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Autore: Kaimy_11    18/11/2014    1 recensioni
Si può scoprire come una guerra possa unire, invece che dividere.
In un mondo tanto attento alle regole, alle leggi, una trasgressione può diventare bella e importante quanto un fiore nel deserto.
Forse amare significa trasgredire, forse per un capofazione degli Intrepidi proteggere qualcuno per lui importante potrebbe essere un rischio troppo grande.
Ma come rinunciare ad una persona capace di essere forte e testarda quanto lui, ma che al tempo stesso sa come dare pace al suo cuore tormentato?
Sarà davvero il fuoco che scioglie il ghiaccio, o il ghiaccio a spegnere il fuoco?
In guerra e in amore tutto è permesso...
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'The reason '
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17. Via di fuga

 

 

 

 

Entrarono nella stanza ed Eric non accese nemmeno la luce, si tolse la giacca e la appese, guardando Aria che avanzava nella penombra. Le tende della stanza erano aperte e, delle vetrate, entravano le prime luci della sera.

Aria si muoveva come se avesse mille scosse elettriche che le attraversavano il corpo, la vide contrarre le dita delle mani e portarsene una ai capelli, che iniziò a scompigliare. Si sedette ai piedi del letto e incassò la testa fra le spalle.

-Le tue paure erano così sconvolgenti?- chiese, in un misto di impazienza e risentimento.

Con una parte di sé stesso era preoccupato per Aria ed era ansioso di scoprire cosa aveva visto nella sua allucinazione, ma con l’altra parte avrebbe sperato di vederle affrontare il secondo modulo con la stessa determinazione con cui aveva superato il primo.

Inoltre, lui non era certo bravo a dare conforto.

-Stai scherzando?- sbottò Aria, guardandolo indignata. –Non me ne frega niente delle mie paure, so quali sono e so come affrontarle…-

Guardò le sue mani, le teneva fra le ginocchia, e alzò le sopracciglia. –Allora qual è il problema?-

Aria arricciò le labbra per la rabbia e si alzò in piedi. –Il problema, Eric, è che ho fatto un tempo pietoso!-

A quel punto Eric strabuzzò gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarsi.

-Ho fatto schifo, almeno qui volevo essere la prima, e invece sono tra gli ultimi!- Disse Aria, iniziando a fare avanti e indietro davanti a lui. –Non so nemmeno se farò dei tempi abbastanza decenti per passare il modulo, ma dannazione volevo essere fra primi, non voglio dovermi accontentare del lavoro che mi lasciano. Voglio scegliere!-

Eric incrociò le braccia al petto e la guardò l’alto. –Che tempo hai fatto?-

Si fermò di colpo a quella domanda, e lo guardò abbassando lo sguardo. –Sedici minuti…-

Riflettendoci, Eric dovette ammettere che era un tempo piuttosto alto, i migliori riuscivano a restare sui dieci muniti e, quelli che volevano realmente distinguersi, non dovevano neanche arrivarci a dieci. Sedici era un bel po’ di tempo, ma non erano tante le ragazze che, risvegliatesi dall’allucinazione, si ponevano il problema del tempo. La maggior parte andava in crisi.

Scosse la testa. –Dovresti comunque farcela, considerando che eri fra i primi alla fine del primo modulo. Ma, effettivamente, è un tempo a dir poco pietoso!-

Aria allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo. –Lo so! per questo è un problema…-

Seguì con gli occhi la ragazza che si fermava davanti alle finestre, a guardare fuori, e si ritrovò a pensare a quanto adorasse quella parte fiera e coraggiosa di lei. Sorrise appena ma, dentro di lui, c’era qualcosa che era cambiato e che si era totalmente smarrito fra le curve di Aria. Così, nel profondo di sé stesso, sentì quel bisogno che avvertiva spesso di proteggerla, e non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse visto nei suoi peggiori incubi. Inoltre, per quanto determinata fosse, Eric aveva visto il modo in cui tremava quando l’aveva trovata davanti la sua porta.

E aveva anche visto il vuoto nei suoi occhi.

Conosceva quel vuoto, era lo stesso sguardo che avevano tutti quelli che erano appena usciti dalla lotta contro i loro peggiori tormenti. Per alcuni le proprie paure erano generiche, per altri invece, erano piuttosto personali. Pensò ai colpi di frusta che aveva ricevuto solo pochi giorni prima, ai suoi deliri per il dolore quando l’aveva portata in infermeria, ricordò il suo sguardo triste quando pensava alla sua vecchia fazione, e si chiese se quei dettagli avessero influito con le sue paure.

Improvvisamente, ripensò al modo in cui si era comportata quando l’infermiera le aveva mostrato la siringa con l’anestetico, e al fatto che il siero di simulazione, a differenza di quello per il test attitudinale, veniva iniettato.

-C’erano per caso degli aghi nella tua allucinazione?-

Aveva posto quella domanda per caso ma, dal modo in cui Aria si voltò verso di lui, con gli occhi sbarrati e le guance in fiamme, capì che la risposta era affermativa.

-Aghi?- squittì, fingendosi sorpresa. –No, perché?-

Eric sogghignò fra sé e sé, ma fece spallucce. –Così, chiedevo…-

Vide gli occhi di Aria scaldarsi mentre avanzava verso di lei, lento e minaccioso, con i tratti del viso in ombra che lo rendevano ancora più temibile.

-Ti sei fatta trovare davanti alla mia porta, con il rischio che qualcuno ti vedesse…- iniziò, lento e letale. – E, come se non bastasse, mi hai assillato con le tue lagne!-

Aria arrossì e si appiattì con la schiena contro i vetri, gli occhi aperti da preda impaurita.

E faceva bene ad avere paura.

-Io non ti ho assillato, tu mi hai fatto delle domande ed io ho risposto… non sono una lagna!-

Alle parole della ragazza, Eric le mise le mani ai lati della testa e ne fece scorrere una sul suo viso. –Hai ragione piccola Aria, vorrà dire che ti serve una distrazione…-

Aria inarcò un sopracciglio quando percepì l’ironia con cui Eric la derideva, tuttavia non ebbe tempo di lamentarsi, perché il ragazzo l’afferrò dai fianchi e la gettò malamente sul letto.

-Eric, io non sono spaventata o altro…- provò a dire.

Ma Eric si mise davanti al letto e si tolse la maglietta che indossava. –Quindi, se non sei sconvolta, non hai bisogno che io ti distragga?-

Aria guardò i suoi addominali nella scarsa luce della stanza e deglutì. –Sono sconvolta, Eric!-

Il ghignò di Eric la fece rabbrividire. Il ragazzo saltò sul letto, la baciò e le fece scivolare via dalle gambe i pantaloni che indossava.   

 

Fuori era già notte inoltrata, ovunque regnava solo il buio ma, nel reparto di vetro sovrastante il Pozzo, era come se fosse pieno giorno. Il centro di controllo nella residenza degli Intrepidi era ancora in piena attività, i monitor e gli altri dispositivi di segnalazione erano collegati e le luci accese.

Quando Eric arrivò, il passo lento e silenzioso come quello di un animale a caccia, vide un addetto ai computer spegnere i macchinari e riordinare le scrivanie. Quando l’umo vestito di nero si accorse del capofazione, gli rivolse un breve cenno di saluto e spense tutte le luci degli ambienti adiacenti, lasciando accesa solo quella vicino al computer principale.

Ma la scrivania del dispositivo centrale, oltre ad essere rimasta l’unica illuminata, era già occupata. Eric storse il naso quando riconobbe il ragazzo, studiando i suoi capelli corti e le line del tatuaggio che gli salivano sulla nuca. Era Quattro, colui che odiava di più.

-Che cosa stai facendo?- Gli abbaiò contro.

Quattro si voltò e lo guardò ostentando una certa sicurezza e, con assoluta tranquillità, come se non avesse percepito la sua ira, gli rispose. –Ho inserito nel sistema i video delle simulazioni degli iniziati. Stavo giusto finendo di catalogarli…-

Eric sollevò il mento e continuò a fissarlo. Quattro si divertiva ad ignorarlo, non rispondeva alle provocazioni e non si sbilanciava mai. Avrebbe voluto mandarlo via, ma era fra i suoi compiti quello di passare nel computer centrale i risultati delle allucinazioni a cui erano stati sottoposti gli iniziati.

-Tempo migliore e peggiore degli esterni?- chiese, autoritario.

-Tre minuti Tris, ventuno Molly.- Gli rispose senza voltarsi.

Eric inarcò un sopracciglio non appena sentì il tempo più basso, forse il più breve mai registrato, e non si lasciò ingannare dalla superficialità di Quattro. Nemmeno lui, l’Intrepido con il più basso numero di paure mai incontrato, aveva impiegato così poco tempo ad uscire dall’allucinazione.

Vide il ragazzo terminare il suo lavoro e alzarsi, e rimase in silenzio.

-Come mai sei qui?- indagò Quattro.

Eric fece un ghigno, avendo finalmente un riscontro da parte del suo rivale, e cogliendo l’occasione per rimetterlo subito al suo posto. –Spetta a me analizzare i filmati, in quanto capofazione che supervisiona gli addestramenti…-

Quattro gli lanciò un’ occhiata penetrante, ma il secondo dopo si dimenticò completamente della sua presenza e uscì dal centro di controllo.

Rimasto finalmente solo, Eric si sedette davanti al computer centrale, lo stesso che era stato occupato da Quattro, e aprì il file con le ultime simulazioni.

Prese un respiro profondo pensando al vero compito che aveva da svolgere, ovvero analizzare i video in cerca di qualche dettaglio anomalo, per poi inviarli al quartiere generale degli Eruditi. A quel punto i filmati sarebbero stati esaminati con attenzioni da mani esperti e, in caso di sospetti, gli sarebbero arrivati ordini aggiuntivi. Quegli ordini altro non erano che condanne a morte dato che, nel caso in cui fossero stati trovati dei Divergenti, era compito dei capifazione eliminarli il prima possibile.

Sentì un sapore amaro invadergli la bocca al pensiero di quella parola, Divergenti, e di quante persone erano state fatte accidentalmente scivolare nello strapiombo. Ma faceva parte dei suoi doveri e dei suoi accordi, se voleva mantenere il suo ruolo di capo doveva consegnare i Divergenti agli Eruditi. Oltretutto, gli era sempre stato insegnato che i Divergenti provocavano disordini e problemi, e andavano individuati e fermati.

Il problema va estirpato alla radice, e quello era l’unico modo che avevano per salvaguardare l’ordine della loro città. In altre parole, poche morti erano un sacrificio necessario per un bene maggiore.

Ciò che odiava, e che temeva, era il fatto di dover prendere ordini da una donna che giocava a nascondere la realtà dei fatti e costringeva, lui e gli altri capi, ad obbedirle sulla base di false promesse e minacce velate. Parlava di un crollo del sistema delle fazioni che dovevano assolutamente evitare, ma non spiegava nient’altro.

Iniziò, con addosso un misto di rabbia e stanchezza, a visualizzare i video delle simulazioni di paura, in cerca di eventuali dati da comunicare. Poiché le allucinazioni erano già state catalogate in base al tempo, dal più breve al più lungo, si ritrovò ad analizzare l’allucinazione di Tris. Dato che tre minuti erano molto più che un record, Eric decise di studiare con attenzione il video.

Non notò nulla di strano, a parte un offuscamento dell’immagine nel passaggio tra la sua prima paura e il modo in cui si era gettata in acqua. A dire il vero era un dettaglio piuttosto strano, ma non spettava a lui stabilire se quella ragazza era o no un problema, così si limitò a copiare quel file nella cartella da inviare agli Eruditi, lasciando a loro il dilemma.

Seguì tutte le altre allucinazione registrate degli iniziati esterni senza riscontrare nulla di strano, fino a quando non arrivò agli ultimi filmati e si accorse che, il quartultimo, era intitolato Aria. Dopo di lei c’erano solo Drew, Al e Molly. Serrò la mandibola al pensiero che, proprio Aria, non fosse riuscita a fare di meglio.

Sospirò, decidendo di tenersi per ultimo il video di Aria. Così, quando finalmente ebbe finito di visionare le simulazioni degli altri, aprì il file della ragazza e seguì le immagini che scorrevano con attenzione, e anche con una certa curiosità del tutto personale…

 

Pareti di roccia delineavano una prigione circolare, da cui cascate d’acqua scorrevano verso un fondo sabbioso. Al centro esatto del letto di sabbia, era distesa una ragazza.

Il livello dell’acqua era arrivato a ricoprirle il corpo ma, poiché la parte sabbiosa su cui era adagiata aveva la stessa sagoma della poltrona reclinabile della stanza in cui veniva iniettato il siero per le allucinazioni, riusciva a mantenere la parte superiore del copro fuori dall’acqua.

La ragazza, ovviamente, era Aria. Era come addormentata, con la pelle del volto diafano su cui spiccavano le labbra rosse e le ciglia nere. Aveva i suoi vestiti da Intrepida, e le braccia erano nude, ma interamente ricoperte di siringhe che si insinuavano sotto la sua pelle con i loro aghi.

Quando aprì gli occhi, furono la prima cosa che vide.

Aria iniziò ad agitarsi, a respirare affannosamente mentre lottava contro gli aghi attaccati alla sua pelle, nel tentativo di liberarsene. Il suo battito cardiaco, segnalato da una serie di numeri ai lati dello schermo, saliva pericolosamente.

Ma ad un’occhiata più attenta, si accorse che tutte le siringhe erano collegate a dei tubicini trasparenti che venivano fuori direttamente dalla sabbia. Sollevò la testa e si accorse di un’ ulteriore siringa che penzolava sopra la sua testa con l’ago che luccicava pericolosamente, appesa anch’ essa ad un tubicino. Forse le sarebbe bastato tirare quella siringa, ma lei la guardò e scosse violentemente la testa.

Il secondo dopo, gli aghi si staccarono magicamente dalla sua pelle, la siringa appesa sopra di lei scomparve e la sua paura mutò, ma lo scenario rimase lo stesso.

Il livello dell’acqua crebbe e il fondo sabbioso iniziò ad assorbire il suo corpo lasciandolo sprofondare. Aria riprese ad agitarsi, a muovere freneticamente le braccia e a guardarsi intorno disperata.

Continuò a sprofondare nell’acqua e nella sabbia, fino a quando non rimase fuori solo la testa.

Poi accadde qualcosa di strano.

Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, immergendosi totalmente in acqua e trattenendo il fiato.

Inspiegabilmente, il battito cardiaco scese a livelli nella norma, e il computer registrò il dato passando alla paura successiva. Ma Aria non aveva fatto nulla per superare quell’ostacolo, si era solo lasciata annegare.

Lo scenario cambiò nuovamente, Aria era ancora distesa ma sta volta su un letto. Si trovava in una camera da letto dalle pareti lilla, e sul pavimento c’era un ambio tappeto colorato. Quando la ragazza aprì gli occhi, vide la porta della cameretta chiudersi di scatto e sentì distintamente il rumore della serratura che scattava.

Troppo tardi, Aria saltò giù dal letto e si scagliò contro la porta, cercando di aprirla ma senza riuscirci. Iniziò a battere con i pugni contro il legno, agitandosi ancora.

Sconfitta, diede le spalle alla porta e vi si lasciò scivolare contro, ritrovandosi seduta per terra.

Osservò la stanza in preda al panico, studiando le mensole stracolme di libri e notando la finestra spalancata di fronte a lei.

Era la sua via di fuga, ogni scenario della paura ne aveva una, ma lei non lo sapeva.

Guardò allora la punta delle sue scarpe nere, e qualcosa sembrò scattare nella sua mente. Si abbracciò le ginocchia con le braccia e vi appoggiò sopra la fronte, iniziando a dondolarsi piano avanti a indietro.

-Intrepida, Intrepida, Intrepida…- iniziò a sussurrare, in una cantilena lenta e continua.

Il battito cardiaco segnalato dal monitor scese, sempre di più. I minuti erano arrivati a sedici, ma la sua simulazione della paura si concluse senza alcuna spiegazione.

 

Quanto Eric si ritrovò davanti al monitor dopo che il file con il video si era chiuso, il suo respiro era accelerato e la fronte imperlata di sudore. Si affrettò ad inviare le registrazioni dei quattro iniziati con i tempi più bassi, e archiviò tutti gli altri.

Il suo compito era quello di visionare le allucinazioni e di inviare quelle che, secondo lui, avevano qualcosa di sospetto. Aveva deciso di inviare quelle con i tempi migliori, dato che i Divergenti, di solito, erano bravissimi ad uscire dalle simulazioni. In quel modo, i video con le allucinazioni che erano durate troppo a lungo, erano al sicuro. A nessuno sarebbe venuto in mente di andare a guardarle, dando per scontato che nessun Divergente poteva nascondersi fra chi aveva impiegato più di dieci muniti per uscire dalle proprie paure.

E, invece, fra di loro un Divergente c’era.

Appoggiò i gomiti sulla scrivania e seppellì il volto fra le mani.

Una Divergente.

Aria era Divergente.

Come spiegare in altro modo le siringhe che sparivano da sole, senza che avesse fatto nulla per superare quella paura? Come giustificare il cambio di scena dopo che si era lasciata affogare nell’acqua? Come era possibile che, attraverso le sue scarpe, avesse capito che, in quanto Intrepida, non poteva trovarsi in quella che doveva essere stata la sua camera quando era fra gli Eruditi?

Solo i Divergenti erano coscienti duranti le allucinazioni.

Si passò le mani sopra la testa e si afferrò i capelli corti, tirandoli con forza.

Spense il computer e si alzò con uno scatto, dando un calcio alla sedia, poi uscì dalla stanza senza disturbarsi di spegnere la luce.

Camminò per i corridoi bui con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, i pugni serrati per la rabbia e la mascella che, a furia di contrarla, iniziava a fargli male come tutte le volte che si lasciava accecare dall’ira.

Perché, fra tutti quanti, proprio lei doveva essere una maledetta Divergente? Lo era davvero, o si era sbagliato? Magari era stato un giudizio troppo affrettato, forse c’era un'altra spiegazione.

Ma, se aveva visto giusto, era spacciato.

L’avrebbero scoperta e lui non avrebbe potuto nasconderla e, se mai fosse riuscito a proteggerla, quanto gli sarebbe costato quel gesto?

Cosa stavano rischiando realmente, a cosa stavano andando incontro?

Quello, nella sua vita, era uno dei momenti in cui doveva chiedersi cosa era realmente importante per lui. Poteva salvare la sua posizione, svolgere il compito che gli era stato assegnato e consegnare Aria. Oppure poteva sfruttare quella sua stessa posizione per nascondere i video incriminanti e proteggerla.

Credeva ancora nella guerra e nel loro obbiettivo, e non aveva alcun motivo per proteggere i Divergenti, che li sterminassero pure, avrebbero avuto tutti meno problemi. Non era cambiato niente nel suo modi di pensare, di essere e di comportarsi.

Ma, nelle sue priorità, qualcosa era salito al primo posto.

Aria era al primo posto.

Gli bastava pensare ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo caldo abbandonato fra le sue braccia per capire che per niente al mondo avrebbe lasciato che qualcuno la gettasse nello strapiombo.

L’ aveva vista cadere dal sentiero che risaliva il Pozzo, e aveva dovuto mantenere il controllo. Aveva visto il suo corpo ricoperto di sangue e ferite per le frustate di Finn, e non aveva potuto fare altro che rimanere al suo posto. Ma, dopo averla vista piangere in infermeria, e dopo averla vista disperarsi nelle sue allucinazioni della paura, sapeva che non si sarebbe mai più sentito impotente e che non avrebbe mai più permesso a niente di farle del male.

Aveva già deciso di tenerla al sicuro dalla guerra, e di certo non avrebbe rischiato che gliela portassero via e la uccidessero perché era una Divergente.

Lei era sua, sua e basta, l’avrebbe protetta a qualsiasi costo.

Avrebbe trovato la sua via di fuga.

Era pur sempre il capofazione degli Intrepidi, aveva rispetto e potere, doveva esserci per forza il modo di tenere al sicuro l’unica persona a cui teneva.

Arrivato alla sua stanza aprì la porta ed entrò dentro al buio, chiudendola di scatto il secondo dopo.

Le tende lasciavano filtrare la luce lunare, che illuminava il letto dove, seduta al centro, c’era Aria. Pensò che fosse un bene averla trovata già sveglia, così non avrebbe dovuto svegliarla.

Luna era distesa vicino ai suoi piedi, mentre la ragazza sedeva con la trapunta tutta raggruppata attorno alle gambe. Aveva i capelli arruffati, e si strofinò gli occhi con i pugni come una bambina.

-Dove sei stato?- biascicò, con la voce impastata dal sonno.

-Aria…-

Quando posò gli occhi su di lui, per il tono allarmato con cui gli aveva sentito pronunciare il suo nome, Aria dovette sicuramente notare la sua espressione sconvolta e il modo in cui il suo petto si sollevava e si riabbassava, al ritmo del suo respiro decisamente accelerato, perché lo guardò corrugando le sopracciglia.

Eric prese un profondo respiro e serrò un pugno. –Che risultato ha dato il tuo test attitudinale?-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

   
 
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