Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    17/11/2014    4 recensioni
Difficile, a volte, stabilire chi sia la vittima e chi sia il colpevole.
Difficile, a volte, mantenere saldo un rapporto che fino a poco tempo prima sembrava indistruttibile.
Difficile, quasi sempre, fare delle scelte. Soprattutto se si sa che con la propria scelta si determina il destino di un'altra persona, una persona alla quale si tiene davvero.
Storia scritta un po' di tempo fa e mai pubblicata, non fa parte della mia serie "Dieci ritagli di Cobra 11", che è ancora in corso, e quindi non vedrà come protagonisti i personaggi da me inventati nell'ambito della stessa (Clara, Bronte, Max, Mirtillo, ecc.).
Buona lettura!
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Semir Gerkan, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ma che diavolo...?» fece la Kruger frenando di colpo ed evitando per un soffio di tamponare il cellulare davanti a lei, che adesso era totalmente coperto da una nuvola di fumo denso e innaturale.
«Mapporca!» imprecò Semir slacciandosi in fretta la cintura «Sapevo che quel porco si sarebbe inventato qualcosa!» gridò prima di uscire dall’auto senza perdere un attimo e di sparire nella nebbia.
Il commissario si guardò intorno preoccupata ed esitò qualche istante prima di seguire fuori il suo ispettore.
Quindi scese a sua volta dalla macchina e si ritrovò immersa nell’aria grigia e pesante.
Cominciò a tossire infastidita dal fumo e sentì gli occhi bruciare fastidiosamente.
Sentì movimento intorno a lei e capì che anche gli altri agenti erano scesi dalle vetture per andare a controllare cosa fosse accaduto.
Pregò che l’autostrada fosse deserta e che non si fossero creati ulteriori incidenti e si avvicinò a tentoni al furgone, fino a quando quella nebbia non si diradò quasi improvvisamente, lasciando libera la vista davanti a lei.
E quello che vide la Kruger, fu stranamente una situazione di normalità.
Il cellulare era lì, fermo come le altre macchine, ma ben chiuso e perfettamente tranquillo.
Davanti al portellone della vettura c’erano Semir e altri due agenti in piedi, uno dei quali stava per aprire il furgone della polizia per controllare che effettivamente all’interno fosse tutto tranquillo.
L’uomo aprì la portiera con l’incomprensione dipinta sul volto.
E ciò che i poliziotti videro li lasciò immobili e senza parole: il cellulare era vuoto.

La Kruger spalancò gli occhi incredula e portò istintivamente la mano alla pistola voltandosi e guardandosi intorno attraverso la nebbia che si era ormai quasi diradata del tutto.
Non poteva essere vero.
Come aveva fatto? Cosa aveva prodotto tutto quel fumo? E chi era stato ad aprire il portellone?
Un complice del Giaguaro, ovvio.
Un complice che poi, nei pochi secondi di confusione seguiti all’incidente, era sparito inghiottito dal nulla esattamente come David Hoffman.
«Non è possibile...» mormorò Semir «Non è possibile!».
«Gerkhan!» gridò la Kruger «Vada a destra, io guardo da questa parte. Bonrath, Jenny, guardate in quell’altra direzione!» fece dando ordini ai suoi agenti mentre anche gli uomini presenti dell’LKA si sparpagliavano per il perimetro dell’autostrada.
Semir si portò una mano alla fronte in un moto di disperazione. Non poteva crederci, non voleva crederci! Quell’incubo non voleva finire, non finiva mai.
Si ritrovò a pregare che Ben arrivasse lì ad aiutarlo, mentre confuso si guardava intorno alla ricerca di quel criminale che era riuscito a rovinarlo così, prendendosi gioco di lui fin dal primo istante.
E fu allora che vide.
Vide un piccolo puntino nero in mezzo al campo di erbacce che delimitava il lato destro della carreggiata.
Senza nemmeno credere ai suoi occhi, estrasse la pistola, scavalcò il guard rail, e cominciò a correre.

Hoffman correva, correva, correva.
Sperava che sarebbe riuscito ad allontanarsi senza essere visto.
Alfred, che lo aveva aiutato a liberarsi lanciando i fumogeni e forzando il portellone, era scomparso poi nel nulla, dandosela a gambe e lasciandolo solo troppo vicino agli sbirri.
Maledetto, gliela avrebbe fatta pagare.
Ma la sorte del suo scagnozzo non era il suo primo pensiero in quel momento.
Continuò a correre a perdifiato e aveva già cominciato a sorridere tra sé e sé pensando ai poliziotti probabilmente ancora spaesati in mezzo al fumo, quando sentì una voce che gridava alle sue spalle e che si avvicinava sempre di più.

«Hoffman!» gridava Semir con quanto fiato aveva in gola «Fermati, bastardo! Maledetto, fermati!».
L’ispettore continuò a correre, era più veloce del Giaguaro, lo stava raggiungendo.
«Hoffman! Fermati o sparo!» fece ancora sparando un colpo verso il cielo.
Ma il criminale continuava a scappare.
Fu dopo qualche minuto interminabile che finalmente, fu abbastanza vicino.
Avrebbe potuto sparare.
Avrebbe potuto fermarlo.
«Hoffman, fermati!» ripeté.
David ormai arrancava, aveva corso troppo velocemente e adesso non aveva più fiato. Anche l’età cominciava a farsi sentire.
Rallentò, ma ancora non pensò nemmeno di fermarsi, nonostante le grida alle sue spalle si facessero sempre più vicine.
«Fermati!» urlò ancora Semir stringendo il calcio della pistola quasi dovesse disintegrarla «Non lo dirò più...».
«Va’ al diavolo.» mormorò fra sé e sé Hoffman ansimando ma senza fermarsi.
Poi sentì il colpo.
E cadde a terra.

 

Semir raggiunse Hoffman disteso in mezzo all’erba alta.
Lo aveva colpito alla gamba destra, all’altezza del femore, e adesso l’uomo si contorceva a terra tenendosi la ferita tra le mani e trattenendo a stento le grida di dolore.
Il primo impulso dell’ispettore fu quello di puntare la pistola per finirlo.
E non seppe neppure lui per quale insolita ragione si trattenne.
Si abbassò invece per guardarlo negli occhi e lo afferrò per il colletto della giacca, strattonandolo violentemente e avvicinandolo a sé.
«Hai finito la tua corsa, lurido schifoso.».
«Gerkhan...» bisbigliò il Giaguaro tossendo «Lei ha... ha perso...».
«Dimmi dove si trova Aida. Ora! Dimmi dov’è o ti farò pentire di essere nato.» gridò Semir puntando la propria pistola sulla gamba non ferita dell’uomo.
«Cosa... cosa vuoi farmi? Eh? Uccidermi?» Hoffman abbozzò un sorriso che andò per un attimo a sostituire la smorfia di dolore che gli dipingeva il viso.
«Dimmi dov’è Aida.» ripeté l’ispettore scandendo bene le parole e appoggiando il dito sul grilletto dell’arma.
Il Giaguaro rise ancora, nonostante le forze lentamente lo stessero abbandonando.
«Al sicuro in compagnia di Erik Gehlen...».
«Dov’è?» gridò Semir facendo pressione con la canna della pistola sulla gamba del criminale.
«Forza Gerkhan, uccidimi. Su! Vediamo se ne sei capace. Che aspetti?» cominciò Hoffman con voce sempre più flebile ma carica di convinzione.
Il poliziotto continuava a tenere stretto l’uomo per il colletto e il sangue del Giaguaro si spandeva piano sul terreno coperto di erba incolta.
«Allora? Cos’è questa esitazione? Paura? Forza! Tanto non ti dirò dove Gehlen tiene tua figlia, non lo dirò nemmeno sotto tortura. Quindi forza, sparami. Ho ucciso due persone, ti ho minacciato, ho spedito il tuo amichetto in prigione, ho fatto rapire tua figlia... che aspetti? Spara. Uccidimi. Dimostrami di non essere vigliacco. Su...».
Semir mollò il colletto dell’uomo e si alzò in piedi continuandolo a tenere sotto tiro.
«Dai... Io in fondo sono l’artefice di tutto. Non è così? Io sono il Giaguaro... e anche tua figlia morirà a causa mia... a causa mia...».
«Bastardo...».
«Cosa credi, Gerkhan? Che Gehlen la risparmierà? La tua adorabile bambina è condannata a morte, ad una morte molto dolorosa. E io non ti dirò dove si trova. Morirà a causa mia...».
Semir aumentò ancora di poco la pressione sopra al grilletto mentre lacrime calde minacciavano di tradire la sua sicurezza.
Odiava quell’uomo, lo odiava con tutto se stesso.
Era un mostro, solo un mostro...
Ancora una lieve, lievissima pressione su quel grilletto.
«Gerkhan!» fece la voce della Kruger all’improvviso alle sue spalle «Gerkhan, fermo, non spari!».
«Capo, se ne vada!» gridò l’ispettore continuando a stringere la pistola.
Hoffman rise ancora, divertito, continuando però a contorcersi a terra per il dolore provocato dalla ferita.
«Proprio come pensavo... non hai un briciolo di fegato, Gerkhan. Non sei nemmeno in grado di uccidere l’uomo che fino a poco fa speravi di poter avere tra le mani...».
«Semir, non lo ascolti!» fece ancora il commissario «Dia retta a me, metta via la pistola.».
«Così debole... che peccato...».
«Lei non è un assassino!».
«Che peccato...».
«Gerkhan, la prego!».
«Ora basta!» gridò Semir, ammutolendo sia il Giaguaro sia la Kruger.
Strinse il pugno della mano libera conficcando le unghie sul proprio palmo fino a farsi male.
Strinse il calcio della pistola con quanta forza aveva in corpo.
Chiuse gli occhi e smise di trattenere le lacrime.
Pensò a Ben.
Ad Aida.
Riaprì gli occhi e fissò quelli grigi di Hoffman per un attimo interminabile.
Vide la sua aria divertita.
Il suo sguardo strafottente.
Respirò profondamente.
«Nessuno vince sempre, Hoffman.».
Poi un colpo risuonò forte e nitido nell’aria.

 

E giungiamo alla fine. Ancora un capitolo e questa interminabile storia sarà conclusa... ma proprio conclusa conclusa? Mah...
Grazie ancora a chi mi ha seguito fin qui e continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D

  
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