, e che è troppo presto e vuoi pensarci, o che per il momento non vuoi, io capirò: vuoi sposarmi, Georgie?
 
― Sì, lo voglio come lo volevo prima! – Ora, Georgie aveva sul viso il suo sorriso più felice, mentre piangeva di gioia. – Mi sembra tutto un sogno, ma so che voglio sposarti …
 
Lowell la strinse a sé, chiuse gli occhi e tuffò il viso in quei riccioli morbidi e profumati che gli erano sempre piaciuti tanto. Per un po’ rimasero così, ad ascoltare i loro cuori che battevano troppo forte, come se il resto del mondo non esistesse.
 
 
***
 
 
Intanto, a casa Abel aveva avuto tutto il tempo di rientrare. Era andato nella zona portuale a trovare Joy e la sua famiglia, per cercare la compagnia di persone schiette che lo distraessero e lo aiutassero a placare l’angoscia che sentiva ancora dalla sera prima. Era tornato prima di pranzo, ed in casa c’era un gran silenzio. Segno che Georgie era uscita. Ma trovò Arthur, al quale chiese dove fosse andata. Non era un discorso facile …
 
― Beh, sì, stamattina l’ho vista di sfuggita … è uscita.
 
― Ah, con suo padre, vero?
 
― No! … No, lui è uscito col Conte Wilson, ma saranno qui dopo pranzo, credo.
 
― Mi vuoi dire che è uscita da sola? per andare dove?!
 
― No, … non era sola. – Arthur non se la sentiva, capiva dall’ansia delle domande di Abel che lui era ancora innamorato perso di Georgie, e non voleva dargli quel dolore. Ma che altro poteva fare? – È uscita a pranzo con Lowell …
 
― Con Lowell!? ma se lo aveva lasciato! Fu proprio lei a dirmi che il loro era un amore impossibile!
 
― Abel, mi dispiace ma non ti so dire di più. Penso che per capire meglio dovremo aspettare che rientri, e parlarci …
 
― Ma Arthur … Non vedi che non è un buon segno? Ieri la presentazione a Corte, oggi va a pranzo con Lowell! La stiamo perdendo, non t’importa?
 
Arthur non rispose. Non voleva perdere proprio nessuno, certo che gli importava di Georgie. Ma la sua preoccupazione non era rabbiosa e intima come quella di suo fratello, piuttosto temeva che lei facesse la scelta sbagliata. E lo preoccupava anche il rossore di Abel. Abel era sempre stato tremendamente geloso, e non ne erano mai venute cose buone. Temeva che soffrisse ancora, ma non sapeva come aiutarlo. Lui stesso era così confuso … stanco … strano, a quell’ora …
 
Poi, dopo mangiato, subdola, arrivò la fitta alla testa, facendosi annunciare solo da un breve capogiro. Abel vide suo fratello cambiare espressione e colore, poi portarsi una mano alla fronte ed accartocciarsi su un divano, in preda al dolore. Prima lo fece stendere, poi mandò a chiamare di corsa il medico, e rimase con Arthur a dirgli che non doveva avere paura perché lui lo avrebbe curato, che non doveva vergognarsi di gridare, e che lui, Abel, gli voleva bene. Ogni volta che succedeva, gli sembrava di rivederlo, al pianterreno di villa Dangering, con Arwin che gli parlava in tono sprezzante mentre lui si contorceva per il dolore. Ma stavolta poteva stargli vicino.
 
La fitta passò presto, così com’era venuta. Il medico disse che con la pallottola che lo aveva colpito poteva star molto peggio, e che le crisi erano sempre più rare e brevi, e questo faceva sperare bene. Poi, però, parlò separatamente con Abel, ed il suo tono si fece meno allegro. Il dottore era stato chiamato immediatamente dopo la liberazione del ragazzo, per curare Abel ferito e visitare Arthur, e conosceva tutta la storia di quest’ultimo: come aveva dovuto seppellire la madre da solo, il suo viaggio, il colpo di pistola, la crudele prigionia dai Dangering con le continue minacce di morte e i maltrattamenti. Era soprattutto questo ultimo punto a preoccuparlo:
 
― Vede, la medicina non sa spiegare quanto nel malessere del ragazzo sia dovuto solo alla ferita e quanto alle sofferenze subite. Sta meglio, ma a parte alleviare il dolore quando questo si presenta, non c’è cura. Lei mi dice che suo fratello è uno spirito sensibile, il che è una bella qualità, ma io sono persuaso che se riuscisse a buttarsi alle spalle quanto gli è accaduto guarirebbe prima.
 
― Capisco. In effetti non lo so, dottore, non ne parla mai.
 
― Anche questo … vede, forse dovrebbe sfogarsi, piangere, urlare, anziché tenersi dentro tutti i suoi incubi. Dovrebbe chiedere attenzione e aiuto. Invece, anche prima si è scusato “per il disturbo”, dicendo che ormai si sentiva molto meglio. Ma perché suo fratello dovrebbe scusarsi, lui è un paziente ed io il suo medico!
 
― Lo so, ―   sospirò Abel – ma forse questo è un lascito dei suoi carcerieri, o dovrei dire “aguzzini”? Gli facevano pesare le sue sofferenze come una scocciatura, mentre erano loro ad averlo ridotto così!
 
― … Mi raccomando, non lasciatelo più solo, per un lungo periodo. Perché anche se non lo vuole mostrare, ha bisogno di sentirsi appoggiato, confortato, difeso. E ascoltato, capito! E così guarirà, secondo me.
 
― Ho capito, dottore. Ho capito bene, non si preoccupi. Ci sono io, adesso, con lui, e non lo lascerò! – Anche senza che il medico glielo dicesse, Abel questa promessa a se stesso l’aveva già fatta.
 
Dopo che il dottore se ne fu andato, tornarono il Conte Wilson e il suo ospite, il Conte Gerard, e quest’ultimo fu preso dall’angoscia alla scoperta del malessere di Arthur. Il ragazzo voleva riposare, e lui lo lasciò con dispiacere, rimanendo nella stanza vicina, a scrivere in silenzio, nel caso Arthur avesse avuto bisogno di aiuto. Lo conosceva da pochissimo, eppure gli voleva già enormemente bene, a quel dolce, bellissimo ragazzo sfortunato che aveva fatto da angelo custode alla sua bimba fin da piccolo. Gli voleva già bene come ne voleva ad Abel, e questo gli dava gioia.
 
Il pomeriggio scorreva e Georgie non tornava.
  
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