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Autore: Mek101    17/11/2014    2 recensioni
Una storia.
Due amiche.
Un rapimento.
Il risveglio dei morti.
Cosa accadrà?
Dal testo:
"Aprì gli occhi.
Strano, non le sembrava di averli mai chiusi. Poi si ricordò di ciò che le era accaduto poco prima. No, aspetta, doveva essere stato un sogno altrimenti come si spiegava che era ancora qui?"
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
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Erano le tre di un pomeriggio estivo caldo quanto afoso nella cittadina di Woodmere. Certo, non che fosse una novità per i suoi abitanti, infatti la città, che non contava neanche le 100.000 anime, si trovava in una valle alberata che continuava fino alla zona delle montagne rocciose, cosicché I venti che venivano da est erano caldi e secchi, mentre quelli che venivano da ovest erano anche essi caldi ma estremamente umidi. E il tutto in estate si combinava formando la peggior combinazione possibile. Pareva che l'attività principale di quel piccolo agglomerato di case strategicamente sistemato al centro della valle, fosse quello di vendere a prezzi stratosferici agli occasionali turisti e taglialegna, che accorrevano normalmente verso la fine di agosto, tutta l'attrezzatura e gadgettume vario per una scampagnata sui crinali delle montagne o lungo il fiume che attraversava la valle.
E proprio non molto lontano dal fiume, lungo una viuzza bazzicante di negozi ancora mezzi chiusi su entrambi i lati, due piccole figure stavano parlando all'ombra dell'ennesimo negozietto.

-Allora ci sentiamo oggi alle quattro-

-Va bene alle quattro, e cerca di non cacciarti nei guai come al solito!-

-Stai tranquilla stavolta sarò un po' meno ficcanaso-

-Come se fosse possibile. Ciao!-

L
e due amiche si allontanarono in direzioni opposte.

La prima, una ragazzina di tredici anni, indossava una felpa rossiccia e un paio di jeans scuri. Gli occhi castano chiaro sprizzavano vitalità, mentre gli scuri e lisci capelli castani che le arrivavano alla spalla venivano illuminati dal sole a picco.

Stava camminando da un paio di minuti sul marciapiede quando passò vicino a un vicolo all'ombra.

Si fermò all'improvviso, "strano mi pareva di aver sentito una voce..." Questa volta una verso difficilmente definibile umano, emise un suono rauco e grottesco. "Ok, allora non me lo sono immaginato. Voglio dare un occhiata, però i miei mi ripetono sempre di fare attenzione perché sono imprudente e finisco sempre nei guai. Ora che ci penso tutti me lo ripetono sempre..."

Sospirò e torno a fissare il vicolo. A quel punto la curiosità ebbe la meglio sul buon senso "solo una sbirciatina. Poi se una c'è qualcuno ferito lo devo aiutare, no?" La giustificazione poteva essere credibile di fronte ai genitori e alle amiche nel caso le cose fossero andate male. Si addentro cautamente per un paio di metri nel vicolo e notò che più che essere all'ombra era proprio al buio. A quel punto cominciò a essere spaventata "Ok..." C'erano degli strani rumori provenienti da più in fondo. "Se ormai sono entrata tanto vale che vada fino in fondo. E poi che ci può essere di così pericoloso in un vicolo a Woodmere?" Il buon senso le diede tante risposte ma lei preferì ignorarle. Prese un respiro profondo e avanzò di un altro paio di metri.

D'improvviso qualcosa si mosse di scatto alla sua destra: -Ma cos...-

Non fece in tempo a finire la frase che si trovo immobilizzata da un paio di uomini incappucciati, le fu subito messa una benda agli occhi e un bavaglio alla bocca. Fu legata e caricata di peso su un furgone che, appena i rapitori furono saliti partì con una sgommata.

 

 

Quella sera

L'altra si trovava in camera sua a finire i compiti. Aveva i capelli nero corvino tagliati a caschetto e gli occhi azzurri cielo concentrati su una maledettissima espressione di matematica che...
Il cellulare squillò.
Felice di potersi distrarre anche solo un momento da quello stupido esercizio che le stava fondendo il cervello, prese il cellulare

-Pronto?-

-Ciao Mary sono Eleanor, scusa se ti chiamo quest'ora ma sai per caso dove è finita Jennifer? Non risponde al cellulare-

-Jen? Ci siamo salutate dopo l'uscita da scuola e mi doveva chiamare alle quattro, ma si sarà dimenticata come al solito.-

-Ok. Sai se è andata a dormire da qualche sua amica? La conosci bene, non sarebbe la prima volta che resta a dormire fuori da qualche amica senza avvisare me o mio marito. Pare che farle una lavata di capo ogni volta che succede non basti...-
Mary ridacchiò di nascosto.

-No, mi dispiace, a me non ha detto niente-

Il che era strano, di solito quando Jen andava a dormire da qualche sua amica cercava sempre di trascinare anche lei e di mettere su una sorta di mini-pigiama party.

-Allora scusa per il disturbo, faccio un giro di telefonate per scoprire dove si è cacciata stavolta. Ciao e grazie comunque.-

Mary appoggio il cellulare con una brutta sensazione "Stai calma" si disse "Jen non è un genio ma sa badare a sé stessa. Domani sarà tutto risolto e ci vedremo a scuola." Per qualche ragione non riusciva comunque a cancellare quella brutta sensazione che le diceva che ci fosse qualcosa di strano e sospetto dietro tutto ciò.

 

 

Due giorni dopo
-Ehi!!! C'è qualcuno? Vi prego aiutatemi!!!-
Non ne poteva più di urlare, i polmoni completamente svuotati, la era gola secca e bruciava. Si accucciò in un angolo e cominciò a piangere disperata.
"Ma come ho fatto a finire così...?"
I suoi aguzzini dopo un viaggio che le sembrava fosse durato anni, l'avevano presa, trascinata come un sacco di spazzatura per chilometri di corridoi e un'infinità di scale, poi l'avevano scaraventata in quella fredda, umida e buia cella.
Dopo la prima notte passata in quella prigione, imbavagliata, bendata e legata; si era ritrovata la mattina dopo senza la benda agli occhi, con la bocca e il corpo libero. Davanti a lei c'era un vassoio di legno malandato con dentro due ciotole, una con un freddo liquame verdastro che, almeno in teoria, era qualcosa che assomigliava a una zuppa, l'altro con dell'acqua torbida che sembra provenire direttamente dallo scarico di un lavello dopo una cena particolarmente sostanziosa.
Dopo aver tristemente realizzato che molto probabilmente quello era tutto ciò che avrebbe potuto ingurgitare per chissà quanto, versò "la zuppa" nella ciotola dell'acqua e si rovesciò il tutto giù per la gola. "Che schifo." Non aveva mai assaggiato una brodaglia simile, dubitava addirittura che potesse esistere.

Dopo aver tentato di ripulirsi la bocca da quello schifo esamino un momento la cella. Era un blocco di massimo tre metri cubi scavato direttamente nella roccia. Alla sua destra c'era una porta sbarrata. Si avvicinò per guardarla meglio. Era una vecchia porta con delle sbarre arrugginite, ma di almeno cinque centimetri l'una e la serratura, che sembrava avere l'incavo della chiave da un solo lato, era un blocco di ferro spesso almeno dieci centimetri, forzarlo era impossibile, anche per uno scassinatore professionista con la giusta attrezzatura.
Dietro le sbarre intravedeva un corridoio strettissimo anche quello scavato nella roccia che terminava con un portone in legno ammuffito ma con una serratura grande come quella della sua cella. Non le restava che provare a urlare aiuto sperando che qualcuno la sentisse, ed era quello che aveva fatto fino adesso.
Peccato che non aveva suscitato alcuna attenzione: nessuno le aveva risposto, nemmeno una qualche guardia seccata dalle urla per minacciarla di levarle il pranzo (ammesso che ci fosse stato un prossimo pranzo) se se avesse continuato a rompere. Era abbandonata a sé stessa, prigioniera in una cella da qualche parte sottoterra da chissà quanto.

Dopo quella che le parve un infinità, qualcuno cominciò a trafficare con la porta della sua cella. Jen alzo lo sguardo, vide due uomini robusti entrare; indossavano una mantellina nera con cappuccio che copriva le loro teste e delle maschere completamente bianche con due buchi per gli occhi e una fessura per la bocca. Quello sulla sinistra la afferrò, lei cercò di ribellarsi, di scalciare e di tirare pugni ma era inutile. Riuscì anche a mordere l'altra mano di quell'aguzzino, ma essendo guantata fu come prendere a morsi una pietra. Cominciò a urlare con quanto più fiato aveva rimasto ma anche quello era inutile. Le legarono le mani dietro la schiena con una corda e la spinsero fuori dalla cella.

Attraversarono il corridoio per sbucare in uno più grande con altre porte simili a quella che si erano appena lasciati alle spalle. "Altre celle?" Mentre una delle sue guardie le teneva stretti i polsi legati, percorsero una serie interminabile di scale e corridoi, dopo quello che Jen decise essere il ventiduesimo corridoio che percorreva i due incappucciati che le stavano alle spalle la costrinsero a fermarsi davanti a una porta più grande delle altre, esattamente a metà del corridoio.
Il portone venne aperto da un altra figura perfettamente uguale alle sue guardie, poi fu spinta dentro.
La stanza era enorme e Jen si guardò intorno "Ci avranno messo anni per scavarla così grande". Il centro della stanza era occupato da un altare in pietra scura piena di incanalature. Jen noto allora una cosa che per poco non la fece vomitare: l'altare era sporco di litri di sangue ancora fresco e addossato alla parete c'era un tavolino con dei coltelli con varie incisioni e intarsi, affilati come rasoi.
Ma la cosa peggiore era davanti a lei, subito dietro l'altare: un cumulo pezzi umani, ancora coperti di sangue. C'erano braccia, teste, corpi, gambe, occhi e chissà cos'altro.
Jen guardava con occhi sbarrati ciò che aveva davanti. -Nooo, noooo, noooo!!!- cominciò a strillare e a urlare come un assatanata facendo di tutto per cercare di liberarsi ma senza risultati. Le sue guardie la presero e la stesero sull'altare incatenandole le braccia e le gambe mentre lei strillava e strillava, si agitava e piangeva come una pazza.
Un assassino prese un coltello intarsiato con la lama decorata con un motivo a volute. Sollevò il pugnale sopra la bambina che si ammutolì.
Lo guardo nei buchi dove dovrebbero esserci stati gli occhi e sussurrò terrorizzata

-Ti prego...-

Il coltello si abbasso su di lei.
Il colpo centrò la pancia con un dolore lancinante. Mentre fiotti di sangue uscivano dalla ferita l'assassino estrasse il coltello e la colpì. Una, due, tre volte. E ancora, e ancora senza badare alle urla che, lentamente, si spensero...

# # # # #

Ok... Questa è la mia prima fanfic quindi vi prego di essere clementi. Se proprio volente prendermi a pomodorate(?) lasciatemi un messaggio privato o una recensione, vi mandero l'indirizzo a cui spedire i pomodori (ok questa era pessima). Comunque sia spero che vi piaccia e, per chi abbia intenzione di seguire questo pazzoide, lo avverto già che ho in programma di aggiornare ogni 2 settimane (magari T.T)
Au revoir!

   
 
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