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Autore: Shewrites220898    20/11/2014    1 recensioni
Giulia è una ragazza come tutte, che divide le sue giornate tra scuola, casa, famiglia e amici. Tutto cominciò la sera della vigilia di Natale, quando ricevette dai genitori un regalo inaspettato che cambierà per sempre la sua vita ...
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo non si può fermare. E’ qualcosa di immenso e immutabile, che apre la nostra mente a infiniti pensieri. Ma ci sono attimi, in cui pensi davvero che il tempo si sia fermato. Come quando la prof comincia a spiegare matematica ad esempio. Oppure quando guardi un documentario sui pinguini. Le cose che non ci piacciono fanno sembrare il tempo qualcosa di statico. A volte anche troppo. Erano passati ben due mesi da quel giorno. Quel tragico evento che mi recluse nella solitudine più totale. Passavo le giornate a fissare la parete di fronte a me, senza né muovermi, né parlare, senza esprimere alcuna emozione. D’altronde, non volevo neanche provare a reagire. Sapevo che sarebbe stato del tutto inutile. Reagire non avrebbe cambiato le cose; non mi avrebbe ridato Heather. In quei momenti, la domanda che mi veniva spontanea era perché. Perché mi aveva lasciata? Perché? Non cercai affatto di darmi delle risposte, visto che, anche in questo caso, non avrei risolto nulla. Svegliati Giulia. Ormai è andata. E non la rivedrai mai più. Ma non posso dimenticarla. Lei vive in me ormai. E io sarò per sempre legata a lei. Devi smetterla invece. Devi aprire gli occhi e arrenderti, lei non tornerà mai. No, non è vero, lei tornerà. Non importa cosa sia successo o cosa stia succedendo, ma lei tornerà. Me lo sento. Era come se la mia mente facesse a botte con sé stessa: una parte di me voleva lasciar perdere, voleva arrendersi davanti all’evidenza; l’altra vuole lottare, vuole continuare a cercare una via di fuga, qualcosa che possa riportarmi all’equilibrio assurdo che mi ero creata. E, alla fine, questa parte prevalse. Era uno scuro venerdì, quel giorno, ed ero a casa da sola. Mamma era andata a fare dei servizi per la macchina, mentre papà era al lavoro. Bea era uscita, come suo solito. Io, seduta alla scrivania, con il computer davanti agli occhi, spento. Le mani sulla testa e i gomiti appoggiati sul tavolo. Le gambe in parallelo, così magre da far impressione, immobili. Lo sguardo era perso nel vuoto, l’unica cosa che mi sentivo in dovere di fare in quel momento era respirare. Fuori era nuvolo, la finestra che dava sulla mia camera lasciava intravedere qualche lieve raggio di sole che filtrava attraverso le nubi, ma, per il resto, buio totale. Le luci erano tutte spente e la camera era del tutto in ordine. Dopotutto, era da molto che non utilizzavo il resto degli oggetti che possedevo. Ad un certo punto, poco prima che i miei uscissero, iniziai a pensare. Pensai a Heather. A cose le fosse successo di tanto grave da indurla a lasciarmi così. D’un tratto, ebbi un colpo di genio: gli occhi vitrei persi nel vuoto mi si illuminarono. Mi ero resa conto solo in quel momento che la soluzione, nitida e chiara, era lì, davanti ai miei occhi. Non avevo intenzione di scrivere a Heather, anche perché ci avevo già provato molte volte da quando successe quel che era successo, e ogni volta che ci provavo lei stessa non rispondeva. Perciò, cominciai ad accendere il computer, senza esitare neanche un po’. Dato che era da molto che non lo utilizzavo, ci mise un bel po’ ad accendersi. Io rimanevo lì davanti, con gli occhi spalancati in attesa che comparisse lo sfondo azzurro del desktop. Proprio in quel momento mi ricordai di quando mi regalarono Macy: che Natale assurdo, pensai, passare tutta la sera davanti a un PC, addirittura dargli un nome. Mentre mi perdevo in questi e molti altri pensieri, mi accorsi che il computer aveva finalmente deciso di accendersi. Nel frattempo, però, io ero ancora in ansia. Anche perché non ero del tutto sicuro di quello che facevo e, soprattutto, se ciò avesse funzionato. Premetti il tasto sinistro sull’icona di Internet. Purtroppo per me, ci misi un bel po’ di tempo per aprire Google, perché il wi-fi si era completamente scollegato. Dopo circa un mesetto che non usavo più il Mac, ovviamente, doveva “riprendersi”. “Forza! Dai! Funziona!” pensavo, aggrottando le sopracciglia e osservando il simbolo del loading che continuava a rotare in circolo, senza alcun risultato. Quando ormai la speranza sembrava perduta, finalmente si aprì la finestra. “E vai! Così mi piaci!” pensai, ed esternai questo pensiero con un sorrisetto. Cavolo, da quanto non sorridevo! Il massimo del divertimento, a quei tempi, erano i miei “ahahah” digitati durante le conversazioni con Heather. Dovevo ammetterlo, mi mancava divertirmi. Mi mancava parlare e scherzare, mi mancava comunicare. E forse non solo quello. In ogni caso, appena si aprì la scheda, subito cominciai a picchiettare sulla tastiera, inserendo nel riquadro di ricerca il nome di Heather. Ma, come al solito, non va mai tutto liscio. Infatti, proprio in quel momento, mi ero completamente dimenticata il suo cognome. “Bene! E ora?” pensai nuovamente, tra un sospiro e l’altro. Dopo aver constatato che mi serviva un po’ di tempo per pensarci su, mi alzai e iniziai a camminare lentamente per la stanza, in cerca di qualcosa che potesse aiutarmi. Fu molto difficile riuscire a giungere alla conclusione, anche perché, durante la nostra corrispondenza, io e la mia amica ci chiamavamo sempre con soprannomi, che, spesso, erano anche molto strani, e, comunque, il cognome è sempre stata una cosa del tutto secondaria. Dopo averci pensato a lungo, arrivò il lampo di genio, la tipica lampadina che si illuminò tutto d’un tratto.
-Hill!- Urlai tornandomi a sedere di scatto e continuando a digitare. Ero così felice, che addirittura tornai a parlare (o, meglio, a urlare). Scrissi “Heather Hill” nel riquadro di ricerca e, dopo aver sospirato per l’ennesima volta, premetti invio. Sotto la voce che avevo inserito, c’erano circa trecentomila risultati, e quasi tutti relativi ad un profilo facebook; dopotutto, come mi disse lei stessa, Heather Hill era un nome molto diffuso in Gran Bretagna. Spesso e volentieri, c’erano cose che non avevano nulla a che fare con quello che avevo scritto e, a un certo punto, mi ritrovai addirittura su un sito per culturisti, ma lasciamo perdere. Tornando a noi, passai l’intero pomeriggio, dalle due circa fino alle sette di sera, a cercare qualcosa che mi potesse interessare. Passai in rassegna tutti i risultati in circolazione, visitai tutti i siti, i blog, qualsiasi cosa che avesse potuto darmi notizie su di lei. Erano le sette e un quarto, quando constatai che Heather non aveva alcun profilo, su nessun sito, nessun social network e nessun blog o forum che sia. Ero disperata, non sapevo più che fare. Verso le sette e mezza, dopo essermi calata nello sconforto più totale, mi mancavano circa tre pagine, che passai in rassegna velocemente, senza neanche fare troppa attenzione. Dopo essere arrivata all’ultima pagina, che praticamente non calcolai affatto, tirai un lungo sbadiglio. Cominciai a fissare la porta d’ingresso, chiedendomi come mai i miei e mia sorella fossero ancora fuori, dato che sarebbero dovuti già rientrare da un pezzo. Sospirai qualche altra volta, poi mi girai verso il computer ed esaminai scocciata gli ultimi tre risultati dell’ultima pagina, niente di che: un profilo facebook, un blog di una certa Heather Woods e … ehi, aspetta un attimo! Stropicciai gli occhi, sbadigliai di nuovo e mi avvicinai con la sedia al monitor. Sgranai lo sguardo al massimo e cliccai sull’articolo di giornale che, evidentemente, avrebbe potuto interessarmi. Il fatto che fosse scritto in inglese, che ci fosse il nome Heather Hill scritto esattamente come l’avevo scritto io, cosa che finora era stata del tutto rara, mi convinse ad aprire l’articolo in quattro e quattr’otto. Era una pagina di un giornale inglese del 2001 semisconosciuto, forse locale, che riguardava i fatti di cronaca:
YORK: RAGAZZA MUORE MISTERIOSAMENTE IN CASA, I MEDICI: “NON SAPPIAMO LA CAUSA”.
Siamo a York, città storica del nostro paese, ma non per questo intrisa di mistero e di delitti. L’ultimo caso che è giunto a noi riguarda la giovane Heather Hill, sedicenne, di famiglia benestante e cittadina britannica. La ragazza è stata ritrovata lo scorso venerdì in casa sua, seduta alla scrivania. L’allarme arriva dai genitori che, in lacrime, hanno chiamato l’ospedale più vicino. Sono gli stessi medici ad effettuare un esame sul corpo di Heather; i campioni di DNA prelevati escludono ogni traccia di omicidio o di suicidio. L’assenza di sangue conferma l’indagine. Le ipotesi sulla morte della ragazza sono molteplici. Tutto comincia in un quieto pomeriggio d’inverno. Siamo a York, la nostra città, più precisamente in zona universitaria. La ragazza stava tranquillamente scrivendo al computer con una sua amica, come riferito dai genitori. Il decesso è avvenuto verso le sette e mezza di sera, orario in cui la famiglia stava cenando. Heather, figlia unica, molto studiosa, amava la sua città, la sua famiglia e i suoi amici, fu ritrovata in camera, dopo la cena, che terminò alle otto, in stato catatonico. Secondo l’indagine medica condotta, le cause non possono essere dovute a radiazioni o a fattori tecnologici, poiché i computer non emettono alcun tipo di onde capaci di produrre tali reazioni. Questa tesi è, dunque, esclusa. In concomitanza con il commissariato, è stata esaminata l’ipotesi di una morte per depressione, ma, analizzando meglio l’aspetto sociale ed economico della ragazza, questa teoria passa anch’essa in secondo piano. Dalle analisi cliniche effettuate in vita non si riesce a trarre una conclusione, poiché Heather era del tutto sana, priva di ogni forma di anemia, tumore o quant’altro. In conclusione, le cause di morte della ragazza rimangono del tutto misteriose; scienziati, medici e molti altri esperti si stanno interrogando su cosa possa essere stato a provocare una morte così singolare. Certo è che il cuore della ragazza ha smesso di battere quasi immediatamente; le gambe e le braccia, posate sulla scrivania, erano atrofizzate e del tutto prive di muscoli, segno che la ragazza era ferma in quella posizione da tanto tempo. Gli occhi erano aperti e mostravano forme gravi di ittero. Heather manca tanto a tutti i noi, e siamo sicuri di fare il possibile per sapere come mai ci ha lasciato a questa tenera età. Mancherà tanto a tutti noi, riposi in pace.
Lessi tutto l’articolo con attenzione. Rimasi del tutto sconcertata appena finii; non riuscivo a credere a ciò che avevo appena letto, non riuscivo a realizzare che Heather fosse morta. “Non è possibile, deve essere un’altra ragazza” pensai. Ma non ci volle molto a capire che quell’articolo parlava proprio di lei. Continuai a leggerlo almeno altre quattro volte, poi mi alzai di nuovo e mi misi a camminare per la stanza, ancora più sconvolta di prima. Tutto d’un tratto, avevo capito ogni cosa. La verità nuda e cruda era davanti a me, e si mostrava in tutta la sua lucentezza. Heather era morta. Tanto tempo fa. Non esisteva più. Non fisicamente almeno. Ero esterrefatta e subito associai ciò che le successe alla mia situazione: avevo finalmente compreso ciò che stava accadendo. Ma certo! Come ho fatto a essere così stupida? Come ho fatto a non accorgermene prima? Quanto sono stata immatura e ingenua, non riuscivo a crederci. Scuotevo la testa e subito, riguardando l’articolo, le lacrime cominciarono a rigarmi il volto. Non potevo sopportare che la verità fosse così crudele, non potevo sopportare che Heather non fosse più qualcuno. Ma, soprattutto, riuscii finalmente a capire incontro a quale destino stavo andando. Avevo rischiato di morire, di fare la sua stessa fine. E non volevo. Non volevo lasciare tutto e tutti così, non in questo modo, non ora. Smisi immediatamente di piangere e cominciai a pensare. Tanti erano i punti interrogativi che offuscavano la mia mente in quel preciso attimo. Tremavo. Per tutto quel tempo, per tutti quei mesi, avevo parlato con una persona morta. Che sia stato una specie di scherzo? No, non poteva esserlo, dopotutto il giornale era un documento del tutto ufficiale e bastava per farmi rendere conto dei fatti. Tutto ciò che finora era stato detto dai miei amici e dai miei parenti era giusto: avevano ragione ed io, stupida come sono, me ne resi conto solo allora.
-Stupida! Stupida! Stupida!- Mi dissi dandomi delle forti pacche sulla testa. Tirai un sospiro profondo di sconforto. Non potevo ancora credere di essermi salvata giusto in tempo. La morte aveva bussato alla mia porta e io avevo la serratura rotta. Ho rischiato veramente tanto e, per fortuna, me ne accorsi al momento giusto. Ora che ero “guarita” dalla mia “sindrome”, restava soltanto una cosa da scoprire: qual’era il legame tra Heather e il computer? Perché lei mi scrive tramite questo mezzo e non con la classica “lettera dall’aldilà”? Ero veramente confusa, non sapevo veramente cosa fare. Rimuginai a lungo su cosa avesse potuto aiutarmi a risolvere i miei dubbi e, alla fine, qualcosa uscì fuori: l’unico modo per scoprire qualcosa su Heather era, semplicemente chiederglielo. Certo, sarebbe stato complicato ricevere una risposta dopo quello che lei mi aveva detto l’ultima volta, ma io ci avrei provato ugualmente. Dopotutto, volevo sapere perché mi aveva scritto, perché proprio a me; volevo sapere perché aveva scelto di far morire proprio me, perché in questo modo. Avrei voluto fare tutto al momento, ma ero troppo turbata per continuare a pensare. L’unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era ritornare a vivere. Tornare ad avere una vita vera. Tornare ad essere una persona umana, una persona ragionevole, e, soprattutto, una ragazza come tutte. Proprio mentre cominciai ad accennare un lieve sorriso relativo a questo, sentii la chiave scricchiolare nel buco della serratura. Mamma e papà erano tornati. Appena aperta la porta, i miei genitori entrarono in casa e io, felicissima, gli corsi incontro e, senza neanche fargli accorgere, li abbracciai entrambi, sorridendo. Quel sorriso che se n’era andato da mesi. E che ora era ritornato. Vidi la gioia negli occhi di mia madre, e la felicità nell’espressione di mio padre. Fui contenta di vederli così, finalmente allegri e senza pensieri. E, sicuramente, loro furono contenti di vedere la loro figlia rinascere.
-Perdonatemi!- dissi –Vi prometto che non lo farò mai più! Non vi farò mai più soffrire così, lo giuro!-
Li strinsi forte, come se non li vedessi da un’eternità. Loro ricambiarono l’abbraccio e, prendendoli per mano, ci dirigemmo in cucina, per preparare insieme la cena, come facevamo di solito. Eravamo tornati a vivere.
   
 
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