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Autore: Reagan_    19/11/2014    5 recensioni
[Inghilterra Ottocento]
Per una leggerezza Lord Grant Everstone si ritrova sposato con una donna di basso rango, scialba e per nulla adatta al suo nome e al suo stile di vita.
Cathriona Mafton ha appena perso il padre e vede quel matrimonio celebrato per salvare la reputazione di un'intera casata come un incubo a cui deve sottomettersi.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Capitolo IX

La Debolezza




Due cose solleticano la vanità dell'uomo: la virtù della moglie e la debolezza delle altre donne.
Milan Begović







Su Chester House era tornata la normalità. La servitù godeva di molti tempi morti durante il giorno e Lady Everstone si dedicava principalmente alla lettura di sonetti e alla pittura; mentre il Lord suo marito seguiva i lavori nei campi della proprietà.
Il silenzio e la tranquillità regnavano sovrani da giorni ormai, annullavano ogni affanno e ogni tristezza che sembravano caratterizzare ogni antro di quella grande dimora.
-Buongiorno Smiths.- disse Grant porgendogli il cappotto e il cappello. -Come vanno i preparativi per le vostre nozze?- domandò sorridendogli con esagerata cordialità.
Smiths s'inchinò appena in segno di apprezzamento per la confidenza. -Molto bene, la signorina Forrest è molto lieta di ogni dettaglio.-
Grant si fermò ad osservarlo. Aveva colto nella voce di quel giovane maggiordomo una sorta di tensione che stonava un po' con l'insana allegria che aveva colto la servitù.
-Vi vedo agitato, siete nervoso per le vostre nozze?- indagò mentre s'incamminava verso uno dei salotti.
Il domestico strinse le labbra in una smorfia. -Spero di essere all'altezza della mia futura moglie. Non vorrei mai deluderla.-
Lord Everstone gli sorrise freddo. -Certo, è un'agitazione comprensibile.- si voltò verso la finestra e vide sua moglie seduta su un piccolo sgabello, un cappello enorme le copriva il volto interamente e le mani erano intente disegnare su una tela posta di fronte alla serra.
Cercò di ricordarsi se anche lui era stato agitato il giorno prima delle sue nozze, ma ciò che rimembrava erano solo immagini confuse di un uomo troppo ubriaco e i rimproveri concitati di suo zio.
Sarebbe stato diverso se si fosse semplicemente innamorato di quella donna dai lineamenti anonimi, i capelli scialbi e la poca avvenenza, per il suo buon carattere e la sua gentilezza?
Forse sarebbe stato meglio, avrebbe potuto agitarsi come il buon Smiths e tentare con ogni sforzo di essere un marito degno della moglie.
Ma lui era stato beccato con le braghe calate, la mente confusa e le mani che tentavano di strappare una vestaglia pesante dal corpo di una spaventata ed innocente vergine.
-Smiths, vado a salutare mia moglie, stasera ceneremo nel suo salottino privato.- ordinò al giovane che si prostrò dopo aver assentito all'ordine.
Si avviò verso il giardino con passi misurati e stanchi, la schiena dolorante per le lunghe ore passate a cavallo, si scusò quando la vide sobbalzare al suo tocco misurato alla spalla. Niente, non riusciva mai a farne una giusta, pensò sedendosi a terra.




-Mi avete spaventato!- disse Cathriona mascherando subito la sorpresa dai suoi occhi. Posò con delicatezza il pennello sul piccolo tavolino mentre osservava il marito sedersi a terra, improvvisamente dimentico delle buone maniere e della rigida etichetta.
Prese un fazzoletto liso e pulì i pennelli sporchi di colore, cercando di ritrovare quello stato d'animo beato che fino a pochi secondi prima l'aveva cullata.
-Immagino la vostra giornata sia stata proficua.- disse sistemando la sua attrezzatura.
Grant le fermò una mano. -Non smettere di disegnare, volevo solo guardarti all'opera.-
Cathriona respirò a fondo prima di voltarsi ad osservare la tela imbrattata.
Come avrebbe voluto avere la stessa disinvoltura del marito, ignorare i peccati commessi o subiti e sorridere di fronte alle malignità. In quei giorni di apparente solitudine, si era creata uno spazio di serenità, seppellendosi fra i libri, girando per l'immensa casa senza meta, dipingendo sull'onda di un bisogno emotivo.
Odiava quell'aria determinata che il marito riusciva sfoggiare e quel tu colloquiale che la poneva immediatamente su un piedistallo infamante data la sua ritrosia a concedergli la stessa gentilezza. La servitù non faceva altro che gettarle sguardi eloquenti e strane domande silenziose e lei era costretta nuovamente a chinare la testa.
-E' un esperimento venuto male.- rispose Cathriona alzandosi dal piccolo sgabello.
-E' un esperimento delizioso.- disse Grant seguendola e porgendole il braccio. Cathriona rimase un secondo di troppo ferma ad osservare quel gesto gentile. -Dobbiamo parlare.- la incitò il marito; e Cathriona seppe immediatamente cosa il marito aveva deciso.
In cuor suo Cathriona lo aveva sempre saputo. La libertà che le aveva concesso in quei giorni andava prima o poi pagata e la ferma determinazione che leggeva nei suoi occhi non era che la conferma dei suoi più tristi pensieri.
Gli rivolse un sorriso mesto ed annuì mentre lui blaterava di eredi e gioie della maternità, fissò con una certa insistenza il sentiero ombroso in cui camminavano.
Non era tenuta a partecipare, questo lo aveva già intuito precedentemente. Mangiò qualche boccone di stufato e con grande difficoltà bevve il bicchiere di vino che Lord Everstone le aveva riempito, lasciando a lui la terribile responsabilità di condurre i giochi e intrattenersi da solo.
Non fu complicato, quella volta.
Conosceva tutti i passi del procedimento. La porta aperta della sua camera, la vestaglia già appoggiata sul letto, i capelli legati in una coda sommaria, le sue mani che sollevavano la camiciola, il suo corpo pesante che le mozzava il respiro, le mani che tremavano mentre affondavano nel materasso, il suo grugnito finale e il suo tremore. E le sue lacrime d'umiliazione e stanchezza che scendevano lente sulla sua faccia rossa.
Non fu doloroso come agli inizi, quello che più le faceva male era la sua passiva partecipazione e l'arrendevolezza del suo corpo davanti ai piaceri della carne.
Pose subito le spalle al marito, nascondendo il suo corpo sotto la trapunta e il suo viso nel cuscino fresco, arrabbiata e confusa, chiuse fortemente gli occhi cercando di scacciare quella strana sensazione di distrazione che il suo corpo aveva provato.
-Cara … Vi ho fatto di nuovo male?- chiese Grant avvicinandosi.
-No!- sentenziò Cathriona allontanandosi dall'ombra della sua mano che voleva posarsi lungo il suo fianco. -Sto benissimo mio signore, spero di avervi soddisfatto un poco.- rispose con ferma calma.
Non poteva certo vedere l'espressione frustrata di Grant quando invece di alzarsi ed accomodarsi nelle sue stanze, preferì rimanere disteso dall'altro lato del letto a fissare il soffitto scuro.
-Mi dispiace … -si lasciò sfuggire Cathriona con voce tremante.
-E di cosa, mia signora?- chiese Grant stiracchiandosi le membra stanche. -Sono io il bruto.- ammise seccamente.
Cathriona trattenne il respiro e quasi fu tentata dall'assentire a tale affermazione ma preferì, per il comune vivere, mordersi le labbra.
-Io … Sono solo una donna comune. Non so … Non so niente.- ammise Lady Everstone cercando di tenere a bada la nota lamentosa che colorava la sua voce roca. -Io … - mormorò confusa.
Nella sua mente si ingarbugliavano pensieri e ricordi, parole e gesti, rabbia e dolore. Come poteva continuare a vivere in quel modo? Con i sensi all'erta, incapace di godere di quei pochi attimi di felicità che arrivavano inaspettati e desiderati ardentemente? Perché tentava di interpretare la parte della donna borghese dura e fredda come il vento del Nord, afflitta solo da pensieri pratici e terreni? Nel suo cuore, sotto lo strato di fredda cortesia e produttivi riflessioni, vivevano i sentimenti comuni di una donna. Era il fatto che il suo cuore palpitasse come le protagoniste dei romanzi femminili sui giornali e delle ballate popolari che la irritava e la deludeva. Cathriona Mafton si era sempre considerata forte e risoluta, fino a quel momento non aveva avuto dubbi su quelle certezze e fiera aveva attraversato situazioni complesse senza mai cadere nello sconforto.
Rendersi conto di voler essere semplicemente amata, desiderata e stretta con impeto, come qualunque altra donna, la stava distruggendo.
Per questo lasciò che le mani del marito la cingessero contro il suo petto, racchiudendola in un abbraccio che sapeva di sconfitta e di affezione vana.






-Tornerò fra poco meno di due settimane. Pare che vi siano dei problemi grossi con alcune disposizioni parlamentari che ho impartito prima della pausa. E' necessario che tutto si sistemi, prima che il Primo Ministro e la Regina aprano i lavori camerali.- recitò con perfetta cortesia. Si spostò per osservare meglio la moglie sotto la luce del sole augusteo. Notò con rammarico la faccia smunta e l'irrequietezza che traspariva dal suo sguardo poco lucido. Nell'ultima settimana aveva insistito con i doveri coniugali ma si era sempre prodigato a compierli appena dopo il tramonto del sole, dandole la possibilità di dormire serenamente per il resto della notte. Tuttavia ogni mattina si ritrovava di fronte una donna spossata dalla stanchezza e dal volto insonne.
Durante il giorno si separavano per poi ricongiungersi a cena, nel tardo pomeriggio, scambiando qualche parola e ignorando del tutto quella notte che avevano passato stretti in un abbraccio intimo ed amareggiato.
Gli sembrava strano provare della tenerezza per l'aperto smarrimento con cui Cathriona era solita fissarlo la sera mentre condividevano il talamo nuziale con fini provvidenziali; così come stava trovando sempre più erotico il suo corpo casto, la sua peluria castana, i riccioli alla base del collo in cui affondava il naso durante le ultime spinte, la strettezza del suo interno e la chiara ed eccitante idea di essere il primo e l'unico. Non si era mai considerato particolarmente possessivo con le donne, ma quella scialba moglie sembrava portare alle estreme conseguenze ogni suo sentimento, ogni sua tendenza.
-Fate buon viaggio.- disse lei solamente, inchinandosi rispettosamente.
Grant si chinò a baciarle la mano e sentì il suo cuore invaso da uno strano affetto. -Scrivetemi e prenditi cura di tè stessa.- rispose posandole un bacio lieve sulla fronte.
Si congedarono frettolosamente, la mente di Grant gridava di già un altro nome e le sue narici odoravano fragranze di viole mentre la carrozza s'incamminava fuori dai cancelli di Chester House.
Nessuno dei due si voltò per salutare l'altro.





L'alba era il suo momento preferito da molto tempo ormai.
Il sole non ancora completamente sorto, colorava tenuemente la sua camera dai toni rossi e i velluti scuri. L'aria fresca s'infiltrava dall'unica finestra per pulire la viziata atmosfera di bordello che inevitabilmente si creava la sera, rimpiazzando ogni vizio con una finta apparenza di purezza.
Violet districò le coperte che si erano attorcigliate alle caviglie e si guardò intorno assonnata.
-Horace, svegliati.- disse smuovendo il braccio che le tratteneva lo stomaco. L'uomo che le dormiva accanto, grugnì infastidito e si spostò di qualche centimetro.
-Devi andartene.- ordinò mentre si alzava e si sistemava i lunghi capelli rossicci in una floscia coda. -Aspetto visite oggi.-
Horace, un uomo di circa cinquant'anni con i capelli radi e i baffi brizzolati, si sedette sul letto e la fissò indispettito. -E chi sarà mai? Uno dei tuoi damerini di città?- domandò ridacchiando. -O per caso il tuo cavaliere dall'armatura scintillante?-
Violet si voltò e gli lanciò una forcina che cadde a terra sul tappetto facendo ridere l'uomo. -Povera piccola gatta! La vita è stata così ingiusta con te.- ululò l'uomo in preda dalle risate. -Quando fai così, mi ricordi quella patetica di tua madre.- Horace si alzò e indossò la vestaglia di broccato dirigendosi verso una piccola porta.
Violet strinse i denti cercando di non mostrare la rabbia che la stava invadendo. -Se era così patetica perché ti sei scomodato tanto nell'averla?- gli domandò. L'uomo non si voltò per guardarla e con la porta ormai aperta le rispose. -Perché io progetto sempre imprese proficue nel tempo.- chiuse la porta e lasciò una Violet livida di collera, al centro della sua stanza traboccanti di velluto.






-Spero di dissuaderti da questa ingente spesa, figliolo.-
Grant alzò gli occhi dal giornale per incontrare lo sguardo accusatorio dello zio.
Al Whites' regnava uno strano silenzio assorto, dato che la maggior parte degli iscritti era ancora nelle campagne a godersi la lunga pausa parlamentare.
-Ho abbastanza soldi per mantenere questa spesa.- rispose Lord Everstone.
Lord Cunningham scosse la testa e si servì di un'altra tazza di tè. -Proprio non vuoi lasciar perdere? La signorina era conscia di non dover spendere così tanto per cose così futili. Chi ti dice che fra cinque mesi non ricomincerà tutto daccapo? Non pensi a come potrebbe reagire Cathriona se venisse a saperlo?-
Al nome della moglie, Grant si agitò. Ogni anno donava del denaro a Violet come pegno d'amore, in quanto si sentiva responsabile per la fine dell'immacolata reputazione della ragazza, ma quell'estate sembrava che i fondi fossero finiti con mesi d'anticipo. La casa era della madre e riceveva una rendita dal fratello che viveva nel Galles e raramente si vedeva in giro. A conti fatti, Violet non era una donna povera, ma non appena incontrò il funzionario della Banca si dovette ricredere. Lo stato delle finanze della donna che conosceva da quando era fanciullo era preoccupante.
Che ci fosse dietro il gioco d'azzardo?
Difficile da credere ma non per questo impossibile.
-Non sono così accecato dal donare tutto quello che ho a Violet. Ho una moglie a cui pensare e degli eredi che arriveranno da sistemare.-
Lord Patrick Cunningham alzò il sopracciglio e lasciò cadere la questione, tirandone fuori un'altra.
-Ho incontrato tuo padre. Si trova al Carlton Hotel.-
Grant sospirò stizzito. -Si tratta sempre bene il vecchio.-
Lord Patrick annuì distrattamente. -E' invecchiato moltissimo e anche se lo nasconde, temo che la sua fine sia vicina. E' stanco.-
-Chiunque sarebbe stanco se avesse vissuto anche solo un mese ai suoi ritmi.-
-Credo che andare a Chester House possa aiutarlo a calmarsi, non c'è molto da fare là e sono sicura che Cathriona gradirebbe la compagnia di un uomo così … Lusinghevole.-
Il nipote posò le carte che stava leggendo. -Sono sicuro che Cathriona non troverebbe per nulla gradevole mio padre con il suo bere e fare casino. Persino io lo trovo estenuante.-
-E allora perché non lo accompagni a Chester. Lì potrai prenderti cura di tuo padre, di tua moglie e della tua eredità. Lascia perdere questa giovinetta di città.- disse duramente Lord Cunningham. -E' chiaro che farà la stessa fine della sua povera madre.-
A quelle parole, Grant si alzò in piedi offeso. -Non tollero che si parli di lei così, zio.- disse con voce sibillina. -Ho già ubbidito ai tuoi ordini e mi sono legato a una donna di basso rango con la quale non riesco nemmeno fare una conversazione decente, impresentabile a corte e che mi guarda come se fossi un rospo gigante.-
-Dovevi riparare all'errore che hai commesso. Cathriona Mafton t'impedirà di seguire la strada di tuo padre.- rispose Lord Patrick alzandosi anch'esso. -Quando lo vedrai, potrai finalmente perdonarmi.-
Grant lo guardò andare via e sprofondò nella poltrona coprendosi il volto con le mani.
Aveva lasciato una moglie che sembrava non provare niente più del rancore, doveva proteggere la cara Violet dalle mani di Horace Ludor, Duca d'Ulster, l'uomo che l'aveva rovinata anni prima e tentare di raccogliere quel che rimaneva del padre gentile e premuroso che l'aveva cresciuto e poi abbandonato poco più che adolescente senza tante cerimonie.
Scacciò quei malinconici pensieri e si tolse il cappello non appena si ritrovò di fronte alla deliziosa villa di Violet stava per aprire la porta quando una donna della servitù l'aprì per far passare un uomo alto e possente.
-Oh … Qual buon vento di porta qui, giovanotto?- domandò quest'ultimo. -Si direbbe che non conosci altri bordelli.-
L'istinto di sferrare un pugno fu fermato dal grido di sorpresa e orrore di Violet che, in vestaglia e con i capelli scompigliati, si precipitò verso la porta.
-Grant, ti prego non farlo!- urlò aggrappandosi al suo braccio.
Lord Everstone ritirò il braccio e si scostò trascinando con sé la donna.
-Credimi, giovanotto, non ho fatto niente che la ragazza non abbia disperatamente voluto.- sussurrò prima di uscire senza congedarsi. La cameriera chiuse con un forte schiocco la porta e si dileguò velocemente.
Grant osservò i segni sul collo e sulle spalle che la pelle diafana di Violet aveva, gli occhi pieni di lacrime e le gote arrossate dal pianto trattenuto e non poté fare a meno di abbracciarla.
-Oh, Grant!- gracchiò lei. -Sei venuto!-
-Niente avrebbe potuto allontanarmi da te. Niente.- disse con ardore mentre la stringeva in un abbraccio.
-Oh, Grant! Non ho fatto nulla, mi ha solo picchiato. Lui vuole … -
Lui scosse la testa e le tolse le ciocche arruffate dalla fronte. -Non importa, sono qui e sistemerò tutto.-
Violet gli strinse il bavero del cappotto offrendogli le labbra. -Anche se hai una moglie?-
Per un attimo Grant fu tentato di rispondergli affermativamente ma l'immagine di Cathriona che dipingeva all'aria aperta con un grosso cappello di paglia lo ammutolì. Preferì assaltare la debole avversione all'erotismo di Violet, sfiorando con una mano inguantata i seni pieni.
-Sono tua, sempre e solo tua.- mormorò lei fra un bacio e l'altro mentre lo trascinava in salotto. Grant si tuffò e rovistò nella vestaglia alla ricerca delle forme piene della sua donna. Non riuscirono nemmeno a svestirsi completamente, calati i calzoni Grant la prese sul divanetto, sfogando su quel corpo accogliente mesi di frustrazioni e privazioni.
Quando tutto finì e gli ansimi diventarono normali, Grant notò che per la prima volta aveva prediletto un amplesso ad occhi chiusi, ignorando le mute richieste d'attenzione di Violet e agognando di vedere non quei occhi chiari, bensì quelli scuri di sua moglie.
Si allontanò di scattò, si scusò prontamente con Violet dandole appuntamento nel pomeriggio e fuggì da quella casa che era stata troppe volte teatro delle sue sconfitte morali.
La sensualità carnale ed adulta di Violet era stata cancellata dalla purezza e dalla tenacia di quella giovinetta di soli diciannove anni, il chiaro segno di quanto il mondo a lui famigliare si stava sgretolando.










   
 
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