17. Via di
fuga
Entrarono nella
stanza ed Eric non accese nemmeno la luce, si tolse la giacca e la appese,
guardando Aria che avanzava nella penombra. Le tende della stanza erano aperte
e, delle vetrate, entravano le prime luci della sera.
Aria si muoveva come
se avesse mille scosse elettriche che le attraversavano il corpo, la vide
contrarre le dita delle mani e portarsene una ai capelli, che iniziò a
scompigliare. Si sedette ai piedi del letto e incassò la testa fra le spalle.
-Le tue paure erano così
sconvolgenti?- chiese, in un misto di impazienza e risentimento.
Con una parte di sé
stesso era preoccupato per Aria ed era ansioso di scoprire cosa aveva visto
nella sua allucinazione, ma con l’altra parte avrebbe sperato di vederle
affrontare il secondo modulo con la stessa determinazione con cui aveva
superato il primo.
Inoltre, lui non era
certo bravo a dare conforto.
-Stai scherzando?-
sbottò Aria, guardandolo indignata. –Non me ne frega niente delle mie paure, so
quali sono e so come affrontarle…-
Guardò le sue mani,
le teneva fra le ginocchia, e alzò le sopracciglia. –Allora qual è il
problema?-
Aria arricciò le
labbra per la rabbia e si alzò in piedi. –Il problema, Eric, è che ho fatto un
tempo pietoso!-
A quel punto Eric
strabuzzò gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarsi.
-Ho fatto schifo,
almeno qui volevo essere la prima, e invece sono tra gli ultimi!- Disse Aria,
iniziando a fare avanti e indietro davanti a lui. –Non so nemmeno se farò dei
tempi abbastanza decenti per passare il modulo, ma dannazione volevo essere fra
primi, non voglio dovermi accontentare del lavoro che mi lasciano. Voglio
scegliere!-
Eric incrociò le
braccia al petto e la guardò l’alto. –Che tempo hai fatto?-
Si fermò di colpo a
quella domanda, e lo guardò abbassando lo sguardo. –Sedici minuti…-
Riflettendoci, Eric
dovette ammettere che era un tempo piuttosto alto, i migliori riuscivano a
restare sui dieci muniti e, quelli che volevano realmente distinguersi, non
dovevano neanche arrivarci a dieci. Sedici era un bel po’ di tempo, ma non
erano tante le ragazze che, risvegliatesi dall’allucinazione, si ponevano il
problema del tempo. La maggior parte andava in crisi.
Scosse la testa.
–Dovresti comunque farcela, considerando che eri fra i primi alla fine del
primo modulo. Ma, effettivamente, è un tempo a dir poco pietoso!-
Aria allargò le
braccia e alzò gli occhi al cielo. –Lo so! per questo è un problema…-
Seguì con gli occhi
la ragazza che si fermava davanti alle finestre, a guardare fuori, e si ritrovò
a pensare a quanto adorasse quella parte fiera e coraggiosa di lei. Sorrise
appena ma, dentro di lui, c’era qualcosa che era cambiato e che si era
totalmente smarrito fra le curve di Aria. Così, nel profondo di sé stesso,
sentì quel bisogno che avvertiva spesso di proteggerla, e non poté fare a meno
di chiedersi cosa avesse visto nei suoi peggiori incubi. Inoltre, per quanto
determinata fosse, Eric aveva visto il modo in cui tremava quando l’aveva
trovata davanti la sua porta.
E aveva anche visto
il vuoto nei suoi occhi.
Conosceva quel
vuoto, era lo stesso sguardo che avevano tutti quelli che erano appena usciti
dalla lotta contro i loro peggiori tormenti. Per alcuni le proprie paure erano
generiche, per altri invece, erano piuttosto personali. Pensò ai colpi di
frusta che aveva ricevuto solo pochi giorni prima, ai suoi deliri per il dolore
quando l’aveva portata in infermeria, ricordò il suo sguardo triste quando
pensava alla sua vecchia fazione, e si chiese se quei dettagli avessero
influito con le sue paure.
Improvvisamente,
ripensò al modo in cui si era comportata quando l’infermiera le aveva mostrato
la siringa con l’anestetico, e al fatto che il siero di simulazione, a
differenza di quello per il test attitudinale, veniva iniettato.
-C’erano per caso
degli aghi nella tua allucinazione?-
Aveva posto quella
domanda per caso ma, dal modo in cui Aria si voltò verso di lui, con gli occhi
sbarrati e le guance in fiamme, capì che la risposta era affermativa.
-Aghi?- squittì,
fingendosi sorpresa. –No, perché?-
Eric sogghignò fra
sé e sé, ma fece spallucce. –Così, chiedevo…-
Vide gli occhi di
Aria scaldarsi mentre avanzava verso di lei, lento e minaccioso, con i tratti
del viso in ombra che lo rendevano ancora più temibile.
-Ti sei fatta
trovare davanti alla mia porta, con il rischio che qualcuno ti vedesse…-
iniziò, lento e letale. – E, come se non bastasse, mi hai assillato con le tue
lagne!-
Aria arrossì e si
appiattì con la schiena contro i vetri, gli occhi aperti da preda impaurita.
E faceva bene ad
avere paura.
-Io non ti ho
assillato, tu mi hai fatto delle domande ed io ho risposto… non sono una
lagna!-
Alle parole della
ragazza, Eric le mise le mani ai lati della testa e ne fece scorrere una sul
suo viso. –Hai ragione piccola Aria, vorrà dire che ti serve una distrazione…-
Aria inarcò un
sopracciglio quando percepì l’ironia con cui Eric la derideva, tuttavia non
ebbe tempo di lamentarsi, perché il ragazzo l’afferrò dai fianchi e la gettò
malamente sul letto.
-Eric, io non sono spaventata
o altro…- provò a dire.
Ma Eric si mise
davanti al letto e si tolse la maglietta che indossava. –Quindi, se non sei
sconvolta, non hai bisogno che io ti distragga?-
Aria guardò i suoi
addominali nella scarsa luce della stanza e deglutì. –Sono sconvolta, Eric!-
Il ghignò di Eric la
fece rabbrividire. Il ragazzo saltò sul letto, la baciò e le fece scivolare via
dalle gambe i pantaloni che indossava.
Fuori era già notte
inoltrata, ovunque regnava solo il buio ma, nel reparto di vetro sovrastante il
Pozzo, era come se fosse pieno giorno. Il centro di controllo nella residenza
degli Intrepidi era ancora in piena attività, i monitor e gli altri dispositivi
di segnalazione erano collegati e le luci accese.
Quando Eric arrivò,
il passo lento e silenzioso come quello di un animale a caccia, vide un addetto
ai computer spegnere i macchinari e riordinare le scrivanie. Quando l’umo
vestito di nero si accorse del capofazione, gli rivolse un breve cenno di
saluto e spense tutte le luci degli ambienti adiacenti, lasciando accesa solo
quella vicino al computer principale.
Ma la scrivania del
dispositivo centrale, oltre ad essere rimasta l’unica illuminata, era già
occupata. Eric storse il naso quando riconobbe il ragazzo, studiando i suoi
capelli corti e le line del tatuaggio che gli salivano sulla nuca. Era Quattro,
colui che odiava di più.
-Che cosa stai
facendo?- Gli abbaiò contro.
Quattro si voltò e
lo guardò ostentando una certa sicurezza e, con assoluta tranquillità, come se
non avesse percepito la sua ira, gli rispose. –Ho inserito nel sistema i video
delle simulazioni degli iniziati. Stavo giusto finendo di catalogarli…-
Eric sollevò il
mento e continuò a fissarlo. Quattro si divertiva ad ignorarlo, non rispondeva
alle provocazioni e non si sbilanciava mai. Avrebbe voluto mandarlo via, ma era
fra i suoi compiti quello di passare nel computer centrale i risultati delle
allucinazioni a cui erano stati sottoposti gli iniziati.
-Tempo migliore e
peggiore degli esterni?- chiese, autoritario.
-Tre minuti Tris,
ventuno Molly.- Gli rispose senza voltarsi.
Eric inarcò un
sopracciglio non appena sentì il tempo più basso, forse il più breve mai
registrato, e non si lasciò ingannare dalla superficialità di Quattro. Nemmeno
lui, l’Intrepido con il più basso numero di paure mai incontrato, aveva
impiegato così poco tempo ad uscire dall’allucinazione.
Vide il ragazzo
terminare il suo lavoro e alzarsi, e rimase in silenzio.
-Come mai sei qui?-
indagò Quattro.
Eric fece un ghigno,
avendo finalmente un riscontro da parte del suo rivale, e cogliendo l’occasione
per rimetterlo subito al suo posto. –Spetta a me analizzare i filmati, in
quanto capofazione che supervisiona gli addestramenti…-
Quattro gli lanciò
un’ occhiata penetrante, ma il secondo dopo si dimenticò completamente della
sua presenza e uscì dal centro di controllo.
Rimasto finalmente
solo, Eric si sedette davanti al computer centrale, lo stesso che era stato
occupato da Quattro, e aprì il file con le ultime simulazioni.
Prese un respiro
profondo pensando al vero compito che aveva da svolgere, ovvero analizzare i
video in cerca di qualche dettaglio anomalo, per poi inviarli al quartiere
generale degli Eruditi. A quel punto i filmati sarebbero stati esaminati con
attenzioni da mani esperti e, in caso di sospetti, gli sarebbero arrivati
ordini aggiuntivi. Quegli ordini altro non erano che condanne a morte dato che,
nel caso in cui fossero stati trovati dei Divergenti, era compito dei
capifazione eliminarli il prima possibile.
Sentì un sapore
amaro invadergli la bocca al pensiero di quella parola, Divergenti, e di quante
persone erano state fatte accidentalmente
scivolare nello strapiombo. Ma faceva parte dei suoi doveri e dei suoi
accordi, se voleva mantenere il suo ruolo di capo doveva consegnare i
Divergenti agli Eruditi. Oltretutto, gli era sempre stato insegnato che i
Divergenti provocavano disordini e problemi, e andavano individuati e fermati.
Il problema va
estirpato alla radice, e quello era l’unico modo che avevano per salvaguardare
l’ordine della loro città. In altre parole, poche morti erano un sacrificio necessario
per un bene maggiore.
Ciò che odiava, e
che temeva, era il fatto di dover prendere ordini da una donna che giocava a
nascondere la realtà dei fatti e costringeva, lui e gli altri capi, ad
obbedirle sulla base di false promesse e minacce velate. Parlava di un crollo
del sistema delle fazioni che dovevano assolutamente evitare, ma non spiegava
nient’altro.
Iniziò, con addosso
un misto di rabbia e stanchezza, a visualizzare i video delle simulazioni di
paura, in cerca di eventuali dati da comunicare. Poiché le allucinazioni erano
già state catalogate in base al tempo, dal più breve al più lungo, si ritrovò
ad analizzare l’allucinazione di Tris. Dato che tre minuti erano molto più che
un record, Eric decise di studiare con attenzione il video.
Non notò nulla di
strano, a parte un offuscamento dell’immagine nel passaggio tra la sua prima
paura e il modo in cui si era gettata in acqua. A dire il vero era un dettaglio
piuttosto strano, ma non spettava a lui stabilire se quella ragazza era o no un
problema, così si limitò a copiare quel file nella cartella da inviare agli
Eruditi, lasciando a loro il dilemma.
Seguì tutte le altre
allucinazione registrate degli iniziati esterni senza riscontrare nulla di
strano, fino a quando non arrivò agli ultimi filmati e si accorse che, il
quartultimo, era intitolato Aria.
Dopo di lei c’erano solo Drew, Al e Molly. Serrò la mandibola al pensiero che,
proprio Aria, non fosse riuscita a fare di meglio.
Sospirò, decidendo
di tenersi per ultimo il video di Aria. Così, quando finalmente ebbe finito di
visionare le simulazioni degli altri, aprì il file della ragazza e seguì le
immagini che scorrevano con attenzione, e anche con una certa curiosità del
tutto personale…
Pareti di roccia
delineavano una prigione circolare, da cui cascate d’acqua scorrevano verso un
fondo sabbioso. Al centro esatto del letto di sabbia, era distesa una ragazza.
Il livello
dell’acqua era arrivato a ricoprirle il corpo ma, poiché la parte sabbiosa su
cui era adagiata aveva la stessa sagoma della poltrona reclinabile della stanza
in cui veniva iniettato il siero per le allucinazioni, riusciva a mantenere la
parte superiore del copro fuori dall’acqua.
La ragazza, ovviamente,
era Aria. Era come addormentata, con la pelle del volto diafano su cui
spiccavano le labbra rosse e le ciglia nere. Aveva i suoi vestiti da Intrepida,
e le braccia erano nude, ma interamente ricoperte di siringhe che si
insinuavano sotto la sua pelle con i loro aghi.
Quando aprì gli
occhi, furono la prima cosa che vide.
Aria iniziò ad
agitarsi, a respirare affannosamente mentre lottava contro gli aghi attaccati
alla sua pelle, nel tentativo di liberarsene. Il suo battito cardiaco,
segnalato da una serie di numeri ai lati dello schermo, saliva pericolosamente.
Ma ad un’occhiata
più attenta, si accorse che tutte le siringhe erano collegate a dei tubicini
trasparenti che venivano fuori direttamente dalla sabbia. Sollevò la testa e si
accorse di un’ ulteriore siringa che penzolava sopra la sua testa con l’ago che
luccicava pericolosamente, appesa anch’ essa ad un tubicino. Forse le sarebbe
bastato tirare quella siringa, ma lei la guardò e scosse violentemente la
testa.
Il secondo dopo, gli
aghi si staccarono magicamente dalla sua pelle, la siringa appesa sopra di lei
scomparve e la sua paura mutò, ma lo scenario rimase lo stesso.
Il livello
dell’acqua crebbe e il fondo sabbioso iniziò ad assorbire il suo corpo
lasciandolo sprofondare. Aria riprese ad agitarsi, a muovere freneticamente le
braccia e a guardarsi intorno disperata.
Continuò a
sprofondare nell’acqua e nella sabbia, fino a quando non rimase fuori solo la
testa.
Poi accadde qualcosa
di strano.
Prese un respiro
profondo e chiuse gli occhi, immergendosi totalmente in acqua e trattenendo il
fiato.
Inspiegabilmente, il
battito cardiaco scese a livelli nella norma, e il computer registrò il dato
passando alla paura successiva. Ma Aria non aveva fatto nulla per superare
quell’ostacolo, si era solo lasciata annegare.
Lo scenario cambiò
nuovamente, Aria era ancora distesa ma sta volta su un letto. Si trovava in una
camera da letto dalle pareti lilla, e sul pavimento c’era un ambio tappeto
colorato. Quando la ragazza aprì gli occhi, vide la porta della cameretta
chiudersi di scatto e sentì distintamente il rumore della serratura che
scattava.
Troppo tardi, Aria
saltò giù dal letto e si scagliò contro la porta, cercando di aprirla ma senza
riuscirci. Iniziò a battere con i pugni contro il legno, agitandosi ancora.
Sconfitta, diede le
spalle alla porta e vi si lasciò scivolare contro, ritrovandosi seduta per
terra.
Osservò la stanza in
preda al panico, studiando le mensole stracolme di libri e notando la finestra
spalancata di fronte a lei.
Era la sua via di fuga,
ogni scenario della paura ne aveva una, ma lei non lo sapeva.
Guardò allora la
punta delle sue scarpe nere, e qualcosa sembrò scattare nella sua mente. Si
abbracciò le ginocchia con le braccia e vi appoggiò sopra la fronte, iniziando
a dondolarsi piano avanti a indietro.
-Intrepida,
Intrepida, Intrepida…- iniziò a sussurrare, in una cantilena lenta e continua.
Il battito cardiaco
segnalato dal monitor scese, sempre di più. I minuti erano arrivati a sedici,
ma la sua simulazione della paura si concluse senza alcuna spiegazione.
Quanto Eric si
ritrovò davanti al monitor dopo che il file con il video si era chiuso, il suo
respiro era accelerato e la fronte imperlata di sudore. Si affrettò ad inviare
le registrazioni dei quattro iniziati con i tempi più bassi, e archiviò tutti
gli altri.
Il suo compito era
quello di visionare le allucinazioni e di inviare quelle che, secondo lui,
avevano qualcosa di sospetto. Aveva deciso di inviare quelle con i tempi
migliori, dato che i Divergenti, di solito, erano bravissimi ad uscire dalle
simulazioni. In quel modo, i video con le allucinazioni che erano durate troppo
a lungo, erano al sicuro. A nessuno sarebbe venuto in mente di andare a
guardarle, dando per scontato che nessun Divergente poteva nascondersi fra chi
aveva impiegato più di dieci muniti per uscire dalle proprie paure.
E, invece, fra di
loro un Divergente c’era.
Appoggiò i gomiti
sulla scrivania e seppellì il volto fra le mani.
Una Divergente.
Aria era Divergente.
Come spiegare in
altro modo le siringhe che sparivano da sole, senza che avesse fatto nulla per
superare quella paura? Come giustificare il cambio di scena dopo che si era
lasciata affogare nell’acqua? Come era possibile che, attraverso le sue scarpe,
avesse capito che, in quanto Intrepida, non poteva trovarsi in quella che
doveva essere stata la sua camera quando era fra gli Eruditi?
Solo i Divergenti
erano coscienti duranti le allucinazioni.
Si passò le mani
sopra la testa e si afferrò i capelli corti, tirandoli con forza.
Spense il computer e
si alzò con uno scatto, dando un calcio alla sedia, poi uscì dalla stanza senza
disturbarsi di spegnere la luce.
Camminò per i
corridoi bui con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, i pugni serrati
per la rabbia e la mascella che, a furia di contrarla, iniziava a fargli male
come tutte le volte che si lasciava accecare dall’ira.
Perché, fra tutti
quanti, proprio lei doveva essere una maledetta Divergente? Lo era davvero, o
si era sbagliato? Magari era stato un giudizio troppo affrettato, forse c’era
un'altra spiegazione.
Ma, se aveva visto
giusto, era spacciato.
L’avrebbero scoperta
e lui non avrebbe potuto nasconderla e, se mai fosse riuscito a proteggerla,
quanto gli sarebbe costato quel gesto?
Cosa stavano
rischiando realmente, a cosa stavano andando incontro?
Quello, nella sua
vita, era uno dei momenti in cui doveva chiedersi cosa era realmente importante
per lui. Poteva salvare la sua posizione, svolgere il compito che gli era stato
assegnato e consegnare Aria. Oppure poteva sfruttare quella sua stessa
posizione per nascondere i video incriminanti e proteggerla.
Credeva ancora nella
guerra e nel loro obbiettivo, e non aveva alcun motivo per proteggere i Divergenti,
che li sterminassero pure, avrebbero avuto tutti meno problemi. Non era
cambiato niente nel suo modi di pensare, di essere e di comportarsi.
Ma, nelle sue
priorità, qualcosa era salito al primo posto.
Aria era al primo
posto.
Gli bastava pensare
ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo caldo abbandonato fra le sue
braccia per capire che per niente al mondo avrebbe lasciato che qualcuno la
gettasse nello strapiombo.
L’ aveva vista cadere
dal sentiero che risaliva il Pozzo, e aveva dovuto mantenere il controllo.
Aveva visto il suo corpo ricoperto di sangue e ferite per le frustate di Finn,
e non aveva potuto fare altro che rimanere al suo posto. Ma, dopo averla vista
piangere in infermeria, e dopo averla vista disperarsi nelle sue allucinazioni
della paura, sapeva che non si sarebbe mai più sentito impotente e che non
avrebbe mai più permesso a niente di farle del male.
Aveva già deciso di
tenerla al sicuro dalla guerra, e di certo non avrebbe rischiato che gliela
portassero via e la uccidessero perché era una Divergente.
Lei era sua, sua e
basta, l’avrebbe protetta a qualsiasi costo.
Avrebbe trovato la
sua via di fuga.
Era pur sempre il
capofazione degli Intrepidi, aveva rispetto e potere, doveva esserci per forza
il modo di tenere al sicuro l’unica persona a cui teneva.
Arrivato alla sua
stanza aprì la porta ed entrò dentro al buio, chiudendola di scatto il secondo
dopo.
Le tende lasciavano
filtrare la luce lunare, che illuminava il letto dove, seduta al centro, c’era
Aria. Pensò che fosse un bene averla trovata già sveglia, così non avrebbe
dovuto svegliarla.
Luna era distesa
vicino ai suoi piedi, mentre la ragazza sedeva con la trapunta tutta
raggruppata attorno alle gambe. Aveva i capelli arruffati, e si strofinò gli
occhi con i pugni come una bambina.
-Dove sei stato?-
biascicò, con la voce impastata dal sonno.
-Aria…-
Quando posò gli
occhi su di lui, per il tono allarmato con cui gli aveva sentito pronunciare il
suo nome, Aria dovette sicuramente notare la sua espressione sconvolta e il
modo in cui il suo petto si sollevava e si riabbassava, al ritmo del suo
respiro decisamente accelerato, perché lo guardò corrugando le sopracciglia.
Eric prese un
profondo respiro e serrò un pugno. –Che risultato ha dato il tuo test
attitudinale?-
Continua…