«Ma
che diavolo...?» fece la Kruger frenando di
colpo ed evitando per un soffio di tamponare il cellulare davanti a
lei, che
adesso era totalmente coperto da una nuvola di fumo denso e innaturale.
«Mapporca!» imprecò Semir slacciandosi
in fretta la cintura «Sapevo che quel
porco si sarebbe inventato qualcosa!» gridò prima
di uscire dall’auto senza
perdere un attimo e di sparire nella nebbia.
Il commissario si guardò intorno preoccupata ed
esitò qualche istante prima di
seguire fuori il suo ispettore.
Quindi scese a sua volta dalla macchina e si ritrovò immersa
nell’aria grigia e
pesante.
Cominciò a tossire infastidita dal fumo e sentì
gli occhi bruciare
fastidiosamente.
Sentì movimento intorno a lei e capì che anche
gli altri agenti erano scesi
dalle vetture per andare a controllare cosa fosse accaduto.
Pregò che l’autostrada fosse deserta e che non si
fossero creati ulteriori
incidenti e si avvicinò a tentoni al furgone, fino a quando
quella nebbia non si
diradò quasi improvvisamente, lasciando libera la vista
davanti a lei.
E quello che vide la Kruger, fu stranamente una situazione di
normalità.
Il cellulare era lì, fermo come le altre macchine, ma ben
chiuso e
perfettamente tranquillo.
Davanti al portellone della vettura c’erano Semir e altri due
agenti in piedi,
uno dei quali stava per aprire il furgone della polizia per controllare
che
effettivamente all’interno fosse tutto tranquillo.
L’uomo aprì la portiera con
l’incomprensione dipinta sul volto.
E ciò che i poliziotti videro li lasciò immobili
e senza parole: il cellulare
era vuoto.
La
Kruger spalancò gli occhi incredula e portò
istintivamente la mano alla pistola voltandosi e guardandosi intorno
attraverso
la nebbia che si era ormai quasi diradata del tutto.
Non poteva essere vero.
Come aveva fatto? Cosa aveva prodotto tutto quel fumo? E chi era stato
ad
aprire il portellone?
Un complice del Giaguaro, ovvio.
Un complice che poi, nei pochi secondi di confusione seguiti
all’incidente, era
sparito inghiottito dal nulla esattamente come David Hoffman.
«Non è possibile...» mormorò
Semir «Non è possibile!».
«Gerkhan!» gridò la Kruger
«Vada a destra, io guardo da questa parte. Bonrath,
Jenny, guardate in quell’altra direzione!» fece
dando ordini ai suoi agenti
mentre anche gli uomini presenti dell’LKA si sparpagliavano
per il perimetro
dell’autostrada.
Semir si portò una mano alla fronte in un moto di
disperazione. Non poteva
crederci, non voleva crederci! Quell’incubo non voleva
finire, non finiva mai.
Si ritrovò a pregare che Ben arrivasse lì ad
aiutarlo, mentre confuso si
guardava intorno alla ricerca di quel criminale che era riuscito a
rovinarlo
così, prendendosi gioco di lui fin dal primo istante.
E fu allora che vide.
Vide un piccolo puntino nero in mezzo al campo di erbacce che
delimitava il
lato destro della carreggiata.
Senza nemmeno credere ai suoi occhi, estrasse la pistola,
scavalcò il guard
rail, e cominciò a correre.
Hoffman
correva, correva, correva.
Sperava che sarebbe riuscito ad allontanarsi senza essere visto.
Alfred, che lo aveva aiutato a liberarsi lanciando i fumogeni e
forzando il
portellone, era scomparso poi nel nulla, dandosela a gambe e
lasciandolo solo
troppo vicino agli sbirri.
Maledetto, gliela avrebbe fatta pagare.
Ma la sorte del suo scagnozzo non era il suo primo pensiero in quel
momento.
Continuò a correre a perdifiato e aveva già
cominciato a sorridere tra sé e sé
pensando ai poliziotti probabilmente ancora spaesati in mezzo al fumo,
quando
sentì una voce che gridava alle sue spalle e che si
avvicinava sempre di più.
«Hoffman!»
gridava Semir con quanto fiato aveva in
gola «Fermati, bastardo! Maledetto, fermati!».
L’ispettore continuò a correre, era più
veloce del Giaguaro, lo stava
raggiungendo.
«Hoffman! Fermati o sparo!» fece ancora sparando un
colpo verso il cielo.
Ma il criminale continuava a scappare.
Fu dopo qualche minuto interminabile che finalmente, fu abbastanza
vicino.
Avrebbe potuto sparare.
Avrebbe potuto fermarlo.
«Hoffman, fermati!» ripeté.
David ormai arrancava, aveva corso troppo velocemente e adesso non
aveva più
fiato. Anche l’età cominciava a farsi sentire.
Rallentò, ma ancora non pensò nemmeno di
fermarsi, nonostante le grida alle sue
spalle si facessero sempre più vicine.
«Fermati!» urlò ancora Semir stringendo
il calcio della pistola quasi dovesse
disintegrarla «Non lo dirò
più...».
«Va’ al diavolo.» mormorò fra
sé e sé Hoffman ansimando ma senza fermarsi.
Poi sentì il colpo.
E cadde a terra.
Semir
raggiunse Hoffman disteso in mezzo all’erba
alta.
Lo aveva colpito alla gamba destra, all’altezza del femore, e
adesso l’uomo si
contorceva a terra tenendosi la ferita tra le mani e trattenendo a
stento le grida
di dolore.
Il primo impulso dell’ispettore fu quello di puntare la
pistola per finirlo.
E non seppe neppure lui per quale insolita ragione si trattenne.
Si abbassò invece per guardarlo negli occhi e lo
afferrò per il colletto della
giacca, strattonandolo violentemente e avvicinandolo a sé.
«Hai finito la tua corsa, lurido schifoso.».
«Gerkhan...» bisbigliò il Giaguaro
tossendo «Lei ha... ha perso...».
«Dimmi dove si trova Aida. Ora! Dimmi
dov’è o ti farò pentire di essere
nato.»
gridò Semir puntando la propria pistola sulla gamba non
ferita dell’uomo.
«Cosa... cosa vuoi farmi? Eh? Uccidermi?» Hoffman
abbozzò un sorriso che andò
per un attimo a sostituire la smorfia di dolore che gli dipingeva il
viso.
«Dimmi dov’è Aida.»
ripeté l’ispettore scandendo bene le parole e
appoggiando
il dito sul grilletto dell’arma.
Il Giaguaro rise ancora, nonostante le forze lentamente lo stessero
abbandonando.
«Al sicuro in compagnia di Erik Gehlen...».
«Dov’è?» gridò
Semir facendo pressione con la canna della pistola sulla gamba
del criminale.
«Forza Gerkhan, uccidimi. Su! Vediamo se ne sei capace. Che
aspetti?» cominciò
Hoffman con voce sempre più flebile ma carica di convinzione.
Il poliziotto continuava a tenere stretto l’uomo per il
colletto e il sangue
del Giaguaro si spandeva piano sul terreno coperto di erba incolta.
«Allora? Cos’è questa esitazione? Paura?
Forza! Tanto non ti dirò dove Gehlen
tiene tua figlia, non lo dirò nemmeno sotto tortura. Quindi
forza, sparami. Ho
ucciso due persone, ti ho minacciato, ho spedito il tuo amichetto in
prigione,
ho fatto rapire tua figlia... che aspetti? Spara. Uccidimi. Dimostrami
di non
essere vigliacco. Su...».
Semir mollò il colletto dell’uomo e si
alzò in piedi continuandolo a tenere
sotto tiro.
«Dai... Io in fondo sono l’artefice di tutto. Non
è così? Io sono il Giaguaro...
e anche tua figlia morirà a
causa mia... a causa mia...».
«Bastardo...».
«Cosa credi, Gerkhan? Che Gehlen la risparmierà?
La tua adorabile bambina è
condannata a morte, ad una morte molto dolorosa. E io non ti
dirò dove si
trova. Morirà a causa mia...».
Semir aumentò ancora di poco la pressione sopra al grilletto
mentre lacrime
calde minacciavano di tradire la sua sicurezza.
Odiava quell’uomo, lo odiava con tutto se stesso.
Era un mostro, solo un mostro...
Ancora una lieve, lievissima pressione su quel grilletto.
«Gerkhan!» fece la voce della Kruger
all’improvviso alle sue spalle «Gerkhan,
fermo, non spari!».
«Capo, se ne vada!» gridò
l’ispettore continuando a stringere la pistola.
Hoffman rise ancora, divertito, continuando però a
contorcersi a terra per il
dolore provocato dalla ferita.
«Proprio come pensavo... non hai un briciolo di fegato,
Gerkhan. Non sei
nemmeno in grado di uccidere l’uomo che fino a poco fa
speravi di poter avere
tra le mani...».
«Semir, non lo ascolti!» fece ancora il commissario
«Dia retta a me, metta via
la pistola.».
«Così debole... che peccato...».
«Lei non è un assassino!».
«Che peccato...».
«Gerkhan, la prego!».
«Ora basta!» gridò Semir, ammutolendo
sia il Giaguaro sia la Kruger.
Strinse il pugno della mano libera conficcando le unghie sul proprio
palmo fino
a farsi male.
Strinse il calcio della pistola con quanta forza aveva in corpo.
Chiuse gli occhi e smise di trattenere le lacrime.
Pensò a Ben.
Ad Aida.
Riaprì gli occhi e fissò quelli grigi di Hoffman
per un attimo interminabile.
Vide la sua aria divertita.
Il suo sguardo strafottente.
Respirò profondamente.
«Nessuno vince sempre, Hoffman.».
Poi un colpo risuonò forte e nitido nell’aria.
E
giungiamo alla fine. Ancora un capitolo e questa interminabile storia
sarà
conclusa... ma proprio conclusa conclusa? Mah...
Grazie ancora a chi mi ha seguito fin qui e continua a seguirmi e un
bacione!
Sophie :D