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Autore: Deliquium    17/11/2014    5 recensioni
«Mi state mettendo alla prova?»
«Vedila così... Essere un Saint di Atena non è cosa da poco, tu lo sai molto bene, Angelo. E la costellazione che veglia sull'Etna non è una costellazione come tutte le altre...»
«Il Cancro, lo so.» Angelo si era gonfiato in petto. Sapeva tutto del Cancro. Era il suo segno ed era stata la costellazione di Manigoldo.
«Già, il Cancro.» aveva confermato il vecchio greco, con un sospiro.
Storia di come il Saint di Cancer divenne la Maschera di Morte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Aetna


[ Carnevale ]


«Chi vi scrive, Maestro?»
Petre parve non averlo udito. Gli occhi fissi al singolo foglio di carta che aveva estratto dalla busta.
Angelo assottigliò lo sguardo. Se il suo maestro faceva quella faccia seria, non dovevano essere buone notizie e il messo aveva detto di provenire da Atene.
Aveva pressapoco la sua età e lisci capelli castani che gli scendevano appena oltre le spalle, ma il particolare che più lo aveva colpito erano state le singolari sopracciglia, simili a chicchi di caffè. Dallo sguardo che si erano scambiati. Angelo aveva subito capito che non sarebbe mai andato d'accordo con quel ragazzino.
«
È il giovane Mu, allievo del Gran Sacerdote e futuro Saint di Aries.» aveva risposto distrattamente  Petre, mentre apriva la lettera.
Mu si era dileguato, non appena aveva consegnato la busta a Petre e per dileguato, Angelo intendeva proprio dileguato.
Fissava ancora a bocca aperta lo spazio vuoto al posto del ragazzino, quando Petre lo chiamò da dentro la casa.
«Ma... ma... Maestro. È … scomparso.»
«Mu è uno degli ultimi della sua stirpe, la stessa del sommo di Sion. La telecinesi rientra nelle loro caratteristiche.» spiegò pacatamente Petre, spostando il foglio che stava leggendo in fondo a tutti gli altri.
Ancora non riusciva a crederci.
In questi tre anni, Petre gli aveva parlato di molte cose. Gli aveva parlato del cosmo e del potere dei Saint sulla materia.
Gli aveva parlato della Velocità, e di come essa fosse il metro per definire la classe di appartenenza a una delle tre Classi e di come una volta occupato il proprio posto, tale sarebbe stato fino alla morte.
Ad Angelo non importava nulla. Tanto lui apparteneva per diritto di nascita alla classe più forte; al massimo quello poteva essere un problema di un misero bronze.
Ridacchiò tra sé e sé al pensiero di uno scontro tra lui e un bronze saint.
Troppo facile, vincere in quel modo. Che gusto ci sarebbe?
Naturalmente era solo utopia, anzi, se Petre avesse saputo che accarezzava fantasie del genere l'avrebbe sicuramente punito, per non dire peggio.
Le lotte fratricida recavano offesa alla somma Atena.
«È accaduto qualcosa?» domandò Angelo.
«No,» rispose Petre. «Nulla di cui tu debba preoccuparti.»
Ma Angelo ormai aveva imparato a decifrare le espressioni del suo maestro e sapeva che quelle erano notizie di cui bisognava preoccupars...
«Angelo, ti ho detto di non preoccuparti. A te deve interessare un'unica cosa... l'armatura del Cancro.»
Il tono di Petre non ammetteva repliche.

Le strade di Linguaglossa erano sporcate da manciate di coriandoli che il vento sollevava in mulinelli multicolore.
I carri procedevano lentamente trainati dai trattori. Architetture di cartapesta che avrebbero preso fuoco per una scintilla. Il lavoro di un anno intero, per due ore scarse di gloria.
Il rumore dei piatti di ottone e dei petardi accompagnava le musiche che provenivano dai carri, una diversa dall'altra.
Angelo si fece strada tra la folla mascherata.
Il suo costume era un patchwork, un guazzabuglio di colori e di tessuti. Giallo, rosso, verde, blu, lana, cotone, velluto, lino... aveva persino dei pezzi di seta.
Un Arlecchino improvvisato, vestito con tutti i colori e i tessuti del mondo; abbigliato come un pezzente folle.
«E così, vuoi un costume per poter partecipare al Carnevale?»
Quel giorno, Petre gli aveva fatto quella domanda senza guardarlo.
Angelo si era morso le labbra e aveva schermato la sua mente.
L'uomo aveva poi stirato la bocca in un mezzo sorriso.
«Devi avere una ragione molto importante se la proteggi in questo modo, o forse … te ne vergogni.»
«Io non mi vergogno di niente.» aveva gridato a pugni stretti, la rabbia che montava dal nulla. «Ce l'avete o no un costume?»
«No, non ce l'ho.» aveva risposto dopo un po' Petre. «Ma aspetta.»
Angelo lo aveva visto sparire oltre la porta della seconda stanza e per un po' aveva solo sentito una serie di rumori.
Petre era tornato con una manciata di stoffa tra le braccia.
«Ecco, ho qualcosa per te.» aveva detto Petre, mentre lasciava cadere sul tavolo quegli scampoli.
«Scarti di stoffa?»
«Esatto. Con questi potrai fare un costume adatto a te.»
Angelo aveva sentito la rabbia montargli nuovamente nel cuore. Lo stava prendendo in giro?
Petre era andato alla parete e aveva preso le forbici. Era tornato al tavolo e preso un pezzo di stoffa aveva cominciato a tagliare via i bordi.
«Ecco, vedi... lo tagli in questo modo.»
Aveva ripetuto l'operazione e aveva avvicinato le due parti.
«Hai visto? Li unisci e il gioco è fatto.»
«Ma così facendo otterrei il costume di Arlecchino?»
Petre si era illuminato.
«Esatto. Te l'ho detto... un costume perfetto per te.»
«Non c'hai manco qualche lira per farmelo comprare?»
Angelo aveva preso due pezzi di stoffa e li aveva fissati con orrore. Erano vecchi, puzzavano di muffa. Chissà da dove venivano...
«Potrei... ma non saresti più Arlecchino... saresti... altro. Un niente.»
«È solo un costume.»
Petre aveva aggrottato le sopracciglia.
«Sì, può sembrare solo un costume. È vero. Ma sai, Lui vestiva tutti i colori del mondo e ogni volta che qualcuno entrava a far parte della sua masnada, uno nuovo se ne aggiungeva al suo vestito.»
Angelo aveva piegato le labbra in una smorfia.
«Allora, Angelo, lo vuoi o non lo vuoi questo costume?»
«Lo voglio, dannazione. Lo voglio.»
Tanto, peggio di così, non può andare.

Angelo indossava la maschera e il vestito.
Si mischiava con gli altri, in quel baccanale senza inizio, né fine.
I canti, le risa. Il suono dei piatti di ottone che cozzavano l'uno contro l'altro.
Si sentiva euforico, felice.
Girava la testa a destra e a sinistra. Bramoso di cogliere ogni particolare, ogni sorriso, ogni sguardo.
Camminava insieme agli altri.
La maschera lo nascondeva, lo identificava.

«Chi era quella?»
Angelo si sentì strattonare per una manica.
Rosalia era a cinque centimetri dalla sua faccia, e da dietro la maschera da libellula lo fissava con occhi che sembravano due tizzoni ardenti.
«Ma chi?» fece lui, mentre cercava di liberarsi.
Rosalia gli strinse il braccio ancora più folte.
Angelo si stava incazzando.
«Lascia andare...»
«Quella.» lo interruppe lei, che manco lo stava ascoltando «Ti ho visto prima, che le parlavi, le sorridevi...»
«Ma sei scema!?»
Rosalia fece per colpirlo, ma Angelo non ebbe nessun problema a intercettare la sua mano.
Fece molta attenzione, mentre la teneva stretta.
«Qui c'è un mucchio di gente, Rosalia. È Carnevale... è probabile che abbia parlato con qualcuno.»
Lei arretrò di qualche passo.
«Non qualcuno... ma una persona. Maria.»
Sputò fuori quel nome come una sfida.
Attorno a loro, le maschere fluivano, scampanando, allegramente. Carnevale era sporco e bastardo.
Blasfemo.
«Maria? Ma non è amica tua?»
«Non farmi passare per stupida, non te lo permetto.» lo ammonì con voce stridula.
Angelo non riusciva a capacitarsi delle sfuriate di Rosalia, della sua gelosia. I suoi occhi che lo fissavano pieni di rabbia, le accuse che gli lanciava...
«Sai, certe volte avrei proprio voglia di sbattermi qualcuna... così avresti ragione ad accusarmi.»
«Sei uno stronzo!»
E un idiota.

Rosalia lo aveva lasciato lì e calcando sul tacco come se dovesse uccidere la strada, si allontanò tra la folla.
Naturalmente non si allontanò di molto. Nel centro storico l'asfalto non esisteva e Rosalia era troppo accecata dalla rabbia per conservare equilibrio.
«Levami le mani di dosso... »
Angelo la sosteneva per le braccia. Si era mosso con rapidità. Nessuno se ne era accorto ... le sue abilità crescevano di giorno in giorno.
«Vuoi levarmi quelle mani di dosso.»
Angelo finse di non sentire e l'attirò a sé.
«Sei una scema.»
Le maschere li trasformavano in altro, in Arlecchino e nella Libellula.
Non esistevano storie che parlavano dell'amore di Arlecchino per la Libellula, e questo fu un bene. Perché nessuno fece caso a loro, nel pandemonio del Carnevale.

Lei è tra le sue braccia, questa notte, come molte altre notti prima di questa.
Se potessi ricominciare ogni volta da capo. Se potessi fermarmi qui e non pensare più al domani...
Gli spiriti s'infuriano mentre lui la stringe. E più loro si infuriano, più lui la stringe. E più loro gridano, più lui s'impossessa di lei.
Lei grida, e loro gridano con lei. Ma il loro urlo è rabbia. Il loro urlo è furore, e nostalgia.
Sulle loro bocche, maledizioni.
E Angelo si muove... tappandosi le orecchie, spegnendo il cervello.
Dentro di lei, non riesce a perdersi. Eppure vorrebbe... essere mangiato. Nutrirla. Crescere in lei e rinascere da lei. Unirsi a lei, sparire in lei. Dall'alba al tramonto, attraverso il silenzio della notte per il giorno glorioso.
Ma lui non è Osiris e lei non è Nut e anche se i loro cuori sono un solo battito, i loro pensieri sono ancora divisi.
Il calore s'irradia di colpo e lui si sente svuotato. Gli spiriti tacciono, alla fine. Quasi come se avessero partecipato.
E ad Angelo questa cosa non è che stia tanto bene e mentre Rosalia chiude gli occhi, lui fa altrettanto.

   
 
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