Fumetti/Cartoni americani > TMNT / Tartarughe Ninja
Ricorda la storia  |      
Autore: Switch    20/11/2014    9 recensioni
Leather Head deve prendersi cura di un animale malato, ma lui non si sente in grado completamente, ha troppe paure nascoste. Sulle note della musica classica, la paura può essere anche solo una percezione effimera.
Personaggi: Leather Head, Klunk
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leatherhead, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note:

Dunque, questa scena è allo stesso tempo parte di SITR che no. L'idea viene da una scena che viene solo accennata nel capitolo 20. Ma in realtà può essere benissimo letta fuori da quel contesto, è una cosa che può succedere.

L'avevo pensata completamente diversa, ma non so come mi è venuta fuori così. O meglio, l'ho scritta ascoltando “Sonata al chiaro di luna di Beethoven”, che credo mi abbia influenzato moltissimo. Non so, ma credo che la musica classica ben si addica a Leatherhead, tormentato eppure gentile.

Il risultato finale mi piace e non piace, non so se ha senso.

Il link per la musica:

https://www.youtube.com/watch?v=5-MT5zeY6CU





Le note del piano danzavano nell'aria, scivolando nella chiara luminescenza delle lampade, sfiorando i delicati marmi consunti dagli anni e scheggiati dall'usura e dalla noncuranza di milioni di piedi che li avevano calpestati; l'angelo della fontana, spenta da tempo immemore, sembrava quasi essersi congelato mentre volteggiava su quella ipnotica e greve melodia, le braccia in alto in una posa statica, le pieghe del vestito in pietra che suggerivano un movimento fermo da troppo.

Persino la polvere ballava negli spiragli di luce dorata che filtravano da piccoli buchi sul soffitto, vorticando leggiadramente nel bagliore in spirali aggraziate e indolenti, piccoli pulviscoli quasi luminescenti essi stessi.

Un giro di accordi tormentato seguì nel silenzio, le note che esprimevano un dolore intrinseco, una tristezza, una lenta ponderata riflessione, una calma emozione.

Non sapeva spiegare perché, ma sentiva sé stesso in quella melodia; gli sembrava che ogni nota, ogni pausa, esprimesse ogni centimetro della sua persona.

Leatherhead, se avesse dovuto mai esprimersi in musica, si sarebbe definito Sonata al chiaro di luna di Beethoven, con le sue note squillanti, ma calme, lente e dolci, tristi eppure quiete.

Non sapeva nemmeno quante volte l'avesse ascoltata, nella sua vita. Di certo negli ultimi anni, quando il controllo sulla sua parte animale era diventata quasi impossibile, quella melodia era diventata una delle poche cose che lo aiutava a focalizzarsi su sé stesso e a riprendere la ragione, spazzando via la rabbia.

Per quel motivo, Sonata al chiaro di luna si ripeteva quasi in loop continuo nella sua casa, la stazione della metropolitana abbandonata che i suoi amici avevano trovato per lui, dallo squisito stile classico.

Aveva un vecchio giradischi e un disco in vinile recuperati dalla discarica, un po' malconci, che aveva passato giornate intere a rimettere a posto con le sue mani, con pazienza e competenza. Sì, il disco saltava leggermente nella parte dell'allegretto, ma ormai si era abituato al lieve graffiare della puntina in metallo prima di quel pezzo e anzi, lo attendeva persino, con una parte della mente, lo stomaco che provava una lieve morsa nell'attesa e poi si rilassava subito dopo, inconsciamente, come una promessa che trovava compimento.

Non che prestasse davvero orecchio alla melodia in continuazione, la usava come sottofondo per rilassarsi, ma c'era una parte di lui che vi faceva sempre attenzione, suo malgrado. Anche in quel momento, nel suo camice da laboratorio intento ad osservare nel microscopio la reazione dell'antipatogeno sperimentale, la melodia arrivava alle sue orecchie distendendo i nervi, focalizzando la sua attenzione, rilassandolo.

Respirava, al ritmo delle battute.

Le ultime note echeggiarono cupe e rimasero vibranti nell'aria per qualche istante, fondendosi insieme al silenzio e al suo respiro.

Stava girando la rotella del microscopio per mettere a fuoco, quando udì una voce, lontana, che chiamava il suo nome; si raddrizzò all'istante e corse via dalla zona allestita a laboratorio, verso il giradischi nell'angolo, sollevando il braccio con la puntina che graffiava a vuoto, ascoltando di nuovo.

Leatherhead!” udì chiamare ancora, questa volta sicuro di non esserselo immaginato. La voce sembrava urgente e preoccupata, perciò si avvicinò con apprensione all'entrata della sua casa, il suono di passi annacquato in avvicinamento sempre più forte.

Michelangelo apparve trafelato, muovendosi con fretta e urgenza, un piccolo fagotto tra le braccia, dello stesso colore della sua maschera. Lo stringeva con garbo e premura, i ciuffi di pelo arancio sfuggiti da sotto le sue dita che ondeggiavano per le lievi vibrazioni.

Michelangelo, cosa...” lo accolse impreparato, spaventato dall'aria seria che aveva in viso.

Leatherhead, Klunk... Klunk non sta bene” soffiò fuori l'amico, con voce affranta.

Gli mostrò il felino, che non sollevò nemmeno la testolina nella loro direzione: se ne stava immobile tra le braccia del padrone, gli occhietti semichiusi che non guardavano niente in particolare, spento di ogni vitalità.

Il grosso coccodrillo umanoide fece strada verso il laboratorio e invitò Michelangelo ad appoggiare il felino sul tavolo ingombro di provette e alambicchi, sul quale ebbe la premura di stendere una coperta.

Klunk diede un miagolio tetro quando venne lasciato andare e Michelangelo trattenne quasi il respiro per la preoccupazione. Prese ad accarezzarlo con agitazione, per fargli capire che era lì con lui.

Raccontami cosa è successo, per favore” disse Leatherhead, mentre prendeva lo stetoscopio dall'altro tavolo, infilandolo nei fori auricolari.

La voce dell'amico gli arrivò ovattata alle orecchie, mentre auscultava il battito del cuore del gatto.

È da un paio di giorni che è strano. Sta mangiando poco, che per un mangione come lui è insolito. Ma in questi ultimi tempi andava e veniva spesso dal rifugio e pensavo che fosse solo innamorato. Ma oggi son tornato dal giro di ronda ed era accasciato nella sua cuccia senza forze e poi, ha vomitato! É così debole e io... io non so cosa abbia” raccontò con voce sempre più alta e lacrimosa, mentre la mano percorreva ritmicamente il pelo del felino, forse più per rassicurare sé stesso che il gatto.

Perdita dell'appetito e vomito? Devo misurargli la febbre e fare delle analisi” mormorò Leatherhead, poggiando lo stetoscopio sulla spalla per prendere il necessario.

Non preoccuparti, mio caro amico, scopriremo cos'ha il tuo gatto” lo rassicurò gentilmente, con un sorriso bonario alla sua espressione terrorizzata suscitata dalle sue parole.




Liquidi variopinti correvano gorgogliando per i tubi trasparenti di provetta in alambicco, nel silenzio.

Michelangelo? Michelangelo, svegliati, amico mio” chiamò Leatherhead piano, scuotendolo per una spalla.

Il mutante si riscosse con un grugnito sorpreso, guardandosi attorno in allarme, dalla poltrona dove riposava.

Si era addormentato mentre lui studiava i campioni di sangue di Klunk, sfinito dalla preoccupazione e dalla stanchezza. Il micio dormiva anche lui, o almeno così sembrava, sul tavolo del laboratorio.

Non hai riposato dopo la ronda di ieri notte, vero?” chiese premuroso, mentre Mikey si stropicciava la faccia soffocando uno sbadiglio, annuendo.

Poi si interruppe e saltò su dalla sedia, correndo verso Klunk; si fermò nell'atto di accarezzarlo, la mano esitante sospesa in aria, per non disturbarlo.

Come sta?” domandò sottovoce, accarezzandolo con lo sguardo.

Ancora non lo so. Ha la febbre, perciò gli ho dato un antipiretico mentre esamino il sangue per capire cosa abbia” rispose Leatherhead, commosso dalla sua premura.

Perché non vai a casa a riposare? Controllerò io Klunk e non appena saprò cosa ha, ti chiamerò immediatamente” concluse con un sorriso incoraggiante, osservando le occhiaie sotto gli occhi dell'amico, ben visibili dato che si era tolto la maschera.

Michelangelo sembrò titubare. Non voleva lasciare Klunk, lo aveva capito, ma ondeggiava da quanto era stanco, perciò non poteva continuare a stare lì a preoccuparsi e non dormire; non avrebbe giovato né a lui né al gatto, in fin dei conti.

Mi chiamerai immediatamente? Per qualsiasi motivo o dubbio o novità?” si informò con trepidazione, la voce roca.

Assolutamente” lo rassicurò, senza esitare.

La mano di Michelangelo si poggiò lieve sul pelo di Klunk, sfiorandolo delicatamente con la punta delle dita, come se lo stesse salutando, poi annuì verso l'amico e andò via, lentamente, triste e stanco.

Leatherhead sospirò, poi lo sguardo corse al felino, che con gli occhietti mezzo aperti e lucidi lo osservava, in quello che lui ritenne uno sguardo spaventato.

Se fosse per paura verso di lui o per il suo stare male, non lo seppe dire.


Finalmente, dopo innumerevoli passaggi, dopo ore di procedimenti medici di fortuna, -in fondo il suo laboratorio non era esattamente come quello di un qualunque dottore o ricercatore,- il vetrino con il campione di sangue era pronto per essere analizzato.

Avvicinò il viso agli oculari e girò la rotellina nel silenzio, almeno esterno, cercando di mettere a fuoco. Le confuse macchie dalle forti tonalità rosse presero infine forma, dai contorni nitidi, e Leatherhead si concentrò al massimo.

Nella sua testa, le note del pianoforte scandivano i secondi.

C'è una riduzione dei globuli bianchi” disse tra sé, mentre la mente già metteva quell'informazione in coda alle altre per trovare la patologia.

Si allontanò dal microscopio e si avvicinò al mobile adibito al deposito di medicinali, la maggior parte sintetizzati e messi insieme da lui. Gli Utrom fortunatamente gli avevano insegnato anche la chimica, durante la sua educazione e la sua crescita; non sapeva come avrebbero fatto lui e i suoi amici mutanti a procurarsi medicine, altrimenti, anche le più semplici.

Dopo aver preso un paio di scatole senza scritte né indicazioni, si avvicinò per scrupolo al computer assemblato assieme a Donatello e digitò velocemente, per cercare conferma della sua intuizione. D'altronde non era davvero un dottore, c'era un alto margine che potesse sbagliarsi.

Sospirò, avvicinandosi al felino e poggiando sul tavolo le medicine.

Klunk aveva una gastroenterite, una malattia piuttosto grave per un gatto, ma curabile se trattata in tempo. Certo, tutto dipendeva dal micio, più che dalle medicine. Lui avrebbe solo dovuto somministrargli una soluzione fisiologica per via endovenosa per combattere la disidratazione e antibiotici per contrastare le infezioni batteriche. Il resto era tutto dato dal sistema immunitario e dalla forza di Klunk.

Iniziò ad assemblare il kit per la flebo, collegando la cannula alla sacca di liquido e girando la rondella per regolare il flusso; una volta connessa all'ago a farfalla, le sue mani si fermarono.

Doveva toccare Klunk, per potergli mettere la flebo. Ma c'era una parte di lui che non voleva, non poteva toccare un essere così piccolo e perfetto, senza sentire la paura di romperlo.

Aveva paura che si rompesse al solo tocco delle sue mani. Era uno scienziato, pratico e logico, ma la sua parte animale provava un irrazionale terrore di arrecare danno al prossimo e non c'era dubbio che non sapesse come maneggiare un essere vivente così piccolo, non con le sue manone enormi e sgraziate.

Anche Klunk sembrava pensarla allo stesso modo, perché lo guardava in maniera ostile, da sotto le palpebre semi chiuse.

Leatherhead tentennò ed esitò, con il piccolo ago nella mano che scintillava, sospeso sopra il suo paziente con timore. Prese un profondo respiro e pizzicò la pelle del micio vicino alla collottola, infilando l'ago con un solo gesto e lasciandolo andare nello stesso istante. Rilasciò il fiato, sollevato.

Aveva toccato il gatto il meno possibile, non poteva averlo rotto.

Girò la rondellina per permettere al liquido di fluire e con una siringa iniettò l'antibiotico nella sacca della flebo, con un sorriso soddisfatto. Tutto quello che serviva a Klunk, da quel momento in poi, era tempo.

Lo lasciò da solo, tornando ad occuparsi degli esami che stava compiendo prima che Michelangelo gli portasse Klunk, con il proposito di controllare il felino di tanto in tanto, per non disturbarlo.

E avrebbe avvisato il suo amico solo quando avesse avuto dei riscontri sulla terapia, per non metterlo in allarme senza motivo.


Stava trascrivendo una fitta serie di numeri e formule e reazioni, quando il primo miagolio lo scosse. Erano passate due ore, non se n'era accorto.

Si voltò verso il felino, che sdraiato sulla pancia guardava nella sua direzione, un po' meno spento. Quello ricambiò il suo sguardo e gli miagolò di nuovo contro.

Ti- ti senti male?” chiese Leatherhead confuso, più a sé stesso ovviamente, avvicinandosi a lui con cautela.

Klunk diede un altro miagolio, senza muoversi.

Il coccodrillo scienziato lo controllò con occhio clinico, senza però toccarlo. Solo per potergli misurare la febbre spostò la sua coda, per un secondo soltanto.

Klunk rimase pazientemente fermo, ma iniziò a miagolare di continuo, come una nenia. Eppure non gli sembrava che stesse peggio di prima, anzi, seppur lieve sembrava mostrare più energia.

Arrivò alla radice del problema solo dopo qualche momento:

Klunk voleva delle carezze. Voleva un contatto fisico rassicurante e d'affetto, che lo facesse sentire al sicuro.

Ma lui, lui non poteva. Lo avrebbe di certo rotto se lo avesse toccato. Così fragile, al suo confronto.

Il felino miagolò ancora una volta, un verso di insofferenza e impazienza.

Leatherhead guardò il suo musino fiero e arrabbiato, con timore reverenziale. Sembrava quasi che gli stesse ordinando di accarezzarlo e dargli attenzioni.

Ma cosa ne poteva sapere un gatto delle sue paure? Come poteva sapere che il suo più grande timore era di fare del male agli altri, anche involontariamente? Lui era un mostro in fin dei conti, e anche se Klunk era abituato a stare con dei mutanti, lui era diverso. Michelangelo era gentile e dolce, lui era una belva senza controllo, che una volta l'aveva aggredito, l'amico, pensando persino di averlo ucciso.

Non poteva permettersi di fare del male a Klunk. Sarebbe bastato anche un piccolo incidente, un'unghia del felino che lo graffiava, e lui avrebbe dato di matto.

Ma ovviamente l'animale non poteva saperlo e se ne fregava. Miagolava in maniera insistente e straziante, chiedendo il suo affetto, che non poteva darglielo.

Forse sarebbe bastata una leggera pacca sulla testolina per farlo calmare.

Leatherhead allungò una mano, deciso, ma poi quella si fermò tremante, senza osare toccare il suo paziente. Era persino più piccolo della sua mano.

Sembrò ripensarci per un attimo.

E forse si sarebbe ritratto indietro, se Klunk non avesse fatto la sua mossa. Con un gesto veloce la sua piccola linguetta saettò nell'aria, leccando il dito del coccodrillo.

La sensazione rasposa della sua lingua riscosse e sorprese Leatherhead, piacevolmente. Spezzando la paura allungò la mano, infine, e la tuffò nel folto pelo, scorrendo con le dita sulla sua schiena, un oceano arancione di velluto. Il ronzio soddisfatto di Klunk riempì l'aria e lui sorrise, commosso.

Lui, il mostro, l'enorme e incontrollabile creatura piena di paura e rabbia che a volte prendeva il controllo e distruggeva tutto, stava coccolando un gattone arancione, tranquillamente, fiduciosamente, serenamente.

Staccò la mano da quel contatto e lo sguardo di Klunk si fece offeso, mentre lo seguiva nel suo spostamento. Leatherhead andò nell'angolo del giradischi e fece partire il motorino: il disco iniziò a girare, ipnotico, su sé stesso; la mano abbassò il braccetto con la puntina, che entrò in contatto con la nera superficie, seguendo i solchi come un fiume scorre nel suo letto, trasformando il vuoto in musica.

Le note del pianoforte riempirono l'aria e Leatherhead sorrise.

Tornò da Klunk e si sedette vicino al tavolo, rituffando la mano nel suo manto, gioendo delle sue fusa ronzanti, che ben si armonizzavano alla melodia.

Ti piace Beethoven, mio piccolo amico?” domandò gentilmente. Il micio strofinò la testa contro la sua mano, in risposta, e quello gli bastò in fin dei conti.

Forse il mostro che albergava in lui poteva essere domato con della buona musica, un nuovo amico e delle carezze felici.




  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > TMNT / Tartarughe Ninja / Vai alla pagina dell'autore: Switch